Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Prove di Drammaturgia - 1/2002
Prove di Drammaturgia

ALTRI ANNI SETTANTA
LUOGHI E FIGURE DI UN TEATRO IRREGOLARE

IN MEMORIA DI UN AMICO: IL TEATRO DI NINO GENNARO

di Massimo Verdastro

 

Nino Gennaro, poeta, "politico di strada", autore teatrale, saggista, attore, nasce a Corleone nel 1948 e muore di Aids a Palermo nel 1995.
L’impegno culturale e politico, la battaglia antimafia e il suo essere in prima linea per l’affermazione dei diritti omosessuali, fondamenti del suo essere artista, fanno di lui una figura dirompente nel variegato mosaico di quanti si sono spesi in prima persona perché Corleone non fosse "una repubblica indipendente" e i corleonesi non fossero considerati soltanto come "gregari di Liggio". Nino Gennaro è tuttavia una personalità inscrivibile nel panorama della poesia e della drammaturgia - non solo italiana - di questi ultimi anni, per aver compreso e analizzato la portata del retaggio culturale della sua terra e per averla "traghettata" in una dimensione spaziale e poetica più ampia che trascende la territorialità. Per questo suo essere testimone partecipe di realtà complesse e per la vitalità che nella sua espressione umana e poetica non riesce a distinguere tenerezza e dissacrazione, amore e distacco, la sua voce è stata accostata a quella di Pasolini, Genet, Cioran, Testori, Koltès, Jarman.

Agli inizi degli anni Settanta Nino Gennaro è l’anima a Corleone di un circolo FGSI, meta di studenti e di giovani disoccupati, una fucina di informazione e formazione: libri, giornali, discussioni su qualsiasi argomento. L’8 marzo 1975 organizza a Corleone, in collaborazione con l’ARCI, la prima festa della donna. Nel 1977 è fra i fondatori del "Circolo popolare Placido Rizzotto", chiuso in seguito al "caso Di Carlo"1.
Isolato a Corleone, Nino Gennaro si stabilisce con Maria a Palermo. Alla facoltà occupata di Lettere scrive le sue poesie su grandi fogli d’imballaggio che appende alle pareti. Poesie raccolte poi in un volume da titolo Rivoluzione culturale meridionale, alcune delle quali vengono pubblicate dalla rivista "Fasis" edita da Flaccovio. Nel 1980, a Palermo, crea il gruppo "Teatro Madre" (che sarà anche il titolo di un testo teatrale), con il quale intende continuare a fare politica oltre che teatro. I testi, da lui scritti (Omogeneizzato, Bocca viziosa, La faccia è erotica, Il tardo mafioso impero) sono interpretati da "non attori"2 che mettono in scena la propria vita in club, piazze, discoteche, università, ma soprattutto nelle case, dove si creano intensi momenti di convivialità e di comunicazione. Nel 1986, sempre a Palermo, è fra i fondatori del COCIPA (Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione) e fra gli ispiratori del Centro Sociale San Saverio, all’Albergheria, uno dei più deprivati quartieri del centro storico, e collabora attivamente alla redazione di "Città Nuove", il primo giornale antimafia di Corleone.
Il 1987 è l’anno che segna l’inizio della malattia3, ma non per questo Nino Gennaro smette i panni che gli sono consoni, quelli di "poeta artigiano" (tutta la sua opera è interamente scritta a mano). Ama copiare alcuni suoi aforismi su dei block notes, in un esercizio manuale che chiama "puntina spirituale". Realizza oltre duemila copie del Libretto Gioiattiva e oltre trecento di Tra le righe e li regala a chi vuole.

Ho conosciuto Nino a Palermo nell’estate del 1978, quando con la compagnia di Silvio Benedetto e Alida Giardina mi trovavo all’Hotel Centrale, ai Quattro Canti, dove in cambio dell’ospitalità facevamo teatro. Le stanze, i corridoi, il cortile, il vicolo Marotta erano i luoghi della rappresentazione. Artaud, Mishima, De Ghelderode, Klossowski gli autori da rappresentare. Nino transfuga da Corleone, insieme a Maria e alla sorella Giusi, si unì a noi condividendo l’entusiasmo di quell’esperienza lontana dalle convenzioni e priva di ogni protezione. Dopo gli spettacoli ci leggeva i suoi testi, ci raccontava la sua storia. Quello che più mi colpì di questo ragazzo siciliano, che nel fisico e nei modi ricordava Rino Gaetano, il cantautore, era la forza e l’intensità con le quali riusciva a creare subito un contatto. Il corpo, gli occhi, la voce, le parole stesse graffiate sulla carta, esprimevano un’energia, una tensione morale e umana per me quasi insopportabili. Ero affascinato e allo stesso tempo intimidito dalla determinazione con la quale manifestava le sue scelte, i suoi desideri, la sua natura. Dietro ai toni ironici e aggressivi o alle inaspettate dichiarazioni di affetto sembrava ogni volta dirmi: "Apriti! Non rinunciare a te stesso".

NOTE

1 - "Maria Di Carlo una di noi, viene picchiata dal padre medico. Segregata, ritirata dalla scuola (II liceo), e pure esorcizzata da un frate rinnovato perché fa la comunista e sta con me che sono frocio, drogato e altre schifezze. Maria con i lividi denuncia il padre. Ne parlano tutti i giornali. Il pretore, un giudice di Magistratura Democratica, condanna il padre padrone. Il circolo Placido Rizzotto "figura mitica di sindacalismo agrario ammazzato dalla mafia" viene chiuso. Guai a chi ci mette piede".
(Nino Gennaro, da un’autobiografia del 1984).

 

2 - "Noi non siamo attori/siamo nuovi soggetti/ ripetiamocelo/a noi non interessa/la resa nello spettacolo/ ma la resa nella lotta per la vita/cioè lo spettacolo inteso come banco di prova/questo sì".
(Nino Gennaro, da un diario del 1980).

 

3 - "AIDS è mancanza è deficienza/ se non hanno come possono dare?/ non hanno e non fanno avere/non sono più imprevedibili/credono alla morte come previsione/e sono già morti statisticamente clinicamente/ la vita è imprevedibile e così pure la morte.
Non è la malattia/che ha bisogno di cura/ma è la cura/che ha bisogno della malattia/la malattia è una grande medicina - Chi gestisce la morte gestisce la vita/attenzione a non delegare la morte ad altri perché gli si delega anche la vita/il pensiero della morte, il timore della morte, la dolcezza della morte/pensiero timore e dolcezza che sono anche della vita - Auguriamoci di non ridurci mai per sempre a una vita privata/ siamo del mondo/diamoci al mondo".
(Nino Gennaro, Libretto Gioiattiva, 1988-1993).

La nostra amicizia nacque lì all’Hotel Centrale e naturalmente non fu l’unica. In quel periodo conobbi molte altre persone, imparai a camminare con le mie gambe. Avevo diciannove anni e a me, nato e cresciuto a Roma, Palermo sembrò bellissima. Lontano dalla famiglia e svincolato dagli impegni dell’università, che presto abbandonai, mi sentivo libero di fare ciò che volevo. Conobbi il regista e scrittore Michele Perriera (ex Gruppo 63) che di lì a poco avrebbe fondato la Scuola di Teatro Teates. Quell'incontro determinò la mia permanenza a Palermo per i successivi sei anni. Frequentai la scuola e subito dopo entrai a far parte, insieme ad altri giovani attori, della Cooperativa Teates, che aveva sede in un cinemone anni Cinquanta di via Oreto, e che tra mille difficoltà eravamo riusciti a trasformare in teatro con tanto di palcoscenico, graticcia e camerini.

Nino intanto con il suo gruppo di amici si inventò Teatro Madre, una specie di teatro clandestino senza fissa dimora fatto solo di corpi, di voci e di luce di candela, che andava di casa in casa a Ballarò, al Capo, alla Vucciria, dove capitava. Un cuore rosso trafitto da una svastica nera era l’emblema, il simbolo di Teatro Madre; Nino l’aveva ideato in seguito ad un corto circuito, una libera associazione nata dalla contemporanea lettura del Mein Kampf e dall’ascolto di un’edizione dello Stabat Mater di Pergolesi al Teatro Biondo. Quell’inquietante vessillo stava a sottolineare "il nazismo" insito nei rapporti materno-filiali, e comunque nei legami di amore-possesso. Era come un avvertimento a lasciare alle spalle le "antiche viscere" e allo stesso tempo un doverci fare i conti.
Gli spettacoli scritti e ideati da Nino erano interpretati da studenti fuorisede, giovani operai, disoccupati, intellettuali del "rifiuto" che portavano in scena le cose "più intime, più segrete, più difficili" nel tentativo "di superare, di resistere, di continuare... con la parola, senza vergogna, con amore..." (Nino Gennaro, da Teatro Madre, 1980).
Quelli furono anni molto duri per Palermo; non c’era giorno in cui la città non veniva macchiata da un crimine di mafia, un senso di paura e di morte aleggiava per le strade, nei luoghi di ritrovo, eppure nonostante tutto si sentiva forte il bisogno di stare insieme, di fare. C’era un fermento creativo che attraversava il teatro, la musica, le arti visive.
La scuola di Teatro Teates fu un punto di riferimento importante per quei giovani che desideravano avvicinarsi al teatro, e con essa gli spettacoli di Perriera, ad alcuni dei quali presi parte, uno fra tutti la straordinaria messinscena del Gabbiano di Cechov, così come gli incontri con Julian Beck e Furio Jesi, il teatro di Franco Scaldati e della sua Compagnia del Sarto, il "cunto" di Mimmo Cuticchio, gli spettacoli di Nino Drago e Gigi Burruano al Piccolo Teatro, le lezioni di Grotowski e dei suoi attori al Teatro Libero, le immagini sconvolgenti impresse dall’obiettivo di Letizia Battaglia e Franco Zecchin, e non ultima l’esperienza sotterranea di Nino Gennaro. Di tutto questo allora, fuori dalla Sicilia, non si parlava o si parlava poco; i riflettori dei media erano puntati soltanto sugli inferni palermitani.

Nel 1984 lasciai Palermo per seguire nuove avventure teatrali. Nino aveva smesso di fare teatro, dando spazio solo alla scrittura e all’impegno nel sociale. Lo ritrovai nel 1991, sempre a Palermo, dove decidemmo di portare in scena la sua opera. Era cambiato, aveva la barba, i capelli corti, portava gli occhiali, non aveva perso l’ironia tagliente, le battute sarcastiche, gli slanci di affetto, ma c’era in lui una grazia e una dolcezza diverse che effondevano una vibrazione di sofferenza. Seppi poi che era malato da tempo. Gli chiesi dove erano finiti tutti quei suoi scritti meravigliosi, gli dissi che era un peccato tenerli chiusi in un cassetto e che qualcuno doveva riportarli in vita. Rispose: "Se vuoi farlo...tu!?". Nino allora compose per me un "mix" di venti brani che chiamammo Una divina di Palermo, venti pezzi come venti canzoni. Lo spettacolo, per attore solista, doveva avere il carattere di un recital, di un concerto. I testi scelti attraversavano gli anni Settanta e Ottanta in un excursus tanto leggero e dissacrante quanto implacabilmente preciso e puntuale su alcuni dei temi più importanti di quegli anni. La scrittura teatralissima, vertiginosa, tutta in battere, piena di esclamativi, invettive, parole inventate, reclamava una voce, un corpo in cui incarnarsi; l’attore doveva frantumarsi in schegge di pensieri, di storie, di personaggi.
Lo spettacolo, presentato per la prima volta a Monreale nella rassegna "Le Opere e i Giorni" di Lina Prosa e Anna Barbera, ha poi attraversato altri contesti e altre città. Ricordo in particolare il progetto "Divina Tour" ideato da me e Marcello Cava, che ha portato lo spettacolo nei centri sociali di Roma, raccogliendo la partecipazione e l’entusiasmo di molti giovani. Al debutto romano (eravamo al Castello nella serata organizzata dal circolo "Mario Mieli"), Nino alla fine venne con me sul palco a prendere gli applausi, indossava una maglietta sulla quale aveva scritto "grazie di esistere!". Da quel momento non ci siamo più persi di vista, ogni volta che potevo raggiungevo Palermo per andare a trovarlo nella sua casa di via Mura San Vito, al Capo, oppure in ospedale quando la malattia si faceva più acuta. Passavamo intere settimane a parlare, a leggere, a progettare nuovi spettacoli. Nino scriveva moltissimo e aveva intrapreso un percorso filosofico e spirituale che coniugava l’esperienza Zen con i Vangeli Apocrifi, la sapienza dei nonni contadini con gli insegnamenti di Madre Teresa di Calcutta. Nei suoi tanti libri "fatti a mano" emerge una poesia nuova e bellissima, riverberante di solarità mediterranea e di saggezza orientale.
Quegli incontri sono stati per me di fondamentale importanza, grazie a Nino, interlocutore acuto e paziente che sapeva ascoltare e leggere al di là del detto e del presente; ho imparato a conoscere meglio me stesso e gli altri. Grazie alla sua scrittura ho potuto sondare nuove e inaspettate possibilità non solo attoriali, ma anche registiche. Dopo Una divina di Palermo Nino compose per me due nuovi "mix", che purtroppo sono riuscito a realizzare soltanto dopo la sua morte avvenuta l’8 settembre del 1995. Lo spettacolo La via del Sexo fu presentato al Teatro Studio di Scandicci nell’inverno del 1996, nell’ambito di un progetto dedicato a Nino dal titolo L’angelo del sottosuolo palermitano voluto dalla compagnia Krypton di Giancarlo Cauteruccio, poi proposto a Palermo l’estate successiva per ricordare Nino a un anno dalla morte, inaugurando gli spazi dei Cantieri culturali della Zisa. L’anno seguente fu la volta di Rosso Liberty con la cantante Francesca Della Monica, insieme alla quale realizzai, ancora a Scandicci, un laboratorio teatrale con giovani di Firenze e di Palermo sul testo Alla fine del Pianeta, sorta di diario scritto durante gli anni della malattia in cui Nino annota la cronaca dei diversi momenti delle giornate trascorse assieme alla sorella Giusi nella loro grande casa "a due passi dal Massimo e a uno dal mercato". Qui, però, la dimensione narrativa continuamente oltrepassa i tempi e gli spazi dell’ambientazione domestica per investire quelli dei destini collettivi, in una riflessione ironica ed amara che accomuna il disfacimento di un pianeta e di un corpo malati. Nasce così l’impulso e il desiderio struggente di raccogliere e preservare attraverso la memoria, luoghi e persone da ogni possibile deterioramento: "prima di andare in un altro pianeta, bisogna assolutamente raccogliere i ricordi della terra, fissarli indelebilmente nella nostra memoria/ci dobbiamo preparare per la grande partenza" (Nino Gennaro, dal diario Alla fine del pianeta, 1988).
Durante il laboratorio, i ragazzi, stimolati da questa scrittura e da queste tematiche, hanno sviluppato un itinerario creativo che dalla narrazione orale di una loro storia personale li ha portati alla stesura di testi teatrali in forma di monologo, di cui ogni autore si è fatto poi interprete sulla scena intersecandoli alla parola di Nino.
Finalmente nel 1999, a Palermo, sono riuscito a portare in scena il testo Teatro Madre con la complicità di Nico Garrone e dei Magazzini. Lo spettacolo, presentato nello Spazio 97 dei Cantieri Culturali della Zisa, è stato il risultato di un lungo lavoro di ricerca, di studio e di prove che ha impegnato una compagnia composta da otto attori con storie artistiche ed umane diversissime tra di loro.
I personaggi di Teatro Madre scaturiscono dalla dimensione autobiografica dell’autore che, ricoprendo il ruolo di protagonista, affronta i temi del difficile rapporto tra genitori e figli, tra mondo contadino e mondo metropolitano. Essi vanno a costituire una famiglia di vocazione che incessantemente tenta le molte strade di un dialogo con la famiglia d’origine che porti a un disvelamento delle "persone", delle loro diverse visioni del mondo, fino all’accettazione reciproca, quasi nella consapevolezza pirandelliana della impossibilità dell’affermazione di una realtà oggettiva indipendente dalla diversità degli uomini.
In questi anni di adesione alla scrittura di Nino si è andato configurando per me un nuovo percorso umano e artistico che, oltre a rivelare la forza poetica di uno scrittore, mi ha permesso di solcare e approfondire il campo di una ricerca che sempre ha messo in relazione autore e attore in quella rara dimensione di comune sentire ed agire che porta ad allargare i confini dei due ruoli fino a compenetrarli.
1974

Quando un fiammifero si accende nell’oscurità è un ragazzo che cerca compagnia non ditegli niente lasciatelo fare anzi se potete fategli capire
che lo volete accanto a voi
che so
accendete pure voi un fiammifero
o toccatevi pure la minchia
lui capirà
e voi non guardate
fatevi i fatti vostri
o vi piace guardare?
Beh se è così
fate pure.

1974

Ho bisogno di un angelo
tu sei un
angelo?
Io sto cercando un angelo
mi chiavi mentre parliamo?
Ho tanto bisogno
vedi? Sono dimagrito
ma ho ancora la luce degli occhi
mi baci la bocca?
O ti lasci baciare queste tue labbra
grosse?
Ma tu che linguaggio usi a distanza
di un anno?
Avanti
portami sopra
alla maniera di una buttana
se vuoi
ma portami
non stiamo qui a parlare sempre.

(da Nino Gennaro, Una divina di Palermo, Palermo, Edizioni della Battaglia, 1994)


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