Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna present

 

L`ORIZZONTE DEI TEATRI VIVENTI: PROGETTI E IDENTITA'

Presentazione

Quattro anni di attività. Per "Prove di drammaturgia" è tempo di bilanci. Nell'editoriale del primo numero registravamo l'apparire di un nuovo tipo di artista teatrale. Scrivevamo: "È come se, dopo gli anni grandi delle avanguardie e della ricerca, delle tendenze e delle contrapposizioni, quel tipo di teatrante che si è andato lentamente configurando intorno ai valori, per certi versi coesistenti, del nuovo e della sperimentazione, abbia abbracciato senza limiti e preclusioni di sorta tutte le possibilità del teatrale" (settembre 1995). E poi, nel numero seguente: "Dai teatranti ci attendiamo di veder presto assestato un sistema di dati e conoscenze che consenta di conservare assieme alla memoria dei fatti anche quella delle dinamiche etiche, poetiche e pragmatiche che li hanno originati e li alimentano" (marzo 1996).

L`offerta di spazi editoriali sensibili alle esigenze della ricostruzione storica ha portato intellettuali e artisti di teatro - quanti, insomma, concordavano con il nostro invito - a interrogare e a raccordare le proprie esperienze traendone ora narrazioni di ricordi, ora studi autobiografici, ora testimonianze di vario senso e spessore. Non è un caso. L'esigenza di storicizzare e quella di narrare portano a risultati analoghi: il teatrante che narra le proprie esperienze traccia in realtà una storia; così come l'intellettuale che insegue il senso storico degli eventi fa opera di narrazione.

E nella situazione odierna si tratta di impulsi controcorrente, ché fino agli anni '70 era forte l'istinto a contrapporsi al passatismo, alle sue coazioni a ripetere. Nel nostro presente per lo più, invece, il prima e il poi non producono attrito, sembrano essersi convertiti in parti indistinte d'una stessa molle estensione. Vitale è perciò divenuto accedere agli orizzonti della storia tramite queste storie narrate.

Le narrazioni raccolte in questi primi quattro anni di attività contengono un significativo repertorio di poetiche e di percorsi, in base al quale si rende possibile individuare (certo, in modo ipotetico e interlocutorio) alcune caratteristiche d'un periodo di vita teatrale - quello che è andato dai primi anni Ottanta ai giorni nostri.

Fra gli altri, un dato si impone con evidenza, rileggendo la nostra prima, esile raccolta: che l'habitat di questi artisti, del Novecento ormai compiuto, ha in realtà preservato la dimensione utopica dei `padri fondatori' e dei maestri degli anni '60, condensandola in tessiture ulteriori fino a prospettare fra le opere e il sociale un mondo intermedio di 'teatro attivo'. Si pensi all'esemplare percorso di Giuliano Scabia dalle tumultuose azioni del "teatro a partecipazione" degli anni '70 all'opera di pedagogia drammaturgica svolta presso l'Università di Bologna (Cfr. Franco Acquaviva, Il "teatro stabile" di Giuliano Scabia, III, 1, marzo 1997). Sia nell'uno che nell'altro caso, il "progetto" risulta essenziale; ma, mentre negli anni '60 e '70, la progettualità incanalava le energie del sociale, nel ventennio seguente è giunta poi, senza rinunce, a una piena decantazione poetica fra scena e libro. E oggi supplisce alle carenze istituzionali con svolgimenti artistici in prima persona, non senza costituire tramiti fra le realtà teatrali e gli Enti pubblici. E non solo. "Il progetto - ha scritto Gabriele Vacis sintetizzando la poetica di Laboratorio Teatro Settimo - non è il disegno. Non è soltanto il disegno perché il disegno è una parte, una componente del progetto, non il progetto. Un progetto è una tale molteplicità di componenti che di volta in volta va cercato il linguaggio, la formla che lo definisca. L'autore del progetto è un ambiente, un osservatorio e una casa" (Gabriele Vacis, Il disegno e la casa, II, 1, marzo 1996). Scabia stesso è maestro in ciò: e la possibilità di esistere del teatro ha animato il suo lavoro come quello, appunto, di Laboratorio Teatro Settimo e di altri nuovi artisti o formazioni guida.

Anche per questo siamo lieti di dedicare l'ultimo numero di questi primi quattro anni di attività a Marco Martinelli e al Teatro delle Albe, alla loro soluzione feconda del rapporto fra l'opera e il progetto. Nella loro avventura artistica, la progettualità cresce infatti raccogliendo le indicazioni, le idee, i saperi via via prodotti dalla creatività scenica, fino ad assumere caratteri filosofici e poetici. Ancor più che necessario supporto materiale, la progettualità è qui l'orma, il calco che le scoperte d'arte imprimono nell'esistenza della compagnia e dei suoi membri.

Il Teatro delle Albe "non avrebbe percorso il suo arduo cerchio di esperienze, sempre coltivando il piacere della sfida, se non avesse privilegiato il risultato sul progetto. La messinscena come avventura ha distinto il suo lavoro: anche quello drammaturgico, abituato a precisarsi nel corso delle prove e a trovare la forma definitiva con la pubblicazione a spettacolo ultimato. Rimangono sempre, così, fili da annodare ancora, progetti temporaneamente accantonati che nel frattempo sono cresciuti; tanto più in quanto, con l'esperienza, è cresciuta anche la capacità realizzativa, nella gara pedagogica istruita da capacità fra l'utopia e l'arte." (Claudio Meldolesi, Un uomo - teatro iperrealista e un collettivo di irriducibili individualità, in Marco Martinelli, Teatro impuro, Ravenna, Danilo Montanari, 1997, p. 12).

I progetti delle Albe cercano di corrrispondere a ritorni alle origini, che illuminano il patrimonio della letteratura romagnola, con le sue opere e i suoi autori; a contaminazioni e meticciati, che portano il teatro nella lontana Dakar: dove gli attori senegalesi della compagnia stanno ora riscoprendo la loro arte nazionale alla luce delle esperienze compiute in una Romagna africana.

L'attività di rinarrazione drammatica che Martinelli ha finora condotto su Goldoni, Aristofane e Plauto, si è recentemente arricchita di un nuovo interlocutore: Alfred Jarry. È lui che, collegato alla terra dallo stretto spessore di due ruote di bicicletta, segue e commenta le parti del trittico peregrinante Perhindérion (che in bretone significa per l'appunto pellegrinaggio). Il trittico include al proprio centro un precedente spettacolo delle Albe, Bonifica, del quale riattiva i personaggi in mutate situazioni e con mutate vesti. Sono gli stessi suoi caratteri e legami parentali (madre e figlio) che aprono e chiudono il pellegrinaggio, le cui stazioni corrispondono ad altrettanti momenti dell'immaginario del gruppo: prima anta, l'elevazione miracolistica della madre, come nei Refrattari; seconda anta, Bonifica: il dramma che ha generato i personaggi; terza anta, il tema dell'interramento, come in Lus. E su tutto e tutti lo sguardo di Jarry che osserva, inconsapevole di essere lui la meta di questo peregrinare. Il successivo spettacolo delle Albe sarà infatti I Polacchi "dall"irriducibile Ubu di Alfred Jarry".

Questo numero di "Prove di drammaturgia" incomincia con la prima Anta del Trittico, come lo spettacolo.

Claudio Meldolesi Gerardo Guccini

P.S. Va infine chiarito che questo numero non comporta, con la sua impostazione monografica, una dichiarazione di differenza dai numeri precedentemente concertati. Stiamo cercando di conferire ai numeri della nostra rivista la natura dell'incontro con persone e gruppi. Ma ci riserviamo, eventualmente, di realizzare anche diversamente questa ricerca.

       
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