Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Prove di Drammaturgia

Prove di Drammaturgia


TEATRO POPOLARE DI RICERCA

PROSPETTIVE

 

RACCONTANDO IL PERCORSO: SPUNTI DI PENSIERO

di Valeria Ottolenghi

 

Da quando è iniziato questo percorso di studi – che ancora si deve concludere nella sua tappa di riflessione maggiore, nella primavera del 2000 a Rubiera – mi sono trovata a sostenere un po’ sempre lo stesso compito, raccontare la nascita di questa indagine sul teatro della contemporaneità attraverso i parametri, sovrapposti, intrecciati, in perenne confronto e a volte in litigio, del "popolare" e della "ricerca", dall’incontro di Cagliari su "Patrimonio Sud" (v. "Prove di drammaturgia", 1/99) fino al più recente appuntamento di Ponteranica (Bergamo) con Erbamil. Ed è un impegno che ben volentieri mi assumo dunque qui, ricordando la felice, preziosa confluenza di competenze, con gli ottimi Gerardo Guccini, Massimo Marino e Cristina Valenti, e l’assai raro, immediato rispecchiamento tra interessi teorici (la lettura del teatro del presente in una visione più vasta rispetto la conoscenza, l’analisi critica di singoli eventi) e lavoro creativo per la scena (gli artisti più sensibili hanno colto subito il valore di tale complessa indagine e numerose sono state le compagnie che hanno chiesto subito specifici approfondimenti). Il mondo del teatro si è reso conto che da parte nostra c’era il più grande rispetto, un amore colmo di scrupoli verso le opere degli artisti, e che mai, in nome di una visione della scena avremmo forzato il valore, il senso del loro agire. Il nostro era innanzi tutto un impegno d’ascolto, volendo però ugualmente, tenendo aperti quesiti e interrogativi, avvicinare anche quelle persone e quegli eventi che insieme vanno componendo una realtà fluida, anche contraddittoria, ma che vale la pena, fors’anche con qualche urgenza, considerare nel suo complesso. Non ci sono quindi definizioni chiuse ma sguardi unificanti capaci di porre vicino in modo significativo, senza mai sottrarre differenze, un evento di piazza con giocolieri e clown, una narrazione di alto valore drammatico, di impegno civile, un percorso che trasforma lo spettatore in attore, un allestimento dove il linguaggio più arduo della ricerca diviene semplice, immediato, ‘vero’, attraverso la recitazione di interpreti disabili. E così via, comprendendo anche, per esempio, il teatro ragazzi di intensa forza espressiva e relazionale, e gli esiti laboratoriali di gruppi di giovani.

Una raccolta troppo ampia? Non si corre il rischio che, mettendo un po’ di tutto, si perdano, divenendo di fatto inefficaci, gli strumenti di analisi? Assolutamente no: i metodi di indagine debbono sicuramente variare, ma a partire da una stessa esigenza, per un teatro che risponda ad una poetica creativa e all’istanza di relazione con il pubblico, quando l’artigianato teatrale non è ripetizione ma inquietudine e i materiali si plasmano per un impulso originario forte dentro il quale c’è anche la comunicazione con l’esterno. Ma è vero, sì, che dentro questo cerchio, solo assai relativamente antropologico, possono abitarci in tanti, e assai lietamente, senza rischio di confusione, né tanto meno di omologazione: è il luogo dove è possibile riconoscersi reciprocamente (gli artisti, le compagnie, i festival hanno chiesto subito di partecipare al lavoro di approfondimento, senza trovare mai motivi di dissidio nella diversità), ma anche dove poter essere visti, con coinvolta partecipazione, da chi, per suo compito, sa leggere gli eventi, singolarmente sì, ma sapendo anche predisporre delle reti, cogliere dei rispecchiamenti, delle affinità.

Anche i critici, anche gli studiosi, finiscono dentro questo cerchio? Sì e no: si respira lo stesso tempo della storia, ma gli strumenti di rielaborazione, pur nel confronto serrato, possono in più occasioni differenziarsi. Insieme si vive l’esperienza della contemporaneità a cui non ci si vuole sottrarre: con la ricerca che è insieme di chi lavora sulla scena e di chi ha il compito della riflessione critica. Territorio comune è la responsabilità dell’intellettuale – parole desuete ma il cui senso sta riaffiorando come bisogno comune, della vita stessa, senza che si siano trovati dei sinonimi adeguati – presa di coscienza per artisti e studiosi. Con modalità, strumenti del tutto differenti ma ugualmente essenziali: bisogna essere ed esserci, non fuggire dal proprio sentire sulla scena della ricerca, dal confronto con la realtà della vita. Un altro tema aperto. E "Prove di drammaturgia" è stata sin dall’inizio un esempio di legame forte con il presente, sapendo scegliere – e affrontando con categorie alte di studio gli eventi della scena contemporanea, sapendo metterli in relazione viva tra loro. Come fa, in modo differente ma affine, la Soffitta, il teatro dell’Università di Bologna, con le "antologiche" degli artisti, con rassegne che permettono diversi rispecchiamenti tra temi, forme di lavoro, esiti spettacolari. E così il festival di Santarcangelo: con il coraggio di sollecitare alcuni artisti a produrre, ospitando i primi passi di quei gruppi che mostrano di avvertire la necessità del vivere teatralmente. E’ con queste esperienze e consapevolezze – e con la disponibilità a lasciarsi emozionare, coinvolgere con totale trasporto, senza alcun pregiudizio o resistenza di fronte ad un evento artistico di pregio, di intensa verità – che ci si è trovati a ragionare insieme intorno al Teatro Popolare di Ricerca.

La nostra indagine si compone di complesse relazioni: tra persone che hanno diverse competenze, tra studiosi e artisti, tra campi semantici in apparente opposizione, tra passato e presente, tra spettacoli e pubblico. "Gli spettatori – ha detto Pina Bausch alla cerimonia della laurea honoris causa all’Università di Bologna – fanno sempre parte della rappresentazione quanto ne faccio parte io stessa, anche se non sono presente in scena Ognuno è invitato a fidarsi dei propri sentimenti. Nei nostri programmi di sala non si trovano mai delle indicazioni rispetto al modo in cui sono da intendere gli spettacoli. Dobbiamo fare le nostre esperienze, come nella vita. Non ci può aiutare nessuno"

Abbiamo inteso svolgere un’indagine rigorosa, ‘scientifica’, ma anche disposta a fare deviazioni di fronte ad una sorpresa (teatrale!) capace di porre dubbi, nuove domande. Con il teatro non "si butta via" nulla: non c’è un ‘progresso’ che cancella o riduce di valore le precedenti scoperte. Tutto riaffiora, sia pure con altre motivazioni, in diverse forme: questo vale per l’uso dello spazio scenico, dal rito al teatro di piazza, come per i testi, le forme di recitazione, e le stesse teorie sulla funzione sociale, culturale e politica del teatro. E nel Teatro Popolare di Ricerca c’è chiara questa consapevolezza: della necessità di un sapere antico, e del possibile consumarsi di una nozione in progress. Si è colto, per felice intuizione, un bisogno che era nell’aria (la dimostrazione è stata la folta partecipazione agli incontri, l’immediata adesione delle compagnie): ora si tratta di proseguire con tenacia, fino a quando pare questa una chiave essenziale di lettura del presente. Per poi magari abbandonarla scoprendone di nuove. "Il teatro popolare – scriveva Gian Renzo Morteo – non è un fatto valutabile esclusivamente in sede estetica in quanto, se da un canto è una manifestazione artistica, dall’altro è anche un fenomeno della vita associativa": e non è un caso se più volte, agli incontri del Teatro Popolare di Ricerca, sia scaturita la necessità di predisporre degli appuntamenti tra responsabili di teatro particolarmente sensibili alla duplice esigenza di coinvolgere il pubblico e di comporre stagioni che rispondano alla verità del teatro dei nostri anni. Queste persone – a cui si particolarmente grati, fuori da logiche di scambio, prive di pregiudizi, attente alla ricerca come alla percezione estetica degli spettatori – vanno componendo dei cartelloni che in qualche modo svelano una loro poetica, nella scelta di espressioni autentiche della teatralità che trovano senso nella relazione sociale. "L’arte è in preda all’egoismo e all’anarchia – spiega Romain Rolland in preparazione del congresso internazionale che avrebbe dovuto svolgersi nel 1900 – Un piccolo numero di persone ne ha fatto un proprio privilegio… un grande impoverimento per il pensiero, un grave pericolo per l’arte…". Il secolo può offrire nuove interpretazioni della relazione tra ricerca e popolare: e nell’incontro della primavera del 2000 alla Corte Ospitale di Rubiera il teatro si confronterà con le altre arti proprio su questo tema, nella storia e nel presente. E anche il teatro italiano potrà forse ritrovare, nella lettura della nascita degli stabili innanzi tutto, quelle motivazioni dimenticate su cui si dovrà ancora riflettere. A Milano prima di ogni altro luogo. I mestieri del teatro, il repertorio, le forme di elaborazione artistica, gli studi critici, le esperienze collettive, e così via. Voglia di teatro. Esperienze. "Il teatro non è un divertimento, non è un oggetto di lusso, ma il bisogno imperioso di ogni uomo e di ogni donna", ricorda in diverse occasioni Jean Vilar, che mai ha pensato di scegliere opere facili con l’intento di sedurre il pubblico: "dovremo spesso difendere opere nuove e difficili". La storia è cambiata. Anche le categorie di analisi sono necessariamente differenti. La parola popolare ha attraversato innumerevoli nuovi significati, e la ricerca ha affrontato un’infinità di forme espressive. Ma ugualmente si cita ancora volentieri l’ideatore del Théâtre National Populaire: "Si tratta di fare in modo che il teatro ritorni ai nostri giorni ad essere una passione".

Si può dunque riprendere il percorso, il racconto degli incontri del Teatro Popolare di Ricerca, Rubiera dicembre ‘98, Rubiera primavera ‘99 (con gli atti raccolti in questo numero), Rovigo "Opera Prima" e Santarcangelo nell’estate, "Contaminazioni 99" a Cagliari, Natura Dèi Teatri a Parma in autunno, fino a Ponteranica (Bergamo), con l’immaginario visivo in novembre ‘99. Ed altri confronti non ufficiali, ma a volte ugualmente importanti, come con il Lanciavicchio nell’estate.

Quando nell’edizione di "Contaminazioni 98", a Cagliari, all’incontro promosso da Cada Die ("Patrimonio Sud"), Gerardo Guccini aveva tolto d’autorità, con una decisa presa di posizione culturale, le virgolette ai termini "ricerca" e "popolare" per definire proprio questo teatro che vive sia di trasformazioni, mutamenti, contagi che del rapporto vivo con la gente, con il pubblico, gli artisti, gli studiosi, i critici presenti all’incontro avevano sentito che si stava riconoscendo una verità importante sia per Cagliari, con l’ottimo lavoro svolto da Cada Die, che per tutto il territorio nazionale, lì dove avevano continuato a lavorare con tenacia, contro ed oltre ogni tentativo di controllo esterno, politico e burocratico, quei gruppi che negli anni non avevano mai rinunciato alle proprie forme d’arte tenendo ugualmente viva la comunicazione con il mondo esterno, con il territorio. Rimettendo anche in gioco la tradizione, le lingue/dialetto, i modelli della festa. Per un teatro popolare di ricerca. Artisti come Marco Baliani e Laura Curino, Gabriele Vacis, Marco Paolini e Pippo Delbono, gruppi come il Kismet, le Albe, i Sassi di Matera, Teatro Settimo, e naturalmente Cada Die, mescolando volutamente nord e sud, erano gli esempi citati, insieme però ad altri ancora. Il teatro che aveva più senso, per le persone che lo facevano, per il pubblico che ne fruiva, pareva essersi salvato proprio per questa doppia valenza: la ricerca sul linguaggio, le forme del raccontare, e la fiducia sulle capacità di ascolto, di comprensione degli spettatori. Un patto inespresso, ma non per questo meno vero e importante. Solo su questo può fondarsi un reale teatro della contemporaneità, lasciando che il teatro d’abitudine, di intrattenimento, prosegua il suo corso, soffrendo invece per la rincorsa di alcuni teatri alle moltitudini (un successo che spesso ‘brucia’ il legame con il pubblico, vedi il consumarsi dei comici nel passaggio dalla televisione alla scena). Il lavoro per il teatro ha bisogno di pazienza, di fiducia, di sensibilità. Sotto tutti i punti di vista. Dopo Contaminazioni ‘98 – e proprio nati da quell’incontro – sono seguiti tanti altri appuntamenti dedicati al Teatro Popolare di Ricerca. A Rubiera per l’inaugurazione del Teatro Herberia, a Rovigo nell’ambito di "Opera Prima" con il Lemming, al Festival di Santarcangelo, a "Natura Dèi Teatri" con Lenz Rifrazioni, a Bergamo con Erbamil.

Nel secondo incontro di Rubiera, con la Corte Ospitale, motore primo del percorso, insieme all’A.N.C.T., Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, nella primavera di quest’anno, di grande interesse sono stati gli interventi di Marco Martinelli, Gabriele Vacis, Marco Baliani e Pippo Delbono, qui trascritti, con un teatro fitto di presenze, segno importante della rinascita forte del bisogno di riprendere a riflettere mentre si fa teatro. Artisti e critici, studiosi e attori, registi e operatori. E il percorso "Per un teatro popolare di ricerca" ha saputo svelare proprio questo: con Cristina Valenti, Massimo Marino, Gerardo Guccini si è formato un team di studio, di lavoro, che è entrato subito in naturale sintonia con gli artisti. Sono state infatti le compagnie a domandare di continuare ad incontrarsi prendendo in esame diversi aspetti del teatro popolare di ricerca. E in apertura di "Contaminazioni 99", tra eventi di qualità e un bel clima di lavoro, con un’attenzione speciale verso il sud, Giancarlo Biffi ha ricordato il particolare clima del festival "Viaggio in Italia" a Sant’Anna Arresi, 84/90, quando "non c’era invasione ma, come una carta assorbente, il paese e la sua gente accoglieva pubblico e teatranti, facendoli diventare gente propria". Una relazione forte (se ne vedano gli stralci qui riportati nell’intervento di Guccini), con eventi della ricerca anche più ardua, che pure erano riusciti a far sentire l’intima necessità della motivazione artistica: una strada dunque percorribile che si vorrebbe ora riuscire a sperimentare nuovamente insieme, come rete di punti che sappiano rispecchiarsi e creare situazioni di confronto. Anche a questo può dunque servire l’itinerario di appuntamenti "Per un teatro popolare di ricerca".

Il bisogno di aderire alla propria poetica, alle esigenze creative del gruppo, alla sensibilità culturale del presente, potendo però sempre, nello stesso tempo, mantenere aperta la relazione con il pubblico, nutrirsi delle risposte che vengono dalle persone intorno potendole rielaborare, in una relazione attiva, sempre aperta tra gli artisti del teatro e gli spettatori, che si vorrebbero sempre più numerosi: è chiedere troppo? No: il teatro è proprio questo e non può definirsi diversamente. La contemporaneità è il tempo esatto del rapporto tra scena e platea. Quanto viene rappresentato deve essere vissuto come necessario per chi fa teatro e per chi vi assiste, nel piacere reale e concreto dell’incontro. Se questa può apparire una visione utopica è però vero che non mancano gli esempi, per fortuna non così rari, che indicano la concreta fondatezza di questa direzione, di questo cammino.

Ed è stato nell’ambito della sesta edizione del Festival Rovigo "Opera Prima" che si è svolto l’incontro, "Il teatro dello spettatore", promosso a Rovigo dal Lemming. Il teatro, che era luogo sacro di rielaborazione e condivisione degli eventi di confine, tra individuo e collettività, visibile e invisibile, ha perso questa funzione: il Lemming, attraverso scelte radicali, coraggiose, ha cercato, e trovato magnificamente, il modo di comporre, per quanto brevemente, nel tempo di uno spettacolo/ relazione, tali scissioni. Alle radici del mito. E dopo lo sconvolgente Edipo per spettatore solo e Dioniso per un pubblico ridottissimo, di straordinario fascino, capace di toccare aspetti diversi della persona, fisici ed emotivi, ha debuttato Amore e Psiche, per due ospiti alla volta, un uomo e una donna, protagonisti essenziali per un rispecchiamento totalizzante dentro il mito, con figure, presenze che rendono quel percorso esperienza indimenticabile. Massimo Munaro, artista/regista della compagnia, riprende nella presentazione la frase di Jung "l'anima non potrà esistere senza la sua altra parte, che si trova sempre in un tu". E tale citazione è stata riproposta durante il convegno "Il teatro dello spettatore" che ha messo a confronto diverse poetiche che cercano il contatto diretto con gli spettatori, mai come artificio, ma come intima necessità, esigenza estrema della vicinanza nel momento in cui il teatro va definendo la sua differenza, l'originalità che lo contraddistingue, la comunicazione vera di persone, di corpi, di voci. Tale incontro - uno dei passaggi di approfondimento del convegno itinerante "Per un teatro popolare di ricerca" - ha aperto diversi quesiti a partire proprio delle esperienze degli artisti (del Teatro delle Ariette, di Tanti Cosi Progetti, del tedesco Felix Ruckert, di Clessidra/Fortebraccio, del Florian Proposte/ Walter Manfrè e dello stesso Lemming): il tempo dello spettacolo è vita dell'attore ma anche dello spettatore quando la sua presenza si fa necessità drammaturgica dentro l'evento; in particolari condizioni lo spettatore fa esperienza del teatro ben oltre la possibilità di raccogliere emozioni e pensieri da rielaborare; la relazione con l'altro si fa oggetto vero, antropologico, palpitante della realtà scenica con le emozioni stesse che si traducono in conoscenza; tra sacralità e gioco (agli estremi Amore e Psiche e Shwartz) lo spettatore - che dev'essere solo tale, non necessariamente ‘preparato’ - diviene presenza essenziale di un contatto costruito teatralmente di valore e segno anche molto differenti. Con "Il Teatro dello Spettatore" si è riconosciuta con felice tempestività una direzione della ricerca, per un'analisi critica più articolata, con ampio sguardo.

E fitti sono stati gli interventi al seminario "Per un teatro popolare di ricerca: il teatro sociale" che ha aperto, al Casinetto dei Boschi di Carrega la seconda giornata di "Natura Dèi Teatri", il festival di Lenz Rifrazioni "laboratorio delle arti" che alterna esiti aperti di lavoro di gruppo ad eventi creativi già definiti, messi a punto nel tempo. Durante l’incontro della mattina Cristina Valenti, da sempre attenta a quel teatro "del disagio" che vede in scena attori disabili, con turbe psichiche, carcerati, persone che si avvicinano proprio a partire dalla loro condizione all’esperienza del teatro, ha posto alcuni quesiti essenziali relativamente a questo tema arduo da affrontare anche nel linguaggio. La competenza del pubblico. La funzione del coinvolgimento, della tensione artistica. Il mistero dell’energia espressiva di alcune presenze in scena. Citando inizialmente la compagnia di Pippo Delbono ma anche La Fortezza, il gruppo di Volterra guidato magistralmente da Armando Punzo. Domande per gli artisti presenti, per gli studiosi, nel desiderio di cogliere il senso, il valore di questa esigenza posta dal teatro al di là dell’indubbia funzione di crescita, di influsso benefico, sotto molteplici aspetti, per chi aderisce a progetti teatrali di qualità. "E’ sempre tutto semplice" ha detto Lucia Perego, a sottolineare l’immediatezza comunicativa di alcune situazioni. In verità le difficoltà non mancano – ma indubbiamente il linguaggio del corpo, specie per chi danza, si rivela, senza mediazioni razionalizzanti, più fresco, carico di una speciale sincerità espressiva. Il teatro di confine spesso illumina e dà nuovo senso ai temi fondanti del teatro in generale, imponendo interrogativi che sempre ci si dovrebbe porre. La Valenti ha quindi offerto alcuni spunti problematici come elemento filtro e stimolo: si è così evitata la dispersione e si è delimitato un terreno comune di confronto. Federica Maestri, responsabile artistica con Francesco Pititto di Lenz Rifrazioni, che coinvolge da tempo ragazzi disabili (molto positive le risposte, anche della critica nazionale, per Ham-let, primo canto), ha evidenziato l’estrema autorità dell’attore con handicap in scena: è una questione di linguaggio, di rigore, di relazioni interne ad una compagnia. Si producono spaesamenti e ogni luce mostra insieme le molte ombre segrete (Antonio Viganò). Ci si deve interrogare sulle possibilità di creare un centro stabile, con reali professionalità artistiche (Vasco Mirandola) e sul perché il teatro degli ultimi anni abbia sentito il bisogno di confrontarsi con situazioni estreme, quasi che al teatro manchi qualcosa, un’anima che va cercando in altri luoghi, creando in questo altrove nuove condizioni di ricerca (Antonio Calbi). Michele Sambin di Tam ha sintetizzato alcuni dei temi urgenti legati a teatro e carcere (molto bello lo spettacolo Fratellini di legno) mentre Mariano Dolci ha riattraversato la sua importante esperienza di burattinaio all’interno dell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. Bisogni espressivi ed esigenze degli artisti: tensioni che si rispecchiano e si rafforzano reciprocamente nel segno della diversità. Con l’esigenza di uscire dall’isolamento delle singole situazioni territoriali.

L’ultimo appuntamento di questo primo ciclo – di cui bisogna ricordare anche, con gli incontri di Santarcangelo, altre adesioni, con il Lanciavicchio per esempio, o Adret, al sud come al nord, e le nuove richieste di approfondimento (tra le prime quella delle Moline di Bologna, sulla drammaturgia contemporanea) e altre ancora di cui si riferirà nella concretezza della realizzazione – si è svolto a Ponteranica (Bergamo), con la guida di Pier Giorgio Nosari. Il cinema, la televisione, fanno parte di noi anche in modo segreto, visioni raccolte, accumulate nella mente, che continuano ad agire nel profondo e contribuiscono a definire la nostra sensibilità culturale ed estetica, con percezioni particolari della vita e dei valori, del tempo e dello spazio. E anche chi lavora per la scena mette inevitabilmente in gioco, in modo più o meno consapevole, parte di questo magazzino di immagini che si mescolano ai sogni e alle infinite forme con cui ci si relaziona alla realtà di tutti i giorni. E "L’immaginario visivo nel teatro popolare di ricerca" è stato il titolo scelto per affrontare a Ponteranica/ Bergamo le molte questioni connesse al rapporto tra teatro, cinema e video, con relazioni su La condizione meticcia dell’immaginario teatrale postmoderno, La scena contaminata del nuovo teatro italiano, L’immagine del video e del cinema nell’ultima generazione teatrale, L’ingresso del video nella memoria teatrale, L’ultima frontiera del teatro: la narrazione elettronica, Il video in teatro, modalità di una relazione, argomenti che evidenziano la complessità tematica di questo rispecchiamento tra più arti. Ad organizzare questo convegno, risultato di grande interesse, è stata la compagnia Erbamil presso la sua sede, l’Auditorium Comunale, un incontro inserito nelle manifestazioni festive, teatrali, messe a punto per il compleanno del gruppo, dieci anni di attività, spettacoli, laboratori, proposte culturali legate al territorio. A condurre il convegno, promosso in collaborazione con l’Agis/Teatri d’Arte Contemporanea, l’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, Riccione TTV, Eti, e così via, è stato il critico e studioso di teatro Pier Giorgio Nosari, che ha tra l’altro presentato i risultati, che meritano più di una riflessione, di un questionario, inviato a trecento compagnie, registi ed attori, sulle influenze letterarie, cinematografiche, artistiche riconosciute come significative nel proprio lavoro teatrale. Gianni Manzella ha ricordato alcuni esempi "storici" del rapporto tra video e scena, Antonio Calbi ha attraversato felicemente alcune esperienze significative tra le più recenti, Enrico Marcotti ha evidenziato le nuove funzioni del video per il sapere teatrale, Paolo Rosa di Studio Azzurro ha indicato le nuove direzione della ricerca. E così via, con gli interventi di Stefano Ghislotti, Alessandra Ghiglione, Paolo Baroni, Andrea Balzola – e pieno di nuovi spunti è risultato il dibattito. Ad aprire la giornata era stato Gerardo Guccini che aveva approfondito il nesso tra popolare e ricerca nelle esperienze tra otto e novecento, dalla ricerca di un nuovo teatro attraverso l’assimilazione del popolo e della sua cultura (Michelet, Pottecher, Rolland), al rinnovamento istituzionale e morale del teatro attraverso l’integrazione dei suoi prodotti artistici con un pubblico popolare (Gemier, Villar, Strehler).

E nella primavera del 2000, a Rubiera, il teatro interrogherà quindi le altre arti, la musica, la letteratura, la pittura e così via, per un confronto sul rapporto tra sperimentazione e pubblico lungo il secolo e in questa nostra contemporaneità.


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