Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Organizzazione ed Economia dello spettacolo (M-Z)

ASSOCIAZIONE BLOOM CULTURE TEATRI (Bologna)

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Gruppo di studio: Charlotte Ossicini, Francesca Pellicioli, Enrico Rotelli, Federica Salvia, Silvio Spisso

Breve biografia di Paolo Billi

1975: Paolo Billi partecipa ai laboratori tenuti da Jerzy Grotowski alla Biennale di Venezia.

1976/77/78: continua a lavorare con Ryszard Cieslak presso il CRT a Milano.

A Bologna ha la sua prima esperienza di teatro di gruppo: è tra i fondatori del Centro Teatrale Roselle, al Quartiere Mazzini.

1979/80: lascia Bologna. A Pontedera partecipa al corso di formazione "Eresia del Teatro Stanislavskij" tenuto da tre attori appartenenti a tradizioni teatrali diverse (Ryszard Cieslak, Marisa Fabbri, Jerzy Stuhr). Questa attività, afferma Biffi, fu dapprima marginalizzata e poi rimossa in quanto "formazione culturale bastarda".

In seguito collabora con Dario Marconcini dando vita a una esperienza non in linea con l’ondata del Terzo Teatro. Fondano il Laboratorio del Teatro di Buti, dove vengono costruiti spettacoli contaminando l’antico Teatro dei Maggi (teatro cantato dei primi dell’800 dell’Appennino tosco-emiliano). Vi partecipano attori del teatro di tradizione e del teatro di ricerca italiani, fra cui Toni Servillo, Marisa Fabbri e attori allievi di Grotoswki.

L’esperienza al Pilastro

Nel 1995, pur continuando a lavorare a Pontedera, Paolo Billi viene chiamato dal Gruppo Donne Pilastro per realizzare un lavoro teatrale sulla prima generazione giunta in questo quartiere, creato negli anni ’60. I primi otto mesi vengono dedicati alla raccolta di testimonianze attraverso la frequentazione dei circoli di quartiere, della sezione del partito, della parrocchia, dei centri sociali per anziani, delle scuole elementari e medie. I dati che ne emergono rivelano che il primo afflusso è stato di persone provenienti dal Meridione, infatti il quartiere era stato pensato come sorta di ghetto-dormitorio in cui emarginare gli immigrati. In questo modo si era creata una zona di confine rispetto alla quale il resto della città aveva un atteggiamento pieno di pregiudizi. Addirittura si vagheggiava l’idea dell’esistenza di una "quarta mafia", idea che si collegò poi alle vicende legate alla banda della Uno bianca.

Dalla raccolta di queste testimonianze nasce il progetto La radice del pilastro; Billi contatta Massimo Marino, critico e studioso di teatro (attualmente condirettore del Festival di Santarcangelo) e fonda l’Associazione Bloom, sempre nel 1995. La fondazione è puramente strumentale: vi è bisogno di una configurazione giuridica per giustificare il progetto presentato a Comune, Provincia e Regione. Al quartiere Pilastro l’associazione ha avuto sede fino al 2000, quando ha dovuto lasciarla in seguito alla nuova politica del Comune in merito agli spazi ad "affitti di mercato". Ora gli spettacoli sono legati solo alla ricorrenza del 4 gennaio, giorno dell’eccidio dei Carabinieri al Pilastro. Questa attività teatrale è l’ultima rimasta in periferia dopo gli anni del decentramento. L’Associazione Bloom si presenta come struttura molto aperta, non si è mai posta l’esigenza di costruire un gruppo fisso. Massimo Marino vi è rimasto fino al 1999.

Spettacoli

Regie e drammaturgie di Paolo Billi:

  • 4 gennaio 1997: Oratorio dalla nebbia (Centro Commerciale Pilastro). Drammaturgia in collaborazione con Massimo Marino costruita sulle testimonianze degli stessi "pilastrini", alcuni dei quali recitano nello spettacolo accanto ad attori professionisti.
  • 3/11 maggio 1997: Miranda, ovvero visioni dall’isola di pietra (Mercato Rionale del Pilastro). Tentativo di trasformare poeticamente, sempre con Massimo Marino, i materiali raccolti in forma di fiaba teatrale, facendo riferimento a La Tempesta di William Shakespeare.
  • 4 gennaio 1998: Dialoghi tra verità e silenzi (Palazzetto dello Sport del Pilastro). Materiali tratti dagli atti delle inchieste sui delitti della Uno bianca. Vi prendono parte anche i senza fissa dimora dell’associazione Amici di Piazza Grande, potenziali obiettivi di fuoco della banda dei Savi. Nasce il progetto Lapidi senza dimora.
  • 4 gennaio 1999: Cimiteri sotto la luna (Palazzetto dello Sport del Pilastro). Testo costruito sugli interpreti: alcuni senza fissa dimora, 3 ragazzi detenuti nell’Istituto Penale Minorile del Pratello, attori "pilastrini", ragazzi di una comunità di recupero, agenti della SIULP.
  • 4/6 gennaio 2000: Alcesti velata (Palazzetto dello Sport del Pilastro). Oltre ai soliti interpreti si aggiunge un coro di nove donne, di diverse nazionalità e colore di pelle. I "pilastrini", i ragazzi del Pratello, gli uomini senza fissa dimora, le nove donne hanno frequentato un laboratorio di teatro ritrovandosi, poi, alla loro prima esperienza sulla scena.
  • gennaio 2001: Libro di Giobbe (Teatro Comunale di Bologna), in occasione del decennale della strage del Pilastro. Oratorio con voce e orchestra, con Carlo Cecchi.
  • gennaio 2002: Le paure da riconoscere (Pilastro). Recital di quattro poeti di diversa nazionalità.

Spiega Paolo Billi che in questo momento, al quartiere Pilastro, si è creato il problema della convivenza con i kossovari, accusati di "fare rumore fino alle quattro di mattina e buttare spazzatura dalle finestre"... Si sono creati problemi di identità: trent’anni fa i meridionali immigrati venivano definiti "marocchini" dai bolognesi, oggi sono loro i primi a definire in questo modo i nuovi immigrati. Chi ha subìto i pregiudizi li perpetua. Billi ha creato un rapporto particolare con il Pilastro: viene sempre invitato alle riunioni di quartiere e, attraverso gli spettacoli, può mostrare la sua riflessione su ciò di cui fa esperienza, nel diretto rapporto con una realtà di emarginazione subìta ma anche agita.

L’esperienza al Pratello

Paolo Billi comincia l’esperienza all’Istituto Penale Minorile del Pratello in seguito alla legge n. 285 del 1998, detta "legge Turco". Questa prevede il finanziamento di azioni rivolte al sostegno dell’infanzia e dell’adolescenza; sperimentata in 12 città diverse, Bologna finanzia altri progetti oltre a quello di Billi.

La legge n. 285 viene assorbita, in seguito, dalla n. 238 che la trasforma in operatività stanziale. Dopo la prima triennalità (sperimentale), la seconda avrebbe dovuto essere fondativa, ma si sta smantellando un po’ a causa della mancanza di fondi economici e, soprattutto, a causa dei tagli economici previsti dalla legge Fini-Bossi. Con l’avvento del governo Berlusconi i ragazzi minorenni extracomunitari precedentemente arrestati vengono subito rispediti nelle loro terre d’origine appena raggiunta la maggiore età, prima invece era obbligatorio assicurare loro un reinserimento; inoltre verrà abolita la permanenza fino a 21 anni nel carcere minorile se arrestati prima dei 18 anni.

Prima del 1998 non vi erano mai stati lavori all’interno di strutture carcerarie con adolescenti.

Nonostante il lavoro si svolga in una struttura chiusa, quale il carcere, il suo intento non è affatto "chiuso". Billi crea una compagnia costituita da 10 ragazzi: 5 coetanei sopra i 18 anni affiancati da un gruppo esterno formato da 5 persone senza alcuna esperienza. Il lavoro è della durata di 5 mesi con appuntamenti quasi quotidiani; lo spettacolo finale viene replicato 15 sere durante il mese di novembre. Tutto ciò presenta anche un aspetto pedagogico, fondato su un lavoro preciso, certosino, non certo ludico.

Il pubblico cui si rivolge il lavoro in modo privilegiato è formato da studenti di istituti superiori, di età superiore a 16 anni in quanto, altrimenti, non potrebbero ottenere il permesso per accedere all’interno del carcere.

Il prossimo anno sarà realizzato un progetto con 4 istituti superiori, nell’intenzione di creare un dialogo tra il mondo della scuola e il teatro-carcere. La scommessa con i giovani studenti è quella di creare piccoli laboratori senza figure adulte.

La scelta degli attori tra i carcerati è condizionata da questioni di tempo: vengono scelti quelli reclusi almeno fino alla data dello spettacolo. Questi vengono retribuiti con una piccola somma ("giusto per un pacchetto di sigarette"); la preparazione dello spettacolo assieme a loro può avvenire solo nei normali momenti di uscita dalle celle.

All’interno dei moduli di avviamento professionale al mestiere del muratore, precisamente all’interno di quelli dedicati alla carpenteria, è stato ritagliato uno spazio per il laboratorio di scenotecnica della durata di 15 giorni. Tutto viene realizzato dai detenuti, anche la drammaturgia dei testi.

Nel carcere i ragazzi italiani sono solo una piccola percentuale. Il 50% dei detenuti sono arabi, magrebini, albanesi. E’ interessante vedere le differenti reazioni dei vari gruppi al lavoro teatrale.

1998: I muri del Pratello

Metodo per entrare dentro l’Istituto Penale Minorile del Pratello. Assieme al fotografo teatrale Marco Caselli, Paolo Billi compie una ricerca legata ai muri interni ed esterni del carcere. Divieto di fotografare le finestre con le grate per non dare l’idea di adolescenti rinchiusi in gabbia. Non è stato possibile né lavorare nei sotterranei, né fotografare i detenuti. Il progetto si è concretizzato nella formazione di piccoli gruppi "alla scoperta dei muri del Pratello", prima individuando i muri, poi fotografandoli con macchine Polaroid. In tal modo si sono costruiti dei percorsi di immagini, raccolte e poi fotografate nuovamente da Caselli.

Si cerca di immortalare ciò che viene scritto o lasciato sui muri prima che ciò sia rimosso. Le foto realizzate, trasformate in diapositive, hanno concorso alla scenografia dello spettacolo Cimiteri sotto la luna, in commemorazione dell’eccidio del Pilastro, il 4 gennaio 1999.

1999: Linea d’ombra

Le attività per la progettazione e la costruzione dello spettacolo hanno fatto capo a tre laboratori: il primo di lettura-scrittura, il secondo di espressione e tecniche teatrali, il terzo di scenotecnica. Lo spettacolo è stato il frutto di un lavoro progressivo, che ha avuto come matrice originaria il racconto di Joseph Conrad.

Nel laboratorio di lettura e scrittura, condotto da Paola Galvani, lo scopo era far comporre ai detenuti delle storie di traversate di mare per lo più fatte da clandestini. In seguito si è passati alla lettura e ricerca di storie fantastiche legate al mare.

Nel laboratorio di espressione e tecniche teatrali, condotto da Paolo Billi, si è partiti con l’iniziale coinvolgimento di tutti i ragazzi (rom e albanesi da una parte, arabi e italiani dall’altra), per arrivare in seguito a un unico gruppo di undici ragazzi. A due mesi dal debutto, si è definito il gruppo base, escludendo, di conseguenza, i nuovi arrivi. Il lavoro impegnava quattro ore al giorno.

Il laboratorio di scenotecnica, condotto da Dante Ferrari, ha prodotto le scene per lo spettacolo ed è stato eseguito da quattro ragazzi, due dei quali, durante le repliche, allestivano e smontavano le scene, in quanto i locali non potevano essere occupati permanentemente.

Per la costruzione dello spettacolo sono state sospese le diatribe esistenti tra i diversi gruppi.

Le dodici repliche sono state forse il momento più difficile ed importante del progetto. Le repliche sono state, da una parte, il momento gratificante per i ragazzi, dall’altra hanno rappresentato per due settimane un impegno inderogabile e preciso, faticoso, un’assunzione di responsabilità individuale e collettiva, cui ha contribuito in maniera determinante il personale di custodia.

Per i ragazzi, la realizzazione dello spettacolo è stata un vero e proprio lavoro, riconosciuto con delle borse-lavoro messe a disposizione dal Comune di Bologna. Secondo il regista, il teatro è fatica, precisione, condivisione, e solo alla fine può giungere la gratificazione degli spettatori, perché se non ci sono gli spettatori non c’è il teatro… ma tutto diventa forse una tecnica terapeutica dove si perde la poesia; ma leggere poesia e cercare di scriverla non è cosa rara tra i ragazzi del Pratello.

Lo spettacolo è il racconto del viaggio per mare del vascello Linea d’Ombra e delle storie dei componenti dell’equipaggio che lo guida. Nello spettacolo "a stazioni" pensato dal regista, come attori ci sono anche tre clandestini non detenuti i quali hanno la possibilità di recitare all’aperto, nel mal ridotto cortile esterno all’istituto. I detenuti invece non possono lasciare l’interno del carcere.

La prima scena si svolge nella sala dei colloqui: bastano poche assi inclinate e pertiche issate dritte verso il soffitto, a suggerire l’idea di una nave impaludata e ferma. I ragazzi sussurrano e gli spettatori (soltanto venticinque) si chinano in avanti per ascoltarli, ed è come se si togliesse un diaframma.

Per la seconda scena ci si sposta su, nel teatrino con le pareti decorate a stucco, dove Billi ha ambientato la scena del porto, e qui ha convinto il direttore dell’istituto, Stefano Santuari (che in gioventù ha recitato nelle Cantine romane) a calarsi nella parte del comandante del porto, sospeso su un’altalena, a recitare la Ballata del Vecchio Marinaio di Coleridge, davanti al giovane capitano.

Nella terza parte i clandestini guidano gli spettatori nel cortile esterno (al tempo quasi una discarica, a suggerire quindi l’idea di un’epidemia) attraversando, al buio, il corridoio per arrivare al carcere.

Dal cortile si raggiunge la quarta scena, nella sala dell’infermeria, avvolta da una luce bianchissima, asettica: ora la nave ha preso il vento, i ragazzi recitano tra le vele altissime, il pubblico ne intuisce solo l’ombra, finché non cade la tela bianca.

Per la quinta scena il pubblico viene portato nella tromba delle scale, dove Darko, un ragazzo slavo, arrampicato su una fune, descrive e canta i ponti distrutti della sua terra.

Nella sesta scena, ultima, il pubblico viene portato al campo sportivo con una canzone suonata da fischietti e viene invitato a scendere dalla nave. E’ questo l’unico momento in cui pubblico e attori si trovano in un confronto frontale. Ci si divide: attori dietro ai cancelli, pubblico fuori, in strada.

2000: Paradisi

Questa terza fase del Progetto Caino ha avuto come punto di riferimento l’opera Caino, poema di Lord Byron. Nel corso del lavoro dei primi mesi è nato e si è sviluppato, con i ragazzi, un altro tema di ricerca: il paradiso, o meglio l’esistenza di diversi paradisi legati alle memorie del passato, alle illusioni del presente, alle speranze.

Anche per questo progetto sono state riprese alcune modalità sperimentate l’anno precedente; soprattutto la correlazione con le diverse attività dell’Istituto, come la scuola e i corsi di formazione professionale attivati dalla Provincia di Bologna.

In questo progetto si è cercato di rendere possibile l’ingresso nella costruzione dello spettacolo di due nuove componenti esterne: alcuni studenti del Liceo Artistico Arcangeli di Bologna, che però non hanno avuto il permesso dall’autorità giudiziaria di partecipare direttamente al lavoro con i ragazzi rinchiusi, e che quindi hanno seguito solo la realizzazione del video, parte integrante dello spettacolo. L’altra componente è stata rappresentata da due ragazzi, nel passato ospiti dell’Istituto, rientrati per fare lo spettacolo. Solo uno è riuscito a giungere alla realizzazione dello spettacolo, in quanto il secondo non è riuscito a conciliare gli orari del proprio lavoro con quelli delle prove.

Paradisi è stato replicato dodici volte.

Il laboratorio di scrittura e poesia è stato condotto dalla poetessa Alessandra Berardi ed ha prodotto un libretto Dentro, le parole che raccoglie gli scritti poetici dei ragazzi. Il laboratorio è stato seguito da un nucleo costante di sette ragazzi.

Il laboratorio sul movimento, condotto dai danzatori Nicola Rebeschini e Arnaldo Zanna, si è incentrato su due proposte diverse: danza afro e danza hip-hop. Il laboratorio è stato seguito da sei ragazzi. Parallelo si è svolto il laboratorio di percussioni condotto da Gaetano Riccobono e Isaac Squerzanti. Questo è stato seguito da un gruppo di tre ragazzi.

Il laboratorio di scenotecnica è stato condotto da Dante Ferrari ed ha portato alla realizzazione delle scene dello spettacolo e dell’allestimento degli spazi (da giugno a settembre). Il laboratorio è stato seguito da un gruppo di sette ragazzi.

Il laboratorio per la realizzazione del video ha coinvolto gli studenti del Liceo e diversi ragazzi dell’Istituto, che poi non hanno partecipato direttamente allo spettacolo.

Il laboratorio di espressione e tecniche teatrali, condotto da Paolo Billi, all’inizio dell’attività ha coinvolto tutti i ragazzi dell’Istituto la cui situazione giudiziaria poteva garantire la loro presenza fino alla conclusione dello spettacolo. Il gruppo formatosi è stato di dieci/undici ragazzi, che però, nel corso dei cinque mesi, sono cambiati e sono stati sostituiti. I ragazzi che hanno partecipato allo spettacolo sono di diverse nazionalità: italiani, marocchini, tunisini, algerini, rumeni, albanesi.

Il periodo delle prove dello spettacolo è iniziato a luglio per concludersi a fine settembre (con una sospensione di tre settimane ad agosto) con un impegno quotidiano di circa 4/5 ore. All’allestimento dello spettacolo hanno partecipato anche altri cinque ragazzi (italiani e marocchini) che però non hanno poi recitato. Hanno partecipato allo spettacolo tre agenti del personale di custodia.

Lo spettacolo è stato allestito nel teatro dell’Istituto e nei locali attigui (foyer, magazzini, archivio), quindi, a differenza dell’anno precedente, solo al secondo piano. E’ stato replicato dal 5 al 16 ottobre 2000 alle ore 21.00.

Lo spettacolo è composto di due atti: il primo è un percorso dentro il mistero da rappresentare, il secondo è invece la rappresentazione del mistero attraversato. Nella prima parte Byron parla di un paradiso con cherubini come fosse una rocca di difesa: allora la prigione viene vista come un paradiso. Lo spettatore viene accolto all’interno di un luogo ben difeso dall’esterno, ed è condotto attraverso l’archivio dei paradisi delle origini; il ricovero dei paradisi di passaggio; la visione dei paradisi dell’inganno, per giungere alla rappresentazione del mistero di Caino.

Prima scena: nel foyer odoroso di aceto bollito nell’acqua, gli spettatori entrano uno ad uno, e due giocatori se li giocano a dadi per decidere se mandarli a destra o a sinistra. Alcuni vengono segnati sulla fronte con lo stesso marchio che Dio appose sulla fronte a Caino, per proteggerlo nella sua erranza, e a tutti viene scattata una polaroid. Infine viene dato il benvenuto a tutti i presenti.

Per passare alla seconda scena si deve attraversare un gabinetto con il water sprangato e veli appesi, ma con un odore sgradevole di lysoform e varachina; si arrivava all’archivio del carcere, odoroso di carta bruciata (dove entravano in gioco anche le tre guardie) e dove si ascoltano voci registrate dei ragazzi che recitano poesie.

Terza scena: nella terza stanza tanti letti allineati accolgono gli attori, e gli spettatori calpestano un pavimento ricoperto e odoroso di terra e cannella.

Per arrivare alla quarta scena si passa nello stanzino dove vi sono una ciotola contenente olio di lino (Abele) e una contenente sangue (Caino). Queste sostanze simboleggiano due sacrifici diversi, come gli altari: quello di Abele dritto, quello di Caino rovesciato. Infine, nel teatrino neoclassico (dove viene anche proiettato il video Paradiso degli inganni), lo spettacolo ritrova il Caino di Byron e torna ad essere teatro delle parole e dei corpi, dove Caino e Abele si affrontano in un’irreale danza di guerra, tra testimoni silenziosi che, grazie a vele di velluto che salgono e scendono, continuano a cambiare la percezione della profondità della scena.

2001: Le ali dell’albero

Lo spettacolo ha avuto come punto di riferimento due storie assai diverse, che appartengono entrambe alla tradizione araba: la storia de Il Gobbo riottoso, tratta da Le Mille e Una Notte (nella versione di Kavaman) e il poema persiano Il verbo degli uccelli del poeta sufi Farid Ad-Din Attar.

La suggestione originaria, da cui nasce lo spettacolo, risale al 1999, al tempo del primo spettacolo. Un giorno, durante le prove di un gruppo di ragazzi magrebini, uno di loro cominciò a raccontare una storia in arabo. Tutti gli stavano seduti attorno a terra, in silenzio; questo durò per più di un’ora. La storia fu sospesa e ripresa per altri due incontri, ma in seguito non accaddero più episodi simili.

Paolo Billi ha più volte cercato di ricreare situazioni analoghe, ma senza successo, anzi suscitando a volte un’ironica diffidenza, perché ormai è d’uso l’invito a raccontare storie della propria terra... Gli si rispondeva "non so", "non ricordo", "non so raccontare", "non voglio". Questo è un altro motivo di questo lavoro: la frattura spesso voluta, a volte giocata e apparente, altre volte inconsapevole, con i propri mondi di origine. Ciò non riguarda solo i magrebini, ma anche gli albanesi, gli slavi e i pochi italiani.

Il poema di Attar è un libro splendido e complesso da cui è stato tratto solo il nucleo della storia degli uccelli che partono alla ricerca del loro re. Perché una storia di uccelli? Ed anche qui c’è un altro episodio che lega Billi a questo luogo: i locali del teatro sono spesso rifugio di piccioni, che entrano dalle finestre. Il regista è stato contestato più volte dai ragazzi quando batteva forte per far fuggire gli ospiti indesiderati. I ragazzi preferivano catturarli e farli delicatamente volar fuori dalle finestre. "Non si può far male ad un uccello, in carcere", gli veniva spiegato.

E così la storia degli uccelli, che abbandonano tutto per andare alla ricerca di un re lontano e sconosciuto, viene prima raccontata e poi, piano piano, agita in prima persona: un’avventura collettiva di iniziazione.

La storia del gobbo è invece una storia che suscita il sorriso e che contiene a sua volta altre storie. Tutto ruota intorno alle vicende che si susseguono per la presunta morte di un "gobbetto"; casi che legano insieme ebrei, mussulmani e cristiani, in un’imprevedibile gara di bontà, in cui ognuno si accusa per salvare l’altro da ingiusta condanna.

Con questo spettacolo Paolo Billi è finalmente riuscito a far lavorare insieme i ragazzi detenuti con gli studenti del Liceo Artistico Arcangeli di Bologna.

Il laboratorio poetico è stato condotto ancora una volta dalla poetessa Alessandra Berardi.

Il laboratori di scenotecnica da Dante Ferrari.

Il laboratorio del tappeto, in cui è stato costruito il tappeto attorno a cui si svolge lo spettacolo, è stato condotto da Mattia Di Leva.

Il laboratorio maschere e marionette, condotto da Sandra Maria Trenti e Adriano Casagrande, ha proposto maschere di ogni provenienza come modelli per la costruzione di quelle necessarie per i costumi degli uccelli. Dai ragazzi sono state scelte solo maschere di tipo africano.

Il laboratorio di allestimento spazio è stato condotto da Gasmend Llanai.

Il laboratorio di allenamento al gruppo, necessario per la collaborazione tra ragazzi detenuti e gli studenti (tra cui anche ragazze) è stato condotto da Giuseppe Gravili.

Il laboratorio di espressione e tecniche teatrali è stato condotto da Paolo Billi.

Lo spettacolo è stato replicato dal 5 al 22 dicembre 2001, interamente collocato all’interno del teatro dell’Istituto. L’azione si svolge oltre la porta chiusa di un centro d’accoglienza. Gli ospiti trascorrono il tempo lavorando alla tessitura di un tappeto e raccontando storie. Nessuno sa quanto durerà la loro attesa, né quale sia la destinazione a loro riservata. Sono giunti da Paesi stranieri, parlano lingue diverse.

Relazione tenuta nell’ambito del corso di Organizzazione ed Economia dello Spettacolo
30 maggio 2002

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