Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
Prove di Drammaturgia ALTRI ANNI SETTANTA
IL TEATRO DELLE
MOSTRE: di Luca Scarlini
Il Teatro delle Mostre è il titolo di unesposizione, celebre al momento della sua realizzazione nel 1968, quanto in seguito un po obliata, nel panorama vorticoso della scuola romana (recentemente rivisitata con grazia da Paola Pitagora nel suo romanzo autobiografico Fiato dartista, in cui compaiono tutti i protagonisti di quella stagione), che alla fine di un decennio convulso celebrava un percorso spesso accidentato di sperimentazione. Come già in una precedente collettiva in quellestate a San Benedetto del Tronto, appariva ormai chiaro che si era nella stagione Al di là della pittura; la tela e le altre strutture formali ereditate sembravano restringere eccessivamente il campo ed era necessario superarne i limiti, verso la performance, il teatro comportamentista, la body art, il cinema (un capitolo fondamentale, a lungo latitante nella memoria collettiva e ora ricostruito nel libro di Angela Madesani Le icone fluttuanti). Artisti e scrittori si intersecavano negli spazi della galleria La Tartaruga e vale la pena di ripercorrerne il catalogo per intero (edito da Lerici lo stesso anno), che è effettivamente sbalorditivo: Giosetta Fioroni, Ciro Ciriacono, Giulio Paolini, Ettore Innocente, Emilio Prini e Paolo Icaro, Pier Paolo Calzolari, Franco Angeli, Enrico Castellani, Paolo Scheggi, Mario Ceroli, Gino Marotta, Renato Mambor, Laura Grisi, Sylvano Bussotti, Loreto Soro, Cesare Tacchi, Alighiero Boetti, Fabio Mauri, Nanni Balestrini e Fabio Mauri. Ciò che colpisce di più è la sovrapposizione di esperienze molto diverse tra loro, che producono esiti estremamente vitali, destinati a svilupparsi spesso anche altrove. La vulgata della storia del teatro italiano del secondo Novecento prevede che i blocchi principali della sua concatenazione (i registi, il teatro-immagine, etc.) racchiudano e sistematizzino tutto; mentre mancano proprio quei luoghi della creazione, apparentemente più fragili ed effimeri, che pure si concretizzano come snodi fondamentali del pensiero scenico. Restando al panorama del Belpaese (il discorso si può allargare facilmente a molte altre situazioni europee: basti qui citare il caso macroscopico dellazionismo viennese, che dialoga con alcuni esiti sperimentali della letteratura austriaca coeva in modi spesso urticanti e imprevedibili) seguono quindi quattro esempi, di altrettante "derive" apparenti dalla sistematicità conclamata, di straordinario impatto e notevole forza espressiva. Mario Schifano o del Gesamkunstwerk Lansia vitalistica di Mario Schifano è un dato evidente, che allo stesso tempo è banalità e quasi pettegolezzo, quando lo si voglia applicare come parametro critico a una produzione certamente debordante, ma comunque ricca di punte di straordinario valore. Due i suoi titoli della fine degli anni Sessanta su cui richiamare lattenzione. In primo luogo Umano, non umano, straordinario film-happening del 1969, che racconta in presa diretta lItalia di quellanno molto particolare, montando interviste agli operai che stampano lUnità insieme a dialoghi con scrittori (memorabile lapparizione di Sandro Penna in una casa stipata di oggetti e quadri), ma anche con improvvise aperture a "paleoclip" musicali (un incredibile Mick Jagger che canta in playback lanciandosi in complicate figure coreografiche) e a scene teatrali di taglio behaviourista, come quella memorabile con Carmelo Bene che insieme ad Alexandra Stewart mette in scena una sequenza di amore impossibile, vincolato da un tedio non più superabile; il tutto scandito da un battito cardiaco che resta la colonna sonora di buona parte della rappresentazione. Secondo e ancor più straordinario episodio Le stelle di Mario Schifano, il gruppo beat di cui lartista era il frontman, e in cui compariva anche Peter Hartman, pittore e fraterno amico di Elsa Morante. Nel momento in cui londa beat travolgeva la musica italiana con esiti talvolta involontariamente comici, lartista decide di produrre un disco (che è ormai un raro articolo di antiquariato) che racchiude in modo preciso e senza compiacimenti di maniera laura di una stagione di meticciato artistico portato allennesima potenza. Sylvano Bussotti o del Teatro Sylvano Bussotti, tra i massimi compositori del Novecento italiano, ha un ruolo importante anche nella storia dello spettacolo postbellico, secondo un intreccio di competenze che lo hanno portato di norma a firmare integralmente i suoi spettacoli e a connettere in modo inestricabile dimensione visiva e musicale. Da segnalare senzaltro, in primis, la collaborazione con Carmelo Bene, frequentato precocemente a Firenze, con cui realizza la prima versione del celebre Spettacolo Majakovski a Bologna, firmando in seguito, insieme a Vittorio Gelmetti, la colonna sonora del fondamentale Il rosa e il nero. Ma la consanguineità straordinaria con Carmelo non esaurisce il discorso; molteplici sono infatti gli incontri con il Living Theatre (con cui agisce, tra laltro, in una memorabile performance a Bordeaux) e non poche le presenze sulla scena in altri ambiti, come nella rarissima proposta del visionario Concilio damore di Oskar Panizza, per la regia di Romano Degli Amidei. Lepisodio maggiore resta forse quella Passion selon Sade, in cui limmaginario del Divin Marchese irrompeva nel convegno palermitano del Gruppo 63, con una rappresentazione piagata derotismo (in cui il musicista era un kapellmeister con frusta e perfidie al seguito) che ebbe un vero e proprio trionfo in tutta Europa e negli Stati Uniti, anche per la memorabile interpretazione di Cathy Berberian. Da segnalare infine la produzione cinematografica, in cui i percorsi biografici si incrociano con una ricerca formale complessa. Valgano qui come esempi i due titoli maggiori: Rara (realizzato tra il 1967 e il 1970, e che attende un restauro assolutamente necessario, in cui compaiono letteralmente quasi tutti i protagonisti del mondo artistico romano del periodo) e Apology girato a Berlino nel 1972. Infine, last but not least, da segnalare la straordinaria macchina drammaturgica de I semi di Gramsci, spettacolarizzazione dellorchestra che imprigiona un quartetto, per raccontare una struggente immagine dei Quaderni dal carcere.. Fabio Mauri o la Storia Fabio Mauri, artista figurativo e drammaturgo (di lui si ricorda Lisola e Il benessere, scritto in collaborazione con Franco Brusati), è uno dei personaggi più appartati del percorso qui disegnato, ma balza prepotentemente in primo piano per una scelta precisa: quella di connettere la dimensione della performance allo spazio della Storia. Resta in ciò indimenticabile lutilizzo del corpo come schermo ne Il vangelo di/su Pier Paolo Pasolini, alla Galleria dArte Moderna di Bologna poco prima dellassassinio dello scrittore; ma ancor più centrale è Che cosè il fascismo, straordinaria performance didattica presentata negli Stabilimenti Safa Palatino di Roma nel 1971, in coincidenza con un momento di grande tensione politica e sociale. La performance, ambientata lugubremente negli spazi che avevano visto i trionfi del cinema "romano" del Regime, ricostruisce il raduno a Firenze della Gioventù Italiana del Littorio e della Hitlerjugend (1939), a cui lautore aveva partecipato con Pasolini discettando della centralità della poesia ermetica, e lo rivisita in una serie di tableaux terribili che ben illustrano la situazione di una generazione alienata a se stessa dalla retorica magniloquente del regime, tra acquiescenza e scatti di rivolta. Alberto Arbasino o del Cabaret La
stagione straordinaria del cabaret intellettuale degli
Anni Sessanta, ogni tanto rievocata da alcuni dei
protagonisti, resta però per lo più un ricordo vago,
visto che mancano studi in merito e i testi stessi sono
spesso di difficilissima reperibilità. Indubbiamente a
capostipite del fenomeno ci fu lesperienza mai
sufficientemente lodata del Teatro dei Gobbi di Franca
Valeri, Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci, con i loro
sketch al vetriolo sulle idiozie del quotidiano. Ma qui
il gioco, spesso ospitato al romano Teatro della Cometa
dalla mecenatessa Mimì Pecci Blunt, coinvolgeva
scrittori in vista (da Parise a Moravia, passando per
Calvino), che di norma destinavano la loro attività a
due straordinari interpreti: Laura Betti e Giancarlo
Cobelli, mettendo a punto idee che poi puntualmente
trovavano echi e riverberi altrove. In Potentissima
signora, ad esempio, Parise lancia uno sketch che poi
diventerà un film di Marco Ferreri, mentre Pasolini
firma un lavoro breve straordinario, Italie Magique (finalmente
edito lo scorso anno nel Meridiano dedicato al suo teatro)
che cambia le carte in tavola sullimmagine della
sua produzione per la scena, ormai legata esclusivamente
alle sette tragedie platoniche e che invece qui rimanda
senzaltro alla pungente grazia poetica de La
terra vista dalla luna. Arbasino è uno degli autori
più importanti di quella stagione e compare più volte
sia con sketch incantevoli per Cobelli (La piccola
vedette lombarda, un titolo memorabile) che con
canzoni destinate a fare epoca per la Betti (Ossigenarsi
a Taranto, che ogni tanto Paolo Poli ripropone come
bis con immutato successo). Il suo testo più complesso
in questo ambito, Amate sponde, un contromusical
patriottico in risposta alla retorica debordante del
Centenario dellUnità dItalia, avrebbe dovuto
essere interpretato da Franca Valeri e Laura Betti; il
progetto non si realizzò, ma la forza della
contaminazione grottesca sarà poi quella che deflagrerà
negli spettacoli più perfidi di Poli (e basti qui citare
Luomo nero e Femminilità, due
gioielli degli anni Settanta). |