Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna LA CONFERENZA
LA CONFERENZA
AL VIEUX COLOMBIER
Vita vissuta d'Artaud l'Imbecille
di Antonin Artaud
 
Brani selezionati, tradotti, riassemblati, e adattati da
Enzo Moscato

Questo rifacimento dei testi di Artaud è stato rappresentato da Enzo Moscato nell'ambito del "Teatro Festival Parma", Teatro 2, 19-20 settembre 1996.

 
Non sto per fare una conferenza elegante.
Anzi. Non sto per fare nessuna conferenza.
Non so parlare, io.
Quando parlo tartaglio, perché mi si mangiano le parole,
proprio così: mi si mangiano le parole,
perché, per mangiare bisogna avere una bocca, no?,
e una bocca io non
Ecco, ho voluto solo vedere un po' di gente,
perché ho qualche cosa da dire,
e voglio che lo si capisca e mi si capisca,
la Società si crede chissà che e c'è qualcuno, c'è qualcuno che...
 
Ho visto un morto, molto bene in salute, col suo bicchiere in mano,
UCCISO.
Voglio dire ad alta voce ciò che mi ossessiona da un bel po'.
Ho sempre avuto una vita bizzarra, anormale, squadrata, io,
perché?
La vita, tutta la vita, non è che un complotto,
e su questo complotto la gente oramai ci ha poggiato il culo,
anche l'idea di Bellezza ci ha poggiato il culo, sissignore,
così come aveva già detto Arthur Rimbaud.
I tram, però, per fatti loro, hanno sempre continuato a funzionare.
Voi non siete liberi, la coscienza che vi sembra d'avere
non è che un telo da farsa tirato davanti ai vostri occhi
da vecchi, astuti commedianti, guitti.
Ma se è solo una farsa, allora giriamo pagina e piuttosto guardiamo
meglio ciò che la mette in moto.
 
Va male, molto male, spaventosamente male, perché?
Perché la vita, così come ci appare, non è vera,
è solo un'illusione, e sta scritto anche nei libri,
sotto il nome di filosofia.
 
Pertanto, basta con gli scherzi, basta con le frottole,
basta con le paraculerie, ma basta soprattutto con...
con che cosa, puttaniere-Dio, cosa?
Ecco, qui mi manca una parola. Una parola che m'è sempre mancata,
tutte le volte che ho voluto accusare una cosa precisa.
 
Che c'è dunque in me, Antonin Artaud, che non va,
per essere perseguitato così da un destino d'aggressione
e violenza,
coltellate, supplizi, tormenti, veleni,
scannatoi, garrottamenti, affamamenti,
cella d'isolamento, sequestro, mess'al segreto, elettrochoc?
Ne ho avuto fin troppo e per troppo a lungo,
perchè adesso tutta la congiura non crolli sotto il suo stesso
peso.
 
Sono stato accolto molto bene a Parigi quando sono venuto fuori
dall'asilo di Rodez.
Non importa che vi ero stato chiuso nove anni fa e che, per nove anni,
mi ci avevano internato per una sporca storia di polizia,
che non è stata mai chiarita.
Non importa soprattutto che per i primi tre anni del mio internamento
sia stato messo il segreto su di me, dichiarandomi morto
a tutti gli amici che chiedevano notizie della mia
salute, in tutti i manicomi che mi hanno ospitato.
Lungo questi tre anni di sequestro e di mess'al segreto,
io, Antonin Artaud, nato a Marsiglia, il 4 settembre 1896,
autore di cinque o sei libri di poesia, attore di cinema e regista,
sono stato sistematicamente e giorno dopo giorno avvelenato.
 
 
Ma non avvelenato da cattive notizie o da visite inopportune,
non voglio dire avvelenato così come si direbbe per eufemismo,
e cioè intossicato, no. Sono stato avvelenato veramente, drogato,
costretto a ingoiare polveri venefiche come uno di cui ci si vuole,
a tutti i costi, sbarazzare, e al riguardo del quale le direzioni
dei manicomi, dentro cui mi trovavo, ricevevano ogni giorno ordini
partiti da molto più in alto e molto più lontano di quanto
comunemente ci si aspetti.
Nel manicomio di Flavre, a forza di venire avvelenato, per tutti i 17
giorni che vi rimasi, in cella d'isolamento, camicia di forza,
i piedi legati strettamente alla branda, non mi reggevo più sulle
gambe quando arrivai al manicomio di Rouen.
E, un giorno che, alzandomi dalla branda per andare al cesso,
crollai per terra, trovandomi poi nell'incapacità assoluta
di rialzarmi, il capo-medico, che mi faceva la posta, forse perchè
anche lui, come già il dottor Ferdière di Rodez, aveva sentito delle voci,
il capo-medico, dicevo, m'accusò d'essere un simulatore,
rimettendomi in cella d'isolamento, camicia di forza, ma stavolta
completamente nudo, e su di un pagliericcio, raso terra, dove marcii
per un mese.
Ho ricevuto una coltellata a Marsiglia nel 1916.
Sono caduto in uno stato bizzarro, all'epoca della pubertà,
che nessun medico ha potuto mai capire cosa fosse.
Questo stato è rivelato dal "Pesa-Nervi", dall' "Ombelico dei
Limbi", dalla corrispondenza con Rivière.
Sono stato assassinato in una piazza, la notte dei Giudei,
creduto morto, sottoposto a interrogatorio, avvelenato,
messo al segreto, instupidito dall'elettrochoc.
Lo spirito cacciato dalle mie fibre è nell'aria ed avvelena
tutte le polveri della terra, tutte le pietre dove devo camminare.
Non voglio più essere indottrinato, non voglio più essere indottrinato,
non voglio più essere indottrinato come so che s'indrottrina
e mi si indottrina, come so che sperdutamente una certa forma di
spirito reietto ancora continua oscenamente a indottrinare questa
umanità, fisicamente e psichicamente, anatomicamente e fisiologicamente, giacchè
non è certo con le filosofie, le religioni, le metafisiche,
i sistemi, le teorie, che s'indottrina, ma con il corpo e a mezzo
corpo.
Nulla sarebbe il puro spirito senza gli esseri che cinfettano
con la pura indottrinante sostanza secreta dalle larve in
decomposizione.
Dio ci ha preso Un giorno dall'increato, è vero,
dal mai nato, ma, Dio andato, sono rimasti esseri
che si credono puri spiriti,
e sono tali, l'ho già detto, perchè furono sempre troppo informi
per arrivare ad essere uomini,
sicchè sono stati costretti a dimorare "in spirito".
Ed è questo che ci ha sempre riempiti di merda. Questo.
Cio che non ha mai potuto essere un corpo, che fu troppo
vile per essere un corpo, per conquistarsi un corpo,
per formarsi in e farsi un corpo, e che si è proclamato anima
in quanto materia troppo molle per divenire un corpo.
È questo. questo. Questo rifiuto dello scheletro umano,
questo scarto della carcassa umana, è stato questo che, un giorno,
dileguandosi, svanendo, ce lo siamo ritrovati in un preteso empireo
a fondarvi la divinità. Questo fu. Nient'altro che bava da nausea
del nulla, dei cacciati del nulla.
Sono morto a Rodez sotto un ellettrochoc.
Dico morto. Legalmente e clinicamente morto.
I1 coma da ellettrochoc dura un quarto d'ora,
mezz'ora e anche di più. Poi il malato respira.
Bene. Io un'ora dopo lo choc, non mi ero ancora svegliato
e avevo smesso di respirare.
Sorpreso dalla mia rigidità anormale, un infermiere corse in cerca
del capo medico, il quale, dopo auscultazione, non trovò più segno
di vita in me. Trattengo dei ricordi, io, della mia morte, in quel
preciso istante, ma non è su di loro che mi baso per esporre
l'argomento. Voglio attenermi strettamente invece alle spiegazioni
che mi furono fornite al riguardo dal dottor Jea Dequeker,
giovane assistente del manicomio di Rodez, che le aveva apprese,
del resto, direttamente dal dottor Ferdière. Fu, infatti, il dottor
Fredière stesso a dirgli che, quel giorno lì, mi aveva creduto morto
e che aveva fatto già chiamare due custodi del manicomio per ordinargli
di trasportare il mio corpo all'obitorio, visto che, un'ora
e mezza dopo lo choc, non avevo ancora ripreso i sensi.
Pare che fosse nel momento stesso in cui i custodi entrarono
per portare via il mio corpo, che il mio corpo si decise ad
esprimere un trasalimento minimo, dopo di che, subitamente, rinvenni.
 
Io, però, conservo un altro ricordo della cosa e questo ricordo l'ho tenuto sempre per me, e segreto, fino al giorno in cui, il dottor Jean Dequcker non mi confermò dall'esterno quanto io ricordavo.
C'è Che tutto ciò che il dottor Jean Dequeker mi disse, io l'avevo già visto, e non dal lato di questo mondo, bensì da quello dell'altro, pur fisicamente essendo nel semplice stanzino in cui l'ellettrochoc era stato praticato, sotto il suo soffitto, sebbene di stanzino o soffitto, in quei momenti lì, non avessi alcuna percezione.
Quello di cui avevo percezione era che, a circa un metro al di sopra del mio corpo, si estendeva nell'aria una specie di mongolfiera lenta, fluida, che faceva la spola tra il mio corpo e ciò che dell'ambiente lo sovrastava. Sono poi rientrato in me stesso, esattamente come chi rientra dall'altro mondo, e, di quest'altro mondo, io ripeto che ho dei ricordi. Ho vagato sconvolto all'interno di un tempo indeterminato, così come fa un insetto chiuso in gola, poi mi sono sentito scoppiare, scaturire da un involucro steso attorno alla mia spoglia, epperò senza giungere del tutto a separarmi dal mio corpo.
Fluttuavo nell'aria, ma sempre legato a qualcosa, come un palloncino trattenuto, e mi chiedevoda quale parte andare e semmai il mio corpo m'avrebbe seguito, in quanto ilmio corpo non era precisamente tutto ciò che ero in quel momento; nulla era il mio corpo in quelmomento, confrontato a quanto prima era stato echeforse, maipiù, sarebbe tornato ad essere. Di certo non scorderò mai, in alcuna vita futura possibile, l'orribile passaggio attraverso lo sfintere, revulsivo e asfittico, che la massa criminale degli esseri impone a chi agonizza di provare, prima di ridargli libertà. Al capezzale di un agonizzante, e me ne sono reso conto allora, vi sono più di 10.000 esseri.
10.000, dico. L'intera umanità cosciente di tutti gli esseri che non vogliono saperne di ridare vita al morto, prima che questi abbia pagato il suo pedaggio, pedaggio che è abbandono, totale cassoluto, della propria pelle, perchèproprio quella pelle, pelle inerte, l'essere non gli tornerà mai indietro.
Che ci può fare un morto della propria pelle quando è morto, eh?
Quando mi venne l'idea cliquesto incontro pubblico, d'organizzare cioè un faccia a faccia tra di noi, e che ha luogo solo oggi, mi sono rivolto ad i-in certo numero di giornali, chiedendo loro di darne notizia. Non che io pensi che la vita vissuta di uno dichiarato imbecille possa di gran che interessare la gran massa della gente. La gran massa della gente, io lo so, ha ben altri cacchi per la testa.
Socialmente parlando, io sono, in effetti, un personaggio di taglia troppo piccola per avere il diritto di sperare che gli avvenimenti capitali della propria esistenza siano di natura tale da smuovere o turbare la coscienza nel punto morto che occupa attualmente. Non so, del resto, nemmeno esattamente di che cosa si occupi o pre-occupi la coscienza, però, a vedere le cose un po' più da vicino, ho l'impressione che essa si occupi e preoccupi, prima di tutto, di masticare e digerire la sua vecchia illusione di essere nel mondo, senz'aver fatto mai niente, tranne che un bel numero di porcherie, per suffragarla. Tutto ciò che la coscienza chiede, forse, è che la si lasci incubare e succubare in santa pace i suoi crimini sozzi.
 
Sono arrivato all'asilo di Havre con due coltellate.
Non le avevo buscate ad Havre, no.
Ma erano là, sempre là, in cicatrici.
Vi sono arrivato anche con un colpo di spranga in fronte,
se è per questo.
Ciò che noi vediamo non è per niente il cosiddetto piano della vita.
Su quel piano lì non succede niente.
Quello che succede, succede altrimenti ed altrove.
E ho finito per sapere dove.
 
Passeggiavo, quel giorno, tranquillamente, per una delle strade
principale in città, quella che c'è nei pressi dei pubblici
giardini.
E stato lì, lì, che fui aggredito alle spalle da un uomo
di statura alquanto bassa, rosso di capelli, un po' albino.
Ha tirato fuori all'improvviso un randello di ferro -
lo portava nascosto sotto la giacca, lo portava -
e con quello mha vibrato un colpo terribile alla schiena.
Ho sentito in me la vita farsi in due ed ebbi l'impressione
che l'anima e il corpo -
già!, credevo ancora, a quell'epoca, a questi due elementi,
Fanima e il corpo -
non si sarebbero mai più, mai più ricongiunti come prima.
La colonna vertebrale mi cedette e per qualche giorno
non feci altro che tentare di far constatare ai medici
quella micidiale incrinatura.
Là per là non ebbi che un'idea: non morire, non andarmene,
non cadere a terra, non essendo spazzato via, cadavere,
da quel luogo e spedito, magari, a uno squallido obitorio,
non essendo costretto in una bara, non andare sotto terra,
piegato come gli altri, come tutti, a ritrovarsi in cenere.
I medici, causa di malattie, e i sapienti, causa di cataclismi,
non hanno mai capito un cazzo della natura anti-sensoriale,
anti-organica, anti-anatomica, ma soprattutto anti-spirituale,
psichica, logica, o dialettica, della vita.
E non si tratta di penetrare l'invisibile,
ma semplicemente d'accettare il visibile.
L'elettrochoc fattomi, non si produsse, stavolta, allo stesso modo
delle altre due volte precedenti.
Stavolta sentivo che non "passava".
E tutto il mio corpo elettrico interno,
tutta la menzogna del mio corpo elettrico interno
fardello di ogni essere umano da un certo numero di secoli
si rivoltò, divenne in me un immane tornante di fiamma,
monadi del niente, erette al limite d'un'esistenza trattenuta
all'interno del mio corpo di piombo,
che non poteva venir fuori dal suo piombo nè rialzarsi,
su quel piombo, come un rigido soldato.
Non potevo essere più il mio corpo, non volevo essere più
quel soffio, condannato a girare a morte intorno ad esso,
fino alla consumazione estrema.
stordito e ripiegato su me stesso, fibra su fibra,
mi sentivo soltanto l'orribile veicolo d'una revulsione
tumultuosa e non sapevo quale vuoto sospeso, con le sue lacune
nere, minvadeva, e non lo sapevo perché io stesso
ero il vuoto, ero il sospeso. In quanto all'anima, poi, altro non ero che tormento,
dato da mille soffocazioni.
La mia vita non è quella d'un grande personaggio, ma quella
d'un uomo che ha sudato e cagato sangue per dieci anni.
Che più di quanto è dovuto, e al di là di quanto sia dovuto,
ha sudato e cagato sangue. Per dieci anni.
Lungo tutto questo tempo e più, io so di essere andato,
per queste ragioni, al di là del dove l'organismo, il corpo,
la coscienza umana solitamente vanno.
È una storia di dolori, e ci sono altre storie di dolori, oltre
la mia, solo che la mia è decisamente torbida, voglio dire che
è prodotta da una causa che il mondo e la società di oggi
darebbero non so che pur di tenerla nascosta. E solo a questo
titolo ha senso parlarne. Poiché ci sono al mondo altri dolori
e altre soffocazioni, oltre i miei, e che pio di quanto faccia io
forse detestano la realtà che li produce, voglio, parlandone oggi,
far loro cenno e loro dire che, contro questo mondo, io sono,
sì, io sono, tra quei paria della terra che mai dimenticano
le sevizie subìte, e che non sopportano, io non sopporto,
d'essere trattati, un solo giorno di più, come carne da macello.
C'è una cosa che non ho mai smesso di sentir fremere in me,
dacchè sono al mondo, e questa cosa è l'idea di destino, l'idea
di sorte, inflitta dalla macchina, questa infernale, perpetua, anonima
macchina, chiamata società, a tutti quelli che non la pensano come lei,
e che, qui e là, attraverso, dopo, o durante la storia, hanno tentato di
svelare i suoi complotti. E ne sono crepati. Sono crepati prima
di poter dire di cosa e in che modo soffrivano, fino a creparne.
Car, pas un, pármi tous ceux là, qui n'ait prevu sa mort prochaine.
Je le sais, moi, je le sais, et vais le dire maintenant.
Ho avuto per anni un eczema, un herpes incoercibile ai testicoli.
Be' non c'è nulla da fare quando vi prude troppo in quel posto lì.
Bisogna proprio grattarsi. E io mi gratto. Voglio dire, cioè, chiaro e tondo
le cose come stanno.
E comincio col dite che la coscienza umana è fatta oggetto,
da millenni, d'un vasto e incoercibile affatturamento nelle
sue parti testicolari incrociate: milza del coglione sinistro
e fegato di quell'a destra.
Un giorno,a Rodez, mi sono accorto che non si andava tanto per il sottile, in questo senso, e che gli scavatori dell'invisibile increato vangavano forte, e non troppo lontano, dalla sacca del mio testicolo sinistro. Avevo passato la notte tra terribili fitte,coliche intestinali, mal di denti, crampi allo stomaco, e tutto a partire da quel posto lì. Munito dell'impavido candore da cui, bisogna crederlo, nove anni d'internamento non mi avevano ancora svezzato, vadoa trovareil dottor Ferdière, per rivelargli l'ignobile sozzeria dicui venivo fatto oggetto. Dopo 31 anni chebazzico l'occulto, ho finito per saperne qualcosa anch'io, e dico dunque, per esperienza diretta, cheun occulto in quanto tale non c'è, e che al centro di questa assenza OPERATORIA d'occulto non vi sono nè spiriti nè demoni, ma solo uomini che, lungamente e minuziosamente, hanno appreso a comportarsi proprio da carogne.
Per questo manipolo di uomini-carogne le manovre di succubato e incubato hanno rappresentato sempre qualcosa di banale, una specie di bazzecola, per loro altrettanto facile e consueto, da fare, quanto per altri lo è farsi la permanente, un massaggio, lo shampo dei capelli, un pediluvio. Se la medicina questo non lo sa, è soltanto perché è ignorante.
Su questo, come su altri punti. Oppure la sua ignoranza è generata dalla sua profonda fobia dell'occulto e di tutto ciò che gli è affine. In ogni modo, ignoranza o fobia, questo atte-iamento non la mette in grado di capire appieno le malattie.
L'organismo umano non è affatto qualcosa che si altera, se non c'è, prima di tutto e di fatto, qualcosa che oggettivamente si dà da fare per alterarlo e questo darsi da fare avviene attraverso un'azione mirata e ben localizzata.
Gli affatturamenti esistono perché li ho visti e ne ho parlato.
E, allo stato attuale delle cose, l'affatturamento è più reale della realtà.
 
Ne è piena l'aria di questi corpi rigettati a immagine loro,
e se la coscienza di ognuno non li vede è perché è accecata.
Non è necessario essere allucinati o deliranti per identificare
nell'aria una larva, la scheletratura d'un cattivo sentimento.
I sentimenti puri, le idee pure, non esistono, l'ho già detto.
Hanno bisogno di un corpo, sono dei corpi, con una forza delimitata,
una densità delimitata e una coesione, più o meno, decisa.
E così, se fui tanto candido da andare adire al dottor Ferdière che per me gli affatturamenti erano reali, non lo fui però al punto tale da credere che potevo dimostrarglielo.
Certo, le piaghe che portavo sul corpo e nel profondo della mia sensibilità, entrambi sconvolti dalla notte precedente, avrebbero potuto, a loro modo, esserne una prova, ma il dottor Ferdière, quel giorno lì, ebbe modo di mostrarsi nella sua disonestà più rivoltante, quando, troncandomi il discorso sulle labbra, senza lasciarmi il tempo di proseguire o di sviluppare la mia convinzione, mi rispose, in tono draconiano, che non sicuramente, ma sicurissimamente, l'occulto non esisteva, che di questo era stata fatta, e ben fatta, la prova scientifica, che mai, dacchè mondo era mondo, si era potuto dimostrare il contrario, e che vedeva bene, da quanto dicevo, che ero stato riafferrato dal delirio, e che, poiché il delirio rincrudeliva, si vedeva purtroppo costretto a riprendere immediatamente il trattamento con gli elettrochoc, e, più in là, quello a base d'insulina, allo scopo di guarirmi e riscattarmi dalle idee fisse.
lo fui così stomacato da questa uscita, che rimasi, di colpo, a bocc'aperta, e non feci più parola, avendo per di più, se ve ne fosse stato ancora bisogno, la prova ulteriore dell'esistenza degli affatturamenti, la cui spia, per me, faceva capolino proprio dalla massa violenta d'energia d'accusa con cui il dottor Ferdière s'era messo a contrastare il mio discorso. Solo l'occulto, infatti, può così protervamente alzare il tono e dire: lo non esisto e tu per forza ci tieni a sostenere che io esisto. No. Non avendo più, di fronte a me, il dottor Ferdière, ma una specie di megafono-portavoce di tutta l'ignobile e infernale orda che da cinquant'anni mi perseguita e, da nove circa, mi trattiene al fondo della melma degli ospizi per i pazzi.
 
Dove porsi e da dove uscire, ecco, ecco il solo ed unico pensiero
che tenevo palpitante nella gola, nella gola imprigionata,
soffocata.
Né dall'anima, né dallo spirito, né dall'anima né dallo spirito,
mi rinfacciava, passando, ogni banco di fuliggine corporea,
ogni pulsazione.
Di certo non scorderò mai, in alcuna vita futura possibile, l'orribile
passaggio attraverso lo sfintere, revulsivo e asfittico, che la massa
criminale degli esseri impone a chi agonizza di provare.
Dove porsi e da dove uscire, e questo, questo è il mondo che hai
davanti, questo.
E il corpo che resterà, il corpo. Ma senza spirito.
Senza spirito. Lo spirito è malato.
Peccato solo che alcun morto, tranne me, sia poi tornato, come me,
a confermare questa cosa. Che i morti, appunto, in generale, non tornano,
non tornano, no.
A forza di girare e rigirare attorno al problema, i ricordi mi sono affiorati, che vanno oltre ogni limite possibile, e che mi hanno sì fortemente respinto nelle mie vite anteriori a questa, da non poter più dubitare d'averle vissute realmente, e che sono stato io, io, Antonin Artaud, e non un altro, ad averle vissute.
Mi sono rivisto con un bastone in mano in Cina, mentre innumerevoli donne camminavano al mio fianco, ed avevano andature da soldati, non da donne. Il mio bastone senza posa batteva il suolo e, a tratti, la terra s'apriva, poi si richiudeva, come una medusa che ritira i suoi tentacoli all'interno, con lo stesso fare lento dell'eternità.
Le donne gridavano e m'insultavano e ognuna di quelle che mi insultavano diveniva un uomo a forza di allontanarsi da me.
 
Mi sono rivisto sulle frontiere della Persia e dappertutto la terra
si contorceva e strisciava come un rettile proteso all'ossificazione.
Mi sono rivisto presso gli Incas, ma non da re, anzi.
Indossavo solo un grezzo pantalone di tela grigia
e mi chiedevo che avrei fatto di me in mezzo alla
ribellione universale. Mi rivedo soprattutto in Giudea,
in un tempo indefinito, e c'è un ricordo sugli altri a farsi avanti,
quello di un uomo che viene flagellato in una stanza spalancata
sopra la campagna soleggiata. Su quest'uomo si sfoga tutta la malignità
universale. Di che, si sfoga? Del crimine di non rassomigliare
che a me stesso, quando tutti si presentano rassomiglianti a tutti,
e questo è uno.
lo ti schiaffeggio, mi dice una sguattera, perchè tu non ridi,
come faccio io, lorsque les hommes parlent de ça.
Il faut rire de haut en bas - et que s'ouvre quand ori fait ça.
E io, mi dice un altro, io, bé io ho per te una cosetta,
e mi rifila un colpo alla mascella destra.
Ma il più delle volte mi rivedo su una specie di sozza collinetta,
calva collinetta, disseminata in lungo e in largo di carogne,
gatti morti, e che viene definita il Golgotha.
 
Vi fui portato a forza, ora lo so anche troppo bene perchè,
ma, all'epoca, non lo sapevo affatto così chiaramente come lo so ora.
Credevo ancora che si trattasse di un errore, a quel tempo,
e che un miracolo si sarebbe prodotto, evitandomi così supplizi
e morte. E si produsse, certo, il miracolo, ma quando già ero crepato,
ed è da crepato che conservo i ricordi migliori.
La postura coricata, e nessuno sa perchè, attira meglio i demoni.
Quando i soldati entrarono in Gerusalemme, io mi battei fino a
mezzogiorno e stavo per avere la vittoria, lorsque la lumière
recula et la nuit se refit comme s'il ne s'etait passé que
demi-heure. Invece, erano trascorse almeno 14 ore.
 
E così che mi si è fatto passare per imbecille dall'anima disonesta del dottor Ferdière: per aver avuto il candore di toccare, lui presente, quel punto, laddove tutti i medici degli ospizi dentro cui fin'allora ero stato, pur essendo anche loro tutti dei mascalzoni, avevano avuto almeno ilbuon senso di capire che c'era, nel mio caso, qualcosa di bizzarro, che non ha null'a che vedere con la pazzia o con un disordine qualunque del cervello. Semmai è qualcosa che mette a nudo, sotto il farsesco e sacrosanto telone della società, le brutture e le violenze commesse dietro il sipario.
La questione allora di fare o di non fare dell'occultismo pubblico, non si pone nemmeno, dal momento che è da tempo, ormai, che l'occultismo ha superato anche il comune pudore pubblico e, nel cosiddetto pubblico, non si sa più dove trovare un sentimento, una condizione, un principio, un solo principio, dico, che siano viventi, voglio dire autentici, cioè nonpremeditati, non segreti, non sacri, non consacrati, non rimossi. Perchè, quel che è certo, è che una rimozione esiste.
E, io, per parte mia, ho sempre sostenuto che nessuna amministrazione o polizia della terra ha mai potuto e potrà mai esercitare efficaci mezzi di controllo contro questo stesso occulto.
In primo luogo, perché non vi ci si crede, e in secondo luogo perché è questo stess'occulto a generare le forze di controllo e dunque esse satimo lì proprio per internare, imprigionare, avvelenare, incarcerare, mettere al segreto e sotto elettrochoc gli indomiti ribelli che, come me, pensano che vada male, molto male. Lo spirito pubblico, bah! Lo spirito pubblico è il bue del pensiero, è proprio un bue davanti al pensiero, e in quanto bue è anche vacca, spaventosamente e irreversibilmente vacca, di fronte a tutto ciò che può rassomigliare a un tentativo di pensiero, e un tentativo di pensiero è appunto cercare di guardare un po'più in là della punta del proprio naso.
Ma se si va un po' più in là della punta del proprio naso, allora ecco che la sacrosanta massapubblica,la sacrosanta massapubblica fattadibuoi e di vacche del pensiero, messi proprio come buoi e come vacche davanti al pensiero, e che si è pomposamente autodefinita società, ecco che si dà da fare per spezzarci il movimento.
E fino ad oggi c'è riuscita pienamente, e c'è riuscita perchè tutti i mezzi di controllo e di coercizione che essa dovrebbe rivolgere contro l'occulto, passati invece in mano all'insondabile, incatturabile manipolo dei suoi guardiani di prigione, bagni penali, confessionali, tribunali, manicomi, vengono rivolti contro tutti quelli che, come ho fatto io, hanno avuto l'ardire di toccare e sollevare un lembo di quel velo, velo che nasconde ciò che questa vita è, e, soprattutto, ciò che di essa, miserabilmente, è stato fatto.
L'uomo se le deve conquistare le sue ossa ed è fatica dura cercare di strappare le sue ossa al nulla. lo, certo, non so, cos'è successo al nulla e dentro il nulla, o, se lo so, non posso dirlo senza ingaggiare battaglia, e quando vogliono, con quelli che dal nulla mai sono venuti fuori e che, pertanto, continuano a imbrattarci della loro merda. Esseri, costoro, che non hanno mai avuto nulla a che spartire con questa terra e che mai hanno vissuto dentro l'ossa con cui si è costruito l'uomo di questa terra - ossa che derivano dalle mutilazioni, dalla guerra, dalla carestia, le epidemie, blenorragia, sifilide, nonché dalle paralisi e la tabe.
 
L'uomo di questa terra, in breve, s'è formato con la sofferenza,
e io credo che tutto questo abbia finito col dargli una sorta
di sapere, un sapere che sa che non c'è stata mai scienza,
mai morale, mai filosofia, mai religione, mai essere, mai esistenza,
mai parola, mai silenzio -
un silenzio dove si possa essere muti in santa pace, fuori,
al di fuori di tutti gli spazi vocianti - abitati -
e questo perchè non c'è nulla, proprio nulla che si possa nominare.
Le cose non hanno nome ne si può dare un nome alle cose,
senza essere immediatamente cornuti e mazziati.
Comeche sia,mipareche lastoria di uno sconosciuto arbitrariamente internato inseguito a un banale fatto di polizia, e, altrettanto arbitrariamente mantenuto, per nove anni, dentro un manicomio, avrebbe, qui e là, di che far drizzare le orecchie a A-In bel po' di gente, quando si chiarisca meglio di che tipo di fatto di polizia stiamo parlando.
Sono certo cheparecchi spiritieletti trarrannoun divertimento sottilequando gli dirò che la suddetta mia storia d'arbitrario internamento, romanzescamente, si complicò, già ai suoi inizi, con ben tre anni d'avvelenamento, 3 anni durante i quali fui messo al segreto e sistematicamente tagliato fuori da tutti i legami che potevo avere col mondo. Agli amici e ai parenti, infatti, che venivano a chiedere notizie della mia salute, si faceva rispondere loro, che io, Anton i n Artaud, nato a Marsiglia, il 4 settembre 1896, ero già bell'e crepato. lo sento in me, troppo dentro di me, da trenta anni che scrivo, l'afasia di Baudelaire, il delirium tremens d'Edgar Poe, l'oscillare della corda con cui s'impiccò Gerard de Nerval, per non finire coll'avere una percezione molto netta delle infami circostanze che determinarono la loro morte. Ognuno di loro aveva, qua e là, qualche amico, così come qualche amico ho io, solo la vita non è stata loro amica; a loro, la vita, è stata decisamente nemica. Così come a me, sotto questa società, sotto le sue istituzioni, i suoi complotti, è la Vita, la vita ad essermi nemica.
E che mi è nemica, l'ho dedotto dalla conoscenza diretta che ne ho fatto. Dell'Immus stillante sangue e violenza, stupri, di cui essa è intrisa. E io, uomo, dalla mia nascita alla morte, non posseggo che questo: vita intrisa di sangue, violenza, stupri. Vita che è Vita, così com'è voluta dalla società, dai suoi complotti.
Violenza, coscientemente e abbiettamente, generata e costruita dalla violenza.
Tante Volte la vita è stata fatta a pezzi, sì, e le cose stesse non si sono più ritrovate come
erano prima. l'rima del 1934.
Questo lo si è dimenticato. Non bisogna farsi mai mettere dentro alla bara.
Ecco esattamente quello che io ebbi il candore di andare a dire al dottor Ferdière, capomedico del manicomio di Rodez, un giorno della fine di febbraio del 1946. Ciò che sta al fondo delFocculto è quella parola-tabù, oggi passata di moda, attorno alla quale io giro e rigiro senza decidermi ad emetterla, a dirla, dacché ho iniziato il presente soliloquio sugli avvenimenti capitali della mia esistenza. Questa parola, senza più corso al giorno d'oggi, fa un po'da asse portante a tutta la mia vicenda, poichè quel losco affare di polizia capitatomi, tramutatosi poi in Vicenda d'internarnento arbitrario, perpetrato per ben nove anni e, per tre di questi, complicato dal mess'al segreto, avvelenamento, aggressione, assassinio, non è affatto Un losco affare di polizia qualunque, al contrario. Esso, semmai, somiglia a ciò che tra cinquant'anni (ammesso e non concesso che tra cinquant'anninon si abbia tanto terrore dei fatti e delle parole, come oggi), tra cinquant'anni, d icevo, si chiamerebbe affare d'affatturamento, sortilegio nero, maleficio. Ed è curioso constatare che ciò che sembra non avere più corso né credito oggi, Vada però a coincidere con un momento, qual'è quello attuale, in coi il mondo ci appare completamente sottomesso al dominio dell'antica e tradizionale magia.
In nessuna epoca, più dell'epoca che vi\ iamo, lo strapotere dell'occulto ha avuto maggiore presa sulla disarmata, sconvolta coscienza dell'uomo, secondo me. E se l'uorno
non lo riconosce e se ne ride, se tanto sfacciatamente dichiara che nessun occulto esiste o ci sfiora, ciò accade perché proprio l'occulto gli ha rosicchiato scienza e coscienza, gli
ha anzi,percosì dire, come fissatoc inchiodato dentro, a blocchi, inamovibili, inerti, quel po' di dinamica sostanza, fatta di lucidità e di acume, che sola poteva dimostrargli che
l'occulto esiste ed agisce, eccorne!, nonché indicargli in quale ignobile maniera lo fa, e maniera tale, sia detto per inciso, da non lasciare più attorno alcuna creatura umana che
sia in grado di capirlo e riconoscerlo.
 
Ma chi è che non vede le Vibrazioni del sole?
Chi è che si sognerebbe d'accusare che le vede dalluci n azione folle
e delirio ?
L'uomo, dico io. L'uorno. Perchè proprio l'uomo non le ha sempre viste,
è, stato l'uomo ad accusare di allucinazione folle e delirio il primo
che le ha percepite e notate nell'aria.
Gli atonii, lo sappiamo, sono tiri mondo morto e sotterrato, oggi.
Mondo morto e sotterrato che non tiene a dirci niente, niente più.
Però v'è dell'altro, oltre gli atomi.
1 pensieri non usati, per esempio. Dove vanno a finire mai
tutti i pensieri non usati? Mi ci sono abituato a vederli, io, sapete,
e quest'abitudine mha dato un eccellente concetto dell'occulto,
où je ne peux voir autre chose que le lavatory, la charribre à partouzes,
la tranchée, la latrine publique, ed è forse proprio quest'abitudine
bizzarra ciò che mi spinge a dire qui tante stronzate, stronzate che,
invece, a voi, Voi gli uomini, non vi toccano mai.
Voi, Voi siete tutti spiriti, ve lo giocate molto bene il ruolo
di spiriti, voi. Voi che m'opprimete, melliflui, con inchini e complimenti, quando,
sotto légida d'André Breton, vengo a tenervi qui accademici discorsi, che tanto
accademicamente domandate, fa ccia di
ma che poi quella tal sera che mi trascinavo per i viali,
al colmo di un'insensatezza disperata, siete stati i primi
a erigervi contro di me, in tutta la vostra stazza di coscienza
ignominosa. Le ho viste bene, allora, le Vostre facce murate,
le ho Viste bene, sì. Sopra il grattacielo e il ponte si stagliavano,
anzi, più in alto, molto più in alto della Via Làttea in cielo.
E in Voi, nelle vostre stesse facce murate, ho visto l'orda, la folla
d'esi-enze e divieti, comunemente detta La Società, e la vostra Società
ini diceva: tu, dammi questo e questo, e poi questo e poi ancora questo,
e Vattene, non c'è nulla per te, nulla.
Sul piano reale ti risparmiano, non siamo ancora all'assassinio,
che ti credi? ma verrà, verrà anche quello, perchè la società è questo
e questo, non certo ciò che sei tu. Sì, predica di lato, predica a fianco,
te lo si perruette, ma non toccare mai questo:
fai-ni, Iia-bambino-patria, capitéìle-chiesa-proprietà,
polizia-esercito-nascita. E morte.
 
Ricordai al dottor Ferdière che ero stato in Messico e che avevo scalato la montagna a cavallo, per sedici giorni, proprio per andare incerca d'una razza d'Indiani-stregoni che vivono a seimila metri d'altezza, che li avevo infine trovati, ma che avevo sofferto là sopra di malefici innumerevoli per ben 28 giorni, e che di tutto questo, avevo parlato a lungo in un mio libricino intitolato "Viaggio al paese dei Tarahumara". Gli ricordai che già in quell'opera io dichiaravo d'essere stato stregato, affatturato, ma egli, senza scomporsi, mi disse, "No, Voi non siete affatto stato stregato presso quegli indiani, è solo il vostro delirio a farvelo credere ancora, VUOI dire che scriverò al vostro amico jean Paulhan per informarlo che vi sottoporrò a un nuovo trattamento d'elettrochoc".
"Corne? - gli risposi io - Voi avete pur letto quel libro, dite che lo tenete nella vostra, biblioteca come uno dei migliori libri mai scritti in francese, e ora affermate che volete curarmi per averlo scritto?" "Già! - fece lui di rimando- Io sono qui infatti per correggere il tiro della vostra poesia". A questo punto, io mi alzai. In questi casi, non è questione d'incoscienza o di chi sa che altro. In questi casi, è semplicemente e puramente questione di farabuttaggine. Di fronte a una così torbida e cattiva coscienza, non c'è, a mioavviso, che una sola risposta da dare, ed è: io ti scanno. Sì, bisogna scannargli la gola a tutti quelli che fanno malefici ed affatturamenti, e il dottor Ferdière, davanti a me, in quel momento, altro non era che Lin fattucchiere, Lui affatturatore, un mago nero.
E c'è da dire che, in altre occasioni, non sono andato tanto per il sottile io, quando s'è trattato di menar le mani. Su quella piazza di Dublino, per esempio, alla fine del settembre 1937, non persi certo tempo a far fuori una dozzina di poliziotti; e sempre a Dublino, ma sotto il carcere, quando spaccai la faccia a quell'agente della "Sureté"; per non parlare di ciò che successe sul "Washington", dove spaccai la testa, a colpi di mazza, allo steward e al capo macchinista che erano scesi giu in cabina, da i-ne, per spaccarmi, loro, la capoccia con una bella chiave inglese. Però, quel giorno lì, confesso che dinnanzi al dottor Ferdière mi trovai come paralizzato. Tre anni di mess'al segreto, cinque anni d'avvelenamento sistematico e due anni d'elettrochoc, intervallati da cinquanta staticoma, riducono chiunque a non essere Più Lin uomo, dopo che si son vissuti, quest'è il fatto.
Se ho voluto raccontare la storia della mia vita davanti a tutti, e per tutti riviverla, qui, anche negli atti e nei suoi fatti minuti, non è certo a CaLisa di tutto ciò che la mia vita può contenere d'anormale, insolito, sconcertante e persino esorbitante, ma semmai perchè penso che altri, oltre me, hanno sentito acquattarsi in loro la bestia, la stessa inappagata e fremente bestia, che non può più rimandare, adesso, il giusto momento d'inspirare e scattare, così come ogni bestia fa, e che agirà su piani e con maniere illecite, proibite, giacchè in piani e maniere illecite, proibite è stata sempre relegata - illecito-proibito costruito totalmente dall'uomo ma che è illecito-proibito d ire o riconoscere quanta parte vi abbia la sua nascosta mai-io, ancora oggi.
Io ho avuto sul teatro un certo numero d'idee che hanno interessato
un qualche migliaio di persone sulla terra, ma che la gran massa
del pubblico respinge e che sembra intenzionata a respingere
sempre più in maniera crescente.
Forse perchè ne ha intuito il pericolo, e non tanto per il teatro
in quanto tale ma per la sua costituzione in Società.
Il Teatro della Crudeltà non è stato possibile perchè la sua
esistenza presuppone la scomparsa di un elemento su cui riposano
i fondamenti stessi di ciò che viene definita Società.
Io non so perché, e a partire da che, gli uomini hanno smesso di pensare
di poter vivere senza un governo, ti n'amministrazione pubblica,
una polizia, una religione, una burocrazia, una scienza, un esercito.
O, piuttosto, penso di saperlo anche troppo bene. Questa convinzione
risale all'ultimo tentativo autentico di Teatro che è stato fatto
in Grecia, un po' prima di Eschilo, in quell'anstorico periodo
della vita dei Greci in cui ciò che si poneva al di sopra di tutto,
ciò che era iii cima al tutto, era il Teatro, ma un Teatro in cui si
faceva cadere teste a migliaia...
Ho notato una cosa bizzarra, anormale, strana, che nessuno ha mai
voluto né vorrà mai confessare, perchè, a impedire questa confessione,
ci sono parole d'ordine, barriere insormontabili, interdetti terribili
e segreti: noi non siamo altro che pupazzi manovrati, e quelli che
manovrano e dirigono i fili di questa lurida burattinata, fanno affidamento soprattutto,
dico: soprattutto, sull'amor proprio inveterato
di ciascuno di noi. È l'amor proprio che da a ciascuno di noi
l'illusione di crederci liberi ed è sempre lo stesso amor proprio
a impedirci di confessare e riconoscere, onestamente e sinceramente,
che non lo siamo affatto. Siamo tiri mondo di automi, senza coscienza, d'ingannevole
libero arbitrio. Siamo frammenti d'organico inconscio
incollati a bella posta su dei corpi. Siamo pertanto corpi montati
su un bel nulla. Una specie di nulla senza misura, senza limite,
senza spazio, senza linee. E quale linea mai potrebbe solcare il
nulla, ditemi? E che sarebbe mai lo spazio del nulla, o, inversamente,
di quale nulla potrebbe mai essere fatto lo spazio?
Potrebbe mai il nulla essere centro o linea dello spazio,
quando lo spazio è il nulla stesso, il nulla stesso è spazio,
purissima illusione suprema che disarticola il reale?
Espalion.
Storia d'alcolisini e di arresti.
Espalion: gli elettrochoc.
I tre anni di mess'al segreto.
I cinque mesi d'avvelenamento.
Dublino, il bastone magico.
Il colpo di sbarra in fronte,
le due coltellate,
la congiura degli Iniziati,
la questione del mio affatturamento.
Dunque, il dottor Ferdière sapeva per esperienza non solo che l'occulto esiste e che esistono parimenti le fatture, perchéera stato dall'occulto contattato, e perchè conosceva il contenuto della mia lettera segreta ad Henri Parisot, ma sapeva soprattutto che il mio caso era un caso d'internamento arbitrario, ingiusto, un sinistro caso d'affatturamento. Che non avesse riconosciuto a colpo d'occhio che vi fossero contro di me forze negative e tanto ostili da farmi trattenereper nove annibuoni alla stregua di un prigioniero, io non lo credo probabile. Credo invece certissimo che sapesse che, in quanto non sorvegliato interno, era permesso a certi affatturamenti d'esercitarsi sul sottoscritto con il massimo d'efficacia, così com'ècertissimo che sapessepure degli andirivieni strani, delle anormali manovre, che si svolgevano a me attorno.
E sono certissimo che lo sapesse perchè li aveva visti.
 
Espalion. Regione del Lot.
Piccola città di 5.200 abitanti, con i due molari
di rovine di un castello come sospese alle gengive del cielo.
Non è letteratura, questa, ma semmai la storia di un osso smarrito e da me stesso ritrovato e a contatto del quale è stato il destino improvvisamente a rimettermici. Per tutte le tre settimane, tra marzo e aprile, trascorse a Espalion, non un istante ho smesso d'avere l'impressione d'essere a contatto con uno degli elementi più preziosi del mio corpo; la medesima impressione che ebbi, del resto, quando ritornai in possesso del bastone, il famoso bastone magico, da me smarrito un tempo.
È a Espalion che risale la porcheria, l'ultima in ordine di tempo, che mi è stata fatta dalla Società. Porcheria fattami, certo, dalle istituzioni insopportabili, ma ispirata prima di tutto da una persona, da un uomo, il dottor Ferdière, capo-medico o primario del manicomio di Rodez. Un poeta alcolizzato era passato, una volta, per Rodez, e allora il dottor Ferdière mi disse: 'To mando a Espalion. Voi lo raggiungerete e gli impedirete di bere. Voglio farvi una confidenza. Quest'uscita sarà per voi una presa di contatto con l'esterno. Scenderete all'Hotel Berthier dove si cucinano eccellenti trote. Vi concedo un permesso di otto giorni, ma telefonatemi tra una settimana, chissà che non ve lo rirmovi..."
 
Così, ho pensato di dirlo nel luglio scorso che sono io l'uomo del Golgotha, che però non mi chiamo Gesu Cristo, ma Artaud, che ho sempre, anzi, detestato il Cristo, e cioè l'idea di un Dio disceso fino all'uomo e fattosiuomo,che sono ateo, ateo, che ho preteso, sempre e solo, di essere un uomo, un uomo, nulla più, e che si deve credere che il mio corpo d'uomo, di null'altro che uomo, mi è sempre mancato dacchè me ne hanno espropriato, e che questi miei non sono affatto ricordi di prima del diluvio, ma ricordi di questa vita qui, e che quelli che mi hannoespropriato di corpo e divita non son'altroche un manipolo di porci, porci e troie, porci e troie, uomini-porci e femmine-troie di quest'Europa e di quest'Asia qui, porci e troie che negli stupidi manuali d'occultismo vengono chiamati giustamente succhiatrici e vampiri e succubi e incubi in quelli dedicati alla teologia, ma quel che sono-sono, voglio dirvi che so che stanno tutti sul mio corpo, e certamente in certe parti intime e inconfessabili di esso, ci stanno, ed è lì che si danno da fare.
 
Di conseguenza, se la medicina fosse stata intelligente,
voglio dire fosse stata onesta e corretta, invece di farmi
avvelenare, sottopormi a elettrochoc, minacciarmi d'insulinoterapia,
si sarebbe sforzata da sè a cercare di capire quel
che io andavo denunciando intorno alla faccenda.
Ma la medicina non l'ha mai fatto e non ha potuto farlo mai
in quanto che, allo stesso modo in cui, ogni onest'uomo, di questi
tempi, viene posseduto da un incubo o da un succubo, così ogni
medico, ogni prete, ogni sapiente, ogni pedagogo, ai giorni che
viviamo, è l'incubo o succubo abitante d'un corpo umano,
da lui stesso imbavagliato, piegato, malmenato e seviziato.
E questo fa riflettere, E vi ho riflettuto.
È così che si compie quel certo numero di porcherie
di cui parlo. Così.
 
M'imbarcai dunque per Espalion. P un paese di zingari, Espalion, e anche se di zingari non serie vedono più, è possibile, tuttavia, scorgercancora qualcosa di zingaresco,lungo il corso dei Lot: una dozzina di sozze baracche fatiscenti, fatte con assi di legno, bacinelle arrugginite, pezzicli carri armati, fianchi di cannoni e di carrozze adibiti a travatura, ogni tipodi carcassa ridotta a ferro vecchio, eche, a vederle, mi diedero subito un'impressione bizzarra, quella, direi, di i-in elemento alchemico, in esse, più che chimico, d'alchemico sotterraneo ecco. Non so se questo elemento sotterraneo fu la causa determinante della porcheria che mi fece abbandonare Espalion, penso però che vi ebbe certamente parte. Le cose ribollono cento secoli sotto terra, sapete, poi esplodono.
Le fatture fanno esattamente così.
 
Sono stato aggredito su un battello solo per essermi difeso.
Sono stato messo in camicia di forza, internato come un criminale per nove anni. La vicenda di uno scrittore, sano di spirito, sequestrato e incarcerato per nove anni, è senza importanza, lo so, non può interessare che quei rari estimatori delle mie opere, che non sono, per l'appunto, una legione, e quando ho voluto annunciare sui giornali l'incontro con voi che avviene oggi, affinchè tutti quelli capaci di intendere, ne fossero coinvolti, beh, mi è stato risposto che non ne valeva la pena.
Non ne valeva la pena, già! Così m'ha risposto il giornale 'Combat' , così m'ha risposto 'juin'.
Io non mi sono mai preso sul serio, non mi sono mai creduto
un personaggio, io. Però, riflettendo sul mio caso da trent'anni,
mi è sembrato emblematico di qualcosa che va oltre il mero dato
individuale, la vita mia, e che spiega il male presente, male, che neppure la mia spiegazione, forse...
 
Al Messico. Già quando ero in Messico, mi sono reso visivamente
conto che qualcosa non andava.
Un dolore e una sofferenza individuale, in realtà, no,
non valgono mai socialmente la pena d'essere apprezzati.
 
Così, dunque, il dottor Ferdière sapeva per esperienza che
l'occulto esiste e che esistono parimenti le fatture.
Se allora, egli, un mese dopo, con me, negava l'esistenza
dell'uno e delle altre, ciò accadeva perchè egli riceveva
ordini in tal senso dall'occulto stesso.
Il dottor Ferdière ha sempre praticato la magia.
Ne è sempre stato al corrente.
Non ha sopportato perciò più di tanto di vedere in me
una specie di pericoloso concorrente, sebbene l'occulto
sia sempre stato mio nemico dichiarato.
Sachant affaire-envoutements, il etait passé du coté
des envouteurs. Lui, le docteur Ferdière-merde.
C'è stato sempre molto sangue nella mia vita.
Ma tutti l'hanno dimenticato. In mezzo a tutto questo sangue
versato, il mio occupa qualche buona pinta.
Ho ancora nella schiena le cicatrici delle due coltellate,
per cui non si potrà dire che le ho sognate, quelle coltellate,
e che deliro, per quanto le circostanze in cui mi furono inferte,
quelle sì, siano ancora oggi, per me, circostanze quasi ai confini
del reale. La prima mi fu inferta a Marsiglia, durante l'altra
guerra, nel mese di luglio del 1916, da un magnaccia, che vedevo,
del resto, per la prima volta in vita mia, e che in seguito dichiarò
che non capiva cosa l'aveva spinto a ferire improvvisamente proprio
me, un passante qualunque, a lui del tutto sconosciuto, e che vedeva
anche lui per la prima volta in vita sua. La seconda, la ricevetti
nel 1928, a Montmartre, in una rissa di strada che coincideva con
l'apparizione di un articolo, pubblicato su "Notivelles Litteraires",
che parlava di un certo Saint Tarto, T-A-R-T-C, grottescamente
accusato d'eversione surrealista. Articoli di tal fatta sono senza
importanza, lo so, eppure, fu in seguito a una serie di stronzate
di questa caratura, pubblicate dai principali giornali di Dublino,
nel settembre del 1937, che venni arrestato, messo in prigione,
deportato, assassinato sul "Washington" e, poi, al mio arrivo in
Francia, internato in manicomio per nove anni.
Ho avuto molto spesso occasione, in questi nove anni d'internamento, di ripensare a quelle aggressioni gratuite e alla malafede di quegli articoli di bassa diffamazione.
Ancheil giorno in cuifui trasferito, inuncellulare, dall'asilo d'Espalion a quello di Rodez, ci ripensai, e così successe pure quando venni fuori definitivamente da Rodez. Ripensai a cosa, precisamente, direte voi?
Beh, alla stranezza, cosìcuriosamente inopportuna e frettolosa, di un mio internamento, il mio, che nessuna cosa al mondo, in apparenza, giustificava. Non dirò che ebbi l'ingenuità di credere che le mie vicissitudini fossero finite, perchè so sentire l'aria che tira, io, so sentire molto bene la pressione e l'opacità delle atmosfere che mi circondano - e mai infatti mi sembrò che le cose per me si mettessero definitivamente al meglio -speravo però che, almeno per quel che concerneva la questione della mia libertà personale, l'Amministrazione Manicomi di Francia si fosse rassegnata a lasciarmi stare in pace, giacchè, restando sul piano dell'ordinaria realtà, proprio non riuscivoa vedere che interesse, personale e diretto, esse potessero avere a volermi mantenere prigioniero in quelle circostanze. Ma il piano della cosiddetta ordinaria realtà non ha mai inciso sulla mia vicenda personale, no, non più di quanto, a dire il vero, esso incida su qualsiasi altra vicenda.
Siamo calati in un mondo, in una vita, piena zeppa d i ruffiani fetenti, mondo e vita che poi è la Società degli sporchi ex schiavi affrancati dal loro servilismo di ieri, questa è la verità.
Ruffiani e schiavi che non hanno mai avuto altro in testa che questo: dissimularsi, dissimularsi alle spalle della cosiddetta ordinaria
realtà, dietro l'ordinario ordine terra-terra di questa, dove è impedito a chiunque, chiunque, di dire ciò che vede, spingendosi appena più lontano della punta del proprio naso.
La qualcosa -
che mai sono stato più vicino alla verità
(dell'identificazione del mio corpo con un'entità) -
è falsa.
La qualcosa -
che non sono disposti a lasciarmi guardare nel segreto che dice
che non vi è che l'essere di sbieco,
in trasversale taglio obliquo del tutto -
è ancora più falsa.
Poiché non è certo che la forma o il segno che fa le cose,
ma l'applicazione a non entrarvi, a non prendervi essere,
qualunque esso sia.
Da dove, infatti, vengono fuori le cose,
se non da questo proprio del corpo?
 
Non ci si stacca tirandosi all'indietro, ma lavorando di traforo
dal di sotto. È così che si sgrovigliano i corpi aggrumiti
di contro alle pareti lubriche dell'ano.
È da un corpo che ci si distacca, non dallo spirito,
non da urlo stato di spirito, non da un'attrazione di spirito.
 
I suddetti tre anni d'avvelenamento, con i loro alti e bassi, raggiunsero il loro acme parossistico, nei cinque mesi che trascorsi dentro il manicomio di Quatre Maresa SotteVille-Lès Rouen, dal novembre 1937 al marzo 1938, quando cioè la guerra non era stata ancora dichiarata. Ma era già guerra per me, però, che ero costretto a vedermela brutta con inferni ieri e castigamatti per non ingoiare le pozioni sospette che mi si voleva dare a forza o anche per non mangiare il rancio di fagioli o di lenticchie che mi si portava cosparso d'una polvere biancastra, simile alla canfora o alla naftalina, e che era null'altro che quell'inoffensiva, banalissima sostanza chiamata cianuro di potassio. Di solito, le polveri sospette vengono acconciate un po' più attentamente dentro gli alimenti che si porta ai condannati, ma si vede che i miei -i-iardiani, stressati dai controlli degli agenti della Sureté, che portavano loro i sacchetti di veleno avvolti dentro bigliettoni da mille franchi, avevano finito per averne abbastanza del mio avvelenamento, visto che non portax a da nessuna parte, e cioè a farmi crepare, come si sperava. E così, gli avvelenamenti d'Artaud, divenuti ormai una specie di segreto di Pulcinella fra tutti quelli del manicomio, presentavano, alla rinfusa, zuppa buona e piselli avvelenati, nella stessa ciotola, senz'alcuna preoccupazione o anche dissimulazione.
E a nessuno importava che l'avvelenato, costretto in cella d'isolamento, nudo su di un pagliericcio, con ment'altro addosso tranne uno straccio, avesse poi dissenteria su dissenteria e vorniti su vorniti, e per di più in una cella in cui i cosiddetti servizi igienici sono rappresentati da un grosso buco in mezzo al pavimento che, chi ne usa, deve svuotare a mano. Mai mi scorderò di quel mattino, in cui dopo una nottata di coliche atroci, l'infermiere, entrando in cella e guardando il buco a terra, disse: "Ehilà! Mica l'ho mai visto un cagonepiùcagone d i te, compare! Sono grosse come te, queste cagate!" Dopo di che, il capo-med ico del manicomio, m'accusò di delirio, al mattino, all'ora delle visite, quando appunto gli dissi che pensavo d'essere stato avvelenato.
C'era, tra l'altro, nella sala attigua al dormitorio, nel quale, in generale, stavo disteso, una piccola credenza, dentro cui venivano riposti i sacchetti di polvere biancastra, portati tutti i giorni dagli agenti della Sureté. E una sera che ci si era, come per caso, dimenticati di portarmi la mia porzione di piselli freschi, che io reclamavo, ho visto,conquesti occhi, il capo-sorvegliante arretrare di un passo al passaggio dell'infermiere, che mi portava una ciotola di piselli non trattati coi veleno, e dirgli così: "Aspetta Un po', tu. Bisogna ancora rnettergli questo là dentro". Il sorvegliante era nella sala attigua al dormitorio e ioal principio (I i questo, perciò l'ho sentito bene.
"Aspetta un po', tu. Bisogna ancora mettergli questo, là dentro".
Gli ha proprio detto così. E fu così che, una volta di più,
mi vidi costretto a rifiutare il rancio che mi spettava.
 
La Società mi dichiara folle perché mi mangia, così come mangia gli altri, e mi mangia nona caso, non figurativa mente, in immagine, come dice la psicoanalisi, ma in maniera sistematica, intenzionale.
La società ha voluto assillarmi e farmi sparire per questo: perché mi sono accorto che mi mangiava e ho voluto sempre dire, apertamente e pubblicamente, che i soli rapporti vigenti tra me ed essa consistevano nell'avermi voluto costringermi a lasciarmi mangiare senza opporre resistenza.
La coscienza non si limita ai rapporti esteriori: buon giorno, buona sera, come va?, eccetera, eccetera, che noi intratteniamo con la gente.
La coscienza va al di là dello spazio immediato e visibile del corpo. Voglio dire che il corpo è più grande, più vasto, più esteso, più sinuoso e più contorto di quanto l'occhio umano non riveli e non scorga quando stà ad osservarlo. Il corpo è una moltitudine affollata, una specie (-1 i scatola cinese che non finisce mai di rivelare ciò che occulta. E questo vuol dire che o-ni esistente è a suo modo una sorta d'immensità che si può intravvedere in qualsivoglia immensità. Chi non lo capisce, ha la merda fin qui, merda che gli impedisce d i camminare aldilà dello spazio racchiuso dalla punta del proprio naso. Per quel che mi riguarda, non ho mai smesso di vedere non ciò che tutti mi dicono di vedere, ma ciò che essi sono proprio quando tacciono, non dicono nulla, sono distanti dalla parola. E a praticare tale facoltà dei corpo umano, non sono neanche il solo, perchè anche la gran massa degli iniziati la conosce e la pratica. Come pure qualche non-iniziato. E sono loro, gli iniziati, a insegnare alla coscienza come si fa a succhiare. A succhiare, fisicamente, voglio dire. Con gengive e labbra, così Come Si Succhia un maccherone. Non c'è piccola citta francese, non c'è angolo di Parigi, dove, di -giorno e di notte, un iniziato, un neofita, delle porcherie invisibili, non succhi, credetemi, non assorba, un corpuscolo strappato ad Artaud-momò ad Artaud. L'imbecille, solo che Artaud-momò, Artaud- L'imbecille ha, nel frattempo, imparato il trucco. Sa che non ci sono spiriti, ma uomini, milioni e milioni di uomini, centinaia di milioni di uomini che, sulla terra, fanno pratica d'occulto, e che la fanno modestamente, magari, ciascuno nel suo piccolo, arrangiandosi come possono, ma è certo che la fanno, e che si tratti d'occulto semplice, o di semplice magia, né rituale, né sacramentale, mera magia corporea, sozza magia sessuale, tipo quella praticata alle sponde d'ogni letto, non toglie e non mette al fatto che è con esercizi simili, grandi opiccoli che siano, che lo spirito invertito vive dei corpo altrui, che non smette su di esso d'accanirsi. E tanto fa che, in ultirno, somiglia esattamente a un sesso in foia, che non si
stanca mai di fottere tutto ciò che ha attorno.
Oh, beh, non si interna per nove anni,
non si mette al segreto, non s'avvelena, non si fa passare per morto, uno scrittore,
un uomo di teatro, come io ero stato fino al 1937, senza un
motivo importante, necessario, senza qualche ragione, torbida
e losca, che, a guardarla più da vicino, è complotto poliziesco
e segreto, che fa trasparire, suo malgrado, abbietti e sinistri
retroscena. Credo che tutti i problemi che turbarono la coscienza
di quegli anni, i problemi sociali, storici, economici e politici
che costituirono la linfa vitale dei giornali, dei caffè, dei
salotti, degli intrighi che contarono all'epoca di cui parlo,
saranno un alibi, o una razionalizzazione, ben meschini, il
giorno in cui arriverà finalmente la resa dei conti, il 'redde
rationes', tra ciò che io sono e gli altri, tutti gli altri di
questo mondo, e soprattutto, saranno un alibi e una razionalizzazione
ben meschini di fronte al dondofio risentito del cadavere
di Gerard de Nerval Labrunie, di fronte al suono sinistro del
suo corpo scarnito e torto al vento di un'alba malsana,
impiccatosi alla sua stessa scrittura, e così sarà pure di fronte
all'afasia di Baudelaire, e a quell'altra cosa, quall'altra ambigua
faccenda, che, da più di trent'anni, non smette d'ossessionarmi,
e che è quella specie di paralisi, di bizzarra immobilità, in cui
è sprofondato Lenin al momento in cui era sul punto di dare
il tocco finale alla più grande rivoluzione della sua vita.
Sì, da trent'anni cercavo di capirlo e ora so che Lenin è stato
fulminato da un meschino calcolo universale delle masse.
Sì, è stato fulminato e paralizzato dalla volontà, conscia e premeditata
delle masse, per aver cercato di resistere, sul piano
intimo e profondo della sua vita, a una ben dissimulata porcheria,
di cui vorrei adesso fornire qualche dettaglio.
Non sono venuto qui, infatti, per declamarvi delle poesie,
ma per declamarvi semmai, e pubblicamente, una certa cosa,
quella certa cosa per cui hanno voluto tapparmi la bocca,
accusandomi, ogni volta che tentativo di gridarla, che ero pazzo
furioso, un delirante paranoico e megalomane.
C'era, nella mia schiena, uno sradicamento orrendo,
uno schiacciarsi orrendo di tendini e di ossa,
ma niente sangue, no. 0, a malapena, un filo -
un filo che vedevo venir giù lungo l'arco del mio collo
e che era il segno inoppugnabile che una lotta, una battaglia,
c'era stata. Ciò che successe, quel pomeriggio del 18 settembre 193
7, a Dublino, principiò dal semplice fatto che io portavo
un bastone, un bastone che tutta Parigi - il tout-Paris des
premières, sans doute - aveva potuto vedere, ammirare.
Un bastone istoriato di segni arcani, fatto di tredici nodi,
intrecciati tra loro da duecento venti milioni di fibre,
sormontato da un pomo di ferro, di cui io stesso avevo stabilito
la grandezza, e che io stesso avevo fatto incastonare da un fabbro
del quartiere del Pantheon a Parigi.
Questo bastone aveva la straordinaria proprietà di sprigionare
scintille e di generare fiamme, quando, con energia, ne battevo
la punta contro la terra, ai miei piedi.
 
Io dico che d'onore in giro non ce n'è più,
che la sodomizzazione è arrivata al massimo
del suo culmine nei confronti della coscienza.
L'abbassamento del livello del vocabolario, del resto,
è in stretto rapporto con il degradarsi del livello
morale, e della dignità del pensiero, della resistenza,
direi, della dignità del pensiero.
E, fra di noi, ci sono quelli consci di questo, consci della
loro coscienza, e che tuttavia accettano, per molto meno
dell'ormai fami-erato obolo dei trenta denari, di stare al
,áoco della sodomizzazione della coscienza, come ci sono
quelli che invece la rifiutano, rifiutano questo inculamento
uterino della loro interiorità, e lo rifiutano fino al punto
di bruciarsi l'anima dei piedi.
E' tempo, allora, di non parlare più di nessuna sanatoria
sui prezzi e sui salari. Ma semmai di sanatoria di coscienza,
dell'anatomia e della fisiologia della coscienza.
Tutti i più grossi pescecani del mercato nero,
sono anche i più grossi pescecani e ruffianie approfittatori
della magia al nero.
Non so perchè non è mai potuto essere solo questione d'essere,
o di lavorare alacremente a fuggirsene dall'essere, senza usare
quest'esercito, quest'orda, di parole-catene, di parole-torture,
questo capitolo mostruoso di suppliche e supplizi,
d'agonia, angoscia, soffocazione,
strangolamento, a fissia, inedia.
Ciò che è pericoloso nella gente non è la sua coscienza,
la coscienza sta là, le si può torcere perfino il collo,
come a una gallina,
è pericoloso ciò che la gente espelle, rimuove, rifiuta,
e dov'è che lo fa, dove? -
certo, non solo nel di fuori, ma soprattutto nel profondo,
profondissimo di sé stessa, nella sua coscienza ed incoscienza.
E lì che ogni pensiero represso si fa dubbio -
dubbio malevolo, animato dalla pura animosità dei sentimenti rifiutati.
E questo dubbio non è uno spirito, forse?
Spirito che ancora potrebbe tollerare idee senz'alcuna opacità, fosse pure quella
derivante da una superficie perfettamente trasparente?
Ma no! Lo spazio è pieno solo di corpi agitati.
1 corpuscoli indifferenti della luce del sole
non sono nulla, proprio nulla, al confronto della stomachevole densità materiale
di tutti questi corpi, i corpi.
 
Tutto ciò non è scientifico, si dice. Bene, allora vediamo cos'è
che è scientifico per loro.
È scentifico tutto ciò che obbedisce a questa vita da larve
di castrati che esigono che le cose siano sottomesse a una
legge e a un essere. Ma un essere lento, limaccioso, larvale,
lubrificante e, soprattutto, non epilettico, non sussultante,
perchè una cosa dev'essere chiara, una volta per tutte,
ed è questa: che, per la medicina e la scienza, l'epilessia
esiste solo in quanto crisi, in quanto malattia, ma noi vediamo
invece, che la vita stessa, fuori da quest'essere limaccioso,
a cui bisogna sottoporre tutto, come a una legge, senza norma, senza verbo,
senza discorso, incomprensibile e imprendibile.
La vita non è nulla e nulla vi è in essa tranne che i suoi
sobbalzi epilettoidi, i suoi tetanizzanti, eiaculatori sfori.
Io posseggo un bastone di legno durissimo, con un pomo in ferro,
e se lo scuoto, questo bastone, manderà fuori tutto il fuoco
del Popocatepètl, tutto il fuoco del Vesuvio.
E c'è una leggenda su questo bastone, che afferma che, prima di
essere stato il bastone di San Patrizio, esso è appartenuto a
Gesù Cristo, che lo piantò con le sue stesse mani.
Ma la verità è che non Gesù Cristo, ma io, io stesso, ho piantato
quel bastone, ora me ne rammento bene. E me ne ricordo, sotto sforzo
di dolore. Certi dolori te ne fanno ricordare altri.
Non c'è niente di meglio del dolore, per resuscitare, in qualche
modo, la memoria, per unificare meglio i ricordi tra loro.
Da un dolore all'altro, l'individualità più nascosta viene fuori,
si ricostituisce tutta, si fa persona. Il rosario dei miei dolori
non mi ha reso soltanto la memoria o i ricordi di un'unica
esistenza, ma di molteplici, incontabili vite svolte altrove.
Venni aggredito senza motivo da un mazziere, un provocatore,
in abiti civili, mandatomi addosso dalla polizia.
Mi sono girato senza sentir dolore e, a mia volta, ho aggredito
colui che mi doveva assassinare. Lui, però, non era solo, oh, no!
Attorno a lui, poco lontano, c'era un numero incredibile di
farabutti, che si gettarono all'unisono su di me, a un certo punto,
per tenermi fermo, impedirmi di difendermi.
La polizia in uniforme, invece, si schierò dalla mia parte.
Avevo visto che venivo picchiato, senza ragione, e giudicò giusto,
dunque, che avessi il diritto di replicare alle mazzate.
Ne venne fuori una rissa spaventosa.
 
In Irlanda, però, i fatti non si svolsero allo stesso modo.
Là, la polizia in uniforme, si mescola quasi sempre ai delinquenti,
ai "simi femers", così come la polizia in borghese è quasi tutta
alle dipendenze dell-intelligence service".
Come si sa, persino il capo della polizia irlandese è Inglese.
Mi venne in mente una storia, quella del bastone da me piantato
in un'altra vita, diversa da questa, e vita che io rivivo al termine
della mia presente esistenza, come quando, all'inizio di un anno
che comincia, trattengo il ricordo dell'anno che se ne va.
1946: tempo in cui, dopo nove anni d'isolamento, avvelenamento,
sequestro, elletrochoc, mess'al segreto e silenzio, ho finalmente
potere di parlare.
 
Ho dei ricordi, dunque, di quel pomeriggio al suo termine,
mentre ero in Galilea. Fu allora che mi venne l'idea d'un bastone
invincibile, da usare tanto contro la perfidia degli uomini
che contro quella derivante dagli eventi, che poi, in effetti,
è una sola ed unica perfidia, sempre dovuta alla calcolata meschinità
dei nostri consimili, anche quando sembra si tratti della sola natura
senza l'elemento umano, dell'universo puramente vegetale, minerale,
atomico, del cosmo, voglio dire, come senza cose e senza eventi.
E Gesù Cristo non fu affatto un uomo, ma, appunto, una sorta d'evento,
la forza-evento d'uno spirito incoercibile, da sempre desiderato
dagli uomini e da sempre annunciato nella tradizione giudaico-
cristiana. Smerdatoio senza pari, questo Gesù Cristo, un grande
bluff, che, però, anche per gli uomini d'oggi, possiede un'energia
decompositiva atomica, stillata giù dall'utero del reale,
dall'immensa matrice cosmica, dove il niente puro, il niente assoluto,
non ha parte a alcuna.
La mia voce non è quella di un altro. Non ci sono, al mondo,
due voci umane che si possano rassomigliare.
Non più di due corpi. Nemmeno due corpi che reagiscono
allo stesso modo di fronte allo stesso dolore, ci sono,
al mondo. Il dolore, il dolore è ciò che viene reso lama
dalla sua stessa intensità, intensità che nessuno sperimenta
mai come identica a sé stessa. Pensando a tutti i dolori del
mio corpo, e ritrovandone l'inconfondibile, inalienabile registro,
che tutti li sorregge, mi sono visto camminare strane strade
nello spazio di più vite. In Cina, in Persia, a Tebe, sulle Ande,
sulle rive dell'Atlantico, all'epoca dei Celti, e infine a Gerusalemme, Gerusalemme.
È Gerusalemme a custodire il ricordo di
quel pomeriggio al suo termine, mentre ero in Galilea.
Di fronte a cmà specie di piccolo deserto, io concepii l'idea
del bastone magico dal grande pomo in ferro.
Tralasciando la patafisica, io direi semplicemente che l'idea
di Cristo, ha fallito nel farsi umana materia, e dico anche che
c'era a Gerusalemme, in quei tempi, un certo numero di persone
protese, come lui, a credersene l'incarnazione. Non io, però, io no.
Io fui sempre senza Dio e nient'altro che un uomo, fui, un uomo
qualunque, e, allora come oggi, portavo il cognome d'Artaud e
il nome d'Antonin. E, spingendo oltre i miei ricordi, ho ritrovato
una cosa orrenda. Una delle cicatrici che io reco stilla schiena,
in corrispondenza simmetrica con la zona del cuore, è quella di
una coltellata infertami a Marsiglia nel 1916, davanti alla chiesa dei Riformati.
Allore ero sui vent'anni e noti avevo frequentazioni
d'alcun genere. Quella coltellata mi fece riflettere. Ne ricevetti
un'altra, nel 1928, in Rue de Martyrs, nel corso di una rissa,
più o meno surrealista, ma ora non so più se la ricevetti da un
poliziotto o da uno che era sulla nostra stessa barricata.
Il colpo di sbarra di ferro, invece, lo ebbi in Irlanda,
sul declinare di crepuscolo di un giorno di settembre
del 1937. Mi trovavo su una piazza di Dublino.
Sono stato aggredito sul battello che mi riportava dall'Irlanda,
nella mia stessa cabina, dallo steward e dal capo-macchinista,
che vi s'introdussero, con una chiave inglese enorme, in ghisa
e ferro, e il capo macchinista disse allo steward, mettendogli
la chiave in mano, "Shoot sce", che vuol dire, "Dai,colpiscilo",
e fu nel difendermi da loro, che tutto il battello fu messo
in allarme, finendo io, e non loro, in camicia di forza.
Tante volte ho pensato che questa lunga persecuzione di un semplice
uomo, da parte del destino malvagio, non veniva affatto, forse,
dal destino, malvagio o meno, bensì da parte degli uomini,
e non di tutti gli uomini, ma solo da parte di un gruppo
ben determinato di loro.
E questo gruppo ha nome d'Iniziati. Solo gli odii degli Iniziati
sono tanto ILinghi, così accaniti. Ma cosa ho fatto io a costoro?
Ho qualcosa da spartire con gli Iniziati, io?
E, soprattutto, cosa avevo da spartire, duemila anni fa a Gerusalemme,
quando venni messo in croce?
Perchè questa è la cosa orrenda, questa:
che ho finito per ricordare e per capire che io sono colui
che fu messo in croce, non sotto il nome di Gesù Cristo, però,
ma sotto quello di Artaud. E che sono stato messo in croce
per non aver voluto riconoscere quella stessa forza su cui fanno
perno tutti gli oscuri manipolatori d'uomini, da più di cento
secoli a questa parte.
Dalle loro perfide trincee ben dissimulate, bardati fino all'inverosimile
del loro falso spirito e della loro falsissima
coscienza, così come d'esoterismo e di scienza e di altri sozzissimi
inganni, io dico che sono costoro, costoro, che mai hanno
smesso di pensare di distruggermi, perché io, io solo, li ho smascherati tutti.
 
Antonin Artaud.
Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna