Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Editoriale

Editoriale

Teatro/informazione: riscontri storiografici e un rapporto attuale


L’informazione alla quale il teatro si sta rapportando con crescente dispiegamento di energie inventive e di mobilitazione progettuale, non è di natura scenica. I teatranti, infatti, in questo periodo di traumatici e imprevedibili mutamenti storici, hanno moltiplicato le possibilità di relazione con diversificate realtà del mondo contemporaneo, prospettando esigenze conoscitive analoghe a quelle delle inchieste giornalistiche sulle vicende e i lati oscuri della cronaca e della storia recente.

In Inghilterra, come viene qui spiegato dai contributi di Tara MacAllister e di Delia Giubeli, tale esigenza conoscitiva ha generato le pratiche del Verbatim Theatre, basate su sintesi di atti processuali oppure su interviste direttamente svolte da nutriti ensembles di attori che alternano le modalità del dialogo drammatico (specie per rimanifestare certi interrogatori) e quelle della recitazione epica. Diversamente, in Italia, le funzioni informative del teatro sono state inizialmente evidenziate dal “teatro di narrazione”, che ha riattivato qualche funzione arcaica del performer solista. Vorremmo dunque integrare il corpus dei contributi qui raccolti con un rapido accenno alla “storia antica” dei rapporti fra teatro e informazione.

Il giornalismo attivo, aperto al fantastico, nasce con i mestieri dell’intrattenimento: i giullari, infatti, erano anche importanti mezzi di comunicazione. Fra i compiti che giustificavano la loro scabrosa professione, dice un documento duecentesco della Biblioteca Nazionale di Parigi (lat. 14859), c’era il cantare per la ricreazione e l’informazione degli spettatori: “Sed si cantant [joculatores] cum instrumentis et de gestis ad recreationem et forte ad informationem, vicini sunt exucusationi”. Più tardi, nel Seicento, il giornale nasce come foglio di piazza e, in quanto tale, presenta una duplice modalità d’uso: è una pubblicazione da comprare, ma è anche un testo da recitare per sollecitarne l’acquisto. A Bologna, per esempio, è Giulio Cesare Croce che diffonde le notizie importanti. Una collezione di giornali dell’epoca – ci scrive Beniamino Sidoti, che ringraziamo per il contributo – “è conservata all’Archiginnasio, e le notizie che vi si leggono sono quelle che vendono: fatti di sangue e di gelosia, guerre, misteriose cronache, invettive ai politici”. “In quel momento – prosegue Sidoti – il venditore di giornali è anche colui che li scrive e poi li recita davanti al pubblico”.

Nel Settecento, quando il giornale si distacca dalla piazza, il giornalista assume statuto di letterato: non è più un trasmettitore fisico di dati scritti, non amplifica con il gesto e con la parola le notizie del giorno, ma non per questo si separa dallo stretto legame del teatro. Il suo farsi testimone della vita quotidiana anticipa infatti lo sguardo del drammaturgo borghese. Il secolo dei Lumi, in altri termini, sostituisce all’arcaica unità funzionale dell’informatore/performer due distinti tipi di osservatori del sociale: il giornalista e il commediografo. Il Gasparo Gozzi dell’Osservatore veneto e Carlo Goldoni.

Da questo momento le storie del teatro e quella del giornalismo proseguono lungo distinte direttive di sviluppo. Oggi, però, dopo tanti anni di divorzio, pare invece che teatro e giornalismo possano ritrovarsi. Sempre più spesso, infatti, gli uomini di teatro suscitano nel pubblico prese di posizione e inopinate percezioni di realtà, adottando sistemi di ricerca e indagine strettamente analoghi a quelli del dossier giornalistico, mentre, d’altra parte, i giornalisti tendono a rappresentare con criteri drammaturgici le situazioni della realtà. Riccardo Iacona, ad esempio, parlando di “televisione aperta”, spiega che, per il giornalista televisivo, è importantissimo rappresentare il prima e il poi delle persone intervistate perché quest’articolazione narrativa fa di loro dei “personaggi”, suscitando nello spettatore un rapporto empatico che veicola una conoscenza più profonda e partecipata degli argomenti.

I linguaggi dell’informazione e del teatro si sono comunque più incontrati che mescolati. E ai connessi, probabili sviluppi è dedicato il presente numero di «Prove», che inizia con gli Atti del Convegno Teatro e informazione (Bologna, Laboratori DMS, 5 dicembre 2007) per affrontare poi la drammaturgia dell’inchiesta, la situazione della narrazione teatrale in Spagna (Marina Sanfilippo) e le modalità del Verbatim Theatre.

Per quanto si possano avvicinare e sovrapporre, il teatro e il giornalismo continuano a rispondere a statuti profondamente diversi, ma proprio le specificità che li separano consentono integrazioni, “furti”, utili attraversamenti da cui ognuno può trarre quanto gli manca in partenza. Così i teatranti trovano negli strumenti e nelle tecniche dell’inchiesta un modo per acquisire nuclei di verità cui imperniare gli autonomi sviluppi del linguaggio scenico. Pietro Floridia, ad esempio, propone modelli di azioni sostitutive che restituiscano le dinamiche del mondo sociale attraverso i corpi degli attori, mentre Gianluigi Gherzi lavora su un tempo condiviso e presente in cui performer e pubblico interagiscano e si facciano domande ridando senso al racconto scenico. D’altra parte, i giornalisti individuano nel teatro un contesto di socialità, che amplia la ricezione informativa in esperienza mediata del reale. Considerato da questo punto di vista, il teatro dà “una dimensione, uno sfondo nuovo alle storie […] seguit[e] per i rispettivi giornali” (Matteo Scanni); contrappone vitali compenetrazioni di comunicazione, identità e presenza ai “giornali senza giornalisti” fatti di notiziari “basat[i] sugli algoritmi” (Gerardo Bombonato); evidenzia l’ur-teatralità (fatta di personaggi, tempi, spazi e segni sonori) che “sta alla base di qualsiasi forma di rappresentazione” (Riccardo Iacona).

Servono comunque problematiche teoriche che recuperino “il senso attuale di ciascuno di questi concetti [teatro e informazione]” (Roberto Grandi), coinvolgendo altresì le nozioni di “media” e “moderno”, giacché l’inclusione del dato informativo nella performance trasmette allo spettatore “un antidoto rispetto al virus della modernità che, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, tende a trasformare l’individuo in utente passivo o consumatore dell’informazione” (Cristina Valenti).


Claudio Meldolesi
Gerardo Guccini


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