Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Voce narrante - Certo, facciamo un gran dispendio di preparativi per la vita

AMORI, SPECCHI, PARCHI E DESTINI

Note su Affinità
di Alessandro Baricco

 

Come ha insegnato l'estetica novecentesca, è contrassegno delle opere d'arte di suprema dignità il darsi come oggetti ininterrotti. La loro compiutezza formale - la loro perfezione - è tanto più reale quanto più sospesa: assomiglia all'esattezza fascinosa di una domanda in attesa di risposta.

Così, le opere d'arte sono compiti infiniti. E più che enigmi da risolvere, sono spazi da abitare. Nel gesto che le interpreta e le consuma, esse risalgono il sentiero della loro verità e srotolano l'infinito nastro della loro essenza. Nessuna frase è davvero finita fino a quando qualcuno continuerà a leggerla. L'ultima parola di un testo è un luogo ipotetico. Nelle opere d'arte non c'è la parola fine. Mai.

Le Affinità Elettive di Goethe sono un simulato esempio di simulata perfezione. E di definitiva indefinitezza. La geometrica esattezza di quel testo riesce a fondere la perfezione delle forme classiche, l'illuministico cinismo di un gioco alla Così fan tutte, e le simmetrie dell'anima che sarebbero state portate allo scoperto - come ferite - dal romanticismo. Impressionante crocevia di paesaggi culturali così diversi, è un libro che ha il sapore della formula alchemica, magica e inspiegabile. La sua coerenza interna - feroce - lo fa apparire come un monolite inattaccabile dalla riflessione e dall'esegesi. Sembra scritto una volta per sempre. Eppure se ancora dimora con intatto carisma nella memoria collettiva, è perché, proprio tra le righe della sua perfezione, tramanda percepibili spazi bianchi che aspettano la grafia di una nuova scrittura.

Sono un testo talmente perfetto, le Affinità elettive, che non è possibile leggerlo senza provare l'istintiva urgenza di continuare a scriverlo. Non è pensabile che un'opera come quella possa finire lì. Pretenderla infinita, è normale.

Continuare a scrivere le Affinità elettive. Compito affascinante. Da assolvere attraverso gesti così diversi: la semplice lettura, l'esegesi, l'interpretazione. Oppure: la rappresentazione. Scegliendo il rischio di un palcoscenico. E lo smottamento laterale verso l'universo parallelo del teatro.

Qualsiasi testo letterario si porta al fianco, come un fantasma, o come un'ambizione taciuta, l'idea del teatro. Nel contempo, però, qualsiasi testo letterario è un rifiuto implicito del teatro, una scelta della parola nuova contro le facili suggestioni di un palcoscenico. La scelta dell'universo cieco e silenzioso della lettura è sempre una feroce confutazione di qualsiasi sipario aperto.

A causa di questa aporia, il gesto che disloca un testo letterario nel vicino universo del teatro, compie, inevitabilmente, un atto di dolce violenza. E desiderata prevaricazione. Sempre sarà, più che un gesto, un ossimoro.

Affinità è un modo di continuare a scrivere le Affinità elettive. Poiché sceglie il teatro come strumento, è un gesto di dolce violenza. Nel suo genere però, è un gesto anomalo: non è, esattamente, una trasposizione in teatro del testo goethiano. In scena non vanno gli originali protagonisti della vicenda, ma sei figure di serve. E basta. Dove sono, queste serve, nelle Affinità Elettive?

Quasi non ci sono. Sono spazi bianchi, nascosti nel testo. I famosi spazi bianchi in cui qualsiasi testo di alta dignità artistica custodisce la propria ambizione a moltiplicarsi per l'eternità. Affinità abita quegli spazi bianchi Per ciò, quel che fa non è tanto portare il goethiano in teatro quanto: portare il teatro dentro il testo goethiano. Disporlo accuratamente in quegli spazi bianchi. E guardarlo lievitare, fiorire, esplodere.

Non so se nelle intenzioni degli autori, lo spostamento dell'obiettivo dagli aristocratici protagonisti goethiani all'universo inferiore delle serve volesse r avere un qualche significato sociale o politico. Certo è che, per strada, quella mossa iniziale assume una diversa funzione che sembra ben più significativa ed essenziale. Se vanno in scena le serve dei Signori, e non i Signori, ciò significa soprattutto che non va in scena la storia, vera e propria, ma il suo rispecchiamento su una superficie altra. I Signori sono la storia. Le serve; raccontano la storia. C'è un passaggio in più. E in quel passaggio, decisivo, gli eventi diventano mito, il reale evapora nella fantasia, ciò che è trascolora in ricordo. Quel che i Signori vivono come bruciante messa in onda, in diretta, delle aporie della vita, torna nei racconti delle serve con l'ambiguo status della memoria che è più accuminata e al tempo stesso più clemente del reale.

Anche quando le serve non raccontano eventi passati ma seguono da vicino il presente, il loro tono è quello del ricordo, del racconto che è tramandamento Quel che doveva succedere è già sempre successo quando si va a riposare nelle loro parole e nei loro gesti. Esse sono l'eco dell'Evento.

Ed è in quell'eco, che l'Evento alimenta la propria essenza, depositando in esso, come sul fondo di un bicchiere, il precipitato della propria verità.

Il risultato forse più curioso di questo trattamento è che cambia il nocciolo del plot goethiano. Le Affinità Elettive sono, innanzitutto, il tracciato d'una geometria amorosa. Ma in Affinità, la vicenda sentimentale sfuma quasi ad accidente. Non si può dire che sia la nervatura fondamentale della narrazione. Appare, certo, in superficie, ma scolorita nelle battute delle serve, quasi declassata a pettegolezzo, a ricamo brillante inserito nel tessuto della conversazione. Il baricentro del narrato sembra in realtà trasferirsi altrove. Le mille parole delle serve e la liturgia dei loro gesti fissano piuttosto una diversa costellazione di idee e immagini: un parco da costruire, una casa che rinasce per l'arrivo dei Signori, un bambino che deve nascere, un bambino che nascerà. Mentre i Signori declinano, invisibili, il lusso di raffinate geometrie del sentimento rese possibili dall'ozio, le serve tengono saldo il filo rosso della sopravvivenza e della necessità: e nel loro lavoro realizzano l'attesa di progetto, di futuro, che è cardine della resistenza al male Si direbbe addirittura che, in qualche modo, I'esistenza dei Signori e quella delle serve, apparentemente complementari, siano in realtà due forze opposte e nemiche I Signori disfano, nella notte dell'effimero, la tela che le serve, nel giorno della necessità, filano. La progettualità realizzata nel lavoro delle serve frana, come l'argine del lago, sotto la pressione delle colpe ricamate dai Signori. "Chi si gode, adesso, il lago, il parco, il giardino?" L'ultima frase che, dalle quinte, sigilla Affinità è una domanda. Ma non è sull'amore, sulla chimica sui sentimenti, sugli incerti della passione, sul nomadismo degli affetti. Chiede qualcosa di più elementare. È una domanda da serva. Ma il nostro dolore, c la nostra fatica, a cosa servono?

C'è un secondo effetto, significativo, che la rotazione dell'asse narrativo sull'universo delle serve imprime alla rappresentazione. Ed è un effetto squisitamente linguistico. Sganciando il testo dal mondo dei Signori, si liberano le parole al di là di quella lingua tersa e cartesiana che, di quel mondo, era la necessaria e perfetta manifestazione Automaticamente, le cose narrate sconfinano dal recinto di una composta perfezione espressiva, e deambulano in un universo linguistico più "debole", pluralistico, eventuale. In mallo alle serve, la lingua diventa uno spazio a più uscite, un arabesco di segni e suoni dove transitano storie a non finire, mai arrestate nell'equilibrio di un metalinguaggio letterario. Le sei serve sono un piccolo babelico microcosmo linguistico: si incrociano l'italiano, il dialetto, il francese, e perfino i fonemi parlanti di Ondina, serva muta. I loro racconti rimbalzano tra quelle sponde lessicali, diventando in qualche modo musica, viaggio linguistico, avventura della parola. È un procedimento che scarica di perentorietà il narrato, e insieme lo avvicina alla domestica realtà del qui e ora, terreno di complicità tra spettatore e palcoscenico. Effetto che viene replicato nell'uso, geniale, di oggetti semplici e domestici - cuscini, bastoni, bicchieri, piume - di colpo chiamati a custodire e raccontare l'essenza di eventi così più grandi di loro: temporali, feste, parchi, nascite, morti. Sono gli oggetti poveri con cui lo specchio di un mondo semplice pronuncia le mosse del mondo intorno: così come le parole delle serve - spezzoni di idiomi nomadi - stringono la traduzione povera, ma viva, delle storie prodotte da un mondo che naviga nel nulla, al di sopra di loro.

Alla fine, quel che resta è la sensazione di un lungo poema popolare in cui il nitore di una storia perfetta coniata dalla tradizione colta si disfa nei mille bracci di un'affascinante estuario dell'emozione.

Nitido fine, dal letto scavato con scientifica esattezza, le Affinità Elettive aspettano probabilmente proprio lagune come queste per raggiungere il mare della propria infinità.


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