Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
Nonostante i benefici sociali e psicologici che procurava, il coinvolgimento
delle donne nelle pratiche descritte e in questi stili esecutivi dava inevitabilmente
supporto agli stereotipi sulla loro natura superstiziosa ed emotiva. Per
queste stesse ragioni, naturalmente, non si reputava che le donne potessero
occupare un ruolo nella più ampia realtà sociale, ed esse
venivano scoraggiate in questo senso (12).In
tal modo si completava il processo della creazione di stereotipi, per le
donne quanto per gli uomini. Ogni venerdì pomeriggio (tranne nel
mese di Ramadan, in cui molte delle routine temporali vengono interrotte,
se non addirittura invertite), mentre gli uomini pregavano in moschea ed
ascoltavano le dotte interpretazioni dei testi sacri islamici, le donne
cantavano insieme, danzavano, e lanciavano grida appassionate verso il
cielo aperto. Secondo Foucault (1980), queste donne avrebbero dunque adottato
pienamente la 'posizione soggetta' creata per loro dai discorsi locali
sui generi, perpetuati attivamente attraverso questi riti.
Tuttavia, era difficile ascoltare questa musica senza considerarla una divulgazione ad alto volume delle lamentele di queste donne al resto del vicinato, e quindi un sottile atto di resistenza. Come lo yu-yu, che accompagnava i momenti del rito in cui il pubblico, come un unico corpo, sembrava realizzare un rapporto empatico con i sentimenti della donna che danzava, anche il suono di questi ritrovi si poteva chiaramente sentire in tutto il quartiere, benché nessuna singola voce potesse essere identificata da chi la udiva. Di conseguenza l'Aissawa era in grado di comunicare in almeno due modi simultaneamente. Alle donne presenti l'evento permetteva una lettura visiva dello stato psicologico ed emotivo delle loro vicine, la riunione all'interno di una comunità più vasta di quella che esse erano solitamente libere di creare, e lo scambio di reciproco sostegno al suo interno. Sotto questo aspetto l'evento aveva la funzione di permettere l'espressione di sentimenti 'nascosti' o 'resi silenti', simili a quelli delle le donne beduine descritte da Abu Lughod (1986). Al tempo stesso, attraverso questo atto collettivo, l'Aissawa mandava un segnale ad alto volume della propria effettiva esistenza e delle proprie reali ed accorate lagnanze alla comunità più ampia. A differenza dei casi comparabili degli Zar dell'Etiopia (discussi da I. M. Lewis nel 1996), questi riti estatici causavano una piccola ovvia pressione politica sulla popolazione maschile, da convertire in benefici materiali. Un altro aspetto degli stereotipi sui generi condiviso in modo più o meno esplicito da molti uomini che conoscevo ad Oujda riguardava l'opinione che le donne stesse avessero strette affinità con i djinn e gli spiriti della natura. Questa opinione serviva in parte a spiegare le 'differenze' delle donne sul piano della 'natura', e, su quello religioso, la loro associazione con culti quali l'Aissawa. Mi fu anche suggerito che, come i djinn, gli uomini dovevano prestare prudenza quando si trovavano in prossimità troppo stretta con le donne, poiché la loro influenza poteva traviarli dal punto di vista spirituale; le donne potevano rendere gli uomini iperemotivi, o far loro 'perdere la ragione' (cioè, renderli più simili agli stessi stereotipi femminili). Queste descrizioni 'demonizzavano' letteralmente le donne, distanziandole ulteriormente dal polo opposto maschile, eminentemente culturale e razionale. Identificandosi con questo modello, tuttavia, e traendo il massimo vantaggio da questa reputazione temibile, le donne riuscivano forse, in alcune circostanze, ad intimidire in qualche modo la comunità maschile (13).
Le esecutrici si uniscono al pubblico all'apice dell'evento.
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