Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
6. Secondo quadro: creare la storia musicale con le immagini
La storia degli Gnawa è prevalentamente orale. A parte pochi libri in francese, vi sono nel complesso ben pochi studi eruditi sugli Gnawa . È perfino difficile accedere alla documentazione relativa all'epoca della schiavitù. Diversamente da altri gruppi sufi del Marocco - come gli Aissawa, ad esempio (vedi Dermenghem 1954), o gli Hamadsha (vedi Crapanzano 1973) - non esiste uno shaykh che abbia lasciato degli scritti, neanche un'agiografia orale che sia passata di generazione in generazione. La trasmissione della cultura Gnawa è avvenuta attraverso i gesti, i movimenti e gli atteggiamenti del corpo posseduto. E, naturalmente, nel repertorio musicale e nell'estetica. La storia è nei canti - in tutti e duecentoquarantatre. Ma nemmeno gli stessi canti raccontano storie. Non vi è trama narrativa nei testi, soltanto invocazioni ai diversi santi e spiriti riconosciuti dagli Gnawa - Sidi Bilal, Abdulqadr Jilani, Sidi Musa, Lalla Aisha, Si Buhali, e altri. I nomi di questi mluk (o possessori) sono ripetuti più e più volte, le loro qualità elogiate, il loro aiuto sollecitato. Gli spiriti degli antenati sono ancora vivi. Perché quindi avrebbero bisogno di essere evocati nei libri quando la loro presenza è evocata regolarmente nei corpi di chi entra in trance, i
majdubin? Come filosofo Edward Casey osserva (1987) che il corpo ricorda il passato come una forma di presenza. La memoria del corpo fa esperienza del passato come co-immanente con il presente. Danzando con gli spiriti, spostandosi ai loro ordini e ritmi (come Barbara Browning dimostra nel suo libro sulla samba del 1995), la storia viene incarnata e fatta vivere nel presente.
In parte, l'assenza di una qualsiasi storia scritta protegge gli Gnawa dalle critiche di altri marocchini, in quanto le loro credenze sincretiche, inquadrate in un sistema estetico africano, sono minori rispetto a quelle che si crede rappresentino la norma comune dell'islam in Marocco. Di certo, fra tutti i culti mistici del Marocco che impiegano la trance come un mezzo per comunicare con il mondo spirituale, quelli degli Gnawa sono i meno complessi. Costoro vengono spesso paragonati agli stregoni neri: sono, cioè, accusati di praticare la magia nera e sono anche oggetto di razzismo. "Gli schiavi di Dio" - come l'antropologa Viviana Pacques chiama gli Gnawa (1991) - hanno ragione ad essere cauti nel loro modo di praticare la devozione. Sebbene i maestri di una o due generazioni addietro siano ancora ricordati nella conversazione, essi non vengono reificati. Il pantheon degli spiriti non è rappresentato in nessuna delle immagini esposte al Dar Gnawa. I marocchini non ritraggono gli spiriti in immagini tranne quando sono incarnati nei corpi dei credenti. Nella visione del mondo degli Gnawa , gli spiriti sono dappertutto intorno a noi e talvolta assumono una forma tangibile e talaltra no. Le immagini che noi vediamo sulle pareti del Dar Gnawa, comunque, sono in qualche modo sorprendenti. Abdullah El-Gourd si riferisce a loro come gli 'antenati': Ha huma an-nass al-qdam, " (là ci sono gli antenati), il m’allam ha sottolineato quando mi sono avvicinata alle fotografie per leggere le iscrizioni in carattere piccolo alla loro base. C'erano fotografie di Rahsaan Roland Kirk, Eric Dolphy, Dexter Gordon, Thelonius Monk, Milt Hinton, Roy Eldridge, Johnny Copeland, Ben Webster, Archie Shepp, e, naturalmente, Randy Weston, che è circondato da fotografie di maestri Gnawa. Com'è possibile che personaggi leggendari afro-americani del jazz siano diventati gli antenati al Dar Gnawa?
Abdullah mi ha detto che non si può semplicemente decidere di 'diventare' uno Gnawa (sbah Gnawi). Uno Gnawa sopporta un lungo processo di induzione, iniziazione e istruzione. Dall'altro lato, ha detto, vi sono persone che sono collegate, martabit, ai santi e agli spiriti del pantheon Gnawa. La parola in arabo viene dalla radice ra-ba-ta, essere collegato o legato. "Randy Weston, - ha detto il m'allam, discendeva da un martabat, di Brooklyn, o si collegava allo spirito Sidi Musa e al colore blu." Noi conosciamo Sidi Musa come Mosé, colui che ha portato gli ebrei via dalla schiavitù nell'antico Egitto e li ha condotti alla libertà. Quando ho chiesto a Randy Weston se si ricordasse del suo primo incontro con Sidi Musa, ha detto, "Sì, lo ricordo molto bene ... È stata una delle più incredibili esperienze musicali della mia vita. Ho avuto un'esperienza veramente africana. Ho sentito lo strumento a corda innanzi a me. Come avere un'orchestra e avere un basso come leader. E ho sentito la chiesa nera, il blues e il jazz tutto allo stesso tempo. Ho capito veramente che noi siamo solo piccole foglie sul ramo della madre Africa." In Marocco vi sono dei collegamenti tra il pantheon degli spiriti - che, come Sidi Musa, sono ancestrali - e gli antenati del jazz. Una contiguità evidente è quella tra gli schiavi che furono portati nelle Americhe e gli schiavi che si fermarono prima, durante il viaggio, alla estremità del Nordafrica. Commentando la mancanza di testimonianze storiche scritte, Abdullah El-Gourd mi ha detto che gli schiavi in Marocco andavano per la città cantando determinati canti, canti conosciuti solo da loro, per potersi ricongiungere con i loro cari dai quali erano stati separati a causa della schiavitù. "Non c'erano telefoni, allora", ha detto scherzando, "né portables" (cellulari). Gli schiavi avevano un loro proprio linguaggio nel canto. Quando arrivavano in una nuova città cantavano questi canti, provando a trovare quelli dei loro." I canti servivano come icone uditive di identità, come "collegamenti" sonori. Weston ha trovato in Marocco un collegamento di questo tipo con l'Africa. Per Weston, l'Africa è la fonte (per riprendere un termine di Abdullah El-Gourd), il luogo natio, la madre di tutte le tradizioni. L'incontro con Sidi Musa, tuttavia, è stato anche un incontro con i grandi maestri del jazz. Cosa ancora più importante, s'è trattato di un'apertura verso un modo differente di essere nel mondo. "Quando ho ascoltato questa particolare (versione di) Sidi Musa, dopo la cerimonia sono stato in trance per una settimana circa. E quando dico trance, voglio dire che ero funzionante ... mi muovevo, ma la musica mi portava ad un livello molto alto, mi portava in un'altra dimensione..." C'è una inversione, ed al tempo stesso una complementarietà nel modo in cui Abdullah El-Gourd e Randy Weston definiscono e rendono omaggio agli antenati. Entrambi riconoscono la fonte nell'Africa stessa: Abdullah El-Gourd mediante l'invocazione ai ma‘llemin (plurale), i primi maestri Gnawa che hanno lasciato la loro eredità al presente nei corpi e nei canti di quanti oggi possiedono il tagnawit, e Randy Weston facendo frequenti riferimenti nelle sue performance e nelle sue note di presentazione alla madre Africa - il posto -, che è altresì definita come la 'fonte' della tradizione musicale e spirituale. Quando, ad esempio, ho domandato a Randy Weston cosa trovasse di così potente nella musica degli Gnawa del Marocco, mi ha risposto: "È come dopo essere stati lontano dai genitori per un lungo periodo di tempo, tua madre e tuo padre, coloro che ami molto profondamente. E tu sai che sono là, ma potresti anche non vederli mai, o può darsi che tu li abbia visti ma sei stato lontano per tanto tempo, quando poi effettivamente li vedi e capisci che quello che hai te lo hanno dato loro, diventi molto umile...". Per Randy Weston, nondimeno, l'Africa diviene il principale luogo di ritorno, laddove per Abdullah El-Gourd, almeno nell'ambito di Dar Gnawa, gli antenati che hanno attraversato l'Atlantico diventano i principali simboli della ostentazione genealogica. Questi antenati - uomini jazz afro-americani - sono, possiamo postulare, semplicemente legati all'Africa (martabtin) così come lo è lo stesso Weston - posseduto o abitato dagli spiriti dell'Africa che non conoscono limitazioni spaziali, che non riconoscono frontiere, che sono, di fatto, al di fuori del tempo.
Come ho già accennato, vi sono poche immagini degli antichi maestri Gnawa , Ba Masud e Ba Hamid. Il visitatore può anche vedere lo svolgimento della carriera di Abdullah Al-Gourd, delle fasi durante le quali è stato insieme ai suoi musicisti in Spagna, in Francia e negli Stati Uniti. Queste ultime immagini sono date dalle cartoline spedite a casa dall'estero. Non sono immagini per l'esportazione; piuttosto documentano l' "altrove" nel "qui" del Dar Gnawa, una esibizione auto riflessiva del turismo culturale rappresentato dagli Gnawa (Kirshenblatt-Gimblett 1998). Le fotografie sono emblemi di internazionalismo a livello del locale.
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