Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
Editoriale A partire da Visniec: un trittico sugli autori e il postdrammatico
Anche senza riferire l’analisi al
solo teatro di gruppo che non si realizza per trasposizioni di drammi,
salta agli occhi il fatto che dagli anni Sessanta per lo più il ruolo
progettuale ed inventivo della scrittura testuale è stato assunto dalla
“scrittura scenica”; le dinamiche della ricerca in materia sono state
soprattutto attivate da registi, gruppi e artisti sperimentali; mentre
le tipologie emergenti hanno scalzato la centralità
dell’attore/interprete privando l’autore del suo principale tramite
relazionale con il teatro agito, cioè del personaggio. Nozione che, pur
resistendo, ha finito per denominare l’opera dell’attore nel processo
della “scrittura scenica”. Così il Nuovo Teatro, assestandosi, ha rilanciato al proprio interno la cultura novecentesca da cui deriva. Però, il Novecento è finito dal crollo del muro di Berlino essendo stato un “secolo breve” (Eric J. Hobsbawm). Di conseguenza, teatranti e studiosi vivono, oggi, una conflittualità di sviluppi. Da un lato, la storia culturale del Nuovo Teatro tendenzialmente attesta l’inattualità dell’autore. Dall’altro, le trasformazioni di civiltà che coinvolgono il nostro stesso vivere, suggeriscono diverse prospettive. Proviamo a orientarci sul perché. Quando le forme dell’innovazione hanno preso il sopravvento sulle pratiche rappresentative, il testo drammatico e, più generalmente, lo stesso linguaggio verbale coniugabile con la scena sembravano cardini di logiche autoritarie dell’istituzione. Ma ora, per l’individuo, il rischio di alienarsi e smarrire potenzialità e risorse non passa più attraverso l’egemonia del discorso ma attraverso il controllo preventivo delle informazioni; non s’incarna, cioè, nella repressione dei linguaggi alternativi ma nel rinnovamento permanente dei linguaggi fittizi ad opera d’una tecnologia in continua espansione. Così il testo, prendendo a farsi di nuovo originario e a interagire col mondo intorno, è tornato ad essere essenzialmente un insieme di parole rivolte alla coscienza; e non si tratta di relazionarsi a ciò riprendendo le modalità interpretative della regìa critica o riconoscendo l’autorità dell’opera letteraria (come se avesse ancora un senso parlare di gerarchie fra i generi), ma anzitutto di dialogare con le voci della scrittura. Per tale ragione, ci è sembrato opportuno dedicare questo numero di “Prove” ad un autore dello spessore di Matéï Visniec, che ha attraversato il regime di Ceaucescu e ora vive fra le contraddizioni e le crisi delle democrazie occidentali. Le sue opere affrontano le devianze del mondo contemporaneo con un linguaggio nitido e tagliente, che può venire inteso ovunque in modo egualmente chiaro e partecipe poiché narra, con sguardo innamorato dell’umanità, storie di dissolvimento, situazioni di rischio, volontà di resistenza. Mentre nell’intervento che apre il numero, Visniec dichiara: l’autore non è un filosofo né un sociologo né un antropologo, piuttosto esplora con i mezzi del teatro condizioni umane che, riguardandolo, evidenziano a sorpresa il suo stesso immaginario. Sapendo inoltre che i nostri lettori sono per lo più persone di studio e di teatro, abbiamo introdotto Visniec con qualche indicazione storiografica e di lettura proseguibile: di fatto, al ruolo dell’autore sarà dedicato anche il prossimo numero (con interventi inediti di Vittorio Franceschi, Stefano Massini, Vincenzo Pirrotta, Saverio La Ruina, Tino Caspanello). Mentre il n. 1/2010 avrà per oggetto l’altro emisfero dell’innovazione: il teatro del “dopo-dramma”. Diversi fra gli interventi previsti per questi numeri ed editi nel presente si connettono al progetto Scritture per la scena (2008/2010) condotto dal CIMES dell’Università di Bologna e da UNIVERSITEATRALI (Centro Interdipartimentale di Studi sulle Arti Performative) dell’Università di Messina con la collaborazione dell’Associazione Riccione Teatro. *** Questo e i due numeri seguenti di “Prove” costituiranno un trittico sui rapporti fra dramma e postdrammatico alla luce di un fenomeno sempre più evidente come il ritorno dell’autore. Nuovi testi drammatici vengono pubblicati e frequentemente rappresentati. Si tratta di pièces che, spesso, anticipano, approfondiscono o traspongono in esiti visionari e allegorici le problematiche dibattute nel sociale. È però raro che le recensioni e gli studi connettano queste drammaturgie alla storia dell’innovazione teatrale. La testualità da teatro, oggi, può dunque definirsi di forma sospesa perché essenzializzata e personalizzabile come quella lirica – purché non si dimentichi quanto vi contano i disequilibri oggettivizzatori del soggetto. Quando le arti si trasformano più velocemente delle culture sociali, il nuovo si manifesta in salti anticipatori, nella stessa decostruzione dei codici comunemente praticati e nell’invenzione di linguaggi coesistenti. Quando le culture sociali e le modalità dell’intrattenimento come quelle dell’informazione si trasformano più velocemente delle arti, il nuovo nasce dall’esigenza di relazionarsi direttamente al reale. Così, a teatro, tutto può interagire e persino rilanciarsi. La prima possibilità deriva dal bios dell’avanguardia; eppure la seconda risulta persino più forte, se davvero capace di esiti che, per frammenti o tentativi duttili, facciano riconoscere nelle realtà “mentalizzate” – il felice neologismo è di Federico Tiezzi – oggetti di scambi fra coscienze.
Gerardo Guccini Ritorno alla pagina precedente |