Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
La signorina Ciclone di Augusto Genina
Andrea Meneghelli
La signorina Ciclone. Regia: Augusto Genina. Soggetto: Lucio d'Ambra. Sceneggiatura: Lucio d'Ambra, Augusto Genina. Fotografia: Carlo Montuori. Scenografia: Giulio Folchi. Interpreti: Suzanne Armelle (Miss Fluffy Ruffles), Francesco Cacace (Claudio Barsac), Paolo Wullmann (Aly), Franz Sala, Carlo Cattaneo, sig.ra Romani. Produzione: Medusa-film, Roma; visto di censura: 11.623 del 2.6.1916; prima visione romana: 23.6.1916; lunghezza originale: m 1.831.
Un film può essere sbagliato all'inizio,
nel centro, mai alla fine.
A. Genina
La copia restaurata de La signorina Ciclone non supera le dimensioni del lungo frammento: 421 metri rispetto agli originari 1831 (1), i primi due rulli. Poche parole di sinossi, anche per accennare a ciò che è solo deducibile dalla superstite sceneggiatura manoscritta (2) Miss Fluffy Ruffles (alias signorina Ciclone), coi sette pretendenti al seguito, lascia gli Stati Uniti e irrompe nella ritirata magione parigina del pacifico zio; il letterato Claudio Barsac, nel frattempo, è in preda a uno spleen con tendenze suicide; l'incontro tra i due, in un tabarin rutilante di champagne e stelle filanti, introduce le avvisaglie di un attrito che, per regole narrative acquisite, potrà solo sfociare nell'amore. Il resto, fuori dalla pellicola conservata, inserisce un intreccio giallo che conduce all'arresto di Barsac ed esalta lo spirito d'iniziativa della signorina Ciclone: provata l'innocenza dell'uomo, resta solo da accettarne la profferta matrimoniale.
Ci troviamo dunque di fronte non a un film, ma a un estratto che non può fare le veci di un'opera intera. Un brandello sostanzioso che non basta alla ricostruzione di un corpo. In breve, e perentoriamente, l'oggetto del nostro discorso non potrà essere La signorina Ciclone, ma i suoi 421 metri che oggi è possibile vedere. Ogni affermazione al riguardo, perciò, dovrà ritenersi un problema posto per non essere risolto, l'evocazione di un fantasma che non apparirà. Se prestiamo fede retrospettiva a Genina, la nostra impostazione sfuma nel grottesco: " io ho sempre dato importanza ai finali: un film può essere sbagliato all'inizio, nel centro, mai alla fine" (3) De La signorina Ciclone possediamo solo l'inizio, giusto o sbagliato che sia.
Partiamo dai dati scritti: regia di Augusto Genina, soggetto di Lucio d'Ambra, sceneggiatura di Lucio d'Ambra e Augusto Genina (4). L'apporto combinato di Genina e d'Ambra ha sollevato attribuzioni irrisolte di paternità da ambo le parti, non senza risentimenti: ci viene riferita l'aspra reazione di d'Ambra per rettificare la vulgata giornalistica compatta nel tessere lodi al solo Genina (5). Per un film che i commentatori posteriori non esiteranno ad annoverare tra i capisaldi del "d'Ambra touch"; di più, come il suo battesimo: "nasce il cinematografo di d'Ambra: cioè uno stile" (6). Genina non lesina tributi, ma chiaramente considera La signorina Ciclone opera sua:
[d'Ambra] è un personaggio da non dimenticare nella storia del cinema italiano. Era un uomo delizioso: un parigino con la vivacità di un napoletano. Era anche uno snob dannunziano: si aggirava per gli stabilimenti cinematografici avvolto in un gran mantello rosso, il monocolo all'occhio sinistro. Negli intervalli di lavoro scriveva madrigali alle dive `dalle alte fronti coronate dall'arte'. La sua musa preferita era Lyda Borelli, che incarnava a perfezione i suoi estetismi profumati d'incenso. Ma egli era spiritoso e perfino le sue eccentricità diventavano accettabili. Innamoratosi del cinema, vi portò il contributo della sua finezza e della sua fantasia. Non avrei avuto tanto successo col mio film Signorina Ciclone se l'avessi fatto senza il suo aiuto (7).
Anzi, parlando di Pirandello, si confeziona un ruolo guida: " lo conobbi subito dopo la Duse ed ebbi, come per Lucio d'Ambra, la responsabilità di comunicargli la mia passione per il cinema" (8).
Per inciso. Ma già in fase di commissione, per bocca del patron della Medusa, il marchese di Bugnano, d'Ambra avvalora il proprio imprimatur autoriale:
all'uscita di una proiezione privata del suo primo film (9), il marchese di Bugnano volle fare incontrare, per il secondo, Augusto Genina e me alla tavola di un'elegante trattoria notturna di quel tempo. - Voi siete - ci disse vedendoci insieme - i due artisti che occorrono a me... - E quella notte fu gettato il seme di ciò che ancora mancava al nuovo mondo pellicolare: il giuoco libero e poetico della fantasia, l'aerea trasfigurazione della realtà in qualche cosa d'immateriale e di fiabesco, quello insomma che un nostro grande compositore, il maestro Ermanno Wolf-Ferrari, parlando d'ogni arte e non solo di musica, suole chiamare "il camminare ancora coi piedi su la realtà ma non toccando più terra..." (10).
Spacciandolo per "piccola trovata", d'Ambra si addossa la scoperta dell'ingranaggio che dà movimento al film:
così m'apparve - piccola trovata - l'isocronia nell'azione di varii personaggi e nacque nei sette peccati mortali, ognuno raffigurato in un uomo, l'allegro settimino degli adoratori della ricca americana Fluffy Ruffles, la "signorina Ciclone", la quale nell'atto d'imbarcarsi per l'Europa si tirava dietro, vestiti tutti uguali, e come sette marionette legate ai suoi fili, i sette giovanotti americani aspiranti alla sua mano e alla sua dote tra cui ella non sapeva - indecisa tra l'avarizia di uno e la superbia dell'altro, l'iracondia di Mister Flick e l'infingardaggine di Mister Flok - a quale peccato mortale, dovendo subirne uno, dare la sua preferenza. E il giro d'Europa, a Parigi, in un grande giornale, metteva Fluffy di fronte alla seduzione d'un celebre scrittore il quale aveva in breve partita vinta sopra i suoi sette emuli americani che, vedendo Fluffy preferire l'europeo, si sentivano rispondere dalla "Signorina Ciclone" ciò che in fondo altro non era che un mot de la fin tanto per concludere e passare ad altro: - "Indecisa a scegliere, miei cari, tra i sette peccati mortali che voi siete, ho preferito quest'europeo che almeno li ha tutt'e sette raccolti nella medesima persona" (11).
L'attribuzione a d'Ambra almeno delle componenti "isocroniche" e allegoriche sembrerebbe quindi sottoscrivibile. Così come potrebbe non apparire discutibile la filiazione prevalentemente geniniana dell'intreccio giallistico-avventuroso, a causa se non altro della sua maggior "confidenza" col genere. Vedi il "romanzo-film" La donna e il cadavere, pubblicato su una rivista diretta - naturalmente - da d'Ambra (12). Ma la questione non mi sembra proponibile nei termini di un setaccio di ciò che è più dambriano da un lato e più geniniano dall'altro, o di chi sia più Miss Fluffy Ruffles e chi più Barsac. L'esito probabilmente non si discosterebbe da una griglia divisoria di scarsa attendibilità. Per quanto rischi di apparire remissivo, pare più onesto considerare La signorina Ciclone come un film sorto dal convergere di due personalità forti che condividono intenzioni e interessi analoghi, curando ciascuno le proprie idiosincrasie (13). Con risultati soddisfacenti per entrambi, almeno a leggere le rispettive "memorie" (14). Ciò che alla fine permane, oltre ai presunti "dambrismi" e "geninismi", è un prodotto pensato per un successo potenzialmente vasto dentro e fuori confine (15) (il terzo polo, al proposito, sarebbe il Marchese di Bugnano), in cui si possono forse ravvisare le vocazioni cosmopolite che entrambi gli autori, ciascuno a modo suo, hanno professato. Se La signorina Ciclone è un film in cui risaltano antiprovincialismo ed esportabilità, lo è anche per la sua capacità di conferire dinamismo cinematografico ad eredità culturali ricontestualizzate e rimesse in discussione. In modo particolare per l'allegoria.
La dimensione allegorica del film sembrerebbe porsi in linea con un registro alto che, altrove, trova forti motivi d'ispirazione nel "clima" post-simbolista, post-decadente (dannunziano per semplificazione) presente nel muto italiano in misura niente affatto trascurabile: con i casi, tra i più eclatanti, del Fauno di Febo Mari, del Fuoco di Pastrone (complice ancora Mari) o dei Sette peccati capitali "di" Francesca Bertini. E di Lucio d'Ambra: almeno Carnevalesca e, per ciò che si sa, Il Re, le Torri, gli Alfieri. Ma l'accostamento o la sovrapponibilità con La signorina Ciclone dei pochi titoli suggeriti appare poco praticabile. L'allegoria del film in questione è già il lascito di altre esperienze sciolte in nuove soluzioni e rigiocate secondo regole appropriate. I sette pretendenti di Miss Fuffly Ruffles, i sette peccati capitali; Barsac, i sette peccati capitali in uno: l'escamotage allegorico del film, a prima vista ingombrante e stucchevole, si sgrava della sua funzione di rappresentazione di un significato riposto per farsi preminentemente meccanismo generatore di figure plastiche, iconiche, narrative. L'allegoria, prestandosi ad un ordinamento "isocronico", diventa puro e semplice motore di messa in scena. E credo non sia superfluo rimarcare come l'attore inteso in quanto "oggetto" di messa in scena, risulti essere una componente non estranea al peculiare "antidivismo" di Genina (16).
Consideriamo ad esempio le modalità di presentazione dei sette pretendenti. La superfluità di una loro caratterizzazione individuale ne permette la composizione in gruppi simmetrici e ordinati, funzionali alla spersonalizzazione e parificazione dei personaggi e dei rispettivi peccati capitali, in tal modo neutralizzati. In un'inquadratura gli uomini si provano abiti di ugual foggia davanti a sette specchi: tre di spalle rispetto alla m.d.p. e due di profilo per ogni lato del quadro. La specularità è tematica e compositiva. In uno stacco appena successivo, gli stessi personaggi si sottopongono alla stessa acconciatura: le sette poltrone da barbiere su cui sono accomodati formano una precisa linea retta leggermente in diagonale (17). La spersonalizzazione diventa allineamento geometrico.
Miss Fluffy Ruffles, in quanto burattinaia che manovra secondo capriccio i fili degli spasimanti, inquadrata leggermente dall'alto in una sequenza di poco precedente, su un pavimento a scacchi, al centro di un cerchio formato dalle cuccette di sette gatti tenuti al guinzaglio, costituisce il perno di una raggiera. È il centro gravitazionale di sette satelliti tenuti, come si dice, in pugno. A suo piacimento, l'ordine dell'inquadratura così prefigurato può volgersi al disordine: poco oltre, infatti, i pretendenti sono mostrati frontalmente alle prese con la toeletta dei sette cani della donna; l'ingresso in campo di quest'ultima, accompagnata dai gatti al guinzaglio, scatena l'azzuffarsi degli animali: l'irruzione dell'elemento caotico rappresentato dalla protagonista impone scompostezza ai personaggi maschili e all'organizzazione spaziale dell'inquadratura (18).
A conclusione del film, da quanto possiamo evincere dalla sceneggiatura, la partenza degli spasimanti si attua in una presumibile formalizzazione geometrica che sembra riallacciarsi, rovesciandola, alla sequenza dei gatti sopra menzionata: i sette personaggi, scaricati dall'amata, si dividono, visti in (probabile) plongée da Barsac e Fluffy Ruffles affacciati a una finestra dell'Hotel: Bick vestito da cavallerizzo, Dick da automobilista, Flik da ciclista, Nick da motociclista, Pick da aviatore, Tick da "touriste", Sick "da passeggio": "tutti prendono direzioni opposte". Finalmente dotati di una riconoscibilità, per quanto ridicolizzata, dismessa ogni traccia di etichettatura allegorica, i personaggi si ritrovano liberati dal perno che reggeva circolarmente i guinzagli. Ogni raggio, svincolato dal centro, può seguire la propria traiettoria.
A un ulteriore livello di lettura, La signorina Ciclone sembra costruirsi attorno a una fitta serie di opposizioni binarie: giovani e vecchi, Stati Uniti e Europa, città e campagna, modernità e tradizione, prodigalità e parsimonia, borghesia e nobiltà. La sintesi morale è per certi versi attendibile: "il contrasto fra una visione della vita meccanizzata, catalogatrice, schematizzante e una visione della vita intesa a riportare l'uomo verso l'umanità con tutti i suoi limiti e con tutte le sue carenze" (19). Ma risulta secondaria se riportiamo le opposizioni menzionate a un unico sistema duale che contrapponga stasi e movimento. Ancora una volta, siamo di fronte a componenti di ordine diegetico che si costituiscono in modalità di messa in scena.
La presenza del personaggio di Miss Fluffy Ruffles è causa sistematica di una serie di movimenti interni al quadro, impressi da panoramiche della m.d.p. (20) o derivanti dal serrarsi del montaggio. Significativamente, il primo arrivo della protagonista al castello dello zio rappresenta un'improvvisa turbativa della canonica partita a scacchi in corso tra l'anziano marchese e il suo unico amico. Nella sequenza in cui zio e nipote visitano il palazzo, l'uomo è costretto ad aggrapparsi alla mano della signorina Ciclone, letteralmente trascinato attraverso le stanze e su per i gradini (raccordi molto dinamici e brevi panoramiche a seguire). Giunti nella camera della donna, il vecchio si accascia stremato su una sedia, mentre lei continua imperterrita la sua perlustrazione, con ulteriori panoramiche e ripetuti stacchi di montaggio. Una volta raggiunta la villa, poi, i sette pretendenti si siedono, prontamente fatti scattare in piedi dall'ordine di Fluffy Ruffles, che vuole andare a ballare. Le otto automobili (una per ogni personaggio) si snodano in plongée in fila indiana e a velocità sostenuta. E al tabarin la signorina Ciclone si scatenerà in un frenetico assolo di danza che la m.d.p., in questo caso, si limita ad inquadrare frontalmente.
Il dinamismo, inoltre, viene raggiunto attraverso una saturazione del quadro impressa tramite l'affastellamento su più piani di azioni separate e contemporanee, difficili da cogliere singolarmente "a colpo d'occhio". Le sequenze al tabarin sono a questo proposito esemplificative: l'ingresso di Barsac, ad esempio, è mostrato attraverso un totale in plongée su una sarabanda di tavolini, clienti sobri e sbronzi, camerieri che attraversano la sala per distribuire le consumazioni. Nell'inquadratura in cui lo scrittore, in piano ravvicinato, rifiuta lo champagne offerto, la profondità di campo, per quanto obbligata, è sfruttata in modo da mostrare in secondo piano la signorina Ciclone che osserva incuriosita e, ancora più in fondo, i sette spasimanti che chiacchierano e fanno i buffoni. Oltre che per il dinamismo dell'insieme, questa inquadratura è rimarchevole anche per le implicazioni narrative postulate dalla sua organizzazione spaziale: Barsac in uno sprezzante isolamento, Miss Fluffy Ruffles nel ruolo di osservatrice non passiva, i pretendenti esclusi sul fondo (questi ultimi, del resto, formano un gruppo che si regge esclusivamente su una rete di rapporti interni, e rispetto ai quali la donna è una presenza dominante ma esterna).
Forse La signorina Ciclone non è semplicemente un film sorretto da una vigilissima attenzione per il ritmo. Forse è un film sul ritmo in quanto principio di organizzazione narrativa e plastica (21). Per d'Ambra spesso si è parlato di operetta viennese. In questo caso, sembra gli si addica meglio lo one-step*.
NOTE
* Diversi spunti di riflessione sono nati da una serie di fitte discussioni con Francesco Pitassio, che qui ringrazio.
1 La copia, conservata alla Cineteca del Comune di Bologna, è stata restaurata nel 1991 presso il laboratorio L'Immagine Ritrovata di Bologna con la collaborazione del Service des Archives du Film (Bois d'Arcy). In origine la pellicola era colorata tramite imbibizione.
2 La sceneggiatura, donata da Luigi Malerba a Maria Corti, è conservata nel Fondo Manoscritti dell'Università degli Studi di Pavia.
3 A. Genina, "Ora so che il cinema era il mio mondo", in S.G. Germani, V. Martinelli, Il cinema di Augusto Genina (Pordenone: Biblioteca dell'Immagine, 1991), p. 53.Memorie originariamente raccolte da Oriana Fallaci e apparse col titolo "Le memorie di Genina sono storia del cinema", L'Europeo, nn. 528, 529 e 530 (1955).
4 La sceneggiatura è firmata (da unica mano, di chi?) "Augusto Genina e Lucio d'Ambra", in data 31.1.1916. La calligrafia è attribuibile, senza certezze assolute, a d'Ambra. La questione è stata dibattuta nella Tesi di Laurea di G. Nahmias, dal titolo La signorina Ciclone. Una sceneggiatura inedita di Lucio d'Ambra, discussa a Pavia nell'anno accademico 1996-97.
5 Germani, Martinelli, Op. cit., p. 112.
6 E.F. Palmieri, Vecchio cinema italiano (Venezia: Zanetti, 1940), pp. 121-122. Ora ripubblicato a cura di P. Micalizzi (Vicenza: Neri Pozza, 1994).
7 A. Genina, Op. cit., p. 55: corsivi miei.
8 Genina, O. cit., p. 59; corsivo mio.
9 D'Ambra si riferisce a Il sopravvissuto, film patriottico del 1916 di gran successo (tanto da essere riedito nel 1926). Alla regia di Genina (anche accreditato come sceneggiatore unico) si affianca, come nel caso de La signorina Ciclone, la firma del soggetto da parte di un commediografo allora in voga, Giannino Antona-Traversi.
10 L. d'Ambra, Gli anni della feluca (Roma: Lucarini, 1989), p. 174. Circa il riferimento alla "fantasia", si tratta dell'ennesima variazione di un refrain dambriano costantemente ribadito.
11 D'Ambra, Op. cit., p. 175.
12 Il Romanzo-film, n. 6 (1921).
13 La seconda e ultima collaborazione tra d'Ambra e Genina avviene nel 1922, per la produzione Genina-film Peccatrice senza peccato (soggetto di d'Ambra, regia e sceneggiatura di Genina).
14 Ancora d'Ambra: "Se è vero, e immodestamente credo che vero sia, - che La Signorina ciclone [sic!] apparve di primo colpo il film più `originale' di quel tempo, la cosa fu tuttavia semplicissima. A me che avevo scritto fin allora solamente romanzi e commedie chiedevano, per la prima volta, un film. Diceva il mio maestro Bourget che artista e artigiano son vocaboli che hanno la medesima radice e che però un artista non è tale veramente se all'intuito artistico, che è poesia, non s'accompagna in lui quell'esperienza dell'artigiano che è coscienza e conoscenza del mestiere. [...] Io volli dunque, prima di comporre un film, conoscere le ragioni tecniche ed essenziali della cinematografia e vedere in che cosa essa differisse - non essendo né teatro né romanzo ed avendo un suo proprio nome nuovo - da quanto fino a quel giorno s'era fatto, nel mondo, come spettacolo e racconto". D'Ambra, Op. cit., pp. 174-175. Affermazione che contribuisce a complicare ulteriormente il gioco delle attribuzioni di responsabilità.
15 "Questo film è una autentica opera cinematografica. Vi si nota, insieme al gusto americano elaborato alla maniera italiana, vale a dire in bellezza, la gioia di vivere espressa attraverso un'azione straordinariamente intensa". Le Film, n. 40 (1916), citato da E. Toulet, "Il cinema muto italiano e la critica francese", in AAVV, Cinema italiano in Europa, 1907-1929, a cura di Martinelli (Roma: Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema, 1992), p. 33.
16 A proposito di "antidivismo" geniniano, è nota la vicenda che portò al licenziamento della celebrata Stacia Napierkowska, originariamente chiamata ad interpretare la signorina Ciclone e sostituita dalla sconosciuta Suzanne Armelle. Cfr. S. G. Germani, V. Martinelli, Op. cit., pp. 111-112.
17 Queste due inquadrature, come del resto la sequenza relativa ai gatti della signorina Ciclone, sono assenti dalla sceneggiatura.
18 Tre fotografie relative alla sequenza descritta sono pubblicate in AAVV, Sperduto nel buio. Il cinema muto italiano e il suo tempo (1905-1930), a cura di R. Renzi (Bologna: Cappelli, 1991), p. 19.
19 G. Calendoli, Materiali per una storia del cinema italiano (Parma: Maccari, 1967), p. 130.
20 Sul Tirso, un critico dell'epoca notava: "C'è soprattutto di notevole, in questa messinscena, il metodo nuovo dell'inquadratura. Genina fa le inquadrature sull'azione, non sviluppa l'azione sulle inquadrature. La macchina da presa segue l'attore, e non lo costringe, come prescrive la tecnica sorpassata, ad agire in primo piano". Riportato in Palmieri, Op. cit., p. 122.
21 Sull'importanza del ritmo nell'opera geniniana, cfr. Genina, Op. cit., p. 44.