Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Prove di Drammaturgia 2/2001

SCRIVERE PER IL TEATRO
riflessioni dal convegno di Bologna
18-19 maggio 2001

di Lucia Leva

 

Il convegno, strutturandosi in momenti di monologo, dialogo e scontro tra i relatori, ha configurato con felice rilievo la viva situazione in cui versa la produzione drammaturgica italiana, alla quale però, come afferma Marco Macciantelli, assessore alla cultura della provincia di Bologna, corrisponde una promozione decisamente insufficiente. Anche Luciano Nattino, intervenuto come responsabile Agis, ha evidenziato lo scarso interesse legislativo per la materia teatrale in generale e per quella promozionale in particolare; e Fabio Bruschi (direttore di Riccione Teatro) ha spiegato come il Premio Riccione, per cercare di sopperire a queste gravi mancanze italiane, intenda porsi dalla parte della promozione dell’autore più che del testo.

Gli interventi del convegno si sono stabiliti lungo una doppia linea: scrivere per il teatro e scrivere nel teatro, isolatamente o in gruppo. All’interno di tali modalità si sono prodotte ulteriori spaccature. La prima e già annunciata: scrivere isolatamente o in gruppo; l’altra, di notevole rilievo oggi: prevalenza dell’elemento narrativo.

È certo che siamo in una fase della scrittura, per il teatro o nel teatro, in cui si sondano nuove modalità sconfinando in elementi che tradizionalmente non sono stati primari per la scrittura scenica come lo schema narrativo, fondamentale in altre scritture e in altre scene.

Ma che cos’è lo schema narrativo se non lo schema decisionale in cui si presentano gli avvenimenti di una storia anche teatrale? E allora, aldilà delle polemiche che gli autori hanno posto tra le proprie modalità di scrittura, è emerso, come caratteristico di molta drammaturgia, l’elemento della decisionalità che diventa strutturale al testo e si sviluppa in modi molteplici: quelli del nuovo teatro sono stati sintetizzati da Gerardo Guccini (Curino, Baliani, Paolini, Delbono, Martinelli…). L’intervento di Guccini mira ad evidenziare un modello culturale che identifica nella relazione tra autore-attore l’elemento forte nella produzione drammaturgica, che si sviluppa secondo il principio del primato della presenza e dell’identità, con un uso della parola che spesso si avvale della funzione narrativa.

A tale modalità appartiene anche la produzione drammaturgica di Luigi Gozzi, che pone l’accento proprio sul processo compositivo del testo; processo che, nel suo lavoro, è mutato negli anni ed ha modificato il contenuto stesso del termine "drammaturgo", sviluppandosi verso l’interesse per elementi funzionali che mettono in crisi nozioni praticate frequentemente come quelle di "identità" e di "immedesimazione", fino all’apparizione di un attore multiplo e funzionale che concede all’autore molteplici possibilità.

Anche Ugo Chiti afferma di preferire una scrittura in cui non si riconosca soltanto l’autore ma che nasca, invece, dal confronto con l’attore e le altre pratiche teatrali. Allora, elemento di incontro-scontro è stato anche la definizione di "autore teatrale" a cui ha fatto esplicito riferimento Edoardo Erba ponendosi dalla parte dell’autore singolo, autonomo, in opposizione a tanto nuovo teatro che invece tende spesso a identificarsi con la pratica più stretta. Massimo Marino sintetizza bene la problematica della definizione di chi, per la scena o in scena, scrive secondo diverse modalità, affermando che sarebbe il caso di parlare di autore drammatico e di drammaturgo, intendendo due cose diverse e che dunque esiste l’autore di teatro che scrive il testo a casa propria, oppure esistono in modo plurale i drammaturghi che traducono e adattano un testo di repertorio o anche coloro la cui scrittura nasce in una più stretta relazione con la scena.

Alessandro Trigona Occhipinti ha posto l’accento sull’elemento sociale dei suoi testi, alla ricerca di pubblici più ampi. A tale scopo ha aperto, con altri autori, il sito internet "dramma.it" e la rivista "Tempi moderni" per far conoscere i testi e gli autori, e rileva la difficoltà, come autore per il teatro, di creare contatti con le compagnie.

Paolo Puppa, saggista e storico, ha ben sintetizzato la differenza tra una scrittura cartacea per il teatro, che rimane sterile, in un limbo, e la scrittura nel teatro che è avvantaggiata rispetto alla prima perché si confronta direttamente con il corpo e la voce dell’attore e ne è messa alla prova. Afferma inoltre che oggi la drammaturgia deve fare opera di sottrazione e diventare minimalista. Egli trova tutto ciò nella forma del monologo.

Alla ricerca di una nuova logica - di cui, a detta di Sonia Antinori, i giovani scrittori per il teatro e nel teatro sentono l’esigenza - la drammaturgia italiana, solitamente figlia dei Premi, si pone molteplici domande: circa la visibilità e l’impatto sociale, il lavoro su commissione e quello isolato, gli spazi, il pubblico e la critica, più che soffermarsi sulla propria poetica e sui suoi elementi strutturali. Da questa parte gli interventi di Duccio Camerini, Edoardo Erba e Giuseppe Manfridi.

Raffaella Battaglini ha evidenziato, nella sua produzione drammaturgica, il passaggio dai temi intimistici, delle prime produzioni, ai temi del potere delle ultime, quanto mai attuali nella situazione politica italiana che si va profilando e interroga se stessa e i presenti sul ruolo sociale dell’autore oggi (tenendo sempre presente le varie distinzioni).

Siamo in una situazione pluralista della scrittura scenica, che più che essere una problematica costituisce una grande risorsa. Occorre valorizzare le differenze, come afferma Renata Molinari, o addirittura radicalizzarle a partire da una scelta di senso teatrale che può aprirsi anche ad altre pratiche. Così ben venga tanta litigiosità sulla terminologia di "autore teatrale", di "drammaturgo", di "dramaturg" o di scrittore per il teatro o nel teatro, con predilezione o meno dell’elemento narrativo; sulla radicalità della scelta teatrale, sui rapporti con la critica, con il pubblico, sulla problematica della promozione e della diffusione estera della drammaturgia italiana. Perché questa litigiosità, come afferma Claudio Meldolesi, è sintomatica del fatto che ciascun autore è un teatro: Beckett era il dramma e tutte le sue opere erano l’articolazione del suo esserci come dramma. Allo stesso modo ciascun autore presente al convegno si è fatto portavoce del proprio dramma e delle proprie modalità di articolazione in un panorama italiano che ripropone, spesso, la problematica della riconoscibilità da parte di una critica che, come afferma anche Valeria Ottolenghi, si muove sempre più isolatamente.

Positivi e propositivi gli interventi di Carlo Lucarelli e Marcello Fois, provenienti da altra scrittura: narrativa e noir e che nella scrittura teatrale hanno sperimentato l’abbassamento della soglia della presunzione della scrittura narrativa. Nel confronto con la scena, secondo entrambi, la responsabilità dell’autore si diluisce e trova l’appoggio del regista, dell’attore e delle altre pratiche che alla messa in scena collaborano.

Così in questa molteplicità di interventi e di posizioni forse non resta che abbandonarsi alla costante e rigorosa sperimentazione, come afferma di fare Giuseppe Liotta, in una scrittura per la scena che trova la sua maggiore difficoltà, a detta di Mario Giorgi, nella conciliazione o messa in relazione di due opposti: dire e fare.


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