Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Editoriale

Editoriale

Con questo numero abbiamo voluto estendere il campo di confronto stabilito dal dossier e dalla relativa lettera di accompagnamento anche a un documento storico, scelto per la sua pertinenza all'oggetto indagato. Il dossier dedicato all'attività pedagogica e teatrale svolta da Giuliano Scabia presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna trova infatti un suggestivo complemento nell'articolo di Max Hermann Neifle, dove con netto anticipo sui tempi: il pezzo è del 1920 viene affrontata la trasformazione del dramaturg, che operava nei teatri dei paesi di lingua tedesca quale funzionario e addetto alle riduzioni letterarie, in un ruolo creativo e dinamico, portatore di novità e di senso. Sia nell'uno che nell'altro caso il teatro ricrea infatti le sue funzioni (l'attore, lo spettacolo, il pubblico) a partire dall'azione d'un agente di narratività e di dinamiche relazionali. Ci sembrava che dall'accostamento fra l'articolo di Hermann Neiße e la documentata rievocazione delle attività universitarie di Scabia scaturissero suggestioni e dati oggettivi intorno a un tipo di autore col quale in questo momento della nostra storia teatrale ci sembra necessario fare i conti. Un tipo d'autore, intendiamo dire, che non si qualifica per la capacità di comporre forme estetiche, ma in quanto medium del vivente. Il nuovo teatro di questo fine millennio ha talmente affinato la capacità di far scaturire l'opera bella dalle relazioni (si veda nel n. 3 di "Prove di drammaturgia" il dossier su Elementi di struttura del sentimento) da far passare in sottordine che l'autore delle stesse opere di cui apprezziamo l'organicità, l'umanità e il rilievo non corrisponde più ai requisiti di questo ruolo o, addirittura, non è più nemmeno un autore. £ un'altra cosa. Un altro tipo di artista. Un medium del vivente. In parte, il nostro programma culturale è stato ravvivato dai brani proposti, il cui accostamento istituisce un insospettato omaggio a più voci e caratteri alla poesia.

Franco Acquaviva avverte nelle azioni teatrali di Scabia la ricerca del poeta, e, fornendoci poi una sentita testimonianza di allievo, dichiara che quel che lo attirava in questo 'teatro' era una promessa di poesia. Quasi che la poesia fosse un sostrato distinto dell'agire scenico, e non la si potesse avvicinare che lungo salti intuitivi e sorprendenti. E di fatto Scabia, tornando a una nozione costitutiva del teatro, evidenzia nella sua organizzazione espressiva e nella sua attitudine all'elevamento del dato materiale una vocazione poetica che si può dire oggettiva, vivente implicitamente anche nell'incontro in compagnia di attori oscuri. E se ne fa 'persona', declinandola con sensibilità esperta.

A Taviani l'emblema del cerchio, che il dossier estrae ed isola dalle pratiche e dalla scrittura di Scabia, proprio non piace. Il suo Autore ci si presenta senza allievi, senza gruppo, senza tribù teatrali. t come un crocevia di vita e di tensioni dove lo scrivere e l'agire, la parola scritta e quella detta transitano annunciando l'altro da sé. Un altro da sé che, però, si riannoda attraverso le sue molteplici rappresentazioni descrivendo il genio poetico dell'opera Scabiana. E anche Max Herrmann Neiße, dopo averne esaminate tipologia e funzioni, indica che il tratto distintivo ed essenziale del nuovo dramaturg va individuato nel suo essere poeta.

Forse la nozione di 'poesia', descrivendo al contempo l'espressione e la tensione a esprimere, indica la primarietà che suscita il narrare e costituisce quindi una possibile risposta alla ricerca di quanto, al di là dello spettacolo e delle forme composte, preesiste al teatro generandolo.

Ritornando al nostro proposito iniziale, osserviamo che il confronto col documento storico evidenzia una dinamica di trasformazione, dove i valori centrali restano sostanzialmente gli stessi mentre mutano i sistemi di accentuazione e i modelli di riferimento. Nel teatro che ci è vicino, la poesia non è infatti una qualità formale, che il dramaturg può raccogliere dall'esperienza del proprio contesto facendosi egli stesso autore, oppure media dai drammi scritti che la contengono, ma è chiave dei rapporti con sé e con gli altri. Se una risposta italiana al dramaturg di cui parla Herrmann Neiße può essere ad esempio considerata l'opera di Silvio d'Amico, che mirò a istituire un repertorio testuale di valore; il dramaturg dei nostri tempi tende a confrontarsi direttamente con le radici umane del fatto teatrale svolgendo un'azione che si raccorda all'esempio radicale e ancora poco noto nelle sue ramificazioni italiane - di Jerzey Grotowski.

Claudio Meldolesi, Gerardo Guccini

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