Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
ROMPERE IL VASO
- Lettera di accompagnamento
-
- STANISLAVSKIJ E ARTAUD
- Sul filo della biografia
-
- Artaud e Stanislavskij: da molto tempo mi
interrogo su cosa li accomuna al di là delle differenze
di poetica e di collocazione nella storia. Continuo a
pensare che, con lingua e obiettivi diversi, entrambi
esprimano una stessa scienza dell'attore. In più, mi
pare che li accomuni una stessa nostalgia: il cui
richiamo per Stanislavskij si mette a tacere di fronte
alle bisogne dello spettacolo, e che invece, per Artaud,
proprio dinanzi alla tentazione dello spettacolo risuona
più alto.
- Ma qui scienza dell'attore e nostalgia di
teatro oltre lo spettacolo voglio metterli da parte, e
tirare un altro filo dell'annodo tra Artaud e
Stanislavskij: il filo della biografia. Anche perché è
sul filo della (loro) biografia che hanno lavorato i due
autori di questo numero di "Prove di
Drammaturgia", che è composto di due contributi
belli e importanti. Il primo, di Alessio Bergamo, è il
rapporto critico di una ricerca sul campo nella scuola di
teatro di Anatolij Vasil'ev (e la pedagogia di Vasil'ev
si pone sulla linea di Stanislavskij, dichiaratamente e
oltre). Il secondo contributo del fascicolo è di Enzo
Moscato, ed è l'adattamento d'artista dei materiali
approntati da Artaud per la conferenza del 13 gennaio al
Vieux Colombier.
- Tradizione, diceva recentemente Mimmo
Cuticchio, dopo aver ricordato il padre che non c'è più
e i figli che appena cominciano ad esserci, è
"1'esperienza che confinua" mentre le persone
cambiano, e penso volesse dire: nelle persone che
cambiano.
- Stanislavskij
- La tradizione, Stanislavskij la consegnò
ai libri, scrivendoli, lavorandoli all'interno,
organizzandoli nelle parti e nei reciproci rimandi, come
l'equivalente di un'esperienza capace di continuare nelle
persone che cambiano. Un libro (un insieme di libri) che
voglia essere l'equivalente di un'esperienza non può
affidarsi solo alla lettura; attraverso la lettura chiede
al lettore di cogliere il percorso d'azione che c'è
nascosto, e di rifarlo nella propria persona: seguendo il
ritmo -l'anima-, che è altra cosa dal capire i
significati del libro. Se questo avviene, al cambiare
delle persone -Fautore, i lettori- c'è però
un'esperienza che continua.
- Com'è noto, i libri di Stanislavskij
(parlo specificamente de La mia vita nell'arte e
de Il lavoro dell'attore sii se stesso, nelle sue
due parti) hanno circolato per lo più nelle edizioni
americane Aly Life in Art, An Actor Prepares (prima
parte) e Building a Character (seconda parte de Il
lavoro dell'attore su se stesso). Per ragioni
complesse, sono libri molto diversi da quelli che
Stanislavskij avrebbe voluto, e che di fatto realizzò
-almeno per gran parte- nell'edizione russa. Cosa fece
realmente Stanislavskij? My Life in Art, lo scrisse
controvoglia, di fretta, impossibilitato a controllare le
parole in inglese che i lettori avrebbero letto. Si
adattò alle richieste dell'editore, per ragioni di
danaro. Il figlio Igor era in sanatorio in Svizzera, e il
rublo non aveva corso internazionale. Scrisse secondo le
indicazioni del mercato. Poca teoria, tanti aneddoti
preferibilmente divertenti, poco spazio -o niente- agli
insuccessi artistici. Scritto in pochi mesi, My Life
in Art uscì nell'aprile del 1924. La "vita
nell'arte" vi era ripartita in due periodi, il primo
fino al 1905, e il secondo dopo il 1905. Gli anni dopo la
rivoluzione d'ottobre vi avevano uno spazio ridotto, sia
perché la rivoluzione non era argomento gradito al
pubblico americano, sia perché proprio nel periodo
post-rivoluzionario Stanislavskij aveva registrato le
maggiori difficoltà.
- L'autobiografia americana, in conclusione,
risultò piuttosto una cronaca: una sequenza di fatti
sbilanciati più verso l'aneddoto che verso il senso.
- Appena ripartito dall'America,
Stanislavskij cominciò a rielaborare il testo per
l'edizione russa, che uscì nel 1926. Contrariamente a
quanto si afferma di solito, i cambiamenti introdotti
furono molti e profondi: un bradisismo magari poco
appariscente ma profondo ricompose un nuovo libro.
- Se quella americana era stata una
biografia a livello di cronaca, quella russa fu una
biografia a livello di scienza. Dalla cronaca alla
scienza passa quel dislivello per cui la cronaca
appartiene a tutti e si ferma alla superficie, mentre la
scienza della biografia si destina a quelli che cercano
il senso degli avvenimenti oltre la loro superficie.
Nella nuova vita nell'arte apparve lo snodo del 1917. Ne
seguì una tripartizione -fino al 1905, dal 1905 al 1917,
dopo il 1917- che tributava l'omaggio di rito alla
rivoluzione proletaria, ma che anche metteva a fuoco
spietatamente sugli anni del sospetto, dei compromessi e
dei fasti di regime, dopo il fatidico Ottobre. Gli
aneddoti si ridussero nel numero e nel tono. Gli anni di
mezzo, tra il 1905 e il 1917, andarono a circoscrivere un
periodo che, dallo "scoglio in Finlandia" alla
sconfitta del sistema di fronte ai versi di Puskin,
disegnava un preciso arco problematico. Nel 1905
Stanislavskij aveva avuto la rivelazione della miseria
che può esserci nella recitazione imitativa; dal 1916
(in quell'anno era stato costretto ad abbandonare una
parte dopo la prima) ebbe l'altra rivelazione: che ad
esorcizzare quella miseria non basta la verità immediata
dell'emozione, che la verità va riconquistata oltre la
finzione.
- Dalla cronaca alla scienza della
biografia.
- Nell'edizione russa, i fatti della
"vita nell'arte" si spogliarono della loro
titolarità individuale e si consegnarono ad una
funzionalità generale. Al di là della vicenda di
Stanislavskij persona, passarono a testimoniare della
vicenda senza nome di un attore e uomo di teatro alle
prese con i problemi artistici e umani del proprio
lavoro.
- E qualcosa di più. Portati al livello di
problemi, la successione biografica dei fatti si rivelò
come l'unica possibile successione logica dei
problemi. Non c'era una progressione logica in sé
dei problemi d'attore; c'era solo il progresso organico
nella vita nell'arte con i problemi che via via vi
emergevano.
- Arrivato a questa consapevolezza, a
Stanislavskij non bastò più affermare che non esiste un
"sistema"; gli bisognò ridare l'esperienza che
il cosiddetto sistema è solo la (propria) vita
nell'arte, a patto che non la si svuoti nella cronaca.
- A questo scopo, congegnò il suo secondo
libro, Il lavoro dell'attore su se stesso nelle
sue due parti, in un modo acuto preciso ed efficace, e
talmente semplice da risultare impercettibile alla vista.
Il diario dell'allievo Kostia e del maestro Torzov, lo
sviluppò lungo un tempo di scuola che ricalca
momento per momento il tempo della biografia, così come
esso s'era manifestato ne La mia vita nell'arte. Un
problema segue un altro, o lo precede, non perché questo
richieda la logica o il programma didattico, ma solo
perché nella stessa identica successione i fatti
all'origine di quei due problemi s'erano presentati nella
biografia.
- Questo calco tra tempo della scuola e
tempo della biografia, che risolve il sistema nella vita
nell'arte e viceversa, non viene dichiarato. Sta al
lettore, attraverso la lettura, coglierlo e alla lettera farlo
proprio.
- Dalla cronaca alla scienza della
biografia, con La mia vita nell'arte. Dalla scienza
della biografia alla biografia della scienza, con
Il lavoro dell'attore sii se stesso, dove
biografia della scienza vuol dire ordinamento dei
problemi d'attore non secondo teoria, ma secondo il loro
organico emergere lungo la biografia.
- Con questi passaggi, Stanislavskij
realizzò un complesso edificio di scrittura, aperto
-oltre il livello della lettura~ alla ricerca di una
personale esperienza di vita e d'arte da riattivare.
- Le edizioni americane, bloccando la
biografia al livello della cronaca, sottoponendo Il lavoro
dell'attore su se stesso ad uno spietato lavoro di
editing mirato alla leggibilità, hanno distrutto
quell'edificio complesso o, peggio, l'hanno ridotto ad
un'ordinata casetta, da viverci comodi, appagati e senza
sospetti di recondite esperienze.
-
- Da Stanislavskij ad Artaud
- A guardare tutta insieme e dal dopo
l'impresa dei suoi libri, viene da dire che Stanislavskij
si limitò a "fare di necessità virtù". Per
necessità aveva pubblicato l'edizione americana
dell'autobiografia. Non avrebbe mai scritto l'edizione
russa se non vi fosse stato costretto dal dover fare
virtù della necessità americana. 1 problemi dell'arte
gli si rivelarono allora nella successione oggettiva
della biografia: un'altra necessità, di cui nuovamente
fece virtù, riconoscendo nei problemi senz'ordine del
lavoro dell'attore l'ordine della vita nell'arte.
- Stanislavskij fu profondamente artaudiano,
si può dire, dato che la crudeltà consiste proprio nel
fare di necessità virtù. Né rifiutare la necessità,
che è impossibile; né subirla passivamente però, che
sarebbe rinuncia alla libertà. Farne virtù: che è la
libertà concreta di volere ciò che si deve fare,
essendo vuota illusione quella di fare ciò che si vuole.
- È il lavoro dell'attore, a prescindere da
Stanislavskij e Artaud, ad essere intrinsecamente
crudele, visto che la libertà nell'arte (Stanislavskij
diceva la "condizione creativa") sta proprio
nell'agire come se si volesse fare ciò che la
parte impone di fare.
-
- Artaud
- Per Artaud la crudeltà fu un dato
assoluto. Come "sottomissione alla necessità",
nel teatro è solo più evidente che nella vita; inoltre
nel teatro la si può sperimentare. Quando all'inizio
degli anni trenta Artaud cominciò a scrivere manifesti e
lettere per spiegare la crudeltà, disse che era sempre
esistita nel suo pensiero, e che gli era occorso solo
prenderne coscienza.
- Si riferiva allo spettacolo dei balinesi
del 1931. Di fronte a quella tradizione in atto, di
fronte a quella partitura d'azioni predeterminata e
tuttavia piena di vita nascente, Artaud aveva preso
coscienza -coscienza totale: nella mente, nel sentimento,
nel corpo- della crudeltà. Cominciò da lì il viaggio
verso il "teatro vero", che non deve più
patteggiare con lo spettacolo.
- In quanto assoluta, la crudeltà abita nel
teatro ma non gli appartiene, si rivela nelle biografie
personali senza essere delle singole persone. Più che
una condizione dell'individuo, è una condizione
dell'Essere Umano.
- Poi ci fu il viaggio in Messico, nel 1936;
e poi il profondo viaggio nella follia. Dopo l'Irlanda,
ultima tappa nella geografia terrestre, Artaud fu
internato in manicomio e, tra un trasferimento e l'altro,
vi restò fino al maggio del 1946, quando gli fu concesso
un regime di semilibertà, in una casa di cura ad Ivry.
- Addentrandosi nella follia -nella
sofferenza e nella solitudine- Artaud cominciò a vedere
sempre più la vita di sé individuo come vita di sé
Essere Umano. Senza perdere niente della propria
assolutezza, la crudeltà potè intrecciarsi sempre più
con il teatro e con la biografia di Artaud, fino
ad identificarvisi.
- Mettiamo in fila alcuni fatti. La vita di
Artaud nel periodo della follia è immersa nel buio,
salvo sporadici sprazzi. Ne emerge all'inizio del '45
attraverso la scrittura. I Cahiers de Rodez, che
coprono il periodo dal febbraio 1945 al 25 maggio 1946
(il giorno del rilascio), occupano sette volumi delle Oeuvres
complètes. Poi ci sono le lettere, i testi più o
meno compiuti e raccolti a parte, e poi i Gahiers dit
retour à Paris, dal 25 maggio 1946 al gennaio '47,
per complessivi altri quattro volumi; e due volumi sono
annunciati alla pubblicazione. Un totale di quasi venti
volumi, più di seimila pagine di stampa in poco più di
mille giorni, dai quali sottrarre il tempo degli
incontri, della malattia, della pittura, e gli
interminabili maneggi per procurarsi la droga necessaria
a sopravvivere.
- Dicendo che la vita di Artaud emerge dal
buio attraverso la scrittura, non intendo un
complemento di mezzo, ma un complemento di moto per
luogo. Dall'inizio del 1945, la vita di Artaud è la sua
scrittura, quanto meno è nella sua scrittura in tempo
reale.
- All'origine della scrittura -cioè della
biografia- di Artaud dall'inizio del 1945, ci fu il
teatro. A fine gennaio aveva ricevuto copia della nuova
edizione (1944) de Il teatro e il suo doppio. A
rileggerlo, qualcosa scattò nella sua mente. Scrisse
subito due testi, Le retour de la France aux principes
sacrés e L'Ame théátre de Dieu, ricchi di
riferimenti critici al suo vecchio libro. Era cristiano,
al momento: lo restò per poco, fino all'abiura della
Pasqua 1945.
- I riferimenti al teatro ricompaiono,
copiosi e puntuali, solo molto più tardi, nel maggio del
'46, al ritorno a Parigi. Dietro, c'è ancora un fatto
concreto. A seguito della riedizione de Il teatro e il
suo doppio, Henri Thomas aveva cominciato a lavorare
ad uno studio critico su Artaud. Gli aveva scritto già
nel gennaio del '45, ma si decise a fargli visita solo il
10 e 11 marzo 1946, insieme alla moglie Colette che
1avorava per il teatro". Artaud rimase molto colpito
da Colette. Scrivendo a Marthe Robert Fl 1 marzo, le
manifestava 1'intenzione di costituire una compagnia
teatrale" una volta tornato a Parigi, e le chiedeva
di farne parte (Oeuvres Completes XIV*, pp. 79-80).
- Dell'annunciata compagnia non si fece
niente, ma effettivamente Artaud prese a fare teatro.
Lavorò con Colette in estenuanti prove d'attore, per
arrivare a mettere la vita -il soffio- non in ogni parola
del testo pronunciato, ma in ogni sillaba e lettera e, al
fondo, in ogni impulso di suono articolato prima
dell'articolazione. Del lavoro di maestro di Artaud si
potè vedere un saggio durante l'Hommage che gli
amici artisti gli dedicarono al Théátre Sarah
Bernbardt, il 7 giugno 1946. Colette disse dei versi di
Artaud, con effetti sconvolgenti, secondo la
testimonianza di Charles Estienne su "Combat".
Artaud non potè assistervi; gli amici, in apprensione,
decisero di tenervelo lontano.
-
- ***
-
- Intermezzo. Colette fu l'unica
allieva di Artaud, e fu il solo fantasma d'amore durante
la follia, uno squarcio subito richiuso appena apertosi
nell'involucro della solitudine. Artaud le scrisse
lettere numerose, intime e dense, tra il marzo e il
giugno del'46. Appena tornato a Parigi, all'inizio del
suo lavoro di pedagogo, annotò che "Colette è
sulla via di nascere veramente" (O.C. XXII, p. 28),
ma ritrattò subito dopo ogni intenzione sospetta
dichiarando che 1a passione è una malattia alla quale
preferisco la morte" (O.C. XXII, p. 36). Di questo
rapporto di teatro e vita, inestricabilmente l'uno e
l'altra, Colette scrisse in un libretto -Le testament
de la fille morte- firmandosi René, che vuol dire
Rinato. Davvero, Artaud nel trasmetterle teatro voleva
anche darle la vita. Nel riceverla, e dunque rinata dopo
essere stata una ragazza morta, Colette parla di teatro:
e pare di sentire Artaud appena qualche girone più in su
dell'ultimo, nello stesso imbuto della follia.
- ***
-
- Ho detto che Artaud con Colette prese a
fare teatro, ma si devono fare due rettifiche. La prima
per precisare che Artaud riprese a fare teatro; la
seconda che riprese a farlo, ma adattato al mutato
statuto della sua biografia.
- Artaud si era congedato da Il teatro e
il suo doppio con il testo sull'atletismo affettivo.
Siamo nel '36. Il riferimento alla kabbala che vi è
contenuto distrae dalla sostanza del discorso di Artaud,
che è concreto e operativo.
- Ciò che dice si può sintetizzare in due
punti. Primo: nell'attore, all'organismo fisico si
affianca un altro organismo doppio del primo, che è
l'organismo affettivo. (Il che è vero per l'uomo in
generale, per l'attore in più è necessario, anche se
non fosse vero). Affettivo è il residuo del corporeo
rispetto alla totalità dell'uomo, cioè è lo psichico e
il mentale. Secondo: tra l'organismo fisico e quello
affettivo dev'esserci una corrispondenza biunivoca e
senza spazi vuoti. Ogni movimento dell'organismo fisico
deve riflettersi in un movimento dell'organismo affettivo
e viceversa.
- L 'attore della crudeltà è 1-atleta del
cuore". A lui non sono consentiti né i puri
movimenti del corpo, né i puri moti dell'affettività.
In altre parole, non gli è consentita né la
meccanicità (sono questo le azioni senza pensiero), né
l'arbitrio (è questo il pensiero che non si traduce in
azione). L'attore della crudeltà deve sapere come
riempire di pensiero ogni sua azione e, reciprocamente,
come riempire d'azione ogni suo pensiero. A questo gli
serve il controllo del respiro, a prescindere dal
sofisticato impianto kabbalistico.
- Il teatro di Artaud dentro la follia
continuò ad essere questo. Ma con un cambiamento: che
l'atletismo affettivo, più che una via per fare
teatro, diventò una via per servirsi del teatro, allo
scopo ultimo e primario di continuare a vivere. A datare
dal 1937, nove anni di sofferenza avevano portato il
corpo al centro della coscienza.
- Dice Artaud a metà aprile 1946,
congedandosi da Rodez verso la libertà, che
"prendere coscienza d' un gesto o d'uno stato
incosciente, non è sapere come esso gioca nel sistema o
essere dell'organismo generale, ma come soffre; e non triangolando
la percezione della sua sofferenza, ma semplicemente
soffrendo. Lo stomaco è una gastralgia, le midolla sono
una mielite, i polmoni un'asma cronica, i denti una
carie, e le tibie una gamba di legno. Gli intestini sono
quest'entrata di sorci chiamata enterocolite, e il
mentale è un'apoplessia" (O.C. XXI, pp. 89-90).
- Nell'esercizio della vita, Artaud ritrova
una legge che i maestri di teatro trovano nell'esercizio
della scena: è necessario il dolore ~o un suo
equivalente funzionale, come il disagio o il pericolo-
per attivare e tener desta la coscienza.
- Diventato corpo-di-dolore, l'attore Artaud
non è più minacciato dalla meccanicità. Resta solo
l'altro rischio, quello del pensiero che si sottrae
all'azione. Questo rischio, che sulla scena è l'affanno
del sovrappiù d'intenzione, nell'Artaud della follia
prende l'aspetto cannibalesco di "esseri di
pensiero" che, in cerca di vita, divorano il corpo
che se li è lasciati sfuggire.
- Né il corpo può fare a meno di lasciarsi
sfuggire pensieri, dato che la sua anatomia è sbagliata.
L'anatomia sillogistica", come Artaud la chiama,
l'anatomia che si suddivide per organi distinti ognuno
dei quali risponde alla logica del come e del perché,
questa anatomia nozionistica non può far altro che
produrre sillogismi, sofistiche questioni di come e di
perché, nozioni. Il "corpo senz'organi" con il
quale Artaud chiude il viaggio nella follia è
l'obiettivo ultimo dell'uomo che voglia riconquistare
l'immortalità.
- Ferdinando Taviani ha descritto come
"esperienza espansa" la eccezionale velocità
di associazione e sintesi di Artaud. Nell'esperienza
espansa di Artaud si susseguono e si combinano senza
intervalli questi passaggi: l'uomo è il suo corpo, il
corpo è immortale, l'immortalità ci è sottratta dagli
esseri di pensiero che il corpo secerne a causa della sua
anatomia sillogistica.
- Infine: per riconquistare il corpo
senz'organi, e con esso l'immortalità, è necessario teatralizzare
gli esseri di pensiero, riportarli al corpo dal quale
sono sfuggiti. "L'idea nozione -dice Artaud- nozione
corporea, deve andarsene per essere sostituita da quella
di movimento infigurato del corpo [mouvement infiguré
du corps], e là sono io che ho sofferto tutto e
so tutto" (O.C. XXIII, p. 349). E ancor più
chiaramente: 9o non sopporto che si pensi una cosa senza
farla, la mimo con dita, tronchi, espressioni, camminata,
gambe, braccia, ecc. Il pensiero puro non esiste, le idee
pure non esistono, tutto si canta, si parla, si mima, si
danza, la dialettica, la dissertazione, la sillogistica,
la logica, ecc., e tutto ciò che appartiene al mentale
non è che corpo elettrico, no, è una elettricità
corporea rubata al lavoro del corpo per il corpo per un
lavoro stornato dalla sua VIA" (O.C. XXIII, pp.
280-281). In chiusura de Il teatro e il sito doppio, Artaud
aveva chiesto all'attore di "conoscere il segreto
del ritmo delle passioni, di questa specie di tempo
musicale che ne regola il battito armonico"
(O.C. IV, p. 117), proprio per poterle mettere
organicamente in azione. Il lavoro di riportare il
pensiero al corpo, cioè di riempirlo della sua azione,
non era diverso da quello previsto nell'atletismo
affettivo. Però ne era il dimezzamento: del metodo
complessivo restava solo la via che dal mentale va al
fisico.
- Questo teatro a metà, è ancora teatro?
Questo atleta del cuore a metà è ancora attore? No.
Però penso che questo teatro e quest'attore fossero a
metà solo perché avevano perso la loro dimensione
di doppio.
- Prima della follia, il teatro era il
doppio della vita e l'attore il doppio dell'uomo. Dentro
la follia, il teatro è la vita e l'attore è l'uomo.
Questa vita e quest'uomo universali sono al contempo la
vita di Artaud e Artaud. Essendosi fatta assoluta
-attraverso il dolore e la solitudine- la biografia di
Artaud poté accogliere come propria quella crudeltà
che dall'origine sera posta come assoluta, oltre il
teatro e l'attore e oltre gli individui singoli.
-
- ***
-
- Accludo due citazioni dai materiali
preparatori per l'Histoire vecue d'Artaud Momo, l'autobiografia
che Artaud presentò al Vieux Colombier come racconto di
sé individuo in vista della morte, e come racconto di
sé Essere Umano in vista dell'immortalità da ritrovare
attraverso il teatro. La prima collega il teatro della
follia con quello della crudeltà, e ne cancella però la
dimensione di doppio. La seconda oppone all'uomo comune
che crede di poter pensare senza agire, l'"uomo
vero" che prende su di sé la responsabilità in
azione d'ogni pensiero.
- Prima citazione: "Durante i tre anni
che passai a Rodez il dottor Ferdière, dottore capo
dell'asilo, non lasciò mai passare una settimana senza
rimproverarmi almeno una volta ciò che chiamava i miei
canticchiamenti, le mie aspirazioni col naso, i miei
esorcismi, i miei vorticamenti. Ora, c'è ne Il Teatro
e il sito doppio un testo intitolato l'atletismo
affettivo che riguarda le diverse maniere di applicare il
soffio umano, di utilizzare la respirazione: ispirazione
ed espirazione, come un crogiolo, al che si trova
associato tutto un sistema di atteggiamenti e gesti, di
piazzamenti ed emissioni di voce, di modi diversi di
scandire un testo non soltanto frase per frase o parola
per parola, ma sillaba per sillaba e lettera per lettera;
tutto questo non allo scopo di formare un attore ma di
formare un personaggio d'uomo, di ricomporre il mio
organismo d'uomo su un piano al di sopra non del teatro,
ma della vita fino ad ora e da sempre infagottata dentro
una falsa coscienza, dentro questa sordida parodia di
coscienza che forma il mondo nel quale viviamo. È un'impresa a lunga
scadenza e ci vuole una pazienza senza nome. Comunque
sia, arrivato a Rodez credetti che l'atmosfera fosse
favorevole a questi lavori. Nella qual cosa mi
sbagliavo" (O.C. XXVI, p. 103).
- Seconda citazione: "La massa passa
per non amare le idee, e mente perchè è proprio essa
che le ha imposte La massa passa per essere stata senza
coscienza e senza pensiero, ebbene no, non c'è niente
come la massa per amare la spiritualità. Perchè?
Perchè il pensiero permette d'avere e di possedere
immediatamente ciò che sarebbero dovuti passare
cent'anni per cominciare a meritare [ ... ] Ciò ch'essa
non pensa con braccia e piedi come un soldato del ritmo e
della misura fisica, come un piallatore manuale degli
slanci, dei colpi di sangue della vitalità, lo pensa con
il cervello senza muoversi [ ... ] t così che
l'imbecille che come me ha voluto teatralizzare tutto e
non avere un sentimento o un'idea che non sia un gesto
concreto in una misura fisicamente passionata [mesure
pliysíquement passionnée] si vede rapinare il
proprio lavoro dalle scimmie d'una crapulosa
immobilità" (O.C. XXVI, p. 189).
-
- Il filo della biografia
-
- Mi chiedo se il comune filo della
biografia, tra Stanislavskij e Artaud, consista solo
nell'averla usata entrambi nella trasmissione
dell'esperienza. Mi chiedo in particolare se anche per
Artaud l'insieme degli scritti non debba essere
attraversato -sperimentatocome una biografia della
scienza.
- Artaud non dedicò al teatro solo Il
teatro e il suo doppio. Ne aveva scritto prima tra il
1921 e il 1930, e ne scrisse dopo, marcatamente nei testi
degli ultimi due anni, come I' Hístoire vecue
d'Artaud Momo e Pour en finir avec le jugement de
Dicu, con la sua appendice a tornare Le thèátre
de la cruauté.
- A leggere tutto di seguito, non si trovano
le tappe di una teoria del teatro; si trovano soprattutto
domande. L'Artaud attore e poi regista del primo periodo
aveva chiesto come superare la rappresentazione. Dopo la
visione delle danze balinesi, chiese come produrre
simboli (segni efficaci) avendo come sola garanzia di
Tradizione il corpo dell'attore. Dentro la follia, chiese
al teatro di ritrarsi nella sua sede intima e primaria,
per "rifare il corpo" e liberarlo dalla
sofferenza e dalla morte.
- Domande al teatro, non di teatro. Domande
di vita, come per Stanislavskij. Ma con questa grande
differenza da rifletterci sopra: che quella di Artaud
sempre meno fu, e alla fine non fu più per niente, una
vita nell'arte.
-
- Prof. Franco Ruffini Terza
Università di Roma
Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna