Ryszard
Cieslak
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Simbolo del
Teatro-Laboratorio |
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Ho
assistito al "Principe costante" di
Grotowski a Spoleto, in uno dei primi giorni del
luglio del '67. Ero arrivato in autostop.
Vendevano venti biglietti al giorno. I posti, in
quella sorta di teatro anatomico dove avrei visto
il sacrificio del principe-Cieslak, erano
quaranta. Venti per la stampa e gli addetti ai
lavori. Gli altri per quelli che si alzavano
all'alba e si piazzavano davanti alla
biglietteria. Dopo tre giorni riuscii finalmente
a vedere il "Principe costante".
L'emozione fu fortissima. Dopo lo spettacolo, con
in mano il volumetto di Barba, da poco pubblicato
dalla Marsilio, attesi Grotowski all'uscita del
teatro. Si diceva che non parlasse a nessun
critico. Ma io ero uno studente e avevo in mano
il libro di Barba: forse per questo accettò di
rispondere alle mie domande. Grotowski mi ha
regalato una delle due o tre emozioni più
importanti che il teatro mi abbia mai dato. Avrei
voluto dirglielo il giorno della consegna della
laurea in Santa Lucia (17 novembre 1997). Avrei
voluto tirare fuori dalla tasca i fogli di questo
poemetto, scritto trent'anni fa, in cui avevo
cercato di tradurre, in un linguaggio che
mescolava suggestioni poetiche, musicali e
iconografiche che Ôlavoravano' stereotipi
d'epoca - se non d'annata - quanto la
Ôpartitura' teatrale mi aveva trasmesso. Avrei
voluto regalarlo a Grotowski come segno della mia
gratitudine per le emozioni di allora. Ma
l'ufficialità della situazione, resa ancor più
palese dai tentativi di evitarla, mi ha fatto
timido e dubbioso. E sono fuggito via. Solo
qualche giorno dopo ho pensato che, forse, avrei
potuto far conoscere a Grotowski questo testo per
altra via, pubblicandolo come testimonianza
pubblica d'una esperienza di spettatore. Gerardo
Guccini ha accolto subito la mia proposta.
Giuliano Scabia, poi, ha accettato, come vuole la
prassi della rivista, di scrivere (da par suo)
una presentazione. All'uno e all'altro sono grato
per questa opportunità di saldare un debito di
riconoscenza. Antonio Costa
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Il Principe
Costante, disegno di Serge Ouknine. |
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a Francesco (assistendo al "Principe
Costante" di Calderon de
la Barca, messo in scena
a Spoleto dal "13 Rzedow" di
Breslavia diretto da
Jerzy Grotowski - luglio 1967)
("alle azioni del suo entourage, che lo
considera una creatura strana o un
animale di specie sconosciuta, il
Principe oppone passività e dolcezza.
Egli non sembra opporsi alle malvagie
manipolazioni di chi lo circonda. Non
polemizza con essi. Semplicemente li
ignora. Rifiuta di integrarsi..."
L. Flaszen, "Il Principe Costante")
I
Giù nel fondo
al buio accecante della luce crudele
integro il suo corpo adolescente
circondato da mille frammenti di uno specchio muto
giù nel fondo
integro il suo corpo adolescente
eppure da sempre dilaniato
urla piange grida e infine dolcemente sussurra
i suoi giorni di ragazzo
che tiene a volte le mani in tasca
che cammina trascinando le scarpe
che guarda gli aerei nel cielo - quando passano
che scrive lettere in francese a un coetaneo di Praga
che studia algebra
che guarda suo padre negli occhi la sera a tavola
II
nato tra Hiroshima e Budapest
integro ancora il suo corpo adolescente
urla piange grida e infine dolcemente sussurra
ferocemente ingenue le sue domande
chiari i suoi occhi e gli atti di fede
nel suo corpo teso in un dolore
e guarda smarrito gli uomini
che più non alzano gli occhi
mille frammenti di uno specchio muto
taglienti tuttavia
che lo chiamano infine e gli dicono
ciò
che è giusto
che sappia
III
distratto nel suo sogno azzurro
integro il corpo adolescente
non capisce chiede si ripete e supplica infine
che non gli impongano
una morte più vasta e crudele
di quella che già porta addosso
che non gli impongano
un dolore più vasto e crudele
- brandelli seminati per strade e risaie
in ogni porto in ogni capitale -
di quello che tende il suo corpo
- come sola difesa i capelli sulla fronte -
senza perchè senza risposte
che non gli impongano
una gioia diversa
da quella che lo agita a volte
azzurra come il suo sogno
e uccisa non gli diano
denari per comprarla
IV
Giù nel fondo - dove piegato
non capisce chiede si ripete e supplica
solleva infine il suo corpo
raccoglie le sue quattro domande e se ne va
dove livida l'alba ritorna
in periferia tra rottami
che feriscono mani
e spargono infezione
"se le mani ferite
più non stringeranno il tuo corpo
se un tetano oscuro
già sale sussultando
e corrompe l'azzurro
"se lusinghe o promesse
infine ti chiameranno
altrove in città
lungo vie e dentro stanze
"con la gioia spenta
e la veste che porti
in un'alba almeno
come questa livida
ritorna
"e io ti dirò la mia gioia
il mio esilio
e la mia morte
da ragazzo"
V
mille frammenti di uno specchio muto
giù nel fondo - guardano ora
- integro il suo corpo adolescente
eppure da sempre dilaniato -
la sua morte di ragazzo
che urla piange grida e dolcemente sussurra
che non capisce chiede si ripete e supplica infine
mille frammenti di uno specchio muto
Luglio - agosto '67
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