Un
cuore maschile, uno femminile. Uno albanese, l’altro rom. Le due
tradizioni affiancate in questo concerto riferiscono di diverse,
intrecciate e sovrapposte costruzioni dell’identità, veicolata dalla
musica, al centro dei Balcani.
Ali Krasniqi vive vicino Malishevo,
nel cuore del Kosovo, in una di quelle case contadine di pietra,
circondate da mura, in cui si ambientano alcuni dei più importanti
canti epici della zona. Nella stanza delle riunioni maschili, un’ampia
sala rivestita di legno, con la stufa al centro, in cui si siede in
circolo a fumare e a bere su cuscini appoggiati alla parete, Ali e i
suoi compagni cantano e suonano insieme. Gli strumenti sono liuti a
manico lungo, violino e fisarmonica. Il repertorio è di danze
strumentali e di brani cantati, sia monodici con accompagnamento
strumentale che polivocali. I canti epici appartengono a quella
tipologia di storie cantate grazie alla quale negli anni Trenta del
Novecento Milman Parry e Albert Lord dimostrarono l’origine orale dei
testi omerici.
Celibije e
Miradije
sono due donne rom di Prizren, suonatrici professioniste di tamburello.
La loro tradizione è quella di Hatixhe e Selvinaze, di Mirita e
Merlinda: altre coppie di suonatrici rom già ospitate dal Festival. Il
loro repertorio è di pertinenza esclusiva di una casta specializzata di
suonatori omosessuali e suonatrici, e viene proposto in riti di
esclusiva pertinenza delle donne. Le strutture ritmiche da loro
eseguite sono così complesse da mettere in crisi la nostra stessa
nozione di asimmetria.