Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
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Beethoven rilegge il proprio passato: alcune riflessioni sul rapporto tra
le ultime due sonate e l'op. 10 n. 1 di Piero Venturini Questo lavoro ha
due tipi di finalità: la prima riguarda piuttosto la riflessione
teorica mentre la seconda è basata sulla pratica esecutiva quotidiana. I riferimenti a ricerche analoghe sono estremamente scarni; il più significativo è quello di Gabriele Meyer [1985, 158] che mette a confronto il disegno essenziale del basso del tema iniziale dell’op. 110 con una riduzione delle prime battute dell’op. 26 (vedi esempio n. 1). Si tratta, nel suo testo, di una citazione piuttosto rapida da cui non si trae alcun tipo di conclusione. Un altro precedente viene da Charles Rosen che evidenzia il rapporto tra l’Arietta dell’op. 111 e il tema delle variazioni Diabelli: anche in questo caso, che riguarda piuttosto il rapporto tra Beethoven e compositori coevi, l’esempioè inserito nel testo come un rapido riferimento. [Rosen 2002, 246] Il precedente più significativo si trova in un
articolo apparso su una rivista contemporanea allo stesso Beethoven, e
precisamente il secondo numero della Berliner Allgemeine
musicalische Zeitung datato 10 marzo 1824: in questo numero Adolph
Marx definisce l’op. 110 come “uno sguardo indietro, rivolto
a tempi più felici”. Il riferimento alla gioventù
del compositore non ancora minata dalla sordità appare ovvio; resta
da chiarire che cosa abbia provocato in Marx la sensazione di “sguardo
indietro”: potrebbero essere riferimenti di tipo tematico o armonico
o più probabilmente di natura generica, come una particolare atmosfera
stilistica. Appare significativo che in un’altra persona, oltre
allo scrivente, l’ascolto dell’op. 110 abbia provocato
una sorta di flash-back più o meno intuitivo. 2. La metodologia< >Per verificare le connessioni tra due opere diverse
la metodologia analitica di Rudolph Reti (1978) è parsa subito
quella più opportuna, soprattutto in quei passaggi dove il musicologo
rintraccia delle riprese di materiale musicale usato in precedenza e sottoposto
a trasformazioni diastematiche, ritmiche e metriche. In particolare è
sembrata interessante la relazione che Reti individua tra i quattro moduli
iniziali dell’Allegro della IX Sinfonia di Beethoven e i quattro
motivi del tema dello Scherzo, intesi come trasformazioni dei primi e
utilizzati esattamente nello stesso ordine dell’Allegro. In tal
modo «sono reiterati nello Scherzo non solo i frammenti motivici
ma l’immagine del tema completo dell’Allegro« [Reti
1978, 13]. L’osservazione di Reti, secondo cui la ripresa non si
limiterebbe ad alcuni frammenti ma riguarderebbe l’intero profilo
formale del tema dell’Allegro, ha suggerito (almeno in parte) l’impostazione
teorica del presente lavoro. E sebbene nei casi esaminati non si possa
parlare di una totale ripresa di profili tematici, è parso interessante
rilevare che le trasformazioni tematiche individuate si collocano nello
stesso ordine dei rispettivi frammenti originali.1 E’ bene approfittare di questo esempio per chiarire il problema del confronto tra frammenti con funzioni diverse. Si potrebbe obiettare che i suoni dell’op. 110 Do-Lab e Reb-Sib, appartenenti ad un unico motivo (bb. 1-2), sono confrontati con le bb. 1-2 e 3-4 dell’op. 10 dove gli stessi suoni appartengono non ad un solo motivo, ma a due. Ma questo confronto non deve essere considerato improprio in quanto nella teoria di Reti la dilatazione di una frammento da una a due o più unità motiviche rientra pienamente nel concetto di trasformazione tematica. (esempio audio 1) L’esempio n. 3 (esempio audio 2) prende in esame il lungo “vocalizzo” che conclude il periodo iniziale dell’op. 110; la melodia Fa-Mib-Reb-Do, dopo un primo movimento ascendente, compie una discesa verso il Do in due fasi: la prima termina sul Reb, trillato, la seconda si spinge fino al Do dopo un nuovo impulso verso l’alto. Nel passaggio corrispondente dell’op. 10, appartenente all’inizio della parte centrale, le due fasi della discesa dal Fa al Do sono ancor più esplicite, anche se le altezze dei suoni sono maggiormente distanziate. La veste ritmica dell’op.110, simile ad un recitativo, è totalmente trasformata rispetto al passaggio gemello. L’esempio n. 4 (esempio audio 3) mette a confronto l’inizio del secondo periodo del primo gruppo dell’op. 110 con la conclusione del secondo periodo della parte centrale dell’op.10 e mostra, di nuovo, analogie che riguardano anche l’altezza dei suoni messi a confronto. Il profilo melodico è identico, con la differenza che l’intervallo Mib-Lab nell’op. 110 è privato dei suoni intermedi: si tratta della tecnica di trasformazione tematica che Reti ha definito come “assottigliamento”. Questo è uno dei pochi casi in cui la trasformazione non interessa l’aspetto metrico: i suoni, infatti, sono più o meno nella stessa posizione all’interno delle battute. (esempio audio 3) La parte superiore dell’esempio n. 5 (esempio audio 4) confronta una riduzione di alcuni passaggi tratti dal primo tempo dell’op. 110 con passaggi presi dal secondo movimento dell’op. 10 n. 1. Specificamente, dall’alto in basso: l’inizio della transizione dell’op. 110, l’inizio del periodo conclusivo della parte centrale dell’op. 10, l’inizio del secondo gruppo dell’op. 110 e la ripetizione variata dell’ultimo periodo della parte centrale dell’op. 10 (corrispondenti ai pentagrammi 5-1, 5-2, 5-3 e 5-4.). L’ esempio prende in considerazione una situazione complessa: in entrambe le composizioni troviamo un’ascesa dal Sol al Mib che viene ripetuta due volte con modalità leggermente diverse. La prima ascesa è presente nell’op. 110 nel lungo passaggio di biscrome che dà inizio alla transizione: le quartine di biscrome dell’esempio 5-1 nella partitura beethoveniana sono collocate all’inizio di ogni battuta e rivelano chiaramente un andamento complessivamente ascendente; il medesimo profilo melodico è visibile nel passaggio parallelo dell’op. 10, realizzato con una maggiore densità cromatica (es. 5-2). La seconda ascesa differisce dalla prima per il ripiegamento melodico conclusivo sul Sib presente in entrambe i passaggi. La situazione questa volta è invertita: l’op. 110 presenta l’arco melodico nella sua essenzialità (es. 5-3) mentre l’op. 10 propone una graduale salita maggiormente dilatata grazie anche all’incremento della densità cromatica che ritarda l’arrivo sul Mib (es. 5-4).
Nella parte inferiore dell’esempio n. 5 (esempio audio 5) si manifesta
una situazione ancora più complessa: l’esempio contiene,
dal basso verso l’alto, l’inizio del secondo tempo dell’op.
10 (pentagrammi. 5-9 e 5-10), l’inizio della coda dell’op
10 (es. 5-7 e 5-8) e la riduzione del passaggio che collega la fine dell’esposizione
e l’inizio dello sviluppo nell’op. 110 (es. 5-5 e 5-6). Le
prime due citazioni, tratte entrambe dall’op. 10, sono in rapporto
di chiasmo l’una con l’altra, nel senso che la coda contiene
le stesse voci del tema iniziale con spostamenti all’interno del
tessuto polifonico: ad esempio il suono fisso Mib della mano sinistra
(es. 5-10) si trova, nella coda, alla mano destra nella parte interna
(es. 5-7); così il Do-Sib-Lab del tema rappresenta il basso della
coda (3) Da qui si passa all’op 110: il profilo
melodico dei due passaggi evidenzia in entrambi una discesa complessiva
dal Mib al Lab che avviene in due momenti (Mib-Reb-Do e Reb-Sib-Lab, es.
5-5). Il fatto che più colpisce è l’analogia che interessa
la struttura polifonica dei tre passaggi: in tutti si può riconoscere,
oltre al profilo già citato, un suono fisso e un arco di terza
discendente (si vedano gli ess. 5-6, 5-7 e 5-8). riguarda l’inizio, coi movimenti del basso chiaramente speculari rispetto alla mano destra. L’esempio n. 7
è tratto dal termine della transizione: è visibile l’ascesa della mano destra dal Do al Sib, enfatizzata dall’uso delle acciaccature, cui fa riscontro la discesa in semiminime trillate della mano sinistra. Anche nell’inizio del secondo gruppo (esempio n. 8) lascesa dal Sol al Mib è controbilanciata da una discesa che riprende gli stessi suoni in ordine inverso.
anche la famosa melodia popolare a gradi congiunti discendenti, che dà l’avvio ad una sorta di scherzo binario, ha nel basso la sua controparte gemella. L’esempio n. 10 mostra l’inizio della parte centrale in cui il procedimento del moto contrario è estremamente enfatizzato. Le linee melodiche convergenti si sovrappongono e danno vita ad un incrocio con le mani dell’esecutore notevolmente divaricate; in questo caso il moto contrario si concretizza in un gesto estremo, quasi plateale. Gli esempi nn. 11 e 12mostrano l’incipit della celebre fuga conclusiva con la conclamata
inversione in Sol maggiore alla quale, come è noto, seguirà
un’ultima riesposizione nella tonalità d’impianto.
Le successioni delle toniche principali dei tempi fugati (Lab-Sol-Lab,
rispettivamente alle bb. 26, 136 e 174 del terzo movimento dell’op.
110) richiamano inevitabilmente i suoni del basso iniziale dell’op.10
(es. 5-10), quasi una sorta di polarizzazione in cui sono implicite le
tre parti fondamentali della fuga. Il Do-Mib-Si che caratterizza l’incipit tematico dell’op.
111 (batt. 20) riprende i tre suoni che, all’inizio dell’op.
10, sono posizionati nei punti più salienti dell’arco melodico,
ossia all’inizio, alla sommità e alla fine (vedi esempio
n. 13, esempio audio 6). Resta da chiarire la mancanza della terzina di
semicrome che apre l’esposizione tematica dell’op.111: le
note Sol-La-Si che Beethoven nei suoi esercizi di armonia definisce come
Schleifer (tripla appoggiatura) e che sono assenti nei taccuini
di appunti dello stesso compositore [Cooper 1979, 232). L’incipit
completo è identico ad un frammento melodico presente nel secondo
atto del Dardanus di Antonio Sacchini, che venne eseguito a Bonn
nel 1792 (esempio n. 14): la melodia potrebbe quindi fare riferimento
ad un ricordo più o meno consapevole di un’opera ascoltata
in gioventù. Per quanto riguarda le altezze dei suoni, una considerazione
importante va evidenziata: nell’op. 10 i tre suoni sono molto distanziati
nello spazio diastematico, in un ambito che raggiunge la tredicesima;
i medesimi suoni vengono riavvicinati nell’op. 111 in un ambito
molto più ristretto (una quarta diminuita). Il processo di trasformazione
tematica definito da Reti come “elisione” [1978, 88-92] è
applicato, qui e nell'esempio n. 17, in maniera estrema, quasi radicale. (esempio audio 7) Il raffronto più interessante è quello raffigurato nell’esempio n. 16 (esempio audio 8) e merita un’ampia descrizione. I suoni dell’op. 10 sono indubbiamente salienti, in quanto rappresentano un enfatico ampliamento degli slanci di quinte e seste con cui inizia il tema; l’enfasi è rafforzata dal triplice sforzato (riportato anche sull’edizione originale)che appare all’inizio di ogni battuta. Essi sono collocati al termine del primo gruppo tematico mentre il Mib è situato all’inizio della transizione; nell’op. 111 i suoni Fa-Reb-Re-Si si trovano al termine della transizione, mentre Mib è collocato all’inizio del secondo gruppo tematico. Osservando l’esempio n. 16 si notano delle significative differenze nella collocazione e nella scelta dei suoni: il Do manca nell’op.111, dove in compenso si trova un Reb assente nell’op. 10, mentre il Si beq è modificato enarmonicamente in Dob. Alcuni suoni nell’op. 111 sono invertiti, secondo la tecnica di trasformazione tematica che Reti definisce col neologismo “interversione”, il cui significato è già stato esaminato in precedenza. Che significato hanno queste differenze e qual’ è la loro importanza nel contesto in cui si trovano? Per rispondere a queste domande è bene esaminare singolarmente i due frammenti. (esempio audio 8) Nell’op. 10 il Do esercita una fortissima forza centripeta: esso è il punto di arrivo di due linee melodiche, una superiore (Fa-Re-Do) ed una inferiore (Re-Si-Do) ed è quindi dotato di una grande forza sezionante; un abisso separa quindi il Do dal successivo Mi bem., rafforzato anche dalla notevole durata della pausa. Nell’op.111 la situazione è molto diversa. Il Re bem. rappresenta il punto di partenza di una linea melodica cromatica che ha il suo momento di arrivo nel Mi bem., mentre anche il Fa possiede nei confronti di questo suono una indubbia tensione risolutiva. In sostanza, il Mi bem. (dominante della tonalità di La bem. che caratterizza il secondo gruppo) nel rappresentare il punto di risoluzione sia della linea cromatica del basso sia della linea melodica che proviene dal Fa acuto, assume la stessa funzione del Do dell’op. 10. L' esempio n. 17 (esempio audio 9) mette a confronto l'inizio della transizione dell'op. 10 con l'inizio del secondo gruppo dell'op. 111. Ciò che rende salienti i suoni nell'op. 10 è la loro particolare posizione all'interno dell'arco melodico: essi infatti rappresentano il culmine degli slanci di sesta coi quali hanno inizio le singole frasi prima di flettersi in un andamento complessivamente discendente. Questi suoni “salienti” (indicati dalla freccia), presi l'uno dopo l'altro, sono i medesimi suoni con cui inizia il secondo gruppo tematico. 5. Conclusioni Nelle opere del Beethoven maturo il compositore riorganizza i materiali della gioventù in uno spazio assai flessibile, che si dilata e si restringe a seconda delle esigenze del nuovo contesto: nessuna tendenza sembra prevalere in modo assoluto, mentre le altezze dei suoni vengono raggruppate o dilatate in modo imprevedibile, con procedimenti che possono assumere anche dimensioni estreme di concentrazione o rarefazione.Un altro aspetto interessante che emerge da questo lavoro riguarda il concetto di ciclicità: in un momento storico in cui la forma-sonata tende a dilatarsi a dismisura, è comprensibile l’esigenza della ricerca di elementi all’interno dei vari tempi che fungano da tessuto connettivo comune dell’intera opera. La ricerca ha dimostrato che questi elementi non riguardano solo aspetti di tipo tematico più o meno sotterranei ma anche procedimenti costruttivi che uniformano la presentazione e l’evoluzione dei materiali. Un’ultima osservazione è forse più singolare e umanamente coinvolgente. Nel periodo in cui Beethoven è affetto da sordità profonda, si sviluppa in lui l’attenzione a fenomeni acusticamente salienti che diventano matrici generative di nuove composizioni. Può diventare lecito domandarsi a questo punto se sia stata proprio la sordità a rappresentare uno stimolo importante per l’ultima grande stagione creativa e se il medesimo deficit sensoriale non tracci in qualche modo il confine di una nuova fase stilistica. Rispetto alle vaghe intuizioni riportate all’inizio di questo lavoro sui rapporti tra le opere giovanili e le opere della maturità di Beethoven, qualche passo in più è stato fatto. Nella rivista Allgemeine Musikalische Zeitung (1799/2) il critico scriveva, a proposito dell’op. 10 n. 1, che: “l’abbondanza delle idee porta Beethoven a sovrapporle una sopra l’altra e, in modo piuttosto bizzarro, a raggrupparle in modo tale da produrre un’artificiale oscurità”. Una critica certamente poco favorevole, ma è proprio a questa abbondanza di idee che Beethoven guarda come a un materiale che non ha ancora espresso tutte le proprie potenzialità. Lo sguardo retrospettivo beethoveniano esclude la variazione, la parafrasi ed ogni tipo di reminiscenza che possa far pensare ad una citazione letterale o ad un ricordo nostalgico. Ci troviamo di fronte ad un ripensamento totalmente nuovo dei materiali giovanili, proiettati in dimensioni spaziali che il Beethoven del primo periodo probabilmente non aveva ancora concepito o aveva soltanto intuito. Un atteggiamento compositivo che potrebbe trovare conferma nelle parole di Goffredo Petrassi, il quale affermava spesso nelle sue conferenze che il musicista non guarda contemporaneamente in avanti e all’indietro come Giano bifronte, ma guarda solamente avanti anche quando si serve di materiali provenienti dal proprio passato.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI CARLI BALLOLA G. (1985), Beethoven, la vita e la musica, Rusconi,
Milano 1. Gli esempi citati nel presente articolo riportano il numero della battuta da cui sono tratti proprio per dare la possibilità di verificare che sono disposti, in ciascuna opera, in ordine lineare, uno dopo l’altro. 2. Negli esempi di questo capitolo la riga in alto si riferisce sempre alla voce superiore del primo tempo dell’op. 110, mentre la riga in basso riguarda la voce superiore del secondo tempo dell’op. 10 n. 1. A lato di ogni riga è riportato il numero della battuta in cui l’esempio si trova all’interno dell’opera, mentre i segni di battuta sono presenti solo quando si vogliono evidenziare cambiamenti importanti nella struttura metrica (suoni in posizione accentuativa forti spostati su tempi deboli e viceversa). 3. Nell’esempio riportato i suoni non assolvono a funzioni armoniche simili: il Do del tema è un’appoggiatura, mentre il Do del basso è nota d’armonia. Nella teoria di Reti la diversa funzione armonica dei suoni è compresa nelle tecniche di trasformazione tematica col nome di “cambiamento di armonia” [1978, 99-100].
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