Prove di Drammaturgia
ÁRPÁD SCHILLING: UN
TEATRO
SULLA DIFFICOLTÀ DI ESISTERE
a cura di Ilona Fried
Árpád Schilling è uno dei personaggi
di spicco del teatro ungherese. Giovanissimo, nato nel
1974, con già alle spalle un gruppo che dirige dal 1995
e diventato una compagnia stabile nella stagione 2000-2001,
ha al suo attivo quattro regie al prestigiosissimo Teatro
Katona. Ha richiamato lattenzione del pubblico e
dei critici sia con loriginalità e limpegno
del suo lavoro, sia con la molteplicità delle sue
proposte: a partire da un microrealismo scioccante, fino
al linguaggio metaforico e stilizzato, ridotto allessenziale
ma non meno passionale della Casa di Bernarda Alba di
Lorca, o con la regia dellelaborazione di Kleist La
domenica delle palme di un sensale di cavalli, lavoro
del giovane drammaturgo István Tasnádi dal titolo Il
nemico pubblico, storia rivisitata dal punto di vista
dei due cavalli di Michele Kolhaas.
Fra gli spettacoli attuali, W. ovvero circo di operai (basato
sul Woyzeck di Büchner e sulle poesie del grande
poeta del Novecento ungherese Attila József) è un vero
teatro fisico, le cui scene oltrepassano nettamente il
modello circense. La nudità dellattore si innesta
in una rigorosa pratica del corpo che richiama il cinema
di Jancsó degli anni Sessanta e Settanta, come pure
anche un certo nuovo teatro europeo o americano. Le scene
si susseguono come sketches sui personaggi, sulle loro
modo di essere, sui loro rapporti. Il tutto si svolge in
una sorta di gabbia in mezzo alla sala, con un uso
incisivo di elementi naturali: la sabbia, lacqua,
il fuoco.
Pur nella loro diversità, spettacoli come Liliom,
Gli indemoniati o lultimo Leonce e Lena sempre
di Büchner (che si svolge su un tappeto), o ancora Next
(presentato anche al festival di Avignone) hanno
suscitato nella critica accese discussioni. Oramai credo
siano tutti concordi nel riconoscere a Schilling lalto
valore del suo teatro, ancora disperatamente alla ricerca
di uno spazio di lavoro definitivo. Nelle pagine seguenti
riproduco la mia intervista fatta al regista.
Vedendo il suo teatro mi viene in
mente un periodo del teatro "alternativo"
ungherese che lei naturalmente, essendo molto giovane,
non può aver conosciuto: gli anni Settanta segnarono una
ricerca formale e allo stesso tempo un forte impegno
sociale.
Il mio teatro lo chiamerei "teatro darte".
Non si ferma a determinate forme, ma è alla ricerca
continua di un proprio linguaggio formale e di un
rapporto con il pubblico. Questi sono elementi che in
realtà mancano nel teatro professionista. Siccome esiste
una divisione netta tra le due strutture, quella
professionista e quella alternativa, siamo sempre
costretti a interrogarci ininterrottamente su una specie
di autodefinizione. Io sono poi uscito dallassociazione
dei teatri alternativi due anni dopo la sua formazione,
perché avevo la sensazione fosse formata da persone
ormai svuotate, che lavoravano accanto al grande fuoco
dei risultati precedenti, ormai in una struttura
artisticamente marginale. Io nel frattempo sono stato
ammesso nella sezione "regia" dellAccademia
dArte Drammatica, e contemporaneamente lavoravo sul
Cerchio di gesso. Ritenevo molto importante creare
una compagnia propria, perché credo molto nel lavoro di
gruppo. Per me lessenza del teatro è una comunità
che elabora una sua forma despressione.
Qual è il ruolo del regista in
questo tipo di teatro?
È una figura determinante. È sempre così, anche
nei grandi teatri in cui ho lavorato. Ci vogliono molte
sofferenze, molti tormenti, ma qualcuno deve prenderseli.
I vostri spettacoli sono veramente
multiformi, avete approcci e linguaggi molto diversi.
Sto ancora studiando, di nessuna rappresentazione
direi che è finita, completata. Il teatro sta ancora
cercando il suo posto in me. Spero arrivi il momento in
cui potrò dire: "ecco, una creazione pronta",
altrimenti la mia vita tratterà di questa ricerca
continua. Daltra parte, tutti gli spettacoli in
questo teatro hanno qualcosa in comune: vengono prodotti
su ciò che ritengo stimolante nella mia vita e così
sono collegati allarco del mio sviluppo interiore
personale.
Sembra comunque sempre interessato a
questioni di potere, di sottomissione.
Sì, ma cè di più: in realtà mi occupo dellimpossibilità
dellesistenza umana, dellassoggettamento
inevitabile al destino, dellannichilimento dei
rapporti umani. È per questo che mi hanno sempre
incuriosito il senso dellumorismo e lironia,
altrimenti senza questi non potremmo confrontarci con
problematiche di tale portata. Luomo, dalla nascita
alla morte, conduce una danza macabra ironica e le nostre
storie sono essenzialmente incentrate su questa danza
macabra: potere, amore, rapporti umani, gioventù,
vecchiaia, ecc. La grande domanda di cui non conosciamo
la risposta è perché dobbiamo restare in vita, perché
sopravviviamo.
Il suo teatro ha un impatto molto
forte sul pubblico, crea una simbiosi fra parola, visione
e suono.
Il teatro devessere agitante, crudele, proprio
nel senso di Artaud, struggente, di grande impatto visivo.
Questo è più importante di tutto: devessere
creativo. Stranamente oggi il cinema ha uninfluenza
molto più forte sul pubblico che non il teatro. Anche se
il teatro agisce dal vivo, è immediato e crea unoccasione
unica. Lattore teatrale può esercitare una magia
con un bicchiere, con un secchio, con la sabbia, è
capace di rovesciare il mondo: si meriterebbe un successo
più grande, dovrebbe toccare di più il pubblico.
Gli attori della sua compagnia a
volte producono cose veramente sovrumane.
Secondo un parere spesso citato, ci vuole un certo
masochismo per fare lattore. Se pensa bene alla
sofferenza che comporta immedesimarsi in Masa, nelle Tre
sorelle di Cechov: lì in mezzo al nulla incontra lamore
che poi la abbandonerà, e sa che ciò che laspetta
è la vecchiaia e la demenza. Quale donna può viverlo
con piacere? Nessuna. Qui la scelta della forma artistica
è secondaria. È lattore a decidere se vuole
partecipare a questo tormento di se stesso perché si
sente artista e perché ne ha il talento. Daltra
parte si tratta di una comunità ben profonda che lo
aiuta, di persone impegnate, fanatiche della professione,
e ciò naturalmente comporta anche piaceri immensi, un
arricchimento non solo artistico ma anche personale,
quando sentono le reazioni positive da parte del
pubblico, che gli permette un ampliamento dei propri
confini. Per fare degli esempi: gli attori possono
imparare a suonare la musica e dopo tre mesi la suonano
nello spettacolo Leonce e Lena; o viaggiano molto
e studiano le lingue, e nel prossimo spettacolo
includeranno anche le lingue straniere. Diventano esseri
più liberi, più ricchi, più interessanti a costo della
crudeltà nei confronti di se stessi. Ne sono consapevoli
e sono scelte loro. Fanno sempre ed esclusivamente scelte
che io condivido.
Non si potrebbe fare diversamente,
altrimenti non conviverebbero con la loro autenticità.
Attualmente portate Liliom in Italia. Molnár è
stato un drammaturgo conosciutissimo e apprezzatissimo
fra le due guerre anche in Italia. Un noto critico
italiano, a proposito di una rappresentazione di Liliom
qualche anno fa, lha trovato ormai improponibile.
Forse ha visto uno spettacolo poco riuscito. Voi adesso
producete un Liliom durissimo, di grande attualità.
A giugno saremo al Piccolo, a luglio al Mittelfest di
Cividale e probabilmente a dicembre a Roma. Siamo
contenti di poter presentare tutti e tre i nostri
spettacoli attuali, che del resto sono molto diversi tra
di loro: W. è un classico tedesco, Liliom è
di un autore ungherese. Molti credono che Liliom sia
una bella fiaba leggermente datata, mentre se esisteva
una persona cinica, profondo conoscitore delle difficoltà
della vita, era proprio lui. Linterpretazione che
diamo del dramma è uno smascheramento della storia damore,
come anche dellideale uomo-eroe. È un quadro
triste, misero, pur essendo molto generico sulla sorte di
una donna che si sceglie un uomo che vuole salvare:
"me lo salvo e me lo tengo e poi vivo con lui tutta
la mia vita perché riesco ad offrirgli delle alternative
contro le sue sfide". Si arriva poi al suo
fallimento completo. In più si tratta anche della lotta
accanita tra le donne, come tra la Sig.ra Muskát, lamante
vecchia, e Juli, quella giovane. Sono tutte cose molto
dure, e se le prendiamo come una favola non facciamo
altro che evitarle. Potremmo considerarle dolciastre solo
perché il tutto si svolge allinizio del Novecento,
con nomi dellepoca, nello spazio del parco della
città, con linguaggi specifici, ma tutto ciò non ha
minimamente gli ingredienti della favola, bensì gli
aspetti pesantissimi della vita, raffigurazioni (tranche
de vie?) sulla scia di Ödön von Horváth. Laddove Molnár
ha esagerato, abbiamo tagliato, ma devo dire che abbiamo
ritoccato pochissimo il testo, perché il buon vecchio
Molnár ha capito perfettamente lamarezza delle
cose.
Che cosa sarà il prossimo
spettacolo e quando?
In autunno inizieremo con alcune tournée.
Presenteremo il nostro prossimo spettacolo prima a
Bobigny a Parigi, poi il 23 ottobre, ricorrenza della
rivoluzione del 56, a Budapest: ci sarà uno
spettacolo sugli ultimi tredici anni dellUngheria.
Allinizio le ho domandato sul
teatro alternativo degli anni Sessanta, Settanta e
Ottanta. Molti, anche in Italia, conoscono bene i
cineasti ungheresi dellepoca. Li sente in qualche
modo vicini?
Nessun artista può trascurarli, sono apparsi dei
veri capolavori in quegli anni. Sento tutti quanti
vicini, non uno di loro, ma quelli che hanno cercato la
verità e si sono tormentati. Hanno creato opere
stimolanti, interessanti. E accetto le loro varie
espressioni artistiche. Non devo seguire nessuno, ma
tutti quanti contemporaneamente, questo è lessenziale.
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