perchè adesso tutta la congiura non
crolli sotto il suo stesso
peso.
Sono stato accolto molto bene a Parigi
quando sono venuto fuori
dall'asilo di Rodez.
Non importa che vi ero stato chiuso nove
anni fa e che, per nove anni,
mi ci avevano internato per una sporca
storia di polizia,
che non è stata mai chiarita.
Non importa soprattutto che per i primi
tre anni del mio internamento
sia stato messo il segreto su di me,
dichiarandomi morto
a tutti gli amici che chiedevano notizie
della mia
salute, in tutti i manicomi che mi hanno
ospitato.
Lungo questi tre anni di sequestro e di
mess'al segreto,
io, Antonin Artaud, nato a Marsiglia, il 4
settembre 1896,
autore di cinque o sei libri di poesia,
attore di cinema e regista,
sono stato sistematicamente e giorno dopo
giorno avvelenato.
Ma non avvelenato da cattive notizie o da
visite inopportune,
non voglio dire avvelenato così come si
direbbe per eufemismo,
e cioè intossicato, no. Sono stato
avvelenato veramente, drogato,
costretto a ingoiare polveri venefiche
come uno di cui ci si vuole,
a tutti i costi, sbarazzare, e al riguardo
del quale le direzioni
dei manicomi, dentro cui mi trovavo,
ricevevano ogni giorno ordini
partiti da molto più in alto e molto più
lontano di quanto
comunementecisi aspetti.
Nel manicomio di Flavre, a forza di venire
avvelenato, pertutti i 17
giorni che vi rimasi, in cella
d'isolamento, camicia di forza,
i piedi legati strettamente alla branda,
non mi reggevo più sulle
gambe quando arrivai al manicomio di
Rouen.
E, un giorno che, alzandomi dalla branda
per andare al cesso,
crollai per terra, trovandomi poi
nell'incapacità assoluta
di rialzarmi, il capo-medico, che mi
faceva la posta, forse perchè
anche lui, come già il dottor Ferdière
di Rodez, aveva sentito delle voci,
il capo-medico, dicevo, m'accusò d'essere
un simulatore,
rimettendomi in cella d'isolamento,
camicia di forza, ma stavolta
completamente nudo, e su di un
pagliericcio, raso terra, dove marcii
per un mese.
Ho ricevuto una coltellata a Marsiglia nel
1916.
Sono caduto in uno stato bizzarro,
all'epoca della pubertà,
che nessun medico ha potuto mai capire
cosa fosse.
Questo stato è rivelato dal
"Pesa-Nervi", dall' "Ombelico dei
Limbi", dalla corrispondenza con
Rivière.
Sono stato assassinato in una piazza, la
notte dei Giudei,
creduto morto, sottoposto a
interrogatorio, avvelenato,
messo al segreto, instupidito
dall'elettrochoc.
Lo spirito cacciato dalle mie fibre è
nell'aria ed avvelena
tutte le polveri della terra, tutte le
pietre dove devo camminare.
Non voglio più essere indottrinato, non
voglio più essere indottrinato,
non voglio più essere indottrinato come
so che s'indrottrina
e mi si indottrina, come so che
sperdutamente una certa forma di
spirito reietto ancora continua
oscenamente a indottrinare questa
umanità, fisicamente e psichicamente,
anatomicamente e fisiologicamente, giacchè
non è certo con le filosofie, le
religioni, le metafisiche,
i sistemi, le teorie, che s'indottrina,
ma con il corpo e a mezzo
corpo.
Nulla sarebbe il puro spirito senza gli esseri
che cinfettano
con la pura indottrinante sostanza secreta
dalle larve in
decomposizione.
Dio ci ha preso Un giorno dall'increato,
è vero,
dal mai nato, ma, Dio andato, sono rimasti
esseri
che si credono puri spiriti,
e sono tali, l'ho già detto, perchè
furono sempre troppo informi
per arrivare ad essere uomini,
sicchè sono stati costretti a dimorare
"in spirito".
Ed è questo che ci ha sempre riempiti di
merda. Questo.
Cio che non ha mai potuto essere un corpo,
che fu troppo
vile per essere un corpo, per conquistarsi
un corpo,
per formarsi in e farsi un corpo, e che si
è proclamato anima
in quanto materia troppo molle per
divenire un corpo.
È questo. questo. Questo rifiuto dello
scheletro umano,
questo scarto della carcassa umana, è
stato questo che, un giorno,
dileguandosi, svanendo, ce lo siamo
ritrovati in un preteso empireo
a fondarvi la divinità. Questo fu.
Nient'altro che bava da nausea
del nulla, dei cacciati del nulla.
Sono morto a Rodez sotto un ellettrochoc.
Dico morto. Legalmente e clinicamente
morto.
I1 coma da ellettrochoc dura un quarto
d'ora,
mezz'ora e anche di più. Poi il malato
respira.
Bene. Io un'ora dopo lo choc, non mi ero
ancora svegliato
e avevo smesso di respirare.
Sorpreso dalla mia rigidità anormale, un
infermiere corse in cerca
del capo medico, il quale, dopo
auscultazione, non trovò più segno
di vita in me. Trattengo dei ricordi, io,
della mia morte, in quel
preciso istante, ma non è su di loro che
mi baso per esporre
l'argomento. Voglio attenermi strettamente
invece alle spiegazioni
che mi furono fornite al riguardo dal
dottor Jea Dequeker,
giovane assistente del manicomio di Rodez,
che le aveva apprese,
del resto, direttamente dal dottor
Ferdière. Fu, infatti, il dottor
Fredière stesso a dirgli che, quel giorno
lì, mi aveva creduto morto
e che aveva fatto già chiamare due
custodi del manicomio per ordinargli
di trasportare il mio corpo all'obitorio,
visto che, un'ora
e mezza dopo lo choc, non avevo ancora
ripreso i sensi.
Pare che fosse nel momento stesso in cui i
custodi entrarono
per portare via il mio corpo, che il mio
corpo si decise ad
esprimere un trasalimento minimo, dopo di
che, subitamente, rinvenni.
Io, però, conservo un altro ricordo della
cosa e questo ricordo l'ho tenuto sempre per me, e
segreto, fino al giorno in cui, il dottor Jean Dequcker
non mi confermò dall'esterno quanto io ricordavo.
C'è Che tutto ciò che il dottor Jean
Dequeker mi disse, io l'avevo già visto, e non dal lato
di questo mondo, bensì da quello dell'altro, pur
fisicamente essendo nel semplice stanzino in cui
l'ellettrochoc era stato praticato, sotto il suo
soffitto, sebbene di stanzino o soffitto, in quei momenti
lì, non avessi alcuna percezione.
Quello di cui avevo percezione era che, a
circa un metro al di sopra del mio corpo, si estendeva
nell'aria una specie di mongolfiera lenta, fluida, che
faceva la spola tra il mio corpo e ciò che dell'ambiente
lo sovrastava. Sono poi rientrato in me stesso,
esattamente come chi rientra dall'altro mondo, e, di
quest'altro mondo, io ripeto che ho dei ricordi. Ho
vagato sconvolto all'interno di un tempo indeterminato,
così come fa un insetto chiuso in gola, poi mi sono
sentito scoppiare, scaturire da un involucro steso
attorno alla mia spoglia, epperò senza giungere del
tutto a separarmi dal mio corpo.
Fluttuavo nell'aria, ma sempre legato a
qualcosa, come un palloncino trattenuto, e mi chiedevoda
quale parte andare e semmai il mio corpo m'avrebbe
seguito, in quanto ilmio corpo non era precisamente tutto
ciò che ero in quel momento; nulla era il mio corpo in
quelmomento, confrontato a quanto prima era stato
echeforse, maipiù, sarebbe tornato ad essere. Di certo
non scorderò mai, in alcuna vita futura possibile,
l'orribile passaggio attraverso lo sfintere, revulsivo e
asfittico, che la massa criminale degli esseri impone a
chi agonizza di provare, prima di ridargli libertà. Al
capezzale di un agonizzante, e me ne sono reso conto
allora, vi sono più di 10.000 esseri.
10.000, dico. L'intera umanità cosciente
di tutti gli esseri che non vogliono saperne di ridare
vita al morto, prima che questi abbia pagato il suo
pedaggio, pedaggio che è abbandono, totale cassoluto,
della propria pelle, perchèproprio quella pelle, pelle
inerte, l'essere non gli tornerà mai indietro.
Che ci può fare un morto della propria
pelle quando è morto, eh?
Quando mi venne l'idea cliquesto incontro
pubblico, d'organizzare cioè un faccia a faccia tra di
noi, e che ha luogo solo oggi, mi sono rivolto ad i-in
certo numero di giornali, chiedendo loro di darne
notizia. Non che io pensi che la vita vissuta di uno
dichiarato imbecille possa di gran che interessare la
gran massa della gente. La gran massa della gente, io lo
so, ha ben altri cacchi per la testa.
Socialmente parlando, io sono, in effetti,
un personaggio di taglia troppo piccola per avere il
diritto di sperare che gli avvenimenti capitali della
propria esistenza siano di natura tale da smuovere o
turbare la coscienza nel punto morto che occupa
attualmente. Non so, del resto, nemmeno esattamente di
che cosa si occupi o pre-occupi la coscienza, però, a
vedere le cose un po' più da vicino, ho l'impressione
che essa si occupi e preoccupi, prima di tutto, di
masticare e digerire la sua vecchia illusione di essere
nel mondo, senz'aver fatto mai niente, tranne che un bel
numero di porcherie, per suffragarla. Tutto ciò che la
coscienza chiede, forse, è che la si lasci incubare e
succubare in santa pace i suoi crimini sozzi.
Sono arrivato all'asilo di Havre con due
coltellate.
Non le avevo buscate ad Havre, no.
Ma erano là, sempre là, in cicatrici.
Vi sono arrivato anche con un colpo di
spranga in fronte,
se è per questo.
Ciò che noi vediamo non è per niente il
cosiddetto piano della vita.
Su quel piano lì non succede niente.
Quello che succede, succede altrimenti ed
altrove.
E ho finito per sapere dove.
Passeggiavo, quel giorno, tranquillamente,
per una delle strade
principale in città, quella che c'è nei
pressi dei pubblici
giardini.
E stato lì, lì, che fui aggredito alle
spalle da un uomo
di statura alquanto bassa, rosso di
capelli, un po' albino.
Ha tirato fuori all'improvviso un randello
di ferro -
lo portava nascosto sotto la giacca, lo
portava -
e con quello mha vibrato un colpo
terribile alla schiena.
Ho sentito in me la vita farsi in due ed
ebbi l'impressione
che l'anima e il corpo -
già!, credevo ancora, a quell'epoca, a
questi due elementi,
Fanima e il corpo -
non si sarebbero mai più, mai più
ricongiunti come prima.
La colonna vertebrale mi cedette e per
qualche giorno
non feci altro che tentare di far
constatare ai medici
quella micidiale incrinatura.
Là per là non ebbi che un'idea: non
morire, non andarmene,
non cadere a terra, non essendo spazzato
via, cadavere,
da quel luogo e spedito, magari, a uno
squallido obitorio,
non essendo costretto in una bara, non
andare sotto terra,
piegato come gli altri, come tutti, a
ritrovarsi in cenere.
I medici, causa di malattie, e i sapienti,
causa di cataclismi,
non hanno mai capito un cazzo della natura
anti-sensoriale,
anti-organica, anti-anatomica, ma soprattutto
anti-spirituale,
psichica, logica, o dialettica, della
vita.
E non si tratta di penetrare l'invisibile,
ma semplicemente d'accettare il visibile.
L'elettrochoc fattomi, non si produsse,
stavolta, allo stesso modo
delle altre due volte precedenti.
Stavolta sentivo che non
"passava".
E tutto il mio corpo elettrico interno,
tutta la menzogna del mio corpo elettrico
interno
fardello di ogni essere umano da un certo
numero di secoli
si rivoltò, divenne in me un immane
tornante di fiamma,
monadi del niente, erette al limite
d'un'esistenza trattenuta
all'interno del mio corpo di piombo,
che non poteva venir fuori dal suo piombo
nè rialzarsi,
su quel piombo, come un rigido soldato.
Non potevo essere più il mio corpo, non
volevo essere più
quel soffio, condannato a girare a morte
intorno ad esso,
fino alla consumazione estrema.
stordito e ripiegato su me stesso, fibra
su fibra,
mi sentivo soltanto l'orribile veicolo
d'una revulsione
tumultuosa e non sapevo quale vuoto
sospeso, con le sue lacune
nere, minvadeva, e non lo sapevo perché
io stesso
ero il vuoto, ero il sospeso. In quanto
all'anima, poi, altro non ero che tormento,
dato da mille soffocazioni.
La mia vita non è quella d'un grande
personaggio, ma quella
d'un uomo che ha sudato e cagato sangue
per dieci anni.
Che più di quanto è dovuto, e al di là
di quanto sia dovuto,
ha sudato e cagato sangue. Per dieci anni.
Lungo tutto questo tempo e più, io so di
essere andato,
per queste ragioni, al di là del dove
l'organismo, il corpo,
la coscienza umana solitamente vanno.
È una storia di dolori, e ci sono altre
storie di dolori, oltre
la mia, solo che la mia è decisamente
torbida, voglio dire che
è prodotta da una causa che il mondo e la
società di oggi
darebbero non so che pur di tenerla
nascosta. E solo a questo
titolo ha senso parlarne. Poiché ci sono
al mondo altri dolori
e altre soffocazioni, oltre i miei, e che pio di quanto
faccia io
forse detestano la realtà che li produce,
voglio, parlandone oggi,
far loro cenno e loro dire che, contro
questo mondo, io sono,
sì, io sono, tra quei paria della terra
che mai dimenticano
le sevizie subìte, e che non sopportano,
io non sopporto,
d'essere trattati, un solo giorno di più,
come carne da macello.
C'è una cosa che non ho mai smesso di
sentir fremere in me,
dacchè sono al mondo, e questa cosa è
l'idea di destino, l'idea
di sorte, inflitta dalla macchina, questa
infernale, perpetua, anonima
macchina, chiamata società, a tutti
quelli che non la pensano come lei,
e che, qui e là, attraverso, dopo, o
durante la storia, hanno tentato di
svelare i suoi complotti. E ne sono
crepati. Sono crepati prima
di poter dire di cosa e in che modo
soffrivano, fino a creparne.
Car, pas un, pármi tous ceux là, qui
n'ait prevu sa mort prochaine.
Je le sais, moi, je le sais, et vais le
dire maintenant.
Ho avuto per anni un eczema, un herpes
incoercibile ai testicoli.
Be' non c'è nulla da fare quando vi prude
troppo in quel posto lì.
Bisogna proprio grattarsi. E io mi gratto.
Voglio dire, cioè, chiaro e tondo
le cose come stanno.
E comincio col dite che la coscienza umana
è fatta oggetto,
da millenni, d'un vasto e incoercibile
affatturamento nelle
sue parti testicolari incrociate: milza
del coglione sinistro
e fegato di quell'a destra.
Un giorno,a Rodez, mi sono accorto che non
si andava tanto per il sottile, in questo senso, e che
gli scavatori dell'invisibile increato vangavano forte, e
non troppo lontano, dalla sacca del mio testicolo
sinistro. Avevo passato la notte tra terribili
fitte,coliche intestinali, mal di denti, crampi allo
stomaco, e tutto a partire da quel posto lì. Munito
dell'impavido candore da cui, bisogna crederlo, nove anni
d'internamento non mi avevano ancora svezzato, vadoa
trovareil dottor Ferdière, per rivelargli l'ignobile
sozzeria dicui venivo fatto oggetto. Dopo 31 anni
chebazzico l'occulto, ho finito per saperne qualcosa
anch'io, e dico dunque, per esperienza diretta, cheun
occulto in quanto tale non c'è, e che al centro di
questa assenza OPERATORIA d'occulto non vi sono nè
spiriti nè demoni, ma solo uomini che, lungamente e
minuziosamente, hanno appreso a comportarsi proprio da
carogne.
Per questo manipolo di uomini-carogne le
manovre di succubato e incubato hanno rappresentato
sempre qualcosa di banale, una specie di bazzecola, per
loro altrettanto facile e consueto, da fare, quanto per
altri lo è farsi la permanente, un massaggio, lo shampo
dei capelli, un pediluvio. Se la medicina questo non lo
sa, è soltanto perché è ignorante.
Su questo, come su altri punti. Oppure la
sua ignoranza è generata dalla sua profonda fobia
dell'occulto e di tutto ciò che gli è affine. In ogni
modo, ignoranza o fobia, questo atte-iamento non la mette
in grado di capire appieno le malattie.
L'organismo umano non è affatto qualcosa
che si altera, se non c'è, prima di tutto e di fatto,
qualcosa che oggettivamente si dà da fare per alterarlo
e questo darsi da fare avviene attraverso un'azione
mirata e ben localizzata.
Gli affatturamenti esistono perché li ho
visti e ne ho parlato.
E, allo stato attuale delle cose,
l'affatturamento è più reale della realtà.
Ne è piena l'aria di questi corpi
rigettati a immagine loro,
e se la coscienza di ognuno non li vede è
perché è accecata.
Non è necessario essere allucinati o
deliranti per identificare
nell'aria una larva, la scheletratura d'un
cattivo sentimento.
I sentimenti puri, le idee pure, non
esistono, l'ho già detto.
Hanno bisogno di un corpo, sono dei corpi,
con una forza delimitata,
una densità delimitata e una coesione,
più o meno, decisa.
E così, se fui tanto candido da andare
adire al dottor Ferdière che per me gli affatturamenti
erano reali, non lo fui però al punto tale da credere
che potevo dimostrarglielo.
Certo, le piaghe che portavo sul corpo e
nel profondo della mia sensibilità, entrambi sconvolti
dalla notte precedente, avrebbero potuto, a loro modo,
esserne una prova, ma il dottor Ferdière, quel giorno
lì, ebbe modo di mostrarsi nella sua disonestà più rivoltante,
quando, troncandomi il discorso sulle labbra, senza
lasciarmi il tempo di proseguire o di sviluppare la mia
convinzione, mi rispose, in tono draconiano, che non
sicuramente, ma sicurissimamente, l'occulto non esisteva,
che di questo era stata fatta, e ben fatta, la prova
scientifica, che mai, dacchè mondo era mondo, si era
potuto dimostrare il contrario, e che vedeva bene, da
quanto dicevo, che ero stato riafferrato dal delirio, e
che, poiché il delirio rincrudeliva, si vedeva purtroppo
costretto a riprendere immediatamente il trattamento con
gli elettrochoc, e, più in là, quello a base
d'insulina, allo scopo di guarirmi e riscattarmi dalle
idee fisse.
lo fui così stomacato da questa uscita,
che rimasi, di colpo, a bocc'aperta, e non feci più
parola, avendo per di più, se ve ne fosse stato ancora
bisogno, la prova ulteriore dell'esistenza degli
affatturamenti, la cui spia, per me, faceva capolino
proprio dalla massa violenta d'energia d'accusa con cui
il dottor Ferdière s'era messo a contrastare il mio
discorso. Solo l'occulto, infatti, può così
protervamente alzare il tono e dire: lo non esisto e tu
per forza ci tieni a sostenere che io esisto. No. Non
avendo più, di fronte a me, il dottor Ferdière, ma una
specie di megafono-portavoce di tutta l'ignobile e
infernale orda che da cinquant'anni mi perseguita e, da
nove circa, mi trattiene al fondo della melma degli
ospizi per i pazzi.
Dove porsi e da dove uscire, ecco, ecco il
solo ed unico pensiero
che tenevo palpitante nella gola, nella
gola imprigionata,
soffocata.
Né dall'anima, né dallo spirito, né
dall'anima né dallo spirito,
mi rinfacciava, passando, ogni banco di
fuliggine corporea,
ogni pulsazione.
Di certo non scorderò mai, in alcuna vita
futura possibile, l'orribile
passaggio attraverso lo sfintere,
revulsivo e asfittico, che la massa
criminale degli esseri impone a chi
agonizza di provare.
Dove porsi e da dove uscire, e questo,
questo è il mondo che hai
davanti, questo.
E il corpo che resterà, il corpo. Ma
senza spirito.
Senza spirito. Lo spirito è malato.
Peccato solo che alcun morto, tranne me,
sia poi tornato, come me,
a confermare questa cosa. Che i morti,
appunto, in generale, non tornano,
non tornano, no.
A forza di girare e rigirare attorno al
problema, i ricordi mi sono affiorati, che vanno oltre
ogni limite possibile, e che mi hanno sì fortemente
respinto nelle mie vite anteriori a questa, da non poter
più dubitare d'averle vissute realmente, e che sono
stato io, io, Antonin Artaud, e non un altro, ad averle
vissute.
Mi sono rivisto con un bastone in mano in
Cina, mentre innumerevoli donne camminavano al mio
fianco, ed avevano andature da soldati, non da donne. Il
mio bastone senza posa batteva il suolo e, a tratti, la
terra s'apriva, poi si richiudeva, come una medusa che
ritira i suoi tentacoli all'interno, con lo stesso fare
lento dell'eternità.
Le donne gridavano e m'insultavano e
ognuna di quelle che mi insultavano diveniva un uomo a
forza di allontanarsi da me.
Mi sono rivisto sulle frontiere della
Persia e dappertutto la terra
si contorceva e strisciava come un rettile
proteso all'ossificazione.
Mi sono rivisto presso gli Incas, ma non
da re, anzi.
Indossavo solo un grezzo pantalone di tela
grigia
e mi chiedevo che avrei fatto di me in
mezzo alla
ribellione universale. Mi rivedo
soprattutto in Giudea,
in un tempo indefinito, e c'è un ricordo
sugli altri a farsi avanti,
quello di un uomo che viene flagellato in
una stanza spalancata
sopra la campagna soleggiata. Su
quest'uomo si sfoga tutta la malignità
universale. Di che, si sfoga? Del crimine
di non rassomigliare
che a me stesso, quando tutti si
presentano rassomiglianti a tutti,
e questo è uno.
lo ti schiaffeggio, mi dice una sguattera,
perchè tu non ridi,
come faccio io, lorsque les hommes parlent
de ça.
Il faut rire de haut en bas - et que
s'ouvre quand ori fait ça.
E io, mi dice un altro, io, bé io ho per
te una cosetta,
e mi rifila un colpo alla mascella destra.
Ma il più delle volte mi rivedo su una
specie di sozza collinetta,
calva collinetta, disseminata in lungo e
in largo di carogne,
gatti morti, e che viene definita il
Golgotha.
Vi fui portato a forza, ora lo so anche
troppo bene perchè,
ma, all'epoca, non lo sapevo affatto così
chiaramente come lo so ora.
Credevo ancora che si trattasse di un
errore, a quel tempo,
e che un miracolo si sarebbe prodotto,
evitandomi così supplizi
e morte. E si produsse, certo, il
miracolo, ma quando già ero crepato,
ed è da crepato che conservo i ricordi
migliori.
La postura coricata, e nessuno sa perchè,
attira meglio i demoni.
Quando i soldati entrarono in Gerusalemme,
io mi battei fino a
mezzogiorno e stavo per avere la vittoria,
lorsque la lumière
recula et la nuit se refit comme s'il ne
s'etait passé que
demi-heure. Invece, erano trascorse almeno
14 ore.
E così che mi si è fatto passare per
imbecille dall'anima disonesta del dottor Ferdière: per
aver avuto il candore di toccare, lui presente, quel
punto, laddove tutti i medici degli ospizi dentro cui
fin'allora ero stato, pur essendo anche loro tutti dei
mascalzoni, avevano avuto almeno ilbuon senso di capire
che c'era, nel mio caso, qualcosa di bizzarro, che non ha
null'a che vedere con la pazzia o con un disordine
qualunque del cervello. Semmai è qualcosa che mette a
nudo, sotto il farsesco e sacrosanto telone della
società, le brutture e le violenze commesse dietro il
sipario.
La questione allora di fare o di non fare
dell'occultismo pubblico, non si pone nemmeno, dal
momento che è da tempo, ormai, che l'occultismo ha
superato anche il comune pudore pubblico e, nel
cosiddetto pubblico, non si sa più dove trovare un
sentimento, una condizione, un principio, un solo
principio, dico, che siano viventi, voglio dire
autentici, cioè nonpremeditati, non segreti, non sacri,
non consacrati, non rimossi. Perchè, quel che è certo,
è che una rimozione esiste.
E, io, per parte mia, ho sempre sostenuto
che nessuna amministrazione o polizia della terra ha mai
potuto e potrà mai esercitare efficaci mezzi di
controllo contro questo stesso occulto.
In primo luogo, perché non vi ci si
crede, e in secondo luogo perché è questo stess'occulto
a generare le forze di controllo e dunque esse satimo lì
proprio per internare, imprigionare, avvelenare,
incarcerare, mettere al segreto e sotto elettrochoc gli
indomiti ribelli che, come me, pensano che vada male,
molto male. Lo spirito pubblico, bah! Lo spirito pubblico
è il bue del pensiero, è proprio un bue davanti al
pensiero, e in quanto bue è anche vacca, spaventosamente
e irreversibilmente vacca, di fronte a tutto ciò che
può rassomigliare a un tentativo di pensiero, e un
tentativo di pensiero è
appunto cercare di guardare un
po'più in là della punta del proprio naso.
Ma se si va un po' più in là della punta
del proprio naso, allora ecco che la sacrosanta
massapubblica,la sacrosanta massapubblica fattadibuoi e
di vacche del pensiero, messi proprio come buoi e come
vacche davanti al pensiero, e che si è pomposamente
autodefinita società, ecco che si dà da fare per
spezzarci il movimento.
E fino ad oggi c'è riuscita pienamente, e
c'è riuscita perchè tutti i mezzi di controllo e di
coercizione che essa dovrebbe rivolgere contro l'occulto,
passati invece in mano all'insondabile, incatturabile
manipolo dei suoi guardiani di prigione, bagni penali,
confessionali, tribunali, manicomi, vengono rivolti
contro tutti quelli che, come ho fatto io, hanno avuto
l'ardire di toccare e sollevare un lembo di quel velo,
velo che nasconde ciò che questa vita è, e,
soprattutto, ciò che di essa, miserabilmente, è stato
fatto.
L'uomo se le deve conquistare le sue ossa
ed è fatica dura cercare di strappare le sue ossa al
nulla. lo, certo, non so, cos'è successo al nulla e
dentro il nulla, o, se lo so, non posso dirlo senza
ingaggiare battaglia, e quando vogliono, con quelli che
dal nulla mai sono venuti fuori e che, pertanto,
continuano a imbrattarci della loro merda. Esseri,
costoro, che non hanno mai avuto nulla a che spartire con
questa terra e che mai hanno vissuto dentro l'ossa con
cui si è costruito l'uomo di questa terra - ossa che
derivano dalle mutilazioni, dalla guerra, dalla carestia,
le epidemie, blenorragia, sifilide, nonché dalle
paralisi e la tabe.
L'uomo di questa terra, in breve, s'è
formato con la sofferenza,
e io credo che tutto questo abbia finito
col dargli una sorta
di sapere, un sapere che sa che non c'è
stata mai scienza,
mai morale, mai filosofia, mai religione,
mai essere, mai esistenza,
mai parola, mai silenzio -
un silenzio dove si possa essere muti in
santa pace, fuori,
al di fuori di tutti gli spazi vocianti -
abitati -
e questo perchè non c'è nulla, proprio
nulla che si possa nominare.
Le cose non hanno nome ne si può dare un
nome alle cose,
senza essere immediatamente cornuti e
mazziati.
Comeche sia,mipareche lastoria di uno
sconosciuto arbitrariamente internato inseguito a un
banale fatto di polizia, e, altrettanto arbitrariamente
mantenuto, per nove anni, dentro un manicomio, avrebbe,
qui e là, di che far drizzare le orecchie a A-In bel po'
di gente, quando si chiarisca meglio di che tipo di fatto
di polizia stiamo parlando.
Sono certo cheparecchi spiritieletti
trarrannoun divertimento sottilequando gli dirò che la
suddetta mia storia d'arbitrario internamento,
romanzescamente, si complicò, già ai suoi inizi, con
ben tre anni d'avvelenamento, 3 anni durante i quali fui
messo al segreto e sistematicamente tagliato fuori da
tutti i legami che potevo avere col mondo. Agli amici e
ai parenti, infatti, che venivano a chiedere notizie
della mia salute, si faceva rispondere loro, che io,
Anton i n Artaud, nato a Marsiglia, il 4 settembre 1896,
ero già bell'e crepato. lo sento in me, troppo dentro di
me, da trenta anni che scrivo, l'afasia di Baudelaire, il
delirium tremens d'Edgar Poe, l'oscillare della corda con
cui s'impiccò Gerard de Nerval, per non finire
coll'avere una percezione molto netta delle infami
circostanze che determinarono la loro morte. Ognuno di
loro aveva, qua e là, qualche amico, così come qualche
amico ho io, solo la vita non è stata loro amica; a
loro, la vita, è stata decisamente nemica. Così come a
me, sotto questa società, sotto le sue istituzioni, i
suoi complotti, è la Vita, la vita ad essermi nemica.
E che mi è nemica, l'ho dedotto dalla
conoscenza diretta che ne ho fatto. Dell'Immus stillante
sangue e violenza, stupri, di cui essa è intrisa. E io,
uomo, dalla mia nascita alla morte, non posseggo che
questo: vita intrisa di sangue, violenza, stupri. Vita
che è Vita, così com'è voluta dalla società, dai suoi
complotti.
Violenza, coscientemente e abbiettamente,
generata e costruita dalla violenza.
Tante Volte la vita è stata fatta a
pezzi, sì, e le cose stesse non si sono più ritrovate
come
erano prima. l'rima del 1934.
Questo lo si è dimenticato. Non bisogna
farsi mai mettere dentro alla bara.
Ecco esattamente quello che io ebbi il
candore di andare a dire al dottor Ferdière, capomedico
del manicomio di Rodez, un giorno della fine di febbraio
del 1946. Ciò che sta al fondo delFocculto è quella
parola-tabù, oggi passata di moda, attorno alla quale io
giro e rigiro senza decidermi ad emetterla, a dirla,
dacché ho iniziato il presente soliloquio sugli
avvenimenti capitali della mia esistenza. Questa parola,
senza più corso al giorno d'oggi, fa un po'da asse
portante a tutta la mia vicenda, poichè quel losco
affare di polizia capitatomi, tramutatosi poi in Vicenda
d'internarnento arbitrario, perpetrato per ben nove anni
e, per tre di questi, complicato dal mess'al segreto,
avvelenamento, aggressione, assassinio, non è affatto Un
losco affare di polizia qualunque, al contrario. Esso,
semmai, somiglia a ciò che tra cinquant'anni (ammesso e
non concesso che tra cinquant'anninon si abbia tanto
terrore dei fatti e delle parole, come oggi), tra
cinquant'anni, d icevo, si chiamerebbe affare
d'affatturamento, sortilegio nero, maleficio. Ed è
curioso constatare che ciò che sembra non avere più
corso né credito oggi, Vada però a coincidere con un
momento, qual'è quello attuale, in coi il mondo ci
appare completamente sottomesso al dominio dell'antica e
tradizionale magia.
In nessuna epoca, più dell'epoca che vi\
iamo, lo strapotere dell'occulto ha avuto maggiore presa
sulla disarmata, sconvolta coscienza dell'uomo, secondo
me. E se l'uorno
non lo riconosce e se ne ride, se tanto
sfacciatamente dichiara che nessun occulto esiste o ci
sfiora, ciò accade perché proprio l'occulto gli ha
rosicchiato scienza e coscienza, gli
ha anzi,percosì dire, come fissatoc
inchiodato dentro, a blocchi, inamovibili, inerti, quel
po' di dinamica sostanza, fatta di lucidità e di acume,
che sola poteva dimostrargli che
l'occulto esiste ed agisce, eccorne!,
nonché indicargli in quale ignobile maniera lo fa, e
maniera tale, sia detto per inciso, da non lasciare più
attorno alcuna creatura umana che
sia in grado di capirlo e riconoscerlo.
Ma chi è che non vede le Vibrazioni del
sole?
Chi è che si sognerebbe d'accusare che le
vede dalluci n azione folle
e delirio ?
L'uomo, dico io. L'uorno. Perchè proprio
l'uomo non le ha sempre viste,
è, stato l'uomo ad accusare di
allucinazione folle e delirio il primo
che le ha percepite e notate nell'aria.
Gli atonii, lo sappiamo, sono tiri mondo
morto e sotterrato, oggi.
Mondo morto e sotterrato che non tiene a
dirci niente, niente più.
Però v'è dell'altro, oltre gli atomi.
1 pensieri non usati, per esempio. Dove
vanno a finire mai
tutti i pensieri non usati? Mi ci sono
abituato a vederli, io, sapete,
e quest'abitudine mha dato un eccellente
concetto dell'occulto,
où je ne peux voir autre chose que le
lavatory, la charribre à partouzes,
la tranchée, la latrine publique, ed è
forse proprio quest'abitudine
bizzarra ciò che mi spinge a dire qui
tante stronzate, stronzate che,
invece, a voi, Voi gli uomini, non vi
toccano mai.
Voi, Voi
siete tutti spiriti, ve lo giocate
molto bene il ruolo
di spiriti, voi. Voi che m'opprimete,
melliflui, con inchini e complimenti, quando,
sotto légida d'André Breton, vengo a
tenervi qui accademici discorsi, che tanto
accademicamente domandate, fa ccia di
ma che poi quella tal sera che mi
trascinavo per i viali,
al colmo di un'insensatezza disperata,
siete stati i primi
a erigervi contro di me, in tutta la
vostra stazza di coscienza
ignominosa. Le ho viste bene, allora, le
Vostre facce murate,
le ho Viste bene, sì. Sopra il
grattacielo e il ponte si stagliavano,
anzi, più in alto, molto più in alto
della Via Làttea in cielo.
E in Voi,
nelle vostre stesse facce murate,
ho visto l'orda, la folla
d'esi-enze e divieti, comunemente detta La
Società, e la vostra Società
ini diceva: tu, dammi questo e questo, e
poi questo e poi ancora questo,
e Vattene, non c'è nulla per te, nulla.
Sul piano reale ti risparmiano, non siamo
ancora all'assassinio,
che ti credi? ma verrà, verrà anche
quello, perchè la società è questo
e questo, non certo ciò che sei tu. Sì,
predica di lato, predica a fianco,
Ricordai al dottor Ferdière che ero stato
in Messico e che avevo scalato la montagna a cavallo, per
sedici giorni, proprio per andare incerca d'una razza
d'Indiani-stregoni che vivono a seimila metri d'altezza,
che li avevo infine trovati, ma che avevo sofferto là
sopra di malefici innumerevoli per ben 28 giorni, e che
di tutto questo, avevo parlato a lungo in un mio
libricino intitolato "Viaggio al paese dei
Tarahumara". Gli ricordai che già in quell'opera io
dichiaravo d'essere stato stregato, affatturato, ma egli,
senza scomporsi, mi disse, "No, Voi non siete
affatto stato stregato presso quegli indiani, è solo il
vostro delirio a farvelo credere ancora, VUOI dire che
scriverò al vostro amico jean Paulhan per informarlo che
vi sottoporrò a un nuovo trattamento
d'elettrochoc".
"Corne? - gli risposi io - Voi avete
pur letto quel libro, dite che lo tenete nella vostra,
biblioteca come uno dei migliori libri mai scritti in
francese, e ora affermate che volete curarmi per averlo
scritto?" "Già! - fece lui di rimando- Io sono
qui infatti per correggere il tiro della vostra
poesia". A questo punto, io mi alzai. In questi
casi, non è questione d'incoscienza o di chi sa che
altro. In questi casi, è semplicemente e puramente
questione di farabuttaggine. Di fronte a una così
torbida e cattiva coscienza, non c'è, a mioavviso, che
una sola risposta da dare, ed è: io ti scanno. Sì,
bisogna scannargli la gola a tutti quelli che fanno
malefici ed affatturamenti, e il dottor Ferdière,
davanti a me, in quel momento, altro non era che Lin
fattucchiere, Lui affatturatore, un mago nero.
E c'è da dire che, in altre occasioni,
non sono andato tanto per il sottile io, quando s'è
trattato di menar le mani. Su quella piazza di Dublino,
per esempio, alla fine del settembre 1937, non persi
certo tempo a far fuori una dozzina di poliziotti; e
sempre a Dublino, ma sotto il carcere, quando spaccai la
faccia a quell'agente della "Sureté"; per non
parlare di ciò che successe sul "Washington",
dove spaccai la testa, a colpi di mazza, allo steward e
al capo macchinista che erano scesi giu in cabina, da
i-ne, per spaccarmi, loro, la capoccia con una bella
chiave inglese. Però, quel giorno lì, confesso che
dinnanzi al dottor Ferdière mi trovai come paralizzato.
Tre anni di mess'al segreto, cinque anni d'avvelenamento
sistematico e due anni d'elettrochoc, intervallati da
cinquanta staticoma, riducono chiunque a non essere Più
Lin uomo, dopo che si son vissuti, quest'è il fatto.
Se ho voluto raccontare la storia della
mia vita davanti a tutti, e per tutti riviverla, qui,
anche negli atti e nei suoi fatti minuti, non è certo a
CaLisa di tutto ciò che la mia vita può contenere
d'anormale, insolito, sconcertante e persino esorbitante,
ma semmai perchè penso che altri, oltre me, hanno
sentito acquattarsi in loro la bestia, la stessa
inappagata e fremente bestia, che non può più
rimandare, adesso, il giusto momento d'inspirare e
scattare, così come ogni bestia fa, e che agirà su
piani e con maniere illecite, proibite, giacchè in piani
e maniere illecite, proibite è stata sempre relegata -
illecito-proibito costruito totalmente dall'uomo ma che
è illecito-proibito d ire o riconoscere quanta parte vi
abbia la sua nascosta mai-io, ancora oggi.
Io ho avuto sul teatro un certo numero
d'idee che hanno interessato
un qualche migliaio di persone sulla
terra, ma che la gran massa
del pubblico respinge e che sembra
intenzionata a respingere
sempre più in maniera crescente.
Forse perchè ne ha intuito il pericolo, e
non tanto per il teatro
in quanto tale ma per la sua costituzione
in Società.
Il Teatro della Crudeltà non è stato
possibile perchè la sua
esistenza presuppone la scomparsa di un
elemento su cui riposano
i fondamenti stessi di ciò che viene
definita Società.
Io non so perché, e a partire da che, gli
uomini hanno smesso di pensare
di poter vivere senza un governo, ti n'amministrazione
pubblica,
una polizia, una religione, una
burocrazia, una scienza, un esercito.
O, piuttosto, penso di saperlo anche
troppo bene. Questa convinzione
risale all'ultimo tentativo autentico di
Teatro che è stato fatto
in Grecia, un po' prima di Eschilo, in
quell'anstorico periodo
della vita dei Greci in cui ciò che si
poneva al di sopra di tutto,
ciò che era iii cima al tutto, era il
Teatro, ma un Teatro in cui si
faceva cadere teste a migliaia...
Ho notato una cosa bizzarra, anormale,
strana, che nessuno ha mai
voluto né vorrà mai confessare, perchè,
a impedire questa confessione,
ci sono parole d'ordine, barriere
insormontabili, interdetti terribili
e segreti: noi non siamo altro che pupazzi
manovrati, e quelli che
manovrano e dirigono i fili di questa
lurida burattinata, fanno affidamento soprattutto,
dico: soprattutto, sull'amor proprio
inveterato
di ciascuno di noi. È l'amor proprio che
da a ciascuno di noi
l'illusione di crederci liberi ed è
sempre lo stesso amor proprio
a impedirci di confessare e riconoscere,
onestamente e sinceramente,
che non lo siamo affatto. Siamo tiri mondo
di automi, senza coscienza, d'ingannevole
incollati a bella posta su dei corpi.
Siamo pertanto corpi montati
su un bel nulla. Una specie di nulla senza
misura, senza limite,
senza spazio, senza linee. E quale linea
mai potrebbe solcare il
nulla, ditemi? E che sarebbe mai lo spazio
del nulla, o, inversamente,
di quale nulla potrebbe mai essere fatto
lo spazio?
Potrebbe mai il nulla essere centro o
linea dello spazio,
quando lo spazio è il nulla stesso, il
nulla stesso è spazio,
purissima illusione suprema che
disarticola il reale?
Espalion.
Storia d'alcolisini e di arresti.
Espalion: glielettrochoc.
I tre anni di mess'al segreto.
I cinque mesi d'avvelenamento.
Dublino, il bastone magico.
Il colpo di sbarra in fronte,
le due coltellate,
la congiura degli Iniziati,
la questione del mio affatturamento.
Dunque, il dottor Ferdière sapeva per
esperienza non solo che l'occulto esiste e che esistono
parimenti le fatture, perchéera stato dall'occulto
contattato, e perchè conosceva il contenuto della mia
lettera segreta ad Henri Parisot, ma sapeva soprattutto
che il mio caso era un caso d'internamento arbitrario,
ingiusto, un sinistro caso d'affatturamento. Che non
avesse riconosciuto a colpo d'occhio che vi fossero
contro di me forze negative e tanto ostili da farmi
trattenereper nove annibuoni alla stregua di un
prigioniero, io non lo credo probabile. Credo invece
certissimo che sapesse che, in quanto non sorvegliato
interno, era permesso a certi affatturamenti
d'esercitarsi sul sottoscritto con il massimo
d'efficacia, così com'ècertissimo che sapessepure degli
andirivieni strani, delle anormali manovre, che si
svolgevano a me attorno.
E sono certissimo che lo sapesse perchè
li aveva visti.
Espalion. Regione del Lot.
Piccola città di 5.200 abitanti, con i
due molari
di rovine di un castello come sospese alle
gengive del cielo.
Non è letteratura, questa, ma semmai la
storia di un osso smarrito e da me stesso ritrovato e a
contatto del quale è stato il destino improvvisamente a
rimettermici. Per tutte le tre settimane, tra marzo e
aprile, trascorse a Espalion, non un istante ho smesso
d'avere l'impressione d'essere a contatto con uno degli
elementi più preziosi del mio corpo; la medesima
impressione che ebbi, del resto, quando ritornai in
possesso del bastone, il famoso bastone magico, da me
smarrito un tempo.
È a Espalion che risale la porcheria,
l'ultima in ordine di tempo, che mi è stata fatta dalla
Società. Porcheria fattami, certo, dalle istituzioni
insopportabili, ma ispirata prima di tutto da una
persona, da un uomo, il dottor Ferdière, capo-medico o
primario del manicomio di Rodez. Un poeta alcolizzato era
passato, una volta, per Rodez, e allora il dottor
Ferdière mi disse: 'To mando a Espalion. Voi lo
raggiungerete e gli impedirete di bere. Voglio farvi una
confidenza. Quest'uscita sarà per voi una presa di
contatto con l'esterno. Scenderete all'Hotel Berthier
dove si cucinano eccellenti trote. Vi concedo un permesso
di otto giorni, ma telefonatemi tra una settimana,
chissà che non ve lo rirmovi..."
Così, ho pensato di dirlo nel luglio
scorso che sono io l'uomo del Golgotha, che però non mi
chiamo Gesu Cristo, ma Artaud, che ho sempre, anzi,
detestato il Cristo, e cioè l'idea di un Dio disceso
fino all'uomo e fattosiuomo,che sono ateo, ateo, che ho
preteso, sempre e solo, di essere un uomo, un uomo, nulla
più, e che si deve credere che il mio corpo d'uomo, di
null'altro che uomo, mi è sempre mancato dacchè me ne
hanno espropriato, e che questi miei non sono affatto
ricordi di prima del diluvio, ma ricordi di questa vita
qui, e che quelli che mi hannoespropriato di corpo e
divita non son'altroche un manipolo di porci, porci e
troie, porci e troie, uomini-porci e femmine-troie di
quest'Europa e di quest'Asia qui, porci e troie che negli
stupidi manuali d'occultismo vengono chiamati giustamente
succhiatrici e vampiri e succubi e incubi in quelli
dedicati alla teologia, ma quel che sono-sono, voglio
dirvi che so che stanno tutti sul mio corpo, e certamente
in certe parti intime e inconfessabili di esso, ci
stanno, ed è lì che si danno da fare.
Di conseguenza, se la medicina fosse stata
intelligente,
voglio dire fosse stata onesta e corretta,
invece di farmi
avvelenare, sottopormi a elettrochoc,
minacciarmi d'insulinoterapia,
si sarebbe sforzata da sè a cercare di
capire quel
che io andavo denunciando intorno alla
faccenda.
Ma la medicina non l'ha mai fatto e non ha
potuto farlo mai
in quanto che, allo stesso modo in cui,
ogni onest'uomo, di questi
tempi, viene posseduto da un incubo o da
un succubo, così ogni
medico, ogni prete, ogni sapiente, ogni
pedagogo, ai giorni che
viviamo, è l'incubo o succubo abitante
d'un corpo umano,
da lui stesso imbavagliato, piegato,
malmenato e seviziato.
E questo fa riflettere, E vi ho
riflettuto.
È così che si compie quel certo numero
di porcherie
di cui parlo. Così.
M'imbarcai dunque per Espalion. P un paese
di zingari, Espalion, e anche se di zingari non serie
vedono più, è possibile, tuttavia, scorgercancora
qualcosa di zingaresco,lungo il corso dei Lot: una
dozzina di sozze baracche fatiscenti, fatte con assi di
legno, bacinelle arrugginite, pezzicli carri armati,
fianchi di cannoni e di carrozze adibiti a travatura,
ogni tipodi carcassa ridotta a ferro vecchio, eche, a
vederle, mi diedero subito un'impressione bizzarra,
quella, direi, di i-in elemento alchemico, in esse, più
che chimico, d'alchemico sotterraneo ecco. Non so se
questo elemento sotterraneo fu la causa determinante
della porcheria che mi fece abbandonare Espalion, penso
però che vi ebbe certamente parte. Le cose ribollono
cento secoli sotto terra, sapete, poi esplodono.
Le fatture fanno esattamente così.
Sono stato aggredito su un battello solo
per essermi difeso.
Sono stato messo in camicia di forza,
internato come un criminale per nove anni. La vicenda di
uno scrittore, sano di spirito, sequestrato e incarcerato
per nove anni, è senza importanza, lo so, non può interessare
che quei rari estimatori delle mie opere, che non sono,
per l'appunto, una legione, e quando ho voluto annunciare
sui giornali l'incontro con voi che avviene oggi,
affinchè tutti quelli capaci di intendere, ne fossero
coinvolti, beh, mi è stato risposto che non ne valeva la
pena.
Non ne valeva la pena, già! Così m'ha
risposto il giornale 'Combat' , così m'ha risposto
'juin'.
Io non mi sono mai preso sul serio, non mi
sono mai creduto
un personaggio, io. Però, riflettendo sul
miocaso da trent'anni,
mi è sembrato emblematico di qualcosa che
va oltre il mero dato
individuale, la vita mia, e che spiega il
male presente, male, che neppure la mia spiegazione,
forse...
Al Messico. Già quando ero in Messico, mi
sono reso visivamente
conto che qualcosa non andava.
Un dolore e una sofferenza individuale, in
realtà, no,
non valgono mai socialmente la pena
d'essere apprezzati.
Così, dunque, il dottor Ferdière sapeva
per esperienza che
l'occulto esiste e che esistono parimenti
le fatture.
Se allora, egli, un mese dopo, con me,
negava l'esistenza
dell'uno e delle altre, ciò accadeva
perchè egli riceveva
ordini in tal senso dall'occulto stesso.
Il dottor Ferdière ha sempre praticato la
magia.
Ne è sempre stato al corrente.
Non ha sopportato perciò più di tanto di
vedere in me
una specie di pericoloso concorrente,
sebbene l'occulto
sia sempre stato mio nemico dichiarato.
Sachant affaire-envoutements, il etait
passé du coté
des envouteurs. Lui, le docteur
Ferdière-merde.
C'è stato sempre molto sangue nella mia
vita.
Ma tutti l'hanno dimenticato. In mezzo a
tutto questo sangue
versato, il mio occupa qualche buona
pinta.
Ho ancora nella schiena le cicatrici delle
due coltellate,
per cui non si potrà dire che le ho
sognate, quelle coltellate,
e che deliro, per quanto le circostanze in
cui mi furono inferte,
quelle sì, siano ancora oggi, per me,
circostanze quasi ai confini
del reale. La prima mi fu inferta a
Marsiglia, durante l'altra
guerra, nel mese di luglio del 1916, da un
magnaccia, che vedevo,
del resto, per la prima volta in vita mia,
e che in seguito dichiarò
che non capiva cosa l'aveva spinto a
ferire improvvisamente proprio
me, un passante qualunque, a lui del tutto
sconosciuto, e che vedeva
anche lui per la prima volta in vita sua.
La seconda, la ricevetti
nel 1928, a Montmartre, in una rissa di
strada che coincideva con
l'apparizione di un articolo, pubblicato
su "Notivelles Litteraires",
che parlava di un certo Saint Tarto,
T-A-R-T-C, grottescamente
accusato d'eversione surrealista. Articoli
di tal fatta sono senza
importanza, lo so, eppure, fu in seguito a
una serie di stronzate
di questa caratura, pubblicate dai
principali giornali di Dublino,
nel settembre del 1937, che venni
arrestato, messo in prigione,
deportato, assassinato sul
"Washington" e, poi, al mio arrivo in
Francia, internato in manicomio per nove
anni.
Ho avuto molto spesso occasione, in questi
nove anni d'internamento, di ripensare a quelle
aggressioni gratuite e alla malafede di quegli articoli
di bassa diffamazione.
Ancheil giorno in cuifui trasferito,
inuncellulare, dall'asilo d'Espalion a quello di Rodez,
ci ripensai, e così successe pure quando venni fuori
definitivamente da Rodez. Ripensai a cosa, precisamente,
direte voi?
Beh, alla stranezza, cosìcuriosamente
inopportuna e frettolosa, di un mio internamento, il
mio, che nessuna cosa al mondo, in apparenza,
giustificava. Non dirò che ebbi l'ingenuità di credere
che le mie vicissitudini fossero finite,
perchè so sentire l'aria che tira, io, so sentire molto
bene la pressione e l'opacità delle atmosfere che mi
circondano - e mai infatti mi sembrò che le cose per me
si mettessero definitivamente al meglio -speravo però
che, almeno per quel che concerneva la questione della
mia libertà personale, l'Amministrazione Manicomi di
Francia si fosse rassegnata a lasciarmi stare in pace,
giacchè, restando sul piano dell'ordinaria realtà,
proprio non riuscivoa vedere che interesse, personale e
diretto, esse potessero avere a volermi mantenere
prigioniero in quelle circostanze. Ma il piano della
cosiddetta ordinaria realtà non ha mai inciso sulla mia
vicenda personale, no, non più di quanto, a dire il
vero, esso incida su qualsiasi altra vicenda.
Siamo calati in un mondo, in una vita,
piena zeppa d i ruffiani fetenti, mondo e vita che poi è
la Società degli sporchi ex schiavi affrancati dal loro
servilismo di ieri, questa è la verità.
Ruffiani e schiavi che non hanno mai avuto
altro in testa che questo: dissimularsi, dissimularsi
alle spalle della cosiddetta ordinaria
realtà, dietro l'ordinario ordine
terra-terra di questa, dove è impedito a chiunque,
chiunque, di dire ciò che vede, spingendosi appena più
lontano della punta del proprio naso.
La qualcosa -
che mai sono stato più vicino alla
verità
(dell'identificazione del mio corpo con
un'entità) -
è falsa.
La qualcosa -
che non sono disposti a lasciarmi guardare
nel segreto che dice
che non vi è che l'essere di sbieco,
in trasversale taglio obliquo del tutto -
è ancora più falsa.
Poiché non è certo che la forma o il
segno che fa le cose,
ma l'applicazione a non entrarvi, a non
prendervi essere,
qualunque esso sia.
Da dove, infatti, vengono fuori le cose,
se non da questo proprio del corpo?
Non ci si stacca tirandosi all'indietro,
ma lavorando di traforo
dal di sotto. È così che si sgrovigliano
i corpi aggrumiti
di contro alle pareti lubriche dell'ano.
È da un corpo che ci si distacca, non
dallo spirito,
non da urlo stato di spirito, non da
un'attrazione di spirito.
I suddetti tre anni d'avvelenamento, con i
loro alti e bassi, raggiunsero il loro acme parossistico,
nei cinque mesi che trascorsi dentro il manicomio di
Quatre Maresa SotteVille-Lès Rouen, dal novembre 1937 al
marzo 1938, quando cioè la guerra non era stata ancora
dichiarata. Ma era già guerra per me, però, che ero
costretto a vedermela brutta con inferni ieri e
castigamatti per non ingoiare le pozioni sospette che mi
si voleva dare a forza o anche per non mangiare il rancio
di fagioli o di lenticchie che mi si portava cosparso
d'una polvere biancastra, simile alla canfora o alla
naftalina, e che era null'altro che quell'inoffensiva,
banalissima sostanza chiamata cianuro di potassio. Di
solito, le polveri sospette vengono acconciate un po' più
attentamente dentro gli alimenti che si porta ai
condannati, ma si vede che i miei -i-iardiani, stressati
dai controlli degli agenti della Sureté, che portavano
loro i sacchetti di veleno avvolti dentro bigliettoni da
mille franchi, avevano finito per averne abbastanza del
mio avvelenamento, visto che non portax a da nessuna
parte, e cioè a farmi crepare, come si sperava. E così,
gli avvelenamenti d'Artaud, divenuti ormai una specie di
segreto di Pulcinella fra tutti quelli del manicomio,
presentavano, alla rinfusa, zuppa buona e piselli
avvelenati, nella stessa ciotola, senz'alcuna
preoccupazione o anche dissimulazione.
E a nessuno importava che l'avvelenato,
costretto in cella d'isolamento, nudo su di un
pagliericcio, con ment'altro addosso tranne uno straccio,
avesse poi dissenteria su dissenteria e vorniti su
vorniti, e per di più in una cella in cui i cosiddetti
servizi igienici sono rappresentati da un grosso buco in
mezzo al pavimento che, chi ne usa, deve svuotare a mano.
Mai mi scorderò di quel mattino, in cui dopo una nottata
di coliche atroci, l'infermiere, entrando in cella e
guardando il buco a terra, disse: "Ehilà! Mica l'ho
mai visto un cagonepiùcagone d i te, compare! Sono
grosse come te, queste cagate!" Dopo di che, il
capo-med ico del manicomio, m'accusò di delirio, al
mattino, all'ora delle visite, quando appunto gli dissi
che pensavo d'essere stato avvelenato.
C'era, tra l'altro, nella sala attigua al
dormitorio, nel quale, in generale, stavo disteso, una
piccola credenza, dentro cui venivano riposti i sacchetti
di polvere biancastra, portati tutti i giorni dagli
agenti della Sureté. E una sera che ci si era, come per
caso, dimenticati di portarmi la mia porzione di piselli
freschi, che io reclamavo, ho visto,conquesti occhi, il
capo-sorvegliante arretrare di un passo al passaggio
dell'infermiere, che mi portava una ciotola di piselli
non trattati coi veleno, e dirgli così: "Aspetta Un
po', tu. Bisogna ancora rnettergli questo là
dentro". Il sorvegliante era nella sala attigua al
dormitorio e ioal principio (I i questo, perciò l'ho
sentito bene.
"Aspetta un po', tu. Bisogna ancora
mettergli questo, là dentro".
Gli ha proprio detto così. E fu così
che, una volta di più,
mi vidi costretto a rifiutare il rancio
che mi spettava.
La Società mi dichiara folle perché mi
mangia, così come mangia gli altri, e mi mangia nona
caso, non figurativa mente, in immagine, come dice la
psicoanalisi, ma in maniera sistematica, intenzionale.
La società ha voluto assillarmi e farmi
sparire per questo: perché mi sono accorto che mi
mangiava e ho voluto sempre dire, apertamente e
pubblicamente, che i soli rapporti vigenti tra me ed essa
consistevano nell'avermi voluto costringermi a lasciarmi
mangiare senza opporre resistenza.
La coscienza non si limita ai rapporti
esteriori: buon giorno, buona sera, come va?, eccetera,
eccetera, che noi intratteniamo con la gente.
La coscienza va al di là dello spazio
immediato e visibile del corpo. Voglio dire che il corpo
è più grande, più vasto, più esteso, più sinuoso e
più contorto di quanto l'occhio umano non riveli e non
scorga quando stà ad osservarlo. Il corpo è una
moltitudine affollata, una specie (-1 i scatola cinese
che non finisce mai di rivelare ciò che occulta. E
questo vuol dire che o-ni esistente è a suo modo una
sorta d'immensità che si può intravvedere in
qualsivoglia immensità. Chi non lo capisce, ha la merda
fin qui, merda che gli impedisce d i camminare aldilà
dello spazio racchiuso dalla punta del proprio naso. Per
quel che mi riguarda, non ho mai smesso di vedere non ciò
che tutti mi dicono di vedere, ma ciò che essi sono
proprio quando tacciono, non dicono nulla, sono distanti
dalla parola. E a praticare tale facoltà dei corpo
umano, non sono neanche il solo, perchè anche la gran
massa degli iniziati la conosce e la pratica. Come pure
qualche non-iniziato. E sono loro, gli iniziati, a
insegnare alla coscienza come si fa a succhiare. A
succhiare, fisicamente, voglio dire. Con gengive e
labbra, così Come Si Succhia un maccherone. Non c'è
piccola citta francese, non c'è angolo di Parigi, dove,
di -giorno e di notte, un iniziato, un neofita, delle
porcherie invisibili, non succhi, credetemi, non assorba,
un corpuscolo strappato ad Artaud-momò ad Artaud.
L'imbecille, solo che Artaud-momò, Artaud- L'imbecille
ha, nel frattempo, imparato il trucco. Sa che non ci sono
spiriti, ma uomini, milioni e milioni di uomini,
centinaia di milioni di uomini che, sulla terra, fanno
pratica d'occulto, e che la fanno modestamente, magari,
ciascuno nel suo piccolo, arrangiandosi come possono, ma
è certo che la fanno, e che si tratti d'occulto
semplice, o di semplice magia, né rituale, né
sacramentale, mera magia corporea, sozza magia sessuale,
tipo quella praticata alle sponde d'ogni letto, non
toglie e non mette al fatto che è con esercizi simili,
grandi opiccoli che siano, che lo spirito invertito vive
dei corpo altrui, che non smette su di esso d'accanirsi.
E tanto fa che, in ultirno, somiglia esattamente a un
sesso in foia, che non si
stanca mai di fottere tutto ciò che ha
attorno.
Oh, beh, non si interna per nove anni,
non si mette al segreto, non s'avvelena,
non si fa passare per morto, uno scrittore,
un uomo di teatro, come io ero stato fino
al 1937, senza un
motivo importante, necessario, senza
qualche ragione, torbida
e losca, che, a guardarla più da vicino,
è complotto poliziesco
e segreto, che fa trasparire, suo
malgrado, abbietti e sinistri
retroscena. Credo che tutti i problemi che
turbarono la coscienza
di quegli anni, i problemi sociali,
storici, economici e politici
che costituirono la linfa vitale dei
giornali, dei caffè, dei
salotti, degli intrighi che contarono
all'epoca di cui parlo,
saranno un alibi, o una razionalizzazione,
ben meschini, il
giorno in cui arriverà finalmente la resa
dei conti, il 'redde
rationes', tra ciò che io sono e gli
altri, tutti gli altri di
questo mondo, e soprattutto, saranno un
alibi e una razionalizzazione
ben meschini di fronte al dondofio
risentito del cadavere
di Gerard de Nerval Labrunie, di fronte al
suono sinistro del
suo corpo scarnito e torto al vento di
un'alba malsana,
impiccatosi alla sua stessa scrittura, e
così sarà pure di fronte
all'afasia di Baudelaire, e a quell'altra
cosa, quall'altra ambigua
faccenda, che, da più di trent'anni, non
smette d'ossessionarmi,
e che è quella specie di paralisi, di
bizzarra immobilità, in cui
è sprofondato Lenin al momento in cui era
sul punto di dare
il tocco finale alla più grande
rivoluzione della sua vita.
Sì, da trent'anni cercavo di capirlo e
ora so che Lenin è stato
fulminato da un meschino calcolo
universale delle masse.
Sì, è stato fulminato e paralizzato
dalla volontà, conscia e premeditata
delle masse, per aver cercato di
resistere, sul piano
intimo e profondo della sua vita, a una
ben dissimulata porcheria,
di cui vorrei adesso fornire qualche
dettaglio.
Non sono venuto qui, infatti, per
declamarvi delle poesie,
ma per declamarvi semmai, e pubblicamente,
una certa cosa,
quella certa cosa per cui hanno voluto
tapparmi la bocca,
accusandomi, ogni volta che tentativo di
gridarla, che ero pazzo
furioso, un delirante paranoico e
megalomane.
C'era, nella mia schiena, uno sradicamento
orrendo,
uno schiacciarsi orrendo di tendini e di
ossa,
ma niente sangue, no. 0, a malapena, un
filo -
un filo che vedevo venir giù lungo l'arco
del mio collo
e che era il segno inoppugnabile che una
lotta, una battaglia,
c'era stata. Ciò che successe, quel
pomeriggio del 18 settembre 193
7, a Dublino, principiò dal semplice
fatto che io portavo
un bastone, un bastone che tutta Parigi -
il tout-Paris des
premières, sans doute - aveva potuto
vedere, ammirare.
Un bastone istoriato di segni arcani,
fatto di tredici nodi,
intrecciati tra loro da duecento venti
milioni di fibre,
sormontato da un pomo di ferro, di cui io
stesso avevo stabilito
la grandezza, e che io stesso avevo fatto
incastonare da un fabbro
del quartiere del Pantheon a Parigi.
Questo bastone aveva la straordinaria
proprietà di sprigionare
scintille e di generare fiamme, quando,
con energia, ne battevo
la punta contro la terra, ai miei piedi.
Io dico che d'onore in giro non ce n'è
più,
che la sodomizzazione è arrivata al
massimo
del suo culmine nei confronti della
coscienza.
L'abbassamento del livello del
vocabolario, del resto,
è in stretto rapporto con il degradarsi
del livello
morale, e della dignità del pensiero,
della resistenza,
direi, della dignità del pensiero.
E, fra di noi, ci sono quelli consci di
questo, consci della
loro coscienza, e che tuttavia accettano,
per molto meno
dell'ormai fami-erato obolo dei trenta
denari, di stare al
,áoco della sodomizzazione della
coscienza, come ci sono
quelli che invece la rifiutano, rifiutano
questo inculamento
uterino della loro interiorità, e lo
rifiutano fino al punto
di bruciarsi l'anima dei piedi.
E' tempo, allora, di non parlare più di
nessuna sanatoria
sui prezzi e sui salari. Ma semmai di
sanatoria di coscienza,
dell'anatomia e della fisiologia della
coscienza.
Tutti i più grossi pescecani del mercato
nero,
sono anche i più grossi pescecani e
ruffianie approfittatori
della magia al nero.
Non so perchè non è mai potuto essere
solo questione d'essere,
o di lavorare alacremente a fuggirsene
dall'essere, senza usare
quest'esercito, quest'orda, di
parole-catene, di parole-torture,
questo capitolo mostruoso di suppliche e
supplizi,
d'agonia, angoscia, soffocazione,
strangolamento, a fissia, inedia.
Ciò che è pericoloso nella gente non è
la sua coscienza,
la coscienza sta là, le si può torcere
perfino il collo,
come a una gallina,
è pericoloso ciò che la gente espelle, rimuove,
rifiuta,
e dov'è che lo fa, dove? -
certo, non solo nel di fuori, ma
soprattutto nel profondo,
profondissimo di sé stessa, nella sua
coscienza ed incoscienza.
E lì che ogni pensiero represso si fa
dubbio -
dubbio malevolo, animato dalla pura
animosità dei sentimenti rifiutati.
E questo dubbio non è uno spirito, forse?
Spirito che ancora potrebbe tollerare idee
senz'alcuna opacità, fosse pure quella
derivante da una superficie perfettamente
trasparente?
Ma no! Lo spazio è pieno solo di corpi
agitati.
1 corpuscoli indifferenti della luce del
sole
non sono nulla, proprio nulla, al
confronto della stomachevole densità materiale
di tutti questi corpi, i corpi.
Tutto ciò non è scientifico, si dice.
Bene, allora vediamo cos'è
che è scientifico per loro.
È scentifico tutto ciò che obbedisce a
questa vita da larve
di castrati che esigono che le cose siano
sottomesse a una
legge e a un essere. Ma un essere lento,
limaccioso, larvale,
lubrificante e, soprattutto, non
epilettico, non sussultante,
perchè una cosa dev'essere chiara, una
volta per tutte,
ed è questa: che, per la medicina e la
scienza, l'epilessia
esiste solo in quanto crisi, in quanto
malattia, ma noi vediamo
invece, che la vita stessa, fuori da
quest'essere limaccioso,
a cui bisogna sottoporre tutto, come a una
legge, senza norma, senza verbo,
senza discorso, incomprensibile e
imprendibile.
La vita non è nulla e nulla vi è in essa
tranne che i suoi
sobbalzi epilettoidi, i suoi tetanizzanti,
eiaculatori sfori.
Io posseggo un bastone di legno durissimo,
con un pomo in ferro,
e se lo scuoto, questo bastone, manderà
fuori tutto il fuoco
del Popocatepètl, tutto il fuoco del
Vesuvio.
E c'è una leggenda su questo bastone, che
afferma che, prima di
essere stato il bastone di San Patrizio,
esso è appartenuto a
Gesù Cristo, che lo piantò con le sue
stesse mani.
Ma la verità è che non Gesù Cristo, ma
io, io stesso, ho piantato
quel bastone, ora me ne rammento bene. E
me ne ricordo, sotto sforzo
di dolore. Certi dolori te ne fanno
ricordare altri.
Non c'è niente di meglio del dolore, per
resuscitare, in qualche
modo, la memoria, per unificare meglio i
ricordi tra loro.
Da un dolore all'altro, l'individualità
più nascosta viene fuori,
si ricostituisce tutta, si fa persona. Il
rosario dei miei dolori
non mi ha reso soltanto la memoria o i
ricordi di un'unica
esistenza, ma di molteplici, incontabili
vite svolte altrove.
Venni aggredito senza motivo da un
mazziere, un provocatore,
in abiti civili, mandatomi addosso dalla
polizia.
Mi sono girato senza sentir dolore e, a
mia volta, ho aggredito
colui che mi doveva assassinare. Lui,
però, non era solo, oh, no!
Attorno a lui, poco lontano, c'era un
numero incredibile di
farabutti, che si gettarono all'unisono su
di me, a un certo punto,
per tenermi fermo, impedirmi di
difendermi.
La polizia in uniforme, invece, si
schierò dalla mia parte.
Avevo visto che venivo picchiato, senza
ragione, e giudicò giusto,
dunque, che avessi il diritto di replicare
alle mazzate.
Ne venne fuori una rissa spaventosa.
In Irlanda, però, i fatti non si svolsero
allo stesso modo.
Là, la polizia in uniforme, si mescola
quasi sempre ai delinquenti,
ai "simi femers", così come la
polizia in borghese è quasi tutta
alle dipendenze dell-intelligence
service".
Come si sa, persino il capo della polizia
irlandese è Inglese.
Mi venne in mente una storia, quella del
bastone da me piantato
in un'altra vita, diversa da questa, e
vita che io rivivo al termine
della mia presente esistenza, come quando,
all'inizio di un anno
che comincia, trattengo il ricordo
dell'anno che se ne va.
1946: tempo in cui, dopo nove anni
d'isolamento, avvelenamento,
sequestro, elletrochoc, mess'al segreto e
silenzio, ho finalmente
potere di parlare.
Ho dei ricordi, dunque, di quel pomeriggio
al suo termine,
mentre ero in Galilea. Fu allora che mi
venne l'idea d'un bastone
invincibile, da usare tanto contro la
perfidia degli uomini
che contro quella derivante dagli eventi,
che poi, in effetti,
è una sola ed unica perfidia, sempre
dovuta alla calcolata meschinità
dei nostri consimili, anche quando sembra
si tratti della sola natura
senza l'elemento umano, dell'universo
puramente vegetale, minerale,
atomico, del cosmo, voglio dire, come
senza cose e senza eventi.
E Gesù Cristo non fu affatto un uomo, ma,
appunto, una sorta d'evento,
la forza-evento d'uno spirito
incoercibile, da sempre desiderato
dagli uomini e da sempre annunciato nella
tradizione giudaico-
cristiana. Smerdatoio senza pari, questo
Gesù Cristo, un grande
bluff, che, però, anche per gli uomini
d'oggi, possiede un'energia
decompositiva atomica, stillata giù
dall'utero del reale,
dall'immensa matrice cosmica, dove il
niente puro, il niente assoluto,
non ha parte a alcuna.
La mia voce non è quella di un altro. Non
ci sono, al mondo,
due voci umane che si possano
rassomigliare.
Non più di due corpi. Nemmeno due corpi
che reagiscono
allo stesso modo di fronte allo stesso
dolore, ci sono,
al mondo. Il dolore, il dolore è ciò che
viene reso lama
dalla sua stessa intensità, intensità
che nessuno sperimenta
mai come identica a sé stessa. Pensando a
tutti i dolori del
mio corpo, e ritrovandone
l'inconfondibile, inalienabile registro,
che tutti li sorregge, mi sono visto
camminare strane strade
nello spazio di più vite. In Cina, in
Persia, a Tebe, sulle Ande,
sulle rive dell'Atlantico, all'epoca dei
Celti, e infine a Gerusalemme, Gerusalemme.
È Gerusalemme a custodire il ricordo di
quel pomeriggio al suo termine, mentre ero
in Galilea.
Di fronte a cmà specie di piccolo
deserto, io concepii l'idea
del bastone magico dal grande pomo in
ferro.
Tralasciando la patafisica, io direi
semplicemente che l'idea
di Cristo, ha fallito nel farsi umana
materia, e dico anche che
c'era a Gerusalemme, in quei tempi, un
certo numero di persone
protese, come lui, a credersene
l'incarnazione. Non io, però, io no.
Io fui sempre senza Dio e nient'altro che
un uomo, fui, un uomo
qualunque, e, allora come oggi, portavo il
cognome d'Artaud e
il nome d'Antonin. E, spingendo oltre i
miei ricordi, ho ritrovato
una cosa orrenda. Una delle cicatrici che
io reco stilla schiena,
in corrispondenza simmetrica con la zona
del cuore, è quella di
una coltellata infertami a Marsiglia nel
1916, davanti alla chiesa dei Riformati.
Allore ero sui vent'anni e noti avevo
frequentazioni
d'alcun genere. Quella coltellata mi fece
riflettere. Ne ricevetti
un'altra, nel 1928, in Rue de Martyrs, nel
corso di una rissa,
più o meno surrealista, ma ora non so
più se la ricevetti da un
poliziotto o da uno che era sulla nostra
stessa barricata.
Il colpo di sbarra di ferro, invece, lo
ebbi in Irlanda,
sul declinare di crepuscolo di un giorno
di settembre
del 1937. Mi trovavo su una piazza di
Dublino.
Sono stato aggredito sul battello che mi
riportava dall'Irlanda,
nella mia stessa cabina, dallo steward e
dal capo-macchinista,
che vi s'introdussero, con una chiave
inglese enorme, in ghisa
e ferro, e il capo macchinista disse allo
steward, mettendogli
la chiave in mano, "Shoot sce",
che vuol dire, "Dai,colpiscilo",
e fu nel difendermi da loro, che tutto il
battello fu messo
in allarme, finendo io, e non loro, in
camicia di forza.
Tante volte ho pensato che questa lunga
persecuzione di un semplice
uomo, da parte del destino malvagio, non
veniva affatto, forse,
dal destino, malvagio o meno, bensì da
parte degli uomini,
e non di tutti gli uomini, ma solo da
parte di un gruppo
ben determinato di loro.
E questo gruppo ha nome d'Iniziati. Solo
gli odii degli Iniziati
sono tanto ILinghi, così accaniti. Ma
cosa ho fatto io a costoro?
Ho qualcosa da spartire con gli Iniziati,
io?
E, soprattutto, cosa avevo da spartire,
duemila anni fa a Gerusalemme,
quando venni messo in croce?
Perchè questa è la cosa orrenda, questa:
che ho finito per ricordare e per capire
che io sono colui
che fu messo in croce, non sotto il nome
di Gesù Cristo, però,
ma sotto quello di Artaud. E che sono
stato messo in croce
per non aver voluto riconoscere quella
stessa forza su cui fanno
perno tutti gli oscuri manipolatori
d'uomini, da più di cento
secoli a questa parte.
Dalle loro perfide trincee ben
dissimulate, bardati fino all'inverosimile
del loro falso spirito e della loro
falsissima
coscienza, così come d'esoterismo e di
scienza e di altri sozzissimi
inganni, io dico che sono costoro,
costoro, che mai hanno
smesso di pensare di distruggermi, perché
io, io solo, li ho smascherati tutti.
Antonin Artaud.
Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna