Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
LA VICENDA DEL TESTO
- LA VICENDA DEL TESTO
- di Laura Curino
- DEL TITOLO: ELEMENTI DI STRUTTURA DEL
SENTIMENTO
- "Affinità elettive" è l'antico
termine chimico per indicare la tendenza di alcuni
elementi a combinarsi insieme. Poteva diventare subito
anche il titolo dello spettacolo, come di fatto si è
verificato alla ripresa sette anni dopo, ma allora
scegliemmo ---Elementi di struttura del sentimento"
che somigliava un po' a quello del precedente Esercizi
sulla tavola di Mendeleev e sicuramente conteneva una
medesima speranza: che fosse possibile costruire uno
spettacolo così come Mendeleev concepì la sua tavola
periodica.
- Dimitrij Ivanovic Mendeleev, constatando
che non tutti gli elementi noti potevano inserirsi
armonicamente all'interno del sistema che aveva
predisposto, lasciò delle caselle vuote, nella fiducia
che più tardi la scoperta di altri elementi avrebbe
completato la sua tavola. Verso la fine del
diciannovesimo secolo molti studiosi erano orientati a
classificare gli elementi che compongono la materia in
base al loro peso atomico. 1 metodi di quei tempi
spingevano gli scienziati a rinunciare all'ipotesi quando
questa non fosse immediatamente verificabile
sperimentalmente. Dimitrij Ivanovie operò diversamente:
l'elemento più leggero è l'idrogeno, l'idrogeno vale I.
Segue l'elio, che vale 2, e poi il litio che vale 3 e
così via. Ad ogni elemento una casella. Il problema
nasceva quando il peso atomico saltava una o più
caselle. Tutti gli altri ricercatori a questo punto si
fermavano e scoraggiati si rassegnavano che l'ordine non
funzionava, che era sbagliato.
- Mendeleev no. Lui pensò che se restavano
caselle vuote era perché non si erano ancora scoperti
gli elementi corrispondenti, ma da qualche parte
nell'infinito universo mondo essi dovevano esistere e
qualcuno li avrebbe scovati. Il che avvenne puntualmente
alla scoperta del radio e degli altri atomi radioattivi.
Aveva ragione lui. Il metodo era buono, bisognava solo
completarlo.
- Un personaggio che in pieno positivismo,
che all'inizio della modernità fonda la sua teoria
scientifica su un atto di fede ci affascinava
irresistibilmente. Voleva dire che scienza e fede non
sono inconciliabili.
- "Elementi di struttura del
sentimento" è un titolo che cerca rigore dove
sembra esserci solo passione, come se i due concetti,
così distanti tra loro non fossero tuttavia
inconciliabili.
-
- PROLOGO
- Un libro correva da qualche mese di
mano in mano. Con circospezione.
- Alcuni libri passano dallo scaffale della
libreria al comodino, per poi finire allineati agli altri
volumi della biblioteca. Altri cominciano a peregrinare,
prima in giro per casa, anche in bagno, poi in borsa,
sugli autobus, in treno, nelle sale d'aspetto; a volte
rubano tempo al lavoro, poi, non paghi, passano ad altra
mano e se anche lì non trovano quiete, allora inizia la
peripezia.
- Se si è attratti dalla possibilità di
conciliare interessi letterari e prospettive
scientifiche, prima o poi si arriva a Goethe.
- Dal Doctor Faustus di Thomas Mann,
il cui incontro risale a tre anni prima, il salto era
stato al Faust di Goethe, e poi a La vocazione
teatra1e di wilhelm Meister, ma anche a La
metamorfosi delle piante e La teoria lei colori.
- Quasi subito individuammo Affinità
Elettive come il romanzo del progetto.
- Poco importa che venisse letto avidamente
dai suoi contemporanei come un romanzo sul matrimonio.
- Quando uscì, il romanzo andava a ruba, si
diceva, come il pane in tempo di carestia. In poco tempo
ne furono divorate quattro edizioni.
- Nei giorni in cui lo leggevamo noi, a
Settimo Torinese, eravamo coinvolti in un lungo lavoro ai
confini fra teatro, sociologia ed urbanistica, che aveva
portato alla redazione di un vero piano regolatore per la
cultura (il P.A.C. Piano per l'Ambiente Culturale). Tre
anni di raccolta ed elaborazione di dati, parte contenuti
nelle tesi di laurea in Architettura di Gabriele Vacis e
Adriana Zamboni, parte in quella di Federico Negro, a
Sociologia, parte provenienti da una ulteriore
osservazione e schedatura sul campo, durante l'attività
di progettazione culturale per la città.
- Ci si interrogava allora sul senso e sugli
strumenti della progettualità.
- Vivevamo in una città di periferia,
cresciuta a velocità vorticosa negli anni sessanta e
diventata agglomerato disordinato di case e fabbriche,
brutta, sconvolta, carica di tensione e di risentimento.
La città era una fabbrica in cui lavoravano gomito a
gomito migliaia di persone i cui pensieri erano rimasti
al paese d'origine, una tavola a cui si dovevano mangiare
a turno cibi scaldati, un letto su cui tutti si
coricavano alle stesse ore. Una scuola dove anche i
bambini facevano i turni. Un giardino che non c'era.
- L'unica possibilità per vivere in luoghi
così era fare progetti per trasformarli.
- Ma quali progetti? Si chiamavano
progettisti anche quelli che avevano firmato i casermoni
delle case Gescal. Progetti disegnavano i miei compagni
architetti negli studi professionali dove tiravano linee
intanto che frequentavano l'università... progetti per
villette fuori città, con vista sulla collina, che in
neanche tre anni sarebbero state circondate dai palazzi
dello sviluppo... e loro lì ad aprire le finestre del
salone sul verde... Da un progetto politico ed economico
era scaturito il nostro futuro presente. Progetti
nascevano e morivano ad ogni elezione, progetti da
realizzarsi velocemente, perché subito se ne vedessero
gli esiti e subito si trasformassero in voti.
- Chi avrebbe osato fare progetti a lunga
scadenza?
- Eppure per rimediare a quanto in pochi
anni si era snaturato nelle nostre città, ci sarebbero
voluti decenni di progettazione con segno diverso.
- Ci vuole tempo, troppo tempo. Tempo.
- Progettare richiede tempo, bisogna tener
conto del tempo. E la progettazione tradizionale non ha
tempo.
- Sono due i grandi progetti delle Affinità
elettive. Il primo è un progetto in senso stretto e
tradizionale, e riguarda la costruzione di un parco ad
opera dei protagonisti. Questo lavoro, minuziosamente
descritto in tutte le sue fasi, impegna i personaggi
lungo tutte le vicende. Comporta lo spianare colline,
riportare la terra altrove, creare un lago, costruire
nuovi edifici, ristrutturare i vecchi, piantare nuovi
alberi creare argini, padiglioni, boschi. E un progetto
di cui certo i fautori non vedranno la forma definitiva:
quanti anni deve crescere un albero appena piantato,
perché ombreggi la casa? Fra quanto tempo il lago,
unione artificiale di tre piccoli stagni, avrà sponde
morbide di vegetazione in luogo degli argini terrosi e
squadrati appena costruiti? Fra quanto si potrà chiamare
bosco il pezzo di terra sulla collina dove sono stati
appena messi a dimora esili innesti?
- Un parco è dote per le generazioni future
che sole potranno godere della sua forma piena.
- Anche un figlio è un dono alle
generazioni future. I genitori progettano la sua nascita,
immaginano il suo destino, coltivano le sue qualità,
assistono alla sua crescita... anche nelle Affinità
elettive nasce un bambino. Ma su di lui nessuno ha
investito sogni. t quasi il negativo di un progetto:
viene concepito per errore, mentre i suoi genitori stanno
pensando ad un altro uomo e ad un'altra donna.
Addirittura, per sorta di meraviglioso prodigio, il
bambino non somiglia ai suoi genitori, ma ai loro
rispettivi innamorati. Il piccolo nasce e muore in un
arco di tempo breve e tormentato. Nessuno pare si
interessi veramente a lui, e lui, breve meteora, metafora
dei travagliati rapporti che intercorrono fra i
protagonisti del romanzo, esce di scena. Annega in quello
stesso lago la cui costruzione aveva richiesto invece
tanti progetti, tante energie creative ai suoi genitori
ed ai loro amanti.
- Un parco o un bambino crescono con i loro
ritmi naturali, sono progetti in cui il tempo ha Uii
ruolo importante, è una valenza che non si può
ignorare, né ridurre. Il tempo trasforma, incide,
modella, cambia le prospettive e le inclinazioni.
Cambiano i parchi, cambiai-io i bambini. Non possiamo
sapere che sarà di loro, così, per quanti progetti noi
elaboriamo non possiamo pensare realmente di poter
governare il futuro, pena grandi frustrazioni.
- L'inizio fu dunque un incerto aggirarsi
attorno a questi temi. Un desiderio di farne Uno
spettacolo, senza sapere bene perché. Del resto si fa lo
spettacolo proprio per scoprire le ragioni per cui lo si
è fatto.
- E non sono per tutti le stesse.
- CONTARE LA
STORIA
- Il romanzo comincia così: "Edoardo
- chiamiamo così tiri ricco barone, nel meglio dell'età
virile - aveva trascorso fra gli alberi del suo vivaio
l'ora più bella d'un pomeriggio d'aprile ...".
Goethe dà inizio all'esperimento cominciando
dall'osservazione.
- E noi?
- Un metodo per cominciare a lavorare su un
nuovo spettacolo ce l'avevamo già. Consisteva nel
prendere costumi, attrezzi, musiche, luci utilizzati per
lo spettacolo precedente, e indossarli, disporli nello
spazio, con nuovi testi lì vicino, da cui estrarre una
frase, una suggestione, un ambiente, e cominciare.
- Un approccio essenzialmente fisico,
materico, concreto.
- Nell'inverno appena trascorso, quello del
1983, avevamo allestito a Torino una lettura di poesie di
giovani autori torinesi. I poeti avevano scelto come
titolo Amoroso paesaggio. La lettura si svolgeva
nel Teatro degli Infernotti. Infernotti si chiamano, a
Torino i seminterrati dei palazzi del centro, cantine in
effetti, poco amorose e soprattutto poco paesaggio. Ci
inventiamo che ad ogni poesia gli
- attori trascineranno in sala grosse piante
in vaso. Cento poesie, cento alberi, cento vasi assai
pesanti, disposti in tutta la sala, a formare un
paesaggio.
- Le due parole del titolo, da sole, avevano
generato un'immagine. La loro traduzione alla lettera,
espediente semplicissimo, aveva prodotto un risultato
formalmente denso, affascinante, pertinente. L'esattezza
elementare del procedimento aveva moltiplicato geometrica
in ente l'effetto.
- Come fare lo stesso con le parole di un
romanzo?
- Cominciammo a contare.
- Quali e quanti colori, quali e quanti
suoni, quanti sapori, quanti odori, quante sensazioni
sulla pelle.
- E poi quali acque, quali terre, quali
alberi, quanti alberi, quanti mestieri, quali oggetti,
quali strumenti, quali azioni fisiche, quali pensieri,
quali presagi erano presenti nel testo. E solo alla fine:
quali personaggi, quali episodi, quanti episodi? E così
per pagine e pagine di quaderno, in lunghi elenchi
ordinati, ognuno un compito, ognuno una traccia da
seguire: poi ci si incontrava per leggere, scambiare
questi elenchi, specie di dizionari goethiani da cui
trarre solo indicazioni numeriche.
- In realtà il testo così smembrato
diventa corpo, le parole decontestualizzate si reificano,
le costanti diventano suggerimenti, le ricorrenze tracce,
spesso alla lettera.
- Di che colore sarà lo spettacolo?
- È verde, è bianco, è nero. 1 tre
colori citati più spesso.
- Quali oggetti raccoglieremo? Attrezzi
agricoli, strumenti di misurazione, stoviglie e
vettovaglie da cucina, bauli da viaggio, libri, candele,
piante.
- Quali materiali? Il vetro soprattutto.
- E le musiche? Nel testo si fa molta
musica, se ne parla spesso, ricorrono flauto, pianoforte,
corni e violini, spartiti e scrittura musicale.
- Cercheremo musiche d'acqua. Musiche di
terra. Luci da serra. Quelle che ingannatio le piante e
permettono la funzione clorofilliana anche di notte. La
lampada a prisma che riproduce l'arcobaleno... Quali film
portiamo con noi? Quelli che parlano di giardini, di
parchi, di bambini, di presagi.
- Libri sull'arte di progettare i giardini
accanto alle opere di Diderot e a quelle critiche su
Goethe, ma anche Il sogno della camera rossa, romanzo
cinese dove il protagonista bambino vive in un giardino,
circondato da sole donne.
- Sole donne... Solo attrici nello
spettacolo.
- Numerosissime sono le azioni nel romanzo,
tante le incombenze, i mestieri, il lavoro quotidiano per
la casa, per il parco, per la cura del bambino, ma non
sono quasi mai i protagonisti a svolgerli, loro si
occupano d'altro. Discorrono, perlepiù, finemente,
sottilmente, magari fanno un po' di lettura, suonano,
viaggiano, vanno alla guerra, si divertono, si disperano.
Ma tutto è detto, l'azione concreta, che dà sviluppo
alla vicenda non pertiene la loro sfera. Sono discorso
senza corpo.
- Eppure perché l'argine crolli ci vuole
qualcuno che lo edifichi. Perché possano sedersi nella
capanna di muschio, qualcuno deve averla costruita,
perché il piccolo cresca qualcuno lo deve accudire. E
proprio la sorte di quel bambino, che invece di
somigliare ai propri genitori somiglia ai loro rispettivi
amanti, di quel bambino che nessuno ama davvero' la sua
sorte quotidiana, (chi lo lava? chi lo nutre? chi lo
addormenta?) ci fece pensare alle donne, alle serve, a
chi davvero si prende cura del parco e della creatura.
- In francese la prova dello spettacolo si
dice répétition. Si ripete qualcosa che si è già
imparato. In italiano, invece, la parola prova racchiude
limpidamente l'articolarsi di differenti processi
creativi. "Provare" è cercare soluzioni
materiali attraverso la sperimentazione, è tastare,
vagliare, tentare, cimentarsi, dimostrare, cercare
qualcosa che va fatto. Ma che cosa?
- Contare, ad esempio. Il lavoro di contare
il testo non lo fa qualcun altro: è quello il lavoro
degli attori, delle attrici nel nostro caso, il loro
allenamento. Non si discorre finemente, facendo magari,
un po' di buone letture. Il lavoro sul testo è
materialmente, fisicamente lavoro. E una funzione di
servizio come costruire gli argini o la capanna di
muschio. E fare le serve.
- L'assunzione del loro punto di vista, è
il momento cruciale nello sviluppo del lavoro. Quando lo
decidemmo?
- Non posso ricordare una vera sequenza di
causa effetto. Esistono, tra tante altre soluzioni legate
da relazioni visibili e criteri di necessità, delle
idee che, una volta pensate si impongono di per
sé e oscurano con la loro evidenza tutto quello che per
vie traverse ha contribuito a produrle. Sono chiare a
tutti e, coli serenità, introducono nel lavoro un nuovo
principio d'ordine, che è poi il rispetto per la loro esistenza.
A volte succede.
- Fortunatamente. Perché da quando a
leggere, a contare, a scrivere non sono più sei attrici,
Gabriella Bordin, Laura Curino, Mariella Fabbris, Rosalba
Legato, Cristina Torriti, Adriana Zamboni, ma le sei
serve, tutto assume una fluidità inattesa: finalmente si
può guardare alla storia liberati dalla sua costruzione
letteraria.
- RACCONTARE
LA STORIA
- Gli episodi del romanzo si fanno
materia.
- Ne scegliamo quattro per l'allestimento
degli "Studi" al castello di Rivoli, che
saranno poi i quattro che presenteremo al Festival di
Santarcangelo di Romagna, sempre sotto forma di studio.
Quattro ambienti ancora molto legati a interi brani
stralciati dal romanzo: l'arrivo al castello degli
ospiti, la nascita del bambino, la sua morte, l'abbandono
del parco.
- Alcune interpolazioni nel testo sono
affidate alla lettura di parti de La vita delle api
di Maeterlink: le serve sono come api laboriose.
- Non esiste una distribuzione delle parti,
all'inizio. Perché non ci sono parti. Solo i corpi delle
attrici che si calano nell'ambiente del romanzo. E così
i primi testi che pronunciamo ad alta voce sono appunto
"pretesti", descrizioni d'ambiente, per tre
quadri su quattro.
- E come se, per cominciare, si dovessero
definire prima il luogo, la tenuta, la casa, il lago, il
parco, ed il tempo, l'inverno, la primavera, l'estate e
l'autunno. Poi verranno i personaggi, che per ora sono
ancora persone. Di quelle prime prove resterà
integralmente nello spettacolo la scena della notte in
cui viene concepito il bambino, l'unica che comportasse
dialoghi veri e propri.
- Provata realmente di notte, da mezzanotte
alle quattro del mattino, nel silenzio e nell'atmosfera
di remissione che succede alle giornate più calde di
luglio, prendeva vita quel recitare fatto di
chiacchiericcio fluido, intrecciato, di suono che
significa anche senza parole, come una lallazione materna
e rassicurante, di testo che si scioglie e si rafforza in
un sottotesto fatto di ripetizioni, di amplificazioni,
sospensioni, allitterazioni.
- Nessuna responsabilità veniva affidata
alla singola parola, era manifesta invece la fiducia nel
discorso, all'afasia si opponeva un generoso, avvolto,
felice, piacere del suono delle parole, dei colore della
conversazione, della confidenza. A officiare la cerimonia
Lucilla Giagnoni, fresca di scuola di teatro, con la voce
ben impostata cominciava a raccontare alle altre che
cos'era successo la notte prima nella stanza della
padrona e le altre via a far domande, commenti, risate,
illazioni, allusioni, rimproveri, scherzi, sbadigli,
sospiri...
- Le attrici avevano contato, nominato,
numerato, memorizzato parole, aree di parole.
Distraendosi dalla rigidità del testo avevano creato un
vocabolario goethiano che permetteva ora di improvvisare
e raccontare la storia dal loro specifico punto di vista,
senza però allontanarsi dagli elementi costitutivi del
testo.
- Il testo dello spettacolo era la casa da
costruire, l'analisi quantitativa somigliava al
capitolato d'appalto. Questi gli infissi, queste le
tavole di legno, queste le quote dei soffitti. Oppure:
queste le tessere del mosaico, questa la forma, la tinta,
lo spessore.
- Visto così il testo dello spettacolo non
è fatto solo di parole ma anche di tessuti, lampade,
voci, musiche, attrezzeria, vasi, ogni cosa
schedata, vagliata, cercata, comprata, provata da Adriana
Zamboni, da Mariella Fabbris, da Lucio Diana ' da Roberto
Tarasco. Così il 19 ottobre del 1985 arrivammo a
Santarcangelo di Romàgna per iniziare le prove.
- " ... Arrivarono dapprima
camerieri e serve, vetture cariche di bauli e casse,
pareva che di padroni, in casa, ce ne fosse già il
doppio o il triplo, ma infine ecco apparire loro, gli
ospiti: la prozia con Luciana e alcune amiche, il
fidanzato, anche liti col sito seguito.
Ecco il vestibolo pieno di valigie, di sacche e di altro,
custodie di cuoio, con gran tribolazionc si smistarono le
varic cassette, Ie borse; reggere, strascicare, non era
mai finita. E intanto una pioggia violenta causa non poco
disagio ... "
- Questo era il frammento che avevamo usato
più spesso nel corso degli studi. Il testo diventava
chiave interpretativa della realtà, rimando scherzoso,
ma pertinente, non leggevamo più il romanzo alla luce
della nostra esperienza, ma l'esperienza alla luce del
romanzo.
- Il fidanzato era quello di una delle
attrici, che per seguirla si era fatto tecnico del suono
e arrivava sempre con il suo seguito di strumenti
elettronici, il resto era la descrizione esatta del
nostro arrivo a Santarcangelo. Compresa la pioggia. Il
testo ci dava possibilità infinite di interpretazione.
- " ... Tutti q questo punto si
sarebbero volentieri goduto un po' di riposo dopo gli
strapazzi del viaggio ma ... "
- Ma per il momento c'era da scaricare il
furgone stracolmo.
- Sul battuto di cemento del capannone
adibito a sala prove si ammucchiò l'intero spettacolo.
- Assolutamente condivisa fu la sensazione
che fosse già tutto lì e che si trattasse ora di
osservare ancora un po' quel mucchio con circospezione e
poi, dopo una pausa, che non è pausa, ma tempo per
raccogliere il respiro, gettarsi febbrilmente al lavoro.
- Lavorare di sottrazione, come scolpire un
blocco di materia fortemente aggregata. Non è come
disegnare fare uno spettacolo, è più come scolpire.
Continuare a girare intorno alla forma, assecondando la
materia, ma anche opporlesi ed imprimerle linee originali
per poi, magari, tornare ad assecondare, senza lasciarsi
troppo influenzare da un disegno utopico, creato in
precedenza ma cercare in direzioni diverse. Come se la
forma definitiva non stesse né nella materia né nel
bozzetto né nell'azione che realizza il disegno, ma nel
dialogo fitto tra questi ed altri elementi: l'opera è da
un'altra parte, il progetto è l'innesco di processi per
arrivare da un'altra parte, è un progetto eterotopico.
Per voler operare li questo modo " ... La compagnia
attraversò di conseguenza, non poche situazioni
critiche, ma soprattutto le cameriere, che non avevano
mai finito di lavare, di stirare, di scucire e
ricucire..."
- Accadde dunque che alcuni dei processi
innescati risultassero immediatamente efficienti, altri
invece avrebbero prodotto scarti e riflessioni, che non
si leggono più alla fine del lavoro.
- Ad esempio, dopo aver visto il film Mon
oncIe d'Amerique di Alain Resnais, ci avvicinammo
alle teorie di Henry Laborit e tentammo di suddividere i
comportamenti dei quattro protagonisti del romanzo nelle
quattro categorie laboritiane di consumo, lotta, fuga e
inibizione. Scoprimmo che si potevano tuttalpiù
individuare dominanti, ed anche queste con una buona dose
di arbitrarietà perché ciascuno di noi arrivava a
risultati diversi. E pure anche le false piste
diventavano preziosi momenti per percorrere il testo una
ennesima volta, senza consunzione, senza ripetitività,
poiché sempre si spostava la prospettiva di lettura.
- Fondamentali nella costruzione dello
spettacolo si rivelarono invece I misteri dei giardini
di Conipton House di Greenawav, che ispirò la
costruzione di alcuni dialoghi e suggerì importanti
soluzioni formali, e Barril Lindon di Stanlev
Kubrick, che influenzò il piano luci di Lucio Diana e
Roberto Tarasco.
- Il capannone in cui si lavorava era stato
riparato da poco. Fuori, in un angolo erano ancora
ammonticchiati numerosi mattoni.
- Il soffitto era piuttosto basso e
sarebbero occorsi alcuni giorni per risolvere
tecnicamente l'impossibilità di avere tiri e americane
su cui sistemare i proiettori, ma noi volevamo cominciare
a provare subito: i fari furono sistemati ai lati dello
spazio scenico su pile di quei mattoni a formare corridoi
di luce e di buio. Si otteneva così profondità di campo
per creare piani differenti per i diversi luoghi
dell'azione ( il dentro e il fuori), quasi corridoi del
tempo per rappresentare visivamente il
"prirna", l' "adesso" e il
"dopo".
- Questi corridoi, che prima sfumavano l'uno
nell'altro, vengono precisati e caratterizzeranno il
piano luci definitivo.
- Per le attrici è un continuo sporgersi in
avanti da fondo palco a cercare la luce e poi ritrarsi
nel buio, oppure, trovato il corridoio, percorrerne la
striscia da un lato all'altro dello spazio scenico.
- L'impressione è quella di essere dentro a
un quadro di Caravaggio, sempre in un gioco alternato di
chiarità e ombra, segreto e rivelazione.
- La luce cela e svela
- Questa proprietà è enfatizzata, alla
lettera, dalle cortine di pizzo, tese su cavi d'acciaio
fra un corridoio di luce e l'altro. Le tende, aperte e
chiuse dalle attrici, si sovrappongono, creano quadri di
ampiezza diversa, nell'alveo nudo del palcoscenico (che
sarà sempre utilizzato senza quinte né fondale), velano
e svelano la scena. Allo stesso modo i grandi teli, che
ci sono usuali, perché leggeri, duttili, reattivi alla
luminosità e al movimento, vengono issati dalle serve a
formare soffitti, ammainati a creare pareti o pavimento,
stesi come lenzuola di un gran letto comune, mossi come
nuvole nei temporali, gonfiati come vele sul lago, fatti
tremare come la stessa superficie iridescente del lago.
- Le distanze sono falsate.
- Ora possiamo parlare come stessimo vicine
a far confidenze e invece ci sono otto metri a dividerci,
oppure possiamo trovarci in ali diverse del castello pur
restando vicinissime, possiamo muoverci naturalmente su
uno schema innaturale.
- Solcando lo spazio solo su ascisse e
ordinate. Tramare sull'ordito.
- Tessere la trama del racconto. Con lo
stesso gesto preciso, deciso, utile, delle donne al
telaio. Il testo non sarà un ricamo, ma la trama della
tela. Ruvida.
- ACCORDARE
LA STORIA
- L'immagine del telaio fluttuava già da
alcuni mesi, ma si chiarì in quei primi approcci
spaziali e influenzò fortemente anche le risoluzioni
della scrittura del testo.
- Diventa ora assai difficile decidere una
consequenzialità in quello che accadde nei giorni di
prova. Certo dopo aver raccolto i riassunti scritti dalle
attrici, ne stabilimmo uno definitivo, poi decidemmo di
raccontare ogni evento tre volte, perché diavolo proprio
non lo so più. Credo dipendesse dal gran numero di
presagi che il romanzo contiene.
- Le premonizioni mettono nella condizione
di dover descrivere il futuro già prima che accada. Poi
avviene il fatto in sé e quindi la memoria.
- Questa tripartizione, ci costrinse a non
pochi espedienti farraginosi per trasformarla in teatro,
la risolvemmo con le tecniche della diceria, della
leggenda, della favola. In ogni caso le soluzioni
venivano stabilite a priori un giorno, rivoluzionate in
fase di messa in scena, stravolte il giorno appresso,
dimenticate, poi rammentate al primo intoppo successivo,
a volte riprese, a volte abbandonate per sempre senza
rimpianti.
- L'intreccio tra le attività era
impressionante.
- Il visitatore che entrava in sala e si
cercava una sedia, silenziosamente, per non disturbare,
se ne usciva altrettanto silenziosamente, con
l'impressione di essere finito per un momento in una gran
confusione, in cui ali era impossibile sceverare chi
stesse facendo cosa e perché.
- I suoi passi, timorosi e pieni di rispetto
per la concentrazione creativa, avevano trovato un
terreno su cui si stava scavando rumorosamente: tre
attrici improvvisano, i tecnici si lanciano cavi e corde,
un brano musicale viene diffuso per pochi secondi e poi
via un altro, il rumore della macchina da cucire e quello
del martello si sovrappongono alle indicazioni del
regista, mentre un'attrice, in un angolo impara
qualcos'altro a memoria e un'altra scrive.
- Improvvisamente infine, capita che la
scena si svuoti, le ragazze escono fuori al freddo e
vanno a provare dietro le macerie, allora tace anche la
macchina da cucire, perché era una delle attrici che la
stava usando, e anche quella che scrive raccoglie i fogli
e la sciarpa e se ne va con le altre.
- In sala torna silenzio, perché adesso gli
uomini stanno tutti attorno ai tessuti, a vedere se
quella sfumatura di verde si può tenere oppure no e poi
innaffiano le piante. Tutti meno uno, che è andato a
cercare il minuto di musica che gli manca. Ognuna delle
azioni descritte e le mille altre necessarie influenzano
il testo.
- Bisogna che chi scrive sia sempre attento
a tutto quello che accade.
- Spostare un telo o una luce provoca svolte
nella storia, necessità di inventare altre frasi, o di
tagliarne.
- Spesso lavoriamo disposte in schiera: la
schiera diventa un modulo indispensabile alla creazione,
è il foglio bianco, il "bianco" che si fa in
video prima di cominciare, somiglia agli abiti bianchi
con cui iniziamo le prove, che si coprono poi eli colori
mano a mano che lo spettacolo cresce.
- I personaggi, disposti in fila di fronte
al pubblico uno accanto all'altro, sono note musicali che
si spostano sul ri-o, ora suonando movimenti, ora parole.
- Le frasi del testo assumono cosi una
necessità interna che non è solo di significato, ma
anche di estensione e di durata: spesso abbiamo avuto
bisogno di scrivere una frase che "duri otto
battute, dodici, ecc.".
- Più volte abbiamo provato tutto lo
spettacolo in "oratorio", cioè cori la
disposizione a cerchio, poi a semicerchio, sempre rivolte
al pubblico, come in un concerto vocale, cercando di
condensare il movimento in semplici rapporti prossemici
fra le attrici, spostandoci di volta in volta a
"cantare" la parte vicino alla compagna di
scena, o alla voce cui bisognava accordarsi per creare
l'ambiente sonoro di quel particolare momento per poi
cambiare di posto sulla schiera alla scena successiva.
- Durante queste prove si rafforzavano
alcune relazioni e se ne scoprivano altre per le quali
bisognava trovare nuovi testi. Quello che voglio dire è
che, procedendo scrittura, messa in scena, allestimento e
improvvisazione in modo parallelo, si creavano anche
nella storia e nel testo velari, sovrapposizioni,
trasparenze, intersezioni sorprendenti, e molto della
fatica fisica consisteva nell'essere continuamente
all'erta per coglierli, fissarli, sistematizzarli.
- Il livello dell'attenzione, in
quell'apparente caos, era molto alto, a volte la tensione
diventava insopportabile e allora chiudevamo baracca e
burattini e andavamo ... a farci una sauna.
- Ci era finita in mano la pubblicità di
una palestra aperta di recente, sulla strada tra il
capannone e la nostra casa d'affitto. Divenne buona
abitudine farci una tappa ogni tanto.
- Nella sauna ci sono sei donne che ancora
ridono degli scherzi e degli imbarazzi dei primi giorni,
la doccia non è mai abbastanza calda per una e fredda
per l'altra. Poi la stanzetta si riempie di vapore,
allora le voci si abbassano, si illanguidiscono, si
rarefanno fino al silenzio. Sogno moltissimo, in questi
giorni. Immagini su immagini. Anche se si dorme poco.
- Abitiamo in una casa ammobiliata appena
fuori dal paese, una grande cucina sotto e tre stanze
sopra, sul tavolo si avvicendano il cibo e i quaderni. In
camera, sopra l'armadio abbiamo ammonticchiato i
soprammobili e tutto quel che potevamo togliere per far
spazio alle nostre cose e così lassù è finito un
grosso vaso di coccio con dentro piume di pavone. Lo
spettacolo sta prendendo quei colori ed è, nonostante la
povertà dei materiali, attraversato (la un che di
sontuoso, di languido, come i contorni sfiniti dei visi
nella sauna.
- Si crea, in questa nostra convivenza, una
complicità di gesti quotidiani, un comune linguaggio dei
movimenti, si accelera quel processo di comunicazione che
in Lui normale ciclo di prove in teatro, a casa, con
ognuno che si saluta finito di lavorare, sarebbe
impossibile.
- Comprendiamo qui che ogni spettacolo deve
racchiudere un tempo, un ritmo, Un luogo a sé
somigliante e che le condizioni per ottenerli si celano
nel diverso uso del tempo e dello spazio durante tutta la
giornata.
- La fatica, i disagi del vivere un po'
accampati trasmettono al lavoro concretezza. Il problema
è mantenersi desti. E continuare a "vedere"
dentro quel magma le storie.
- Nella casa la sera sul video ripassano gli
stessi film, sul tavolo riportiamo ogni scena su singoli
fogli che vengono scambiati, allineati in maniera
differente, giustapposti in gruppi per cercare la
sintassi dello spettacolo, con gli stessi gesti con cui
sul pavimento del capannone spostavamo pezze di stoffa,
teli e passamanerie cercando abbinamenti e composizioni.
- La prassi è la medesima. I costumi, da
una semplicità iniziale di abito e grembiule, diventano
un insieme di elementi sovrapposti, una gonna, una
camicia, un grembiule, un gilet, e anche più maniche
l'una sull'altra, di cotone, di lana, di pizzo, ma senza
decorazioni superflue. Ci sono più strati soprattutto
perché dall'estate delle prime prove si è giunti
all'autunno e ora alle prime avvisaglie dell'inverno. Fa
freddo. Ci si copre con panni che scaldino, ma non
intralcino nessun movimento, conservino gli echi dei
quadri Vernicer, del lusso dei padroni, ma siano al tempo
stesso dimessi, un ricordo di un che di sontuoso, come
l'abito smesso regalato alla serva.
- Anche il testo, come fosse di lana e di
pizzo, assume spessori e trasparenze: le parole delle
serve sono la scia delle conversazioni dei signori,
trattengono alcuni modi e termini, altri li rigettano per
servirsi di un linguaggio più semplice.
- Le sei serve non sono sempre lo specchio
dei comportamenti dei signori. Nell'operosità quotidiana
trovano occasioni di riflessione negate ai loro padroni.
A volte si aprono ai loro occhi paesaggi di
consapevolezza smisurata, che non sanno dire. Non
conoscono le parole per dirli, o forse non sono ancora
state inventate. Allora le donne restano mute, in un
silenzio teso e sospeso, gli occhi lucidi, lo sguardo
avanti, uno sguardo che vede, distingue, comprende, ma
non sa nominare.
- Di qui vengono le lunghe pause che ritmano
lo spettacolo e sottolineano alcuni momenti di densità
di significato così alta che pare impossibile decidere
quale direzione imprimere ad un qualsiasi movimento.
L'aria del lungo respiro preso per cominciare a parlare
si ferma nel petto in una apnea stupefatta. Forze
contrapposte tendono in tutte le direzioni e non resta
che sospendere il giudizio, il tempo, l'azione.
- Quando questa riprende è sottolineata da
una espirazione che sgancia il freno del movimento e
libera una forza centripeta da cui si staccano, di nuovo
visibili, i gesti e finalmente pronunciabili, le parole
del racconto.
- La scrittura, che mi viene affidata in
larga parte già dagli spettacoli precedenti, per mio
piacere e scelta, ma in parte anche per esclusione (a
nessun altro piace farlo), non è solo scrittura di
appunti, rilevazione delle improvvisazioni, ma anche
interpolazione di testi, citazione, preparazione di
materiali per le improvvisazioni, a volte addirittura
esercizio di scrittura "alla maniera di". Cerco
cioè di pensare a come parlerebbero le altre,
improvvisando su un dato tema e provo a scrivere le loro
parole, vedendo se si possono così tagliare dei tempi.
Oppure cerco di capire quali parole hanno colpito
Gabriele, Lucio, Roberto, e utilizzarle, anche come
forzature, stridori che più avanti potrebbero trovare
luogo più armonico. A volte scriviamo a più mani, con
Gabriele, con Cristina, con tutti a suggerire, ricordare,
contraddire. A volte si tratta di ricavare battute di
raccordo, ricucire scene apparentemente opposte, o non
contigue.
- Insomma, come spiegarmi? Partiamo da qui:
mia madre è sarta. La metafora più vicina a questo
lavorio sul testo è quello del suo lavoro di sartoria,
dove l'abito cresce a partire dal modello trovato sul
giornale, il tracciato ricavato sulla carta velina, le
misure della cliente, il peso, il colore della
stoffa,...di chi è l'abito? Di chi l'ha disegnato e poi
pubblicato? Di mia madre che lo ha modificato? Delle
lavoranti che lo hanno cucito? Della merciaia, che ha
trovato rifiniture anche più belle dell'originale? In
ogni caso l'abito, alla fine deve piacere anche alla
cliente, che se lo porta via... da quel momento è suo.
-
- STORIA DEL TESTO E DEL SOTTOTESTO
- Le serve hanno gesti precisi, concreti,
utili, i pochi elementi di cui la scena è composta
richiedono continui spostamenti per ricombinarli, creando
ambienti differenti.
- Programmaticamente viene chiesto da Vacis
di non ricorrere ad astrazioni, di non ricamare, appunto,
ma semplicemente eseguire con calma tutto quello che è
necessario, legare con cura, appoggiare saldamente,
stendere esattamente, spostare con attenzione, col tempo
che ci vuole, non meno e neppure di più. Fare davvero e
non fingere di fare. Preoccupandosi del fatto che ogni
movimento sia efficiente e non danzato.
- E sul movimento si accordano le parole,
fluidamente, senza smettere di agire per fermarsi a
parlare, senza coprire le parti fondamentali del testo
con interferenze e rumori di scena, eppure lasciandolo
fluire anche, a volte, come musica, come puro suono,
senza pensare di dover pronunciare ogni parola come fosse
l'ultima prima di morire.
- Vedevamo nel teatro della frammentazione
un modello in crisi che non ci aveva mai veramente
coinvolti e ne cercavamo uno in cui fosse possibile
prendersi la responsabilità del funzionamento
dell'intera macchina della scena, la responsabilità del
discorso piuttosto che dei suoi singoli segmenti.
- Gesto utile, parola fluida.
- Quale parola? O meglio, quale lingua?
- Il problema si era posto al passaggio
dagli studi, in cui il testo era costituito da pagine
stralciate dal romanzo e dette o addirittura lette
integralmente, al racconto in prima persona e al dialogo.
- Come parlano questi personaggi?
- Tutta l'opera di Goethe è attraversata
dal problema della lingua. Nella sua Germania, divisa da
decine di dialetti, l'uomo del nord non capiva quello del
sud. Questa difficoltà di comunicazione che pertiene la
geografia, nelle Affinità elettive è invece relativa
alle epoche. Le idee della rivoluzione stanno
sconvolgendo quello che sembrava il naturale corso della
storia e ciò provoca sconcerto e turbamento. Lo stesso
turbamento che coglie Carlotta quando viene a sapere che
il Capitano le rimprovera di disegnare i sentieri del
parco senza uno schema preciso, scientifico, ma seguendo
l'impulso, a caso, empiricamente. "A lei avviene
come a tutti coloro che si occupano di cose del genere da
dilettanti: le importa di fare qualcosa piuttosto che
qualcosa sia fatto".
- A Carlotta, cui erano i sentieri sembrati
così ben riusciti, l'appunto dispiace, è risentita con
il Capitano, eppure ne subirà il fascino e acconsentirà
ai suoi progetti, che richiedono rilievi, misurazioni,
nuovi strumenti, coraggiose demolizioni e ricostruzioni.
- C'è un mondo vecchio che guarda il mondo
nuovo. E non sa cosa pensarne, né come comunicare con
lui.
- Una lingua vecchia, il dialetto, ed una
lingua giovane, l'italiano.
- Abbiamo deciso che in scena ci saranno
quattro serve giovani e due serve anziane, queste ultime
sempre vissute al castello, custodi del vecchio parco
anche quando i Signori non ci abitavano ancora. Sono le
testimoni del mondo antico, delle sue forme e delle sue
regole e parlano i suoi idiomi. L'una si esprime in
dialetto stretto, l'altra la traduce, in una lingua che
conserva pesanti inflessioni dialettali. Traduce gli
ordini alle nuove arrivate, le giovani serve di Carlotta,
Edoardo, Ottilia e del Capitano e dunque al pubblico.
- Così, per estensione del procedimento,
stabiliamo che la serva del Capitano, venuto a portare il
vento delle nuove idee, parla la lingua di quelle, idee,
il francese, mentre la serva di Ottilia è muta.
Arriviamo al mutismo della serva partendo dalle
caratteristiche della sua padrona. Ottilia è nel romanzo
fanciulla schiva, silenziosa, incapace di comunicare
apertamente col mondo, e al termine della sua disgraziata
storia d'amore con Edoardo si chiuderà in un autismo
profondo, rifiutando di mangiare, bere, parlare fino a
morirne. La sua serva, specchio del personaggio, non può
parlare.
- Il destino separa Carlotta da Edoardo e
per affinità elettiva si creano nuove coppie: Carlotta e
il Capitano, Ottilia ed Edoardo. La stessa affinità
legherà le serve, così che la serva di Carlotta, che ha
imparato un po' di francese dalla padrona, preferisce
lavorare con la serva del Capitano e la serva di Edoardo
imparerà a capire i fonemi della muta e a tradurli alle
compagne.
- Davvero Adriana Zamboni - Vera - non
capiva il mio dialetto. Fedele parla un idioma monferrino
ricreato sull'onda del ricordo, pieno di barbarismi e di
invenzioni per semplificarne la comprensione alle
compagne, che lentamente si assuefanno e lo imparano. In
dialetto, scopro, posso dire cose che in italiano non
avrei mai il coraggio di dire. Posso parlare dei
sentimenti senza leziosità. h, bocca ad una serva che
conosce solo il suo dialetto, chiamare le emozioni col
foro nome acquista autorevolezza e semplicità. Eppure
devo superare continue resistenze. Resisto alla forma che
ho trovato. Dentro al limite del dialetto la creatività,
dopo un inizio di struggente consapevolezza, mi sembra
tarpata, dimenticando che proprio nel limite, nella
norma, la creatività diventa necessaria e si rivela.
- A lungo fu difficile capire la
"parlata" della Muta, poi battezzata Ondina,
altro nome che Goethe attribuisce ad Ottilia. Cristina
Torriti prima aveva studiato il linguaggio gestuale dei
muti, poi aveva cercato un suono mettendosi in bocca gli
impedimenti più strani, dal morso dei pugili, a una
spugna, agli apparecchi per raddrizzare i denti, fino al
sasso che diventò l'espediente col quale creava la sua
lingua.
- Quanto al francese, Gabriella, che pure lo
conosceva abbastanza bene, dovette scontrarsi con
l'afasia dell'improvvisare in una lingua straniera,
finché smise di pensare in italiano e cominciò a parlar
francese dal mattino alla sera.
- In questa frequentazione della lingua si
precisa la presenza scenica. Ogni lingua ha un ritmo che
si trasferisce al corpo, al gesto, e intersecandosi con
le caratteristiche del personaggio imprime caratteri
genetici profondi. Non è un caso che sia stato più
difficile per chi parlava in italiano, lingua con segni
ancora troppo recenti, arrivare alla forma definitiva
della propria presenza.
- La difficoltà successiva stava nel
concertato, nell'amalgama del suono, che deve
"contenere" il testo, ma mai confonderlo,
intorbidarlo.
- Parlare in sei, improvvisare in sei,
comportava un continuo alternarsi di affermazioni,
traduzioni, fraintendimenti, correzioni, felice ripetersi
di una frase una volta che era stata compresa da tutte,
gioco a contraddirla o sottolinearla, gara a specificarla
con metafore o paragoni per verificarne l'efficacia.
- Spesso si producevano confusione,
scoramento, tensione al silenzio. Avevo a volte
l'impressione che non ci sarebbe mai stata una fine alla
babele in cui l'entusiasmo creativo di ognuna finiva per
scontrarsi nella esuberanza delle altre e produrre una
cacofonia isterizzante.
- Basti: si va a fare la sauna, o, se è
tardi, a dormire. Ad imparare dalle morbide conversazioni
tra i vapori profumati, dal sommesso chiacchiericcio che
precede il sonno, soffice cuscino di parole su cui a
volte si levano frasi pronunciate a voce più profonda, o
più chiara.
- Fuori dalla porta chiusa della camera da
letto arrivano solo le frasi a volume più alto, eppure
nel "cuscino" di parole è pur possibile
cogliere l'umore, il tono della conversazione, se di la
si stiano confidando segreti, scambiando impressioni,
tramando scherzi o sfogando malesseri.
- Allo stesso modo un piccolino forse non
capisce le parole della madre, ma ne coglie il tono,
l'intenzione, il significato al di là delle parole, che
spesso neppure ci sono, sostituite da una lallazione
gioiosa, burbera o rassicurante.
- La costruzione del testo avvenne così su
due livelli.
- Quello appena descritto, il più profondo
lo chiamiamo sottotesto. È denso di umori, echi,
ambienti, è l'aura che circonda i personaggi, li
lambisce come la nebbia bassa delle mattine estive. E il
rumore del mondo, il respiro delle cose, che non si
trovano mai nello stato di silenzio totale del vuoto
assoluto.
- Ci sono pettegolezzi d'ambito francese che
portano a credere che Stanislawskij considerasse il
sottotesto, così come lo intendeva lui, una specie di
sotterfugio col quale risarcire una assenza di ambienti
sovranamente suggestivi - castelli, abbazie, giardini
invasi dall'edera e suscitare nell'anima,
artificiosamente dunque, stati emotivi consoni alla
creatività attorica.* Se è così, aggiungiamo che per
noi si tratta di suscitare il medesimo effetto per quel
che riguarda la creatività del pubblico.
- (*) Scrive Gcorgettc Leblanc,
l'eclettica e mondana attrice e cantante che aveva
sposato Maeterlinck: "je me souvenais des paroles de
Stanis1awskj, le directeur du théatre artistique de
Moscou, 1orsqu'i1 était venu nous voir à
Saint-Wandrille: - Les cours, les leçon rèpétitions ne
puvent apporter aux artistes ce que donne une continuité
d'atmosphère, la vie de l'esprit dans un cadre de
beauté. Je vous envie cette Abbaye". (Georgette
Leblanc, Souvenirs (1895-1918), s.l., Grosset,
1931, p. 244).
- In assenza della cosa, indurre ad
immaginarla, percepirla sensualmente attraverso un
processo analogico, immergendolo in un viluppo di
sonorità che sono lo spessore dell'aria attorno ai
personaggi, ma anche le tracce della vita dell'attore
sotto a quella del personaggio.
- Il sottotesto è il segno che resta
visibile del continuo sforzo creativo dell'attore, che si
mette in relazione con gli altri attori ora e adesso e
con loro cerca relazioni con la storia, con la scena. Nel
sottotesto, quotidiano ed extraquotidiano, vita
dell'attore e vita del personaggio, non sono sempre
distinguibili, né vogliono esserlo. La natura di questa
relazione è qualcosa di simile alla traduzione
dell'esperienza in poesia. È a volte trasparente come
una battuta di spirito o un'espressione di disappunto o
risentimento, a volte misteriosa come un sospiro, una
risata trattenuta, un pianto nascosto.
- Accanto a questo, si costruisce il testo
che racconta, che traccia la storia nei dialoghi e dallo
sfondo spicca il salto verso il pubblico, a volte in
parabola, dall'attore allo spettatore, a volte di sponda,
da una voce a un'altra che la traduce, al pubblico.
- Soprattutto in questa seconda fase intende
la scrittura.
- Ogni improvvisazione, il cui tema è
stabilito dall'esterno a seconda del punto della vicenda
che stiamo affrontando, viene trascritta subito a più
mani.
- Poi ne vengono fissate le coordinate più
utili e precise e su quelle si improvvisa di nuovo, fino
al risultato definitivo. A freddo, la sera, o anche
qualche giorno dopo, vengono poi inseriti brani di testo
creati a tavolino, per i quali e stato necessario
rileggere parti del romanzo o cercare altre fonti.
- A freddo, oppure " ... al freddo "
...
- Vale la pena di soffermarsi su com'è
stata costruita la scena che chiamiamo "delle
canne", dalle due canne di giunco che ogni attrice
tiene in mano. Sono canne lunghissime formate ciascuna
dall'incastro a telescopio di tre giunchi diversi.
- Il tema della giornata di prove era il
momento in cui la serva del Capitano, irritata per la
lentezza e Fignavia delle altre, le sollecita a lavorare,
insegnando loro come usare i nuovi strumenti portati al
castello dal suo padrone. "Oggi si può misurare
tutto", dice alle compagne scettiche, che diffidano
delle novità e la sfidano chiedendole se anche i
sentimenti si possono misurare....
- Nello stesso dialogo bisognava anche
comunicare al pubblico il nascente scambio delle passioni
fra i padroni e mostrare come un analogo rapporto di
comprensione stesse formandosi tra le serve.
- Un pomeriggio di lavoro fornì materiale
per una scena lunga un'ora che invece doveva durare al
massimo sette, otto minuti.
- C'erano riflessioni sulla possibilità di
contare l'universo (e quanto legate anche giocosamente,
alla fatica che era costata l'analisi quantitativa del
romanzo ... ). Con le canne allineate veniva suggerita
l'immagine dell'abaco e inventati curiosi espedienti per
contare tutti i pesci del mare, i granelli di sabbia, le
stelle, i semi e la frutta.
- Intanto si inframmezzavano dialoghi in cui
la serva di Edoardo si prendeva cura della Muta e la
difendeva dalle derisioni delle altre, o ancora
battibecchi tra le anziane e le giovani, tra Vera e
Fedele.
- Da qui avevamo tentato la strada dei
proverbi ed iniziato una sequenza di botta e risposta a
suon di modi di dire, passandoci le canne come si fa col
testimone nei giochi a staffetta.
- Più facile dirlo che farlo.
- Uno scatto di disappunto fece cadere
malamente il fascio di segmenti di canna, che si
sparpagliarono a terra, ammonticchiati. Prendemmo a
disfare quel mucchio con cura, liberando un'asta alla
volta, giocando al gioco che qui si chiama Shangai,
altrove Mikado.
- Durante il gioco nominavamo ad ogni mossa
un sentimento, seguendo il procedimento con cui Ts'ao
Hsúeh Ch'in, l'autore de Il sogno della carnera rossa
intitola ogni camera del suo palazzo cinese: la
Camera della Follia Amorosa, la Camera della Gelosia, la
Camera delle Lacrime Mattutine, la Carnera dei Sospiri
Notturi, la Camera dell'Affanno di Primavera, la Camera
dell'Afflizione Autunnale, ... e poi a qualcuno venne in
mente che potevano essere invece titoli dei libri di
Edoardo ... il Libro dell'Amore Folle, il Libro del
Risentimento, il Libro della Gelosia, il Libro dell'Amore
che comincia, il Libro dell'Arnore che finisce, il Libro
delle Lacrime mattutine, il Libro dei Sospiri Notturni...
- Se cercavamo di trovare un filo, ognuna
delle strade prendeva così tante diramazioni (la
trasformarsi in altrettante scene, mentre a noi occorreva
un unico passaggio, un ponte verso il quadro successivo,
dove, nella capanna di muschio, la serva di Carlottà e
la serva del Capitano svelano apertamente il gioco delle
coppie che si scontrano su due diverse visioni del mondo
antico e moderno, oriente e occidente.
- Vacis ci spedì fuori in cortile, con la
scusa che in sala c'era troppo rumore, in realtà sperava
che il freddo ci avrebbe sollecitate a tagli decisi senza
troppe discussioni. Il che avvenne puntualmente in modo
assai rapido, pur trattandosi di una delle scene che
comportano maggiori incastri di testo, sottotesto,
traduzione. Nel copione definitivo, sarà quella dove
più chiaramente il progetto appare irrimediabilmente
legato alle vicende umane. Esse, occupand o il tempo e lo
spazio, influenzano il progetto a volte sino a
stravolgerlo.
- Per rifarci di giornate particolarmente
faticose mangiavamo al ristorante Zaghini. Ci serviva a
tavola un cameriere anziano, gentile, un po' allegro, un
po' malinconico. Tutte e due le cose insieme. Angelo si
preoccupava quando non mangiavamo abbastanza e se c'era
malumore ci tirava su con qualche battuta in quel suo
dialetto dolce dove l'agnello diventava
"l'agneulo". Lo tenevamo al corrente del lavoro
e cominciò a diventare una sorta di confidente, sempre
più coinvolto dai nostri racconti.
- Nel finale dello spettacolo, dopo aver
messo al riparo le piante nella serra, e cioè coperto il
palcoscenico di grandi piante in vaso, le giovani serve
ripartono dal castello e anche le anziane lasciano il
parco che tutti hanno abbandonato, resta in scena
soltanto un vecchio giardiniere a innaffiare con cura,
parlando ormai da solo, o con le piante, sottovoce.
- Al debutto il giardiniere non poteva
essere che Angelo. Non era stato difficile convincerlo.
Correva da noi la sera, appena finito il servizio al
ristorante, al posto della sua giacca bianca indossava il
grembiule eli cuoio ed entrava tranquillo in scena,
chiamava qualche volta le piante per nome, ma piano, che
sentivamo solo noi. Ogni sera nomi diversi, ma Rita ...
c'era sempre. Chissà chi era quella Rita... non glielo
abbiamo mai chiesto...
- Su ogni piazza da quella prima sera,
Mariella si sarebbe preoccupata innanzitutto di trovare
il giardiniere, facendo uscire allo scoperto un anziano
custode del teatro, oppure tirando fuori dalle bocciofile
e dalle case del popolo un signore canuto ed emozionato
che la sera avrebbe recitato il finale con noi. Anche le
loro voci andrebbero incrociate oggi, perché ognuna
delle persone che ha partecipato alla creazione, anche
uno dei giardinieri, potrebbe raccontare fasi preziose
del lavoro. Per esempio, ci vorrebbero pagine per
descrivere le numerose soluzioni, alcune molto
spettacolari, con cui è stata risolta l'entrata in scena
del giardiniere.
- Lo spettacolo non è mai finito. Ma
debutta.
- Così come, qui di seguito, ora debutta il
testo.
- Vale la pena ricordare che il copione è
stato riveduto nelle repliche registrando le variazioni
suggerite dal contatto col pubblico, e che altre
modificazioni ha comportato, otto anni dopo, il
riallestimento dello spettacolo col titolo Affinità. La
ripresa, con Anna Coppola (la serva del capitano), Laura
Curino (Fedele), Mariella Fabbris (la serva di Edoardo),
Benedetta Francardo (Ondina), Lucilla Giagnonì (la serva
di Carlotta) e Paola Rota (la serva del Capitano), ha
messo in atto relazioni e conflitti fra memorie generando
ulteriori occasioni di ricerca e nuove opportunità
culturali. Non ultima, quella che mi ha consentito di
ricostruire e narrare le vicende del testo.
-
-
- ELENCHI
- ELEMENTI COSTITUTIVI DEL PARCO E DELLA
PROPRIETA'
- Vivaio. Capanna di muschio. Terrazza.
Ciruitero. Valletta. Rocce. Boschetti, Macchie.
Dossifertili. Gruppi isolati di alberi. Cespugli. Folto
di pioppi. Folto diplatani. Sentiero. Strada. Serre.
Aiuole. Ponticelli. Scale. Piattaforine. Capanna. Spigolo
roccioso. Sassi, Muretti. Parco. Gradini. Sentierucoli.
Stagni. Acque. Canali. Monte. Balza. Torrente. Macigni.
Palizzate. Travi. Assi. Muro. Greggio. Padiglionc.
Terrapieno. Giardino. Angolino. Panorama. Montagnola.
Rupi. Macigni muschiosi. Ripide guglíe. Alberi
altissimi. Pietraia. Apprezzamenti frazionati. Viottoli.
Viste. Soste. Alture. Campagna. Monti. Prima pietra.
Fondamenta. Scavo, Tagliapietre. Scultore. Muratore.
Fattoria. Colli boscosi. Tre stagni. Lago. Collina.
Fiume. Vigneti. Quercie. Barca. Piazzola d'approdo.
Canne. Terre. Sedili. Argine. Lago unico. Dispositivo per
fuochi d'artificio. Fuochi galleggianti. Erba. Spianata
cinta di piante Per il ballo. Prato. Guardaroba per i
giardinieri. Dioisa. Attrezzi:falcetti, raschiatoi,
rastrelli, vanghettine, zappe, larghe scope, canestro,
rullo di ferro. Fragole. Ciliege. Frutti. Innesti.
Qualità pregiate. Recinti.Fiori di tarda fioritura.
Corolle. Nella -fattoria di Edoardo csulc: torrente,
declivi dolci, fertili campi, frutteti. Trifoglio. Tigli.
Chiesadistile tedesco. Girasoli. Aster. Germogli. Rami.
Foglie. Palme. Verzure. Cinte. Vasi. Agrumi. Bulbi.
Garofani. Primule. Piante esotiche. Platani. Passerella.
Virgulti. Caverna. Rupi ammassate a mo'di torri. Eremo.
Giacimento di carbone.
- MESTIERI
- Chirurgo militare. Scrivano. Mugnaio.
Mugnaia. Fittavolo, Muratore. Tagliapietre. Scultore.
Postigliorri. Maggiordomo. Servitori. Sovran i. Dama di
compagnia. Sentinella. Guardie. Cameriere. Carpentieri.
Giardinieri. Architetto. Avvocato. Cacciatori. Pescatori.
Negozianti. Mercante. Ufficiale di guarnigione. Poeta.
Assistente di collegio. Direttrice. Prete. Mediatore.
Guardiacaccia. Falegname. Tappezzierc. Pittore.
Locandiera. Mendicante. Studentesse. Fotografo.
Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna