Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Lettera per Claudia Contin

 

Lettera per Claudia Contin

 

Qual'è il genere di riferimento di Viaggio di un attore nella Commedia dell'Arte di Claudia Contin?

t certamente un saggio storico-teorico, ben documentato (con un ampio apparato di note) e guidato da una consistente linea di pensiero, ed ha insieme la forza delle dimostrazioni di lavoro (quelle cui ci hanno "abituato" attori e attrici dell'Odin Teatret): qui le parole scritte suscitano visioni, tanto sono concrete e precise, anche per chi non abbia pratica di palcoscenico. Chi legge, vede.

E ancora: veniamo a conoscere un percorso autobiografico, anche se le informazioni di vita sono scarse e quasi celate nel testo (l'età pressappoco, la laurea a Venezia in Storia dell'architettura, la frequentazione di varie scuole fra cui la scuola dell'Avogaria di Venezia, il lavoro con il gruppo Attori & Cantori ... ). In compenso entriamo direttamente nel cuore della sua passione teatrale - lo studio e l'esperienza della deformazione grottesca - e della sua formazione di attrice. t questa una questione che pertiene alla sua identità pubblica di artista o è qualcosa che permea in senso globale la sua sensibilità? Dove comincia e dove finisce la sfera privata quando il mestiere si fa ragione di vita e d'arte? Lo studio della deformazione grottesca è esperienza trasformatrice del soggetto stesso, e dunque oltrepassa certe separazioni. Il teatro è trasmissione e relazione: l'autoritratto si compone di un quadro a più figure in cui compaiono coloro che Claudia Contin considera i suoi più "diretti maestri" - gli attori Renzo Fabris, Tommaso Todesca, Enrico Bonavera, il regista Ferruccio Merisi, lo storico Ferdinando Taviani- e si delinea una rete di rapporti incessantemente intessuta, in cui nessuno viene dimenticato: fino a citare chi ha suggerito il titolo di uno spettacolo, fino ad evocare i suoi allievi.

Nel testo le parti scritte in prima persona, le riflessioni e le descrizioni si mescolano a frasi dei maestri e a pezzi di interviste ad artisti, senza soluzione di continuità: ne risulta una scrittura dalla forte impronta soggettiva e insieme a più voci: corrispondente per questo alla particolare natura del sapere teatrale, che procede per accumuli prodotti collettivamente - e talora anonimamente ~ senza annullare la nettezza di certe impronte individuali. t una scrittura d'attrice, limpida e densa, in cui il pensiero si fa parola senza distaccarsi dal corpo, e che - come il linguaggio scenico - mira a provocare esperienze, a trasmettere energie, a evidenzare elementi di non-convenzionalità.

Il testo racconta un viaggio mentale - attraverso tracce della Commedia dell'Arte e archetipi grotteschi - e un viaggio fisico, di cui è protagonista il corpo con la sua capacità di trasferirsi altrove, di diventare un altro: verso Arlecchino. Il lavoro sul e col corpo crea il personaggio: "ogni caratteristica psicologica e persino 'la storia' del personaggio può essere 'indossata' fisicamente [ ... J. Indossare fisicamente il carattere del personaggio significa costruire una maschera fisica che si può mettere e togliere proprio come la maschera di cuoio sul viso". Quest'ultima crea di per sé uno spiazzamento: sposta la responsabilità comunicativa sul corpo e sulla parte scoperta del volto, costringe a una nuova espressività, a una forma più ricca di sincerità: "è come se i pori dovessero dilatarsi il più possibile, fino ad uscire al di fuori e al di là dello stesso cuoio, di nuovo a contatto con l'aria". Il lavoro sotto la maschera stimola nuove percezioni, viaggi verso nuovi significati si regolano sui respiri. Tracciando una "mappa caratteriale del corpo" si avvia un lavoro minuzioso, un lento allenamento, teso a costruire un "corpo abnorme" interamente coperto da una maschera. L'attrice entra nel mondo psicofisico di Arlecchino, costruisce le sue camminate e i suoi

ritmi, finisce così per assumerne il punto di vista sulle realtà e il carattere. La "visibilità spostata", l'espressività accentuata, la contestualizzazione ritmica, provocano - nella sala - nuove traiettorie, nuove modalità di sguardo; mentre chi legge il saggio viene portato per mano dentro l'officina dei misteri, dove il corpo umilmente si scompone e intelligentemente si ricompone, e nasce il corpo extraquotidiano di Arlecchino.

Perché Arlecchino? Secondo Ferruccio Merisi "il lavoro di costruzione analitica di un personaggio apparentemente maschile, poiché riguarda un'attrice, rappresentava una verifica della pertinenza stessa e della organicità della maschera fisica". Innanzitutto si disattendeva una regola - la distribuzione dei personaggi secondo il sesso e le caratteristiche fisiche dell'interprete e l'attribuzione alle ragazze delle parti di Amorose o di Servette - , regola ovviamente infranta altre volte da attrici en travesti. Ma soprattutto si mirava a sancire l'indipendenza dell'archetipo del personaggio inquietante, spaventoso, anche perché il suo corpo in scena era posseduto dall'altro.

Questa tematica è poi affrontata dall'attrice in prima persona, quando, passando in rassegna i personaggi della Commedia dell'Arte, presenta la servetta, che incarna l'essenza della femminilità popolare e a differenza degli altri personaggi provenienti dai ceti bassi non porta la maschera. Si tratta anche in questo caso di ricostruire la natura grottesca celata sotto un volto grazioso e un comportamento brioso: la si riscontra nel carattere di "bimba popolana" affiancato al "ruolo di donna in scena", nel gioco cioè tra esibizione e pudore che è dell'attrice prima che del personaggio. La servetta mette in mostra ciò che può nei limiti della decenza, e dunque mai in modo netto e in primo piano: ogni parte del suo corpo "sembra potersi muovere indipendentemente dalle altre e guizzar via in tutte le direzioni con una flessibilità ambigua". Questo richiamo ad abilità mostruose svela un aspetto grottesco della seduzione. Ma a questa versione femminile di Arlecchino Claudia Contin preferisce Arlecchino in prima persona: certo perché le interessa la natura neutra dell'attore, quella che si manifesta, ad esempio, in Trickster, figura mitica che si fa beffe della storia e dei potenti, capace di ricoprire entrambi i ruoli sessuali, interpretato in Talabot di Eugenio Barba da Iben Nagel Rasmussen. Nel seminario tenuto per il CIMES di Bologna nel marzo di quest'anno, Claudia Contin ha ribadito questa linea, lavorando sulle immagini di Egon Schiele, senza considerare in prima istanza né l'identità sessuale dei soggetti rappresentati dal pittore, né quella di chi li ricostruiva.

Cerca i corpi, prima della loro differenziazione sessuale.

Inoltre, coi personaggi femminili, a mio avviso, si registra un cambiamento sostanziale. Se, infatti, lo Zanni, il padrone Pantalone, il Balanzone, Arlecchino, Brighella, il Capitano rappresentano tipi sociali e caratteri e non la mascolinità nelle sue contraddizioni, i personaggi femminili - sia della servetta sia della cortigiana - sono chiamati a incarnare l'essenza stessa della femminilità, che in un certo senso è già una costruzione, una maschera incollata sulla pelle delle donne, assai difficile da isolare (cosa c'è sotto? Cosa nasconde l'"enigma della femminilità"?).

Questo carattere, meno accentuato e più ambiguo dell'archetipo del personaggio, impone all'attrice un gioco denotativo più radicale, una ricerca più decisa del punto di crisi della maschera, per creare oltre lo stereotipo, attraverso i vecchi connotati, un'identità nuova, non precostruita. Anche le maschere maschili dell'eccesso oltrepassano però il sesso di appartenenza, offrendo agli attori un analogo orizzonte creativo; in virtù di questa analogia, possiamo ipotizza~ re che siano state proprio le attrici a sollecitare nelle formazioni comiche la trasformazione dell'artificio in invenzione artistica, cercando i disequilibri in ciò che sembrava noto e codificato, sfidando l'ignoto a partire dalla scienza teatrale dei dettagli tecnici.

"Il personaggio di Arlecchino è libero da tutto, persino da se stesso", ci sono per lui "mille futuri": questo attrae Claudia Contin.

Questo viaggio, intrapreso dall'attrice non per ri-costruire, ma per re-inventare la sua Commedia dell'Arte, si conclude con un'interrogazione sul linguaggio teatrale in generale e con un approdo: a ricerche così appassionate, a usi del corpo che evocano le parentele animali e i processi di trasformazione della materia - fino alla sua dissoluzione - , a viaggi così spericolati nel cuore del secondo millennio e nel lontano Oriente, fa da riscontro l'ancoraggio al gruppo teatrale. Così tra appartenenza e nomadismo si gioca un percorso femminile cui il teatro offre solide sponde e infinite possibilità di sperimentazione.

Laura Mariani. Studiosa di teatro

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna