Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Prove di Drammaturgia

Prove di Drammaturgia


CHI HA SOGNATO IL SOGNO DI STRINDBERG?
Cento anni di allestimenti a Stoccolma

di Willmar Sauter (*)

 

"I personaggi si frantumano, si moltiplicano, si raddoppiano, evaporano, si allontanano galleggiando, si ritrovano. Ma c'è una coscienza al di sopra di tutti, la coscienza di colui che sogna; per essa non esistono segreti né incoerenze né scrupoli né leggi. Colui che sogna non condanna e non assolve, semplicemente racconta; e poiché il sogno è più spesso doloroso che gaio, un tono di malinconia e di pietà per tutto ciò che è vita attraversa le onde del racconto" (Strindberg Il Sogno Avvertenza)

Queste parole aprono una nuova epoca nella storia della drammaturgia occidentale. Se dopo Il Padre , La Signorina Giulia (1888) e quel disperato verbale che è Inferno , Strindberg non avesse scritto altro, potrebbe essere tranquillamente collocato nell'area degli autori naturalistici di fine Ottocento. Starebbe in buona compagnia con Zola, Hauptmann, Gorki e con il suo vicino: il norvegese Ibsen, anche se questi all'epoca non era lontano dal simbolismo. Ma nel 1988, dieci anni dopo i testi naturalistici, ci fu Verso Damasco seguito dal Sogno (1901), pubblicato quasi contemporaneamente all' Interpetrazione dei sogni di Freud. Parecchi drammi scritti da Strindberg per il suo teatro, l'Intima, riguardano la sua poetica del sogno e forse più degli altri La Sonata degli Spettri (1907) e La Strada Maestra (1909). Con queste opere Strindberg entrò nella storia del teatro e della drammaturgia come l'innovatore più radicale dell'idea stessa di testo teatrale.

La ricerca drammaturgica ha spesso sottolineato l'antagonismo fra dramma aristotetelico e dramma epico. Quest'ultimo è stato difeso con sottile eloquenza da Brecht, che Strindberg precede per ragioni cronologiche e di tecnica drammaturgica. Infatti, Strindberg non si limitò a prendere le distanze dalla drammaturgia classica, ma ne capovolse completamente le categorie aristoteliche. Nei drammi sul sogno non ci sono né peripezie né punti di svolta, la struttura è circolare, ritorna al punto di partenza. Questi testi sono come un cerchio ermeneutico in cui le parti e il tutto si intrecciano indissolubilmente : una implosione di fantasie, di agnizioni, di ripetizioni - sogni.

Come ha reagito il teatro a questa provocazione? I sogni di Strindberg hanno veramente raggiunto la scena? Non lo sappiamo, ma, di certo, molti registi hanno realizzato i propri sogni allestendo per l’appunto i drammi di Strindberg.

Il successo fu lento. Il Sogno allo Svenska Teatern di Stoccolma nel 1907, con la ex-moglie di Strindberg, Harriett Bosse, nella parte della figlia di Indra, ottenne un consenso mediocre. La scenografia, fabbricata nel laboratorio di Karl Grabow cui si rivolgevano quasi tutti i teatri di Stoccolma, fu, come era prevedibile, tradizionale: un romanticismo di genere che seguiva piattamente le didascalie del testo. Naturalmente a Strindberg piacque vedere rappresentata la propria pièce, ma non sappiamo se fu soddisfatto della messinscena. In realtà lui accarezzava l'idea di portare i drammi del sogno sulla piccola scena (6 metri x 4) dell'Intima dove poi, di fatto, rappresentò le proprie opere fra 1907 e il 1910, e dove l’impossibilità di realizzare grandi allestimenti scenografici lo portò a rielaborarli nelle prospettive della messinscena.

Essendo impossibile allestire grandi scenografie, Strindberg elaborò cambiamenti radicali. Ne ricordiamo due, anche se non realizzati. Strindberg vide, nel piccolo volume di storia del teatro di Herman Ring (1898), i bozzetti di Mahelot (1630) per il teatro dell'Hotel de Bourgogne di Parigi. Mahelot creò un ibrido fra i luoghi deputati della scena medievale il nuovo sistema delle coulisses trasformando ogni coulisse in luogo deputato. Il che colpì molto Strindberg.

Anche un'altra immagine nello stesso libro suscitò il suo interesse: la cosiddetta linea del drappeggio, così come si faceva negli spettacoli di farsa a Parigi, secondo un'incisione molto nota di Abraham Bosse. Il fondo era costituito da un tessuto a colori mentre sulla ribalta due corte balauste incorniciavano, per così dire, la scena. Su queste ultime potevano essere poggiati semplici oggetti che indicavano il luogo dell'azione: un vaso, un libro, un cappello. Strindberg fu talmente affascinato dalle possibilità offerte da uno spazio il più neutro possibile, che per le scene di danza del Sogno ideò movimenti coreografici che consentivano alle sue attrici migliori di sfiorare leggermente i drappeggi della scenografia creando immagini dinamiche e armoniche. Ma il direttore dell'Intima, August Falck, non ebbe il coraggio di portare avanti questi esperimenti di carattere modernistico.

Strindberg morì nel 1912 senza avere più visto Il Sogno in scena. Solo nel 1921 gli stoccolmesi poterono incominciare a familiarizzarsi con questo testo tanto particolare. Ma non fu uno svedese ad avviare il processo, bensì il celeberrimo Max Reinhardt che mise in scena Il Sogno al Dramaten ponendo al centro della rappresentazione la miseria terrena, le tribolazioni e la distruttività che la figlia di Indra incontra nel suo incubo. Questa interpretazione plumbea e pessimistica trovò un sostegno nella scenografia cupa di Alfred Roller. Il richiamo all'espressionismo è tutt'altro che artificioso.

Benché la messinscena di Reinhardt mostrasse agli svedesi che Il Sogno era degno della scena, ci vollero più di dieci anni perché la figlia di Indra calcasse di nuovo le assi del Dramaten. Nel corso di quegli anni l'idea che gli svedesi si erano fatta sul dramma di Strindberg fu fortemente influenzata dallo storico della letteratura Martin Lamm che, in un suo studio in due volumi pubblicato verso la metà degli anni Venti, sostenne che Il Sogno era completamente autobiografico. Lamm collocò tutti i luoghi del Sogno a Stoccolma, che era poi la città stessa di Strindberg. Il Sogno diventò un sogno stoccolmese.

Nel 1935 Olof Molander si rifece a questa interpretazione mettendo in scena il Sogno al Dramaten. I luoghi erano chiaramente stoccolmesi e l'attore che interpretava il Poeta aveva un trucco che lo rendeva simile a Strindberg. Molander in realtà avrebbe voluto che anche l'Ufficiale e l'Avvocato gli assomigliassero. Una moltiplicazione per tre dell'autore sarebbe stato un intervento radicale, ma il regista non osò tanto. Molander mise in scena Il Sogno almeno sette volte: in Svezia, in Danimarca e in Norvegia. Quattro anni dopo la sua morte, Ingmar Bergman propose al Dramaten una nuova interpretazione. Con lo scenografo Lennart Mörk liberò da la scena da tutta le cianfrusaglie di colore locale, dando spazio a una scenografia astratta, minimalista: pochi mobili dipinti di nero e, sul fondo, un gioco di linee simili lingue di fuoco in movimento. Ricordo ancora chiaramente queste linee e "le comparse dei variopinti cortei di buffoni che oercorrevano il mondo con scherzi tragici , comicità e serietà fatale" (Ollén). Bergman sottolineò la differenza fra la sfera celeste e l’opprimente vita terreste anche facendo interpretare da due attrici diverse il personaggio della figlia di Indra. Il Sogno era ridiventato un testo metafisico, che, come un'incisione evidenziava, il contrasto fra quello che la vita realmente è e quello che noi sogniamo che sia.

Conservo solo immagini sfocate d’una successiva messinscena che Bergman realizzò, sempre al Dramaten, nel 1986. Quello che mi era sembrato incisivo nello spettacolo precedente, non mi suscitava più alcuna emozione. Forse, tutte le rappresentazioni del Sogno viste negli anni Novanta - almeno sei qui a Stoccolma e tutte profondamente differenti - hanno fatto impallidire il ricordo di quelle precedenti.

La serie incomincia nel 1990 in una fabbrica abbandonata. Il regista Lars Rudolfsson aveva inserito nel testo i verbali di un processo sul brutale assassinio di una donna fatta a pezzi in quello stesso anno. L'atmosfera della fabbrica abbandonata rendeva ancora più crudo lo stile dello spettacolo, e gli spettatori se ne tornavano a casa alleggeriti di tutti i sogni sulla bontà degli esseri umani.

Nel 1992 incontrai Il Sogno all'Opera di Stoccolma con musica di Invar Lidholm. In questa versione erano emersi alcuni aspetti positivi: il ritmo era più netto che al teatro di prosa e le parti corali si alternavano a quelle soliste senza creare fratture. L'individuo in relazione alla massa, pensai.

Nel 1993, al Dramaten, Robert Lepage scelse di rappresentare Il Sogno nella sala dedicata al teatro da camera (**) e diede una funzione trainante alla scenografia: l'azione si svolgeva in un cubo che ruotava, come sbilanciato, al di sopra del palcoscenico sul cui pavimento gli attori non poggiavano mai i piedi. ma si arrampicavano, si piegavano, si giravano, vorticavano e stavano sospesi aggrappandosi a scomode strutture. Il tutto era lontanissimo dal realismo spesso presente in questo teatro. I critici si chiedevano se era sogno o esibizione acrobatica, e le risposte furono naturalmente diverse. Ma il pubblico affluiva per vedere questo spettacolo singolare e magico.

Nel 1995 arrivò un Sogno perfino dalla città di Omsk in Russia, e nel 1998 la figlia di Indra atterrò a Stoccolma da un paese ancora più lontano: il Giappone.

Dello spettacolo russo ricordo un luminoso palpitare di colore verde chiaro con voci in lontananza che a volte si spezzavano nella tensione dei conflitti. Invece, gli attori giapponesi, in sfumature di rosa, si muovevano su piani rialzati in uno spazio buio al suono di una violenta musica rock. Sogni anche questi, forse estranei, ma con lo spirito di Strindberg che aleggiava sia sulle scene celesti che su quelle terrestri.

L'ultima volta che ho visto un Sogno è stato nel 1998 allo Stadsteater di Stoccolma. Robert Wilson lo aveva scelto per la sua prima regia svedesee con attori svedesi. Non aveva tagliato nessuna scena ma gli attori recitavano solo un terzo del testo, i cui tagli nemmeno si notavano data l’impressione di completezza restituita dal linguaggio visuale di Wilson dominato da una scala infinita di grigi. I movimenti lenti, il testo rarefatto, la musica in sottofondo, tutto contribuiva a creare una percezione di sogno. Ma chi sognava questo sogno?

Il coreano Jai-Ung Hong, che da anni conduce approfondite ricerche su Strindberg, ha posto proprio questa domanda: "Chi sogna nel Sogno ?" E indica almeno quattro sognanti: lo spettatore, qualche altro personaggio del dramma, lo stesso Strindberg, il dio Indra o, probabilmente, qualche altro dio.

L’interpretazione realizzata da Rudolfsson nel 1990 non aveva molto a che fare con il sogno, era piuttosto il risveglio da un sogno; nella fabbrica abbandonata, al centro dello spettacolo, non c'era l'individuo ma la società che dormiva mentre i cittadini erano letteralmente fatti a pezzi. Anche nella versione operistica la musica di Ingvar Lidholm metteva a fuoco il momento collettivo, e ciò soprattutto grazie alle dense parti corali, ma non mi pare che questa collettività sognasse. Forse, il sogno era quello del compositore sulla fratellanza: potrei anche dare questa interpretazione benché mi sia ignoto il punto di vista del regista.

Nella cultura postmoderna degli anni Novanta il sogno manca di chiara identità. Frammentazioni e diversa percezione del tempo trasformano profondamente colui che sogna, così come accade nella messinscena di Lepage, dove il Poeta che sogna si allontana galleggiando nello scialle della portinaia tessuto con i dolori degli uomini. Strindberg è lontano e non è certo questo il sogno della figlia di Indra.

E il sogno di Wilson: era il suo o il nostro? In scena mancava quello che eravamo abituati a vedere: il quadrifoglio, i banchi di scuola, gli infissi sgangherati dello studio dell'Avvocato, la finestrella nel corridoio del teatro. Wilson, come Lepage, non essendo condizionato da queste immagini e associazioni, muovendosi liberamente in un nuovo paesaggio scenico, aveva reso possibile l’implosione delle immagini e la chiusura del circolo magico. Dopo 100 anni i personaggi del sogno finalmente "si frantumano, si moltiplicano, si raddoppiano, evaporano, si allontanano galleggiando, si ritrovano".

 

(*) Willmar Sauter è professore ordinario di teatro e direttore dell'Istituto di Studi Teatrali dell'Università di Stoccolma.

(**) Il Dramaten, come lo Stadsteater di Stoccolma, ha cinque sale distinte di diverse dimensioni e carattere, dove sono possibili spettacoli molto diversificati. Una delle sale del Dramaten, uno spazio vuoto di grandi dimensioni, è generalmente usato per spettacoli di tipo sperimentale.


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