Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Organizzazione ed Economia dello spettacolo (M-Z)

MOTUS (Rimini)

www.motusonline.it

 

Gruppo di studio: Serena Cerè, Veronica Pace

La struttura organizzativa

Dal punto di vista della configurazione giuridica, Motus si presenta come Associazione culturale senza fine di lucro.

Fino a qualche anno fa la compagnia non possedeva e non gestiva alcuno spazio proprio e per ogni diversa produzione si avvaleva di spazi temporanei affidati in comodato o in affitto da comuni limitrofi o da privati. Ora sede della loro attività è BK 21F, capannone che si situa all’interno di un complesso commerciale nella zona industriale di Rimini.

Motus si autodefinisce una banda senza capi, ma con un nucleo portante composto da Enrico Casagrande (regista, direttore artistico, attore e musicista) e Daniela Nicolò che, oltre ad essere la legale rappresentante del gruppo, segue in particolare la drammaturgia del lavoro.

Intorno alle figure fondatrici, circuita un nucleo artistico che in maniera fluttuante è via via protagonista della scena e della sua ideazione: David e Cristina Zamagni, Giancarlo Bianchini, Marco Montanari, le gemelle Sabrina e Simona Palmieri, Cristina Negrini, Tommaso Maltoni e Dany Greggio (l’ultimo attore-angelo venuto ad incarnare il sogno orfico di Motus per un cortocircuito tra romanticismo e rock e visionarietà teatrale).

L’organico della compagnia è costituito da tredici persone aventi ruoli e competenze definite: sette i soci collaboratori, tre i responsabili d’ufficio: Sandra Angelini (laureata in Scienze Politiche, proveniente da esperienze organizzative di cineclubs e in seguito approdata al TTV Premio Riccione Teatro), Marco Galluzzi (laureato in Ingegneria) e Roberta Celati (addetta alla logistica e ai trasporti); e tre i lavoratori a contratto determinato: due attori serbi e un francese (Vlada Aleksic, Damir Todorovic e Renaud Chaurè, che si unirono al gruppo nel 2000, momento di trasformazione del corpo attorale).

I componenti della compagnia non esauriscono le proprie competenze nell’arte recitativa, Dany Greggio e Renaud Chaurè, ad esempio, affiancano all’esperienza attorica quella musicale. Si pensi all’originale incontro che Enrico Casagrande e Daniela Nicolò ebbero con l’attore che poi vestì i panni di Orfeo: invitati in un locale dai La Crus, videro arrivare Dany, che aveva aperto il loro concerto come solista.

I percorsi e le metodologie di lavoro non si articolano in un training definito, grande rilevanza viene però data alle improvvisazioni degli attori e ad una vera e propria messa su carta degli spettacoli che precede l’evento scenico.

Nel 1999-2000 la compagnia ha avuto accesso ai contributi ministeriali tramite l’inserimento nell’art.14 ("Progetto giovani") della circolare ministeriale, per poi essere riconosciuta nell’articolo 17 ("Imprese di produzione teatrale") del regolamento triennale emanato con decreto del 4 novembre 1999.

Nell’art. 17 comma 2 si legge: "Possono essere altresì finanziate imprese che svolgono, ad alto e qualificato livello, attività di produzione rispettivamente nel campo della sperimentazione, nel campo del teatro per l’infanzia e la gioventù. Tali soggetti devono caratterizzarsi per la continuità e l’identità del nucleo artistico; l’autonomia creativa e organizzativa; la disponibilità, anche temporanea, di una sede idonea per lo svolgimento di attività laboratoriale; la presenza di un progetto che realizzi un intervento creativo su testi teatrali. I soggetti di cui al comma 2, devono effettuare, per ciascun anno del triennio, un minimo di ottanta giornate recitative, ivi incluse per non oltre venti giornate recitative, le attività di laboratorio, nonché settecento giornate lavorative".

La Regione Emilia Romagna ha completato il quadro contributivo dando concreta attuazione al programma pluriennale 2000-2002 previsto dalla legge regionale n. 13/99 ("Norme in materia di spettacolo"), che regola i rapporti contributivi fra Regione ed enti locali, nonché le convenzioni con soggetti pubblici e privati.
 
Grazie alla definizione dei rapporti con le province, che la legge contempla, nel 2000-2001, Motus ha potuto beneficiare di circa 10.000.000 di lire per il progetto Rooms. Da una piccola impresa il cui fatturato annuo era di circa 200.000.000 di lire, grazie anche a coproduzioni vantaggiose (Festival di Santarcangelo, CRT di Milano), il gruppo è riuscito a raggiungere la soglia dei 400.000.000 di lire. Di particolare interesse risulta essere la sigla di una nuova complicità organizzativa come URBINOWELLCOMESMOTUS, che vede nella città e nel suo teatro, il Sanzio, una stimolante collaborazione.

Le strategie di marketing e promozione inerenti l’attività svolta si affidano a strumenti quali il sito internet (www.motusonline.it), a quotidiani e a riviste specializzate e non ("Mucchio Selvaggio", "Abitare"…).

Motus ha contribuito inoltre, nel corso degli anni Novanta, alla realizzazione di alcune rassegne autogestite al Circolo Culturale ARCI "Quadrare il Cerchio" di Rimini (rassegna invernale che ospitava dagli 8 ai 12 spettacoli), il lavoro veniva allestito in un capannone nella zona industriale della città.
Grazie all’impegno profuso nel corso degli anni e alla costante ricerca nel territorio della sperimentazione, con il video Orlando Furioso, Motus vince il premio di produzione del Festival TTV 1999 di Riccione.
Nel novembre 1999 gli viene attribuito il Premio Speciale UBU: "Per la coerenza testarda e creativa di una ricerca visionaria nel ridisegnare spazi e filtrare miti attraverso uno spasmodico uso del corpo e di recupero di materiali degradati e quotidiani sull’onda trascinante della musica".
Nello stesso anno riceve il premio "Giovani talenti" assegnato dalla rivista "Lo straniero" diretta da Goffredo Fofi.
Anche nel 2000 Motus ottiene il Premio UBU speciale per il progetto Prototipo (realizzato ad Interzona di Verona e coprodotto dalla Biennale di Venezia) "per la proficua esperienza di collaborazione fra giovani compagnie teatrali in uno spazio straordinario".

Dalle origini alle "stanze" del nuovo.

MOTUS, il rigore del perpetuo mutare, continua metamorfosi. Si è imposto nel panorama teatrale con la naturalezza tipica di chi proviene dalla realtà, contemplando la possibilità di un teatro-cinema che utilizzasse lo strumento della contaminazione e del glamour.
Il gruppo teatrale riminese fu fondato nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò. Il loro primo impatto con l’universo teatrale avvenne in concomitanza con gli studi universitari nella città di Urbino.

Enrico Casagrande si laureò in Economia, Daniela Nicolò in Sociologia e fu proprio per caso che i due si avvicinarono al mondo del palcoscenico e precisamente il fortuito sodalizio avvenne nel 1988, in occasione del laboratorio dell’IRA con la partecipazione di Massimo Ranieri. Esperienza questa che lasciò il segno. Ma l’impronta indelebile sarà impressa dal passaggio da Urbino del Living Theatre e dalla visione di un riallestimento della scena della Peste (da Mysteries and Smaller Piece) sotto la direzione di Stephen Schulberg e Serena Urbani: venticinque persone di nazionalità diverse scalze in piazza, una vera e propria comune artistica, la realtà Living!

Enrico Casagrande ne fu particolarmente colpito e maturò quindi l’idea di creare Archeologia della violenza, spettacolo nato da un laboratorio condotto da Serena Urbani e interpretato dal giovane gruppo universitario Atarassia; lo spettacolo fu portato nei centri sociali bolognesi e fu allestito anche all’estero. Da questa esperienza l’idea, ma ancor più l’esigenza artistica, di fondare un gruppo proprio, che si chiamò Opere dell’Ingegno.

In uno spazio del Comune di Rimini, concesso dall’Assessorato alle Politiche Giovanili, viene preparato il primo spettacolo: Stati d’assedio (1990). L’anno successivo fu allestito Strade principali e strade secondarie. Lo spettacolo venne creato in una condizione di completo isolamento; unico sostentamento economico, i proventi che Daniela Nicolò riceveva come insegnante.

Enrico e Daniela si erano nel frattempo trasferiti in una casa lungo il fiume, nei pressi di Montescudo, nell’entroterra riminese, e qui ottennero in concessione un teatrino inutilizzato, dove poterono lavorare per l’intera stagione invernale.

Il 1991 fu un anno cruciale per la formazione Motus, grazie all’invito a partecipare al Festival di Santarcangelo all’interno dello "Spazio Proposte". Nello stesso Festival, Enrico Casagrande lavorava anche in qualità di attore in collaborazione con Manuel Marcuccio del Teatrino Clandestino, in uno spettacolo di Laurent Dupont del TAM Teatromusica, Stati di grazia.

Del 1992 è la performance Ripartire da lì e il progetto di "scultura teatrale in tre giornate" dal titolo Sistemi rudimentali, allestito a S. Maria ad Nives di Rimini. Nel 1993, i Motus vengono esclusi dalle selezioni del Premio Scenario, al quale si erano candidati con lo studio per lo spettacolo Aid. Zona ad alta tensione, ispirato ad alcuni scritti di Tahar Ben Jelloun. I Motus ritengono che la giuria del Premio abbia giudicato il loro lavoro troppo complesso e intellettuale per essere semplicemente uno studio; e loro, d’altro canto, intendevano prendere posizione contro la tendenza a un certo " teatro fresco", che sembrava particolarmente diffusa al momento.

Lo spettacolo Aid. Zona ad alta tensione rappresenta il primo passo verso la riflessione portata avanti dai Motus sul concetto di non-luogo, di luogo astratto, di u-topos-scenico. La scena in cui una donna tende un filo tra le braccia alzate sta a simboleggiare il cortocircuito delle identità e l’ipotesi di pervenire a una congiunzione fra poli opposti: negativo e positivo, femminile e maschile, oriente e occidente, identità e differenza. Si inseriscono nella poetica Motus l’idea della scenografia come parte integrante dell’evento spettacolo e la concezione della scultura teatrale abitabile e abitata: tentativo di trasformare in teatro qualunque luogo, di spostare la scena nella dinamica dello spazio.

Dello stesso anno è Cassandra. Interrogazioni sulla necessità dello sguardo. Per questo allestimento i Motus condurranno gli spettatori a "vivere" la propria abitazione allo scopo di rivelare la dimensione intima, privata del linguaggio come guerra. La disposizione scenica vede la presenza della veggente appesa e di uomini a terra intenti a spaccare mattoni di cemento.

Prima de L’occhio belva (1994), spettacolo che conclude il ciclo sulla necessità dello sguardo, viene allestito Strade secondarie. Con questo lavoro comincia un processo che porta il gruppo ad abitare spazi e corpi, fino a forzarne i confini nel rifiuto della parola scenica. Rifiuto che va di pari passo con un’ampia produzione di materiale scritto, che è approfondimento, introduzione o postfazione all’opera teatrale e che, articolato in immagini, grafie e giochi di trasparenza, diventa quasi una sorta di propaggine scenica.

L’occhio belva soppianta la parola attraverso immagini e suoni. Ubicato nello spazio di un’ex cella frigorifera o in camerate e atri di un vecchio ospedale, l’impianto scenico diviene scacchiera in cui collocare un gioco di percorsi. Suggestiva l’immagine di apertura dello spettacolo: una donna in piedi, dai lunghi capelli neri e dal trasparente abito bianco si dondola su di un’altalena, come sospesa nel tempo. Di massima suggestione il gioco delle figure in tuta da operaio, che si alternano l’una all’altra al fine di non scardinare la geometria del loro cerchio immaginario.

Nel frattempo, il desiderio di instaurare un legame con altri gruppi teatrali darà vita al sodalizio Motus-Masque, aprendo al pubblico lo spazio del Ramo Rosso, dove le due compagnie propongono rispettivamente Seleniazesthai e Ingiuria, e presentano un documento programmatico in cui si legge:
"Uno spazio che diventa memoria di una dimensione in cui l’attore non è necessariamente protagonista, ma elemento come il legno, la pietra, il ferro, l’acqua…". Tale luogo dà inizio a una serie di eventi auto-organizzati, creando una rete più fitta, che si oppone alla ripetitività omologante dei cartelloni teatrali, e realizzando un circuito indipendente dalle logiche degli scambi. La modalità dell’autorganizzazione non può essere dissociata, in questa fase, dall’autofinanziamento.

L’autofinanziamento rimane così il propulsore primo dell’indipendenza, "ma rischia di trasformarsi col tempo in utopia della sopravvivenza, mettendo continuamente a repentaglio la continuità del lavoro".

Si incrinano in questo periodo i rapporti con il Teatrino Clandestino, a causa delle incomprensioni sorte per la realizzazione di uno spettacolo da presentare al Festival di Santarcangelo, verso il quale i gruppi nutrivano idee divergenti e contrastanti pareri.
Debutta nel 1996, al Teatro Petrella di Longiano, lo spettacolo Catrame, che vede protagonisti: Giancarlo Bianchini, Enrico Casagrande, Daniela Nicolò, David e Cristina Zamagni. L’allestimento si configura come un breve incontro con l’autoironia di una situazione paradossale. Ne emerge una "conscia inconsapevolezza" teatrale, un crudele divertissement sulla presenza-assenza dell’attore. Un’esile e androgino atleta è rinchiuso in un rettangolo di plexiglas, il suo tempo è scandito da assordanti rumori, sottofondo del suo esasperato incedere una martellante musica techno. In un universo ballardiano dalle mostruose atrocità, l’attore cerca invano di superare se stesso in un dispendio di energia fisica che dai Motus viene denominato "il campo operativo del corpo".

Catrame enfatizza all’ennesima potenza il concetto di scultura scenica. Le luci stroboscopiche dello spettacolo aumentano l’effetto di straniamento dell’atleta-attore, icona stravolta da accessori, quali paracolpi elastici ai gomiti e alle ginocchia, che ne rendono difficoltoso e "claustrofobico" l’allenamento. Intermezzi degli assurdi fotogrammi, le didascalie estrapolate dal linguaggio quotidiano di una cultura votata alla serialità.

Gli spettacoli successivi sono costruiti con una minuziosa e quasi ossessiva attenzione per quel che concerne l’apparato scenografico e soprattutto i costumi di scena, a tal punto che l’impianto visivo che ne scaturisce è degno di una rivista patinata: Motus diviene sinonimo di glamour, il tutto si fonda su un’estetica strabordante.

Quella dei Motus è una vera e propria drammaturgia degli oggetti, dove le cose si animano di plastica malizia. Il gruppo non ha mai avuto modelli vincolanti, si è sempre espresso liberamente, spingendosi più volte nel territorio della contaminazione. In questi anni hanno sfilato sulla passerella Motus: Cocteau, Beckett, Bacon, Ballard, Ariosto….

La rivisitazione dell’Orlando Furioso ha debuttato nel 1998 a Teatri 90, dopo una gestazione di diciotto mesi, durante la quale sono state presentate sei diverse tracce pubbliche, come work in progress, che hanno radicalmente modificato i lineamenti del progetto steso all’inizio. Poiché ogni spettacolo nell’ottica del gruppo è sempre riconducibile ad una forma, ora è una piattaforma girevole a rappresentare lo spazio scenico e ad accogliere i corpi degli eroi.
In uno spettacolo fumettisticamente barocco, dove il manierismo si coniuga col pop, l’amore di Orlando è visto in chiave patologica: è la "malattia del cuore", responsabile prima della sua trasformazione in un cane, al guinzaglio di una Angelica-Venere in pelliccia, domatrice e glamour. In una scena a croce, croce di Orlando e della sua ossessione, sfilano indossati dagli eroi-attori corsetti e fruste, evidenziandone alla massima potenza la dimensione feticistica e l’idea dell’amore come violenta macchina di guerra.

Il progetto Orpheus, nasce a Sarajevo. Il semidio lapidato, torturato continua il suo canto, così come il popolo di cui diviene metafora, un popolo distrutto, brutalmente reciso, un popolo che, nonostante tutto, trae forza dall’arte e per il quale l’arte diviene canto. Il basamento su cui Orfeo si adagia è una profonda desolazione, desolazione che già aveva contraddistinto Orlando Furioso. Entrambi si riferiscono a un’ossessione, a un’infinita passione nei confronti di una figura femminile irraggiungibile. Il vuoto che intrappola Orlando e Orfeo viene riempito, nel primo caso, aprendo la valvola salvifica della pazzia, nel secondo, oltrepassando la soglia degli inferi. Orfeo, un fantasma che entra nel nostro linguaggio e lo sommerge.

I Motus giunsero al mito mediante il sonetto di Rainer Maria Rilke, la cui ambiguità aprirà la strada verso un altro territorio. Orfeo rappresenta totalmente i Motus, tutti i cambiamenti, tutte le evoluzioni, tutti gli abbandoni si sono incarnati nella figura dell’Arcangelo caduto.

Nell’Orpheus Glance (spettacolo coprodotto dal CRT di Milano), il semidio assume le vesti di una vera e propria rock star, entra in scena con tanto di occhiali a specchio e sigaretta accesa, cantando una canzone arrangiata su una base di vetri rotti; le parole della canzone sono quelle della poesia di Nick Cave, Pozzo di Infelicità. Lo spettacolo viene ambientato in una vera e propria casa, al fine di situare il teatro in un luogo reale, posto in cui si aggirano attori-fantasma. L’impianto visivo-acustico porta in sé i semi della desolante dissoluzione. Il luogo della rappresentazione è una casa nella città dalle pareti rosse, in modo da illuminare il tutto con una violenza immensa. Nella casa di Orfeo troviamo tutti i luoghi del vivere quotidiano, vissuti con quotidiana gestualità: bagno, cucina, soggiorno, camera da letto. Al centro si erge uno specchio, è uno specchio-soglia e l’idea di riflettervisi dentro atterrisce, ma nel contempo affascina.

Nell’Orpheus Glance, lo specchio assume la valenza di doppio del reale, sua la capacità di fare trans-parire figure fuori dal tempo. Il dramma si consuma fra le pareti domestiche, dove attori armati sono intrappolati, pronti ad uccidere le cose che amano. Euridice è morta, eppure si aggira nella casa di Orfeo: proiezione? fantasma? La casa di Orfeo è l’Ade. Una "sottile linea rossa" congiunge Rooms (l’ultima produzione teatrale di Motus) al progetto Orpheus. Un nuovo percorso di lavoro, complesso e multiforme, che parte dalle esperienze accumulate con gli ultimi spettacoli allestiti si apre a molteplici ambiti disciplinari, volti a mettere in luce la natura "polimorfica" che da sempre ha caratterizzato il gruppo riminese.

Rooms nasce quindi come progetto "aperto", basato su un’ottica di spostamento e continua trasformazione, su una formula produttiva "nomade", volta a superare le consuete modalità della produzione teatrale e mirando a fare di ogni fase dello stesso processo di ricerca e composizione scenica un momento espositivo e di confronto. A questo proposito tutto il progetto è stato concepito nell’ottica di poter considerare fulcro dell’attività creativa, momenti di studio e di lavoro avvenuti in concomitanza all’organizzazione di conferenze, proiezioni cinematografiche e video, workshop con architetti, scenografi e grafici del web, oltre che con giovani scrittori e musicisti.

Il nuovo percorso di lavoro prende avvio grazie al sostegno e all’appoggio di due città come Rimini e Urbino. Con il Comune e la Provincia di Rimini, si sta instaurando un rapporto di collaborazione più strutturato e di lungo periodo, grazie anche alla presenza del Festival di Santarcangelo, dove puntualmente sono state presentate tutte le produzioni del gruppo dal 1995 ad oggi.

Anche il Teatro Sanzio di Urbino ha visto nella possibilità della collaborazione con Motus, un’importante base per sviluppare e creare sinergie a lungo termine. In particolare è a partire dal 1997 nell’ambito della Rassegna "Teatro Altrove" che questo rapporto diviene fattivo, è nato inoltre un forte rapporto di fiducia con il Direttore artistico del teatro, Gilberto Santini, che per questo nuovo progetto ha proposto a Motus di considerare la città di Urbino come "seconda casa" in cui sperimentare, elaborare e approfondire le varie fasi di ricerca, affiancandosi in modo paritario alla stessa struttura organizzativa e promozionale di Motus sino al 2003.

Questa modalità di collaborazione innovativa, siglata dalla dicitura URBINOWELLCOMESMOTUS, si pone ben oltre le consuete formule di coproduzione ed avvia una diversa forma di reciprocità fra pubblico e privato, contemplando la possibilità di porre in sinergia gli interventi di due Comuni e Regioni limitrofe.

Rooms, si struttura come un percorso di lavoro dinamico, concentrando la sua riflessione sulla ricerca degli spazi, sulla sperimentazione sonora, sui frammenti d’esistenza consumati dentro stanze, camere d’albergo o motel rese anonime e inquietanti dal passaggio di esistenze vagabonde. Esterno ed interno, città e moquette, carte da parati, lampade difettose, quadri di cattivo gusto: spazi delimitati, chiusi, vuoti e pieni di quel white noise degli impianti di condizionamento, che rende l’ambiente asettico, spaesante.

Nell’agosto del 2000 il gruppo si reca a Los Angeles allo scopo di raccogliere immagini e sonori, vagabondando fra motel e alberghi fatiscenti della down-town. Particolarmente colpito dalle imbarazzanti e spesso sorprendenti somiglianze con il panorama alberghiero della riviera, Motus decide di dare avvio al progetto. Rooms nasce infatti dalla percezione e dal successivo desiderio di mettere in scena la condizione anonima e nomade della stanza d’albergo: "Puoi essere ovunque e da nessuna parte, sei lì e basta, come a teatro….".

Non ci sono eroi o miti a cui fare riferimento questa volta, non c’è neppure una storia, o meglio un’unica storia che precede l’evento scenico, ma tante, diverse, bizzarre, ed impossibili storie, reali, inventate, rubate al cinema o alla letteratura, tutte comunque ambientate o in una vera stanza d’albergo o in stanze appositamente costituite per ospitare una serie di interventi sia teatrali sia performativi.

Nella prima fase del lavoro viene costruita, grazie al progetto dell’architetto Fabio Ferrini, una piccola stanza facilmente assemblabile e trasportabile, delle dimensioni di circa m. 6 x 4 e di m. 2,5 di altezza, con un lato aperto come uno squarcio sezione, per la visione degli spettatori.

Questa prima Room ha rappresentato inizialmente un prototipo da far "abitare" a diversi ospiti/attori, una "palestra" dove verificare la presenza scenica di nuovi attori, la potenza di testi e dialoghi, in cui creare una serie di rimandi fra una storia e l’altra, in modo da dare l’opportunità allo spettatore di sperimentarsi nelle vesti di una sorta di lettore di "gialli a puntate".

Essenziali come lo sono sempre stati nel percorso di ricerca intrapreso da Motus, sono i "cattivi maestri", come James Graham Ballard e Breat Easton Ellis.

Aleggia qui "una catastrofe minimalista dell’orrore", e chi meglio della letteratura degli ultimi anni è riuscita, grazie all’ossessiva ripetizione del quotidiano pervertito, ad estetizzare i propri incubi?

Rooms come micro-mondo, quindi, come spazio asettico dove si combatte l’intimo delirio dell’uomo. Come micro pieces costituite dai ritratti di un’umanità varia, sfaccettata, come sfaccettati sono i brevi dialoghi con l’altro essere con cui si condivide forzatamente uno spazio, al telefono, allo specchio o con chi sta per arrivare. La tensione, il contrasto fra spazi, in special modo interno/esterno vengono inoltre acutizzati da un dettagliato lavoro sonoro sulle pareti.

Rooms vuole porsi come modalità di lavoro che tende a rifondare il rapporto sia con lo spettatore sia con i partners organizzativi: attraverso rassegne, mostre, interventi all’interno di veri hotel, viene assemblato il materiale per il progetto, a cui si aggiunge un’ampia letteratura a cui fare riferimento (Le ore di Michael Cunnigham, Le regole dell’attrazione di Breat Easton Ellis, The body artist di Don De Lillo, Splendid’s di Jean Genet, Camere separate di Pier Vittorio Tondelli…..).

Con Rooms Motus ha inteso anche riflettere sul concetto di finzione cinematografica ed avviare una fase di ricerca sull’immagine digitale, affiancando alla stanza d’albergo appositamente costruita, una seconda stanza identica, ma totalmente virtuale. La cornice di questo grande doppio schermo che è affiancato o sovrapposto alla Room è identico a quello della prima stanza. Un doppio linguaggio parallelo quindi, che non si pone in antitesi, ma in compenetrazione, esaltandone la complessità drammaturgica.

Le due stanze sono da tutti i punti di vista l’immagine sfalsata dello stesso luogo e della stessa azione, mettendo a confronto il pubblico con la visione diversificata dello stesso oggetto. Questa possibilità è offerta anche grazie all’utilizzo di alcune telecamere a circuito chiuso poste all’interno della stessa stanza; su queste inquadrature si sovrapporranno frammenti video montati in precedenza (durante le prove della stessa azione), creando ulteriori livelli di lettura.

Vacancy Room (debutto nel luglio 2001 al Festival di Santarcangelo), si presenta come una sorta di scatola ottica - camera da letto e bagno - per aspirare frammenti d’esistenza in viaggio in un luogo insieme anonimo e traboccante di quella solitudine propria degli incontri fugaci. Tentativi di dialoghi sono tratti dall’ultimo Pinter e da Sarah Kane, Don De Lillo e Breat Easton Ellis.

Twin Rooms ha debuttato nel febbraio del 2002 alla Biennale di Venezia. Twin Rooms come stanze gemelle: la vacancy room solitaria e super attrezzata e la room digitale delle stesse medesime dimensioni, come a voler affiancare due linguaggi per narrare e interfacciare parallelamente le stesse storie. Lo schermo è utilizzato qui in funzione di affondo, come ulteriore livello drammaturgico che penetra proprio laddove il teatro e la sua magia non può giungere: il dettaglio.
"Non c’è storia dunque, se ne possono ricostruire le dinamiche provando solo a ricucire i frammenti".
 

Relazione tenuta nell’ambito del corso di Organizzazione ed Economia dello Spettacolo
23 maggio 2002


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