Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Organizzazione ed Economia dello spettacolo (M-Z)

MASQUE TEATRO (Forlì)

masque@masque.it
 
Masque Teatro - via Orto del Fuoco, 3 - 47100 Forlì

Gruppo di studio: Eva Rossi, Laura Stefenelli

I fondatori

I fondatori della compagnia MASQUE TEATRO sono LORENZO BAZZOCCHI e CATIA GATELLI.

Lorenzo Bazzocchi

Ha una formazione di tipo scientifico, laureato in ingegneria chimica, da sempre molto vicino alle arti figurative (specie la pittura) e a quelle della performance. Lavora molto dal punto di vista dell’installazione visivo-sonora. Catia, durante l’intervista, ricorda di avere visto un’installazione di Lorenzo a Mercato Saraceno (FO) e di essere rimasta già in quell’occasione estremamente colpita dal suo lavoro, che andava "ben oltre quello di un tecnico".
Nel 1991 fonda l’associazione culturale che sfocerà in Masque Teatro e lavora al suo nuovo spettacolo, Prigione detta Atlante.

Catia Gatelli

Di formazione più umanistica, laureata in sociologia, lavora inizialmente come sociologa presso una cooperativa di Forlì e contemporaneamente collabora per il Progetto del Comune. Molto interessata all’ambito del sociale, alle dinamiche che regolano il sistema micro e macro della società e, parallelamente, molto legata al teatro da un amore non comune.
Tenta di entrare alla scuola del Piccolo Teatro di Milano ma viene esclusa, decide allora di andare a Parigi alla scuola di Lecoq, ma dopo un anno lascia tutto e torna. Spiega che l’abisso che la separa da Lecoq è l’idea stessa che sta dietro il teatro; di certo si rende presto conto che quella di Lecoq non è la scuola che fa per lei, anche se oggi riconosce l’utilità di quegli insegnamenti per il suo lavoro.
Al suo ritorno Catia fonda, insieme ad alcuni amici, una compagnia amatoriale dal nome di Titanus.

L’incontro

In occasione del Premio Scenario, al quale Catia partecipa con Titanus, viene a mancare il tecnico della compagnia e Catia stessa contatta Lorenzo. È in quest’occasione che i due artisti si incontrano e danno vita alla compagnia cui danno nome Gruppo di Lavoro Masque Teatro, decidendo al tempo stesso di licenziarsi dai rispettivi impieghi per dedicarsi solo al teatro e di affittare un capannone (ex cinema) a Cesena, dove costruiscono la scenografia del loro primo spettacolo.

La nascita del gruppo

Il gruppo nasce formalmente nel 1992 come associazione culturale sotto il nome di Gruppo di Lavoro Masque Teatro.
Nel 1993 il primo spettacolo, Prigione detta Atlante, presentato al festival di Santarcangelo per il progetto "Sarajevo". Ancora in quest’anno si trasferiscono in un ex capannone ortofrutticolo a Cesena dove vivono e lavorano per circa un anno.
Il 1993 è un anno molto significativo per la compagnia. Lorenzo e Catia non hanno assolutamente conoscenza del mondo teatrale (se non di quelle poche realtà a loro più vicine), non hanno referenti teatrali, ma soprattutto non hanno chiaro lo scopo dell’impresa. Affittano un altro capannone a Forlimpopoli, il Ramo Rosso, dove per un lungo periodo vivono e lavorano. È questo uno spazio tutt’oggi di estrema importanza per la compagnia.
Ancora nel 1993 nasce Crisalide, mini festival (perché non prevede prime) costituito da una rassegna di quattro-cinque giorni che vedono alternarsi momenti di dibattito a momenti di spettacoli veri e propri.
Nel 1994 il Ramo Rosso viene per la prima volta aperto al pubblico con l’allestimento contemporaneo di due spazi che ospitano Masque con lo spettacolo Essere Lunatico e Motus con lo spettacolo Ingiuria.

Gli spettacoli

1994: Coefficiente di Fragilità presentato agli ex Magazzini Generali di Verona gestiti dall’associazione Interzona.

1996: Nur Mut. La passeggiata dello Schizo, spettacolo realizzto in coproduzione con Ravenna Teatro.

1996: La montagna dei segni, evento unico. Progetto teatrale a carattere scientifico prodotto dal comune di Valpolicella (VR). Durante la conferenza stampa Catia, nelle vesti di una scienziata, fa credere al pubblico in sala di aver costruito una macchina speciale in grado di leggere la memoria della pietra.

1998: I vapori della sposa, spettacolo per trenta spettatori a replica, sistemati su piccole sedie inclinate verso l’alto.

1999: Eva Futura debutta a Palermo, presso i Cantieri Culturali della Ziza, in occasione del festival Teatri 90 Milano/Palermo.

1999: Improbabili previsioni del tempo, evento unico presentato dal 7 al 10 ottobre in occasione del Progetto Prototipo organizzato in collaborazione con Motus, Fanny & Alexander, Teatrino Clandestino e Associazione culturale Interzona.

2001: Omaggio a Nikola Tesla. La profeta non cantata vera dell’età elettrica, tuttora in programmazione.

La compagnia

Attualmente la compagnia è composta da:
Catia Gatelli che elabora i testi e collabora (come tutti i componenti del gruppo) alla costruzione delle scenografie.
Lorenzo Bazzocchi che, oltre ad essere abilissimo progettista e costruttore di elaborati marchingegni, ricopre la figura del regista.
Eleonora Sedioli attrice e scenografa.
Cristopher musicista.
Andrea Basti macchinista e ora attore.
Silvia addetta all’ufficio stampa.

Inizialmente la compagnia era costituita da circa dieci persone (tra cui i fondatori, Lorenzo e Catia) e si chiamava Gruppo di Lavoro Masque Teatro, perché credeva molto nell’idea di comunità e quindi di condivisione totale del fatto artistico e privato; successivamente l’idea di gruppo è andata via via spegnendosi per l’impossibilità vera di creare una "grande famiglia" e attualmente la compagnia si è data il nuovo nome di Masque Teatro.

I finanziamenti

La compagnia Masque Teatro ha avuto accesso ai contributi ministeriali dalla stagione 1999/2000 (circa 33.000 € annui).

Riceve inoltre contributi dalla Regione Emilia Romagna e dal Comune di Bertinoro, ma non per la produzione, bensì per l’organizzazione del festival CRISALIDE, per un totale di circa 11.000€. Da qualche anno una sponsorizzazione le viene anche dalla Cassa di Risparmio di Forlì.

INTERVISTA a LORENZO BAZZOCCHI e CATIA GATELLI

Catia: La cosa di cui mi preme parlare è senza dubbio la tensione del teatro. Poterlo vivere come una grandissima avventura: sali su una zattera e vai in mare aperto, ma non sai dove approderai. Parlo di quella gioia della sorpresa che ti può dare solo l’imprevisto… Addirittura paghiamo per i corsi di sopravvivenza! Per me il teatro è questo: intraprendere dei viaggi che sono vere esperienze, cioè buttarsi in mare con tutto il necessario, ma l’imprevisto è sempre oscuro, ignoto. Si tratta di perdere le proprie certezze, creare nuove forme. Per questo motivo mi sembra che, in una situazione teatrale come quella degli Stabili, dove ti viene chiesto di montare la mattina e smontare la sera, si perda il senso del fare teatro. Fare teatro è un fatto artistico e proprio per questo non è sempre documentabile attraverso il borderò. Noi abbiamo fatto diversi spettacoli in centri sociali, ma non sono riconosciuti… certo questa è una scelta precisa.

Domanda:Come deve essere l’attore Masque? Cosa gli è richiesto?

Catia: L’importante è che l’attore – sempre – viva pienamente il fatto artistico che, nel nostro caso, comporta uno stretto rapporto con la materia. Cioè la scena stessa – che noi costruiamo interamente – diventa la casa dell’attore. Gli attori in scena fanno funzionare lo spettacolo da ogni punto di vista, specialmente dal punto di vista tecnico, perché si creano delle situazioni in cui bisogna sapersi muovere in un certo modo e conoscere con quali materiali si ha effettivamente a che fare, oltre che saperli maneggiare. E’ un rapporto di quotidianità, cioè la casa-scena si costruisce giorno per giorno, è una scelta precisa, uno sceglie di vivere con Masque.

Domanda:Come vi rapportate al pubblico? Prediligete certe categorie? Come vorreste fosse il vostro pubblico?

Catia: Quello del rapporto col pubblico è un discorso enorme. Il teatro nel tempo ha creato delle categorie, perciò sembra che ogni genere di teatro abbia il suo tipo di pubblico. Da un lato dipende anche da come il teatro si pone nei confronti degli spettatori, abituati ancora a una trama, a una narrazione. Nel momento in cui si inseriscono nuovi linguaggi, nuove modalità di narrazione, nuove modalità di approccio al luogo scenico, nuove possibilità di essere all’interno della scena, è chiaro che si crea una nuova relazione col pubblico. A volte è utile anche il silenzio: vedi una cosa e non ne sai discutere perché non puoi. Chi va a teatro vuole la certezza di capire cosa sta vedendo, in modo da poterne discutere. E’ più importante avere certezze che non comprendere. Il nuovo linguaggio chiede al pubblico una comprensione. Del resto la maggior parte del pubblico dei teatri è ancora quello degli abbonati; invece il pubblico giovane ha ricominciato ad andare a teatro perché forse ha incontrato delle realtà che, dal punto di vista generazionale, parlano un linguaggio più comprensibile. Usano immagini, riferimenti al cinema e a certe tecnologie… Il teatro ufficiale forse ha voglia di fare altro (con molte riserve): al Duse di Bologna è venuta la Raffaello Sanzio. Si nota un certo fermento nel cercare di ospitare eventi teatrali in luoghi extrateatrali. Spettacoli come Omaggio a Nikola Tesla portano a teatro persone che normalmente non ci vanno (o ci vanno comunque poco), per esempio chi si occupa di argomenti scientifici.

Domanda:Riguardo alle fonti, fate riferimento a testi scritti, o create drammaturgie originali?

Catia: Le nostre fonti sono le più svariate, non ci interessa partire da un testo perché, essendo scritto per la scena, contiene già in sé una rappresentazione, quando invece lo spettacolo finale deve essere nostro. Per Eva futura abbiamo lavorato su un romanzo già esistente [Philippe Auguste Villiers de l’Isle Adam, Eva futura, Milano, Bompiani, 1992] e abbiamo poi fondato la drammaturgia su di esso.

Dipende anche da quali sono le nostre esigenze, sicuramente Duchamp con il discorso relativo alla quarta parete è stato fondamentale per Coefficiente di fragilità. Di solito scrivo io, ma non di getto, traggo materiali dalle situazioni e dagli argomenti che sto analizzando al momento. Il linguaggio scientifico – a noi molto vicino – è come un linguaggio perduto: ha il potere di ridare vitalità a una parola letteralmente densa di potere. Il linguaggio lo vediamo più propriamente come mondo, quindi adottarne uno di tipo scientifico significa ogni volta addentrarsi in un campo non noto, mettersi in gioco costantemente.

Domanda:Chi è l’autore delle vostre regie e come nascono?

Catia: La forma ultima della regia è sempre di Lorenzo. Tra noi esiste una modalità di lavoro molto stretta rispetto allo spettacolo che sta nascendo, ma l’ultima parola è la sua. Lorenzo salta direttamente il ruolo dello scenografo, è capace di vedere tutto già in prospettiva tridimensionale, montato e concluso. Proprio per il fatto che noi nasciamo con la necessità di fare molto da soli, sia per necessità economiche sia per motivazioni personali, non crediamo nelle regie collettive, ma c’è un forte confronto sul lavoro, e quindi anche chi ha la funzione del regista riceve risorse e informazioni dai collaboratori.

Domanda:Quali sono i cambiamenti che avete attraversato dall’inizio ad ora? E quali gli eventuali fallimenti?

Catia: All’inizio sottovalutavamo cosa fosse realmente consono al teatro. In seguito abbiamo riflettuto su questo. Ovvero: in teatro il piccolo non si vede. Noi costruiamo architetture sceniche enormi, sia reali sia immaginarie, ma dietro e dentro ci sono piccolissime cose che chiamiamo drammaturgia del sottoracconto meccanico. Ci sono e non si vedono. Nel laboratorio dello schizo [riferimento allo spettacolo Nur Mut. La passeggiata dello schizo, ispirato al testo di G. Deleuze e F. Guattari, L’anti-Edipo: capitalismo e schizofrenia, N.d.C.] c’era una piuma azionata da un braccio meccanico che girando solleticava il naso all’attrice. Da lontano non si vedeva, eppure era fondamentale. Quindi dal punto di vista del dettaglio minimo qualche volta abbiamo fallito. Eppure io voglio che ogni piccolo particolare si veda, perché si tratta dell’identità che è alla base dello spettacolo. L’invisibilità del piccolo teatro – sempre schiacciato dal grande – è una sofferenza: ogni dettaglio è un’opera d’arte.

Domanda:Avete dei modelli, dei riferimenti privilegiati?

Catia: E’ ovvio che quello che costituisce il tuo bagaglio culturale ti modella. Sicuramente noi siamo più vicini al cinema e al linguaggio visivo. E’ stato folgorante l’incontro e lo studio di Duchamp. E il nostro lavoro attoriale è molto vicino a quello di Grotowski, per la ricerca di una fisicità potente, di un corpo pronto. Io stessa ho lavorato con lui e ho letto e riletto Per un teatro povero. Poi ci sono dei testi che ti accompagnano da sempre, autori come Raimond Russell, Gillez Deleuze. Noi ci confrontiamo molto con la contemporaneità, in Omaggio a Nikola Tesla tutte le figure derivano da un mondo antico. Usiamo il digitale ma anche l’analogico, ci piace l’elettronica ma nei lavori prediligiamo la meccanica.

Domanda:Quali sono state dalle origini ad oggi le principali iniziative che avete svolto?

Catia: Crisalide. Fin dall’inizio del nostro lavoro ci siamo dedicati a questo festival (che ha sede a Bertinoro) che effettivamente non funziona come un festival, non presenta "prime", non fa produzioni… è più simile a una rassegna. Nasce come idea di incontro pubblico tra diverse realtà artistiche, ma non solo. Il sostegno economico inizialmente proveniva da un circolo di amici di Lorenzo e dai nostri risparmi. Dal 2000 riceviamo 25 milioni dalla Regione; il Comune di Bertinoro ci ha dato dei contributi da quando ha visto un po’ di rassegna stampa, in particolare le recensioni dei critici che ci hanno seguito: Paolo Ruffini, Massimo Marino, ecc. Anche i 25 milioni che riceviamo sono comunque pochissimo, una buona base sarebbe almeno 50-60 milioni. Dal 2001 riceviamo un contributo anche dalla Cassa di Risparmio. Un esempio: quando la Raffaello Sanzio ha partecipato a Crisalide ha fatto lo spettacolo più le giornate di laboratorio per soli 3 milioni e mezzo.

Domanda:Svolgete anche dei laboratori?

Catia: Sì, sia con bambini sia con adulti. C’è in atto un progetto con la scuola media di Bertinoro di durata triennale, dalla prima alla terza classe. La frequenza è settimanale per tre mesi: un totale di circa 12 incontri più lo spettacolo. Dal punto di vista lavorativo è molto difficile perché non è teatro per i bambini, ma teatro con i bambini, lavorando anche su temi didattici che appartengono loro. Il primo approccio è sempre con la prima media e i bambini mi chiedono regolarmente di assegnare loro delle parti, oppure – durante gli incontri – mi chiedono quando faranno teatro, allora io cerco di spiegare che stiamo già facendo teatro. Spesso ci sono anche delle esigenze di tipo istituzionale di cui tenere conto.

Domanda:E i laboratori per adulti come funzionano? Seguono sempre una struttura predefinita, un certo percorso?

Catia: I laboratori per adulti sono pochi e molto specifici. Non sono laboratori di formazione per attori. I temi che scegliamo hanno sempre attinenza con gli argomenti che stiamo trattando al momento. Quando inizia questo tipo di lavoro, diventa un gioco molto particolare, che dura per tre giorni dalla mattina alla notte e di nuovo il giorno dopo, anche il momento del pasto ne è coinvolto. Nel caso dei bambini, quello a cui si vuole arrivare è il gioco puro elaborato dal bambino stesso, che comprende regola, movimento, fatica, per trovarsi in una situazione in cui si abbandona il reale per avvicinarsi a un altro mondo.

Da un laboratorio ho bisogno di dare e di ricevere, ho bisogno di sentire una forte motivazione per intraprenderne uno.

Domanda:Come si risolve il vostro rapporto con le strutture teatrali?

Catia: Se tu sei famoso e conosciuto, cioè sei ben riconoscibile, una struttura è in grado di "fornirti un aiuto", perché tu sei in grado, a tua volta, di garantire un "ritorno". Il problema è come dimostrare che vali. E soprattutto a chi. Tanti, davanti a un nostro spettacolo, si chiedono effettivamente: cos’è questa cosa? Tutte le ricerche sperimentali, l’arte, la musica, il teatro… all’inizio la novità è sempre mal accolta e non recepita. Mi piacerebbe sapere qual è il compito dei direttori di teatro. Come lo svolgono? Noi promuoviamo i nostri lavori, ma a volte sembra non serva a niente. Oggi una buona rassegna stampa sembra valere più di un materiale interessante di presentazione del lavoro. Molte compagnie si assoggettano a questi criteri. Quando organizziamo Crisalide ci arrivano pagine di rassegna stampa e due righe sullo spettacolo, magari senza nessuna foto. E’ "politica della confezione". Al contrario, noi riteniamo che l’unica vera forma d’arte sia cercare di fare quello che si sente, altrimenti tutto diventa solo una mera operazione commerciale.

Lorenzo: Crisalide riflette molto profondamente su questo: il pensiero, la vita dell’artista dentro e fuori la scena. Non è importante solo il prodotto finale, ma tutto ciò che avviene "dietro le quinte": prima, durante e persino dopo lo spettacolo. Tutto questo è il festival. Come far comprendere a una persona esterna il senso della tua ricerca? Non in quanto risultato, ma in quanto modalità di ricerca. Mi sembra che oggi in teatro debba essere tutto splendente, come il fondo di una pentola ben lucidata. Qual è lo spettacolo più splendente? E’ il prodotto che deve risultare interessante: il teatro vuole un prodotto finito, anche con una trama non classica, ma che abbia un inizio e una fine, una scena e una platea, degli attori e degli spettatori. Sovvertire e cambiare questo rapporto può comportare, come di fatto comporta, un rischio estremo. E oggi sembra invece che nel teatro il rischio debba scomparire, mentre chi fa ricerca vuole continuare a mettersi alla prova. E questo è rischiare. Una domanda interessante da porre agli altri gruppi, se farete altre interviste, è questa: qual è secondo voi la tensione ultima del teatro?

Relazione tenuta nell’ambito del corso di Organizzazione ed Economia dello Spettacolo
23 maggio 2002

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