Incontri Seminari Laboratori
anno accademico 1999-2000

TEATRO

 

Erika

BAGNO GRANDE E ATRIO, CUCINA E TERRAZZO, SALA E BAGNO PICCOLO

J. "Avevamo deciso per i turni di pulizia"
S. "Eh? Cosa sono i turni?"
J. "Dovremmo anche pulire ogni tanto!"
C. "Sì, sì, perché se l'ambiente non è pulito ci sono maggiori possibilità d'infezione!"
S: "In Brasile camminavano tutti scalzi!"
J. "Va beh, li dobbiamo dividere bene; io li ho già separati: facciamone tre: bagno grande e atrio, cucina e terrazzo, sala e bagno piccolo. Così uno pulisce una volta alla settimana e ogni ambiente viene pulito per due volte."
P. "Ma io devo studiare!"
S. "Comunque in Brasile avevamo dei ritmi diversi più lenti dovevano fare anche molte cose, ma sempre piano piano."
C. "Anch'io devo studiare, figurati, faccio medicina!
P. "Ma sì dai una volta in meno..!
S. "La signora brasiliana che mi ospitava faceva la sarta ma non rispettava mai le scadenze!"
J. "Mmh! Che casino! Dai facciamo una volta ogni due settimane e basta."
L. "O.K.!" P. "O.K.!"
S. "Allora d’accordo? Tutti d’accordo?"
S. "Sì sì, ma sente quindi come in Brasile, ognuno pulisce quello che vuole."
J. "Che caos! Ho detto a rotazione! Si stabiliscono prima gli ambienti da pulire!"
C. "Bisogna che uno sia felice, non ci si può stressare!"
J. "Eh! Ehhh!"
S. "Io ho capito: scelgo di pulire sempre la terrazza, che almeno è all'aperto!"
J. "Cos'è, parlo arabo? Ho detto a rotazione! E poi .... la terrazza sta con la cucina!"
S. "Ah, sì, sì, anche la cucina, aromi... spezie...l'odore del caffè macinato...
C. "Ma ci sono già i guanti?"
J. "Che guanti?"
C. "Dai i guanti, quelli di gomma per proteggere dal contatto con i detersivi!"
S. "Eh? I detersivi? Guarda che inquinano!"
C "Ma con cosa vuoi lavare solo con acqua?"
S. "Sì perché?"
C. "Bisogna disinfettare!"
P. "Dai allora ci metteremo la varechina."
S. "Guarda che in Brasile non hanno né i guanti né i detersivi e vivono pure!"
C. "Ma te sei matta! Con tutte quelle malattie! "
S. "Laviamo con il limone e l'aceto che disinfettano?"
J. "Oooh no-ooo! Senti facciano 'sto cartellone e dubbi, incertezze ecologiche, risoluzioni sanitarie li toglieremo con l’applicazione eh? E ci siamo riuscite: abbiamo messo a punto il cartellone che funziona ormai da tre anni, appeso lì, sulla parete.
 

Elisabetta Bergamasco

BUGIE IN AULA

La mia prima bugia risale alla prima elementare. Era un lunedì mattina e come al solito, ci si raccontavano le avventure della domenica. Io non avevo fatto nulla di speciale e così, mi inventai
che ero andata al Lago Maggiore e che avevo pescato con mio padre quattro grosse carpe. Allora Laura, mia eterna rivale, per farmi un dispetto, disse che suo nonno, andato anche lui sul Lago Maggiore aveva pescato una balena "...e una balena è più grossa anche di quattro carpe grosse!". Andai a casa sconsolata, ma quando raccontai tutto a mia madre, lei ridendo mi disse che di balene, nel Lago Maggiore, non se ne erano mai viste! Laura non sapeva raccontare bugie ...io sì.
 

Daniela Riberto

IL VALZERINO
BALLO DA SALA
 
La prima volta che ho ballato ero bambina. Papà era il mio cavaliere, il mio orecchio gli giungeva a malapena all'ombelico mentre stringendomi a se mi guidava sulla punta dei piedi: Fu una sua idea. "Non voglio che quando sei grande gli altri siano più scantati di tè. E tè ta fè la figura dl'imbraneda" diceva sempre e così mi ha insegnato a giocare a carte e a ballare. Ricordo che eravamo, in sala, che era sera e le luci accese erano gialle come le pareti di casa. Ricordo che eravamo felici. Il ballo era come dice lui un "valzerino", ma che musica fosse in realtà non lo sapevamo nessuno dei due, perché metteva sempre i dischi a caso e tutto ciò che si prestava al "liscio" era per lui un valzerino.
Il ritmo faceva così: um papa um papa um papa e zum!
Zum piaceva molto a mio padre che lo intonava ad alta voce con l'indice al cielo.
Quel che, provai allora non l'ho provato più, in nessun altro momento, in nessun altro posto.

 


Roberta Colombo

AULA IN MUSICA
 
Finalmente quella porta verde laccata si aprì; i tavoli in legno intrisi di plastilina erano fermi, immobili, schierati sull’attenti, pronti ad accogliere l’entrata trionfale del professore. "Sedetevi ragazzeche poi faccio l’appello". Poche parole e poi….poi le parole si tramutarono in musica . Luce morbida, fonte di vita, accoccolata siui vastti in creta, nature armoniche e voluttuose, bassorilievi appoggiati caoticamente sui ripiani metallici "Bisogna riuscire a far volare la mente al di là dell’orizzonte" pulsanti composizioni metafisiche di compensato, leggere sospese, sottrarre alla forza di gravità. "Non perdete mai di vista l’obiettivo ". Forme pulite, ben levigate ancorate statuarie al suolo, protendono le loro braccia verso un’altra dimensione, individuano i volumi modulari. Bisonava "Bisogna smuovere lo stagno con le rane che ci saltano in testa". Danzare, volare, fluttuare…
Il professore è morto. Niente più ritmi avvolgenti tra quei ripiani, niente più calchi in gesso parlanti o volumi metafisici che sfrecciavano lungo il soffitto.

 


Sergio Colombo

IL PALCO DEL PAPA.

"Che me dai er trapano?" E' stato il primo ordine che ho ricevuto come lavoratore, a nero. Un ordine semplice: chi non ha mai passato un trapano? Preso il trapano annodo il cavo nel modo più intricato tanto che Metallo, grosso operaio montatore mi guarda sconfortato: "Ma chi te c ' ha mannato?"
Mi ha mandato Violante, che abita con me. Un giorno è tornato e ha detto: "Quest' altra settimana lavoro come arrampicatore; sei giorni, settecentomilalire. Ne serve un altro e ho fatto il tuo nome."
Già, ma che vuol dire arrainpicatore?
" Ma che state a ffa co' ste gialle? 'Namo tirate su."
Dario, montatore in capo, ordinava i pezzi dalla cima della torre in costruzione e urlava Qggialla", "rossa", G a verde" o "nera" distinzioni cromatiche per la lunghezza del pezzo richiesto.
I pezzi, raccolti in ceste "gialle", "rosse", "verdi" e "nere", arrivavano su grazie a noi arrampicatori, disposti in colonna uno ogni due metri, lungo la torre da montare. "Ciò, Dio can, sali movite che siam fermi!"
"Madonnadhe, stà attacca I' imbraco alla rosetta."
E si cari... I' imbraco io a quattordici metri da terra I' attacco... lavoro nove ore per cantomilalire... e vi siete anche "dimenticati" di pagarmi I' assicurazione e la cosa migliore qui è il panorama... i campi, la gru, il Pilastro... il sole, sempre lì devo pagare la bolletta altrimenti ci stacc...
"A pischè ma che stai a guardà? Che sei innamorato forse? Movite, per la Madonna, damme sta verde."
Verde, nera, rossa... correre, correre, lavorare, sudare... non ce la faccio più... e ho fame, qualcuno si è dimenticato disordinare il pranzo per noi arrampicatori... ho dovuto comprare un panino... chi me 1 ' ha fatto fare? Mannaggia Violante... lavorare per il Papa... Dio cane... già, perchè il motivo per cui io sono qui, e ci sono tutti questi operai denutriti e assetati come me, queste migliaia di tubi di alluminio, si mettono su torri, si costruisce un palco ed una croce di trenta metri, e che qui ci viene il Papa...
"Ma che ci verrà a fare qui il Papa?"
"Per me ci fa un rave: si mette sul bordo del palco a lanciare un nuovo tipo di acido, il giubilè, I' acido del terzo millennio."
"Ma I' è vivo ancora?"
"L'hanno sparato, I' hanno operato pe' 'n tumore ma è vivo ancora" "Volare gli fa bene"
"No chill' sta bbuon' perchè se fa 'e canne. A me arrivaun poco d' erba?" "Ma che erba, 'namo regà e putrelle".
No le putrelle no...
"Acchiappa"
Quanto pesa... perchè sono fermi?... tra un po la lascio... faccio una strage... scivola, cade.
"Dateme sta putrella"
Uff, a tiempo a tiempo tempo... non passa più, quanto ancora?... Il sole sta calando, forse tra un po' è finita sono stanco la schiena, dolore... e le braccia sono ancora 11.9... Ho fame, e il tramonto è troppo rosso per fortuna ho le ali... a fanculo: Papa, putrelle, palco, bollette, Violante e tutti... ora mi stacco e volo via.

 


Cristina Marino

CECCON, VIGILE IN CALUSO
 
A Caluso il vigile è un'istituzione
è più potente del sindaco
più carismatico del prete
e regna indisturbato su tutto il paese.
Ma più che lui è la sua divisa che viene rispettata... a prescindere da quello che fa.Nel bene e nel male tutti ubbidiscono a Ceccon da anni I' unico vigile di Caluso.
Ma un giorno è arrivata nel paese una donna. Una Forestiera.
Doveva fare la segretaria del sindaco ma...
Lui Il ha fatta diventare una vigilessa.
Panico nel paese.
Le multe raddoppiano.
Dovete sapere però... che a Caluso ci sono poche occasioni per far multe e così tutto diventò una buona scusa per farle.
 
Sole
Tre di pomeriggio
Nessuno in strada
Nell'aria odore di letame misto a fieno.
Il cartello indica : Benvenuti a Caluso, centro vinicolo del Canavese.
cucine --- case --- campi di grano
PEDALARE
montagne
PEDALARE
io sul sellino, mia sorella sulla canna
PEDALARE
Piazza --- tre bar, municipio, chiesa--- fine della piazza
PEDALARE
via Roma --- odore di mosto
PEDALARE
Parco Spurgazzi (cortile di un palazzo)
PEDALARE ... PEDALARE ...
RALI,ENTARE ...
Due vigili Ceccon e la sua vigilessa
RALLEN'FARE...
Devo scendere'? mi chiede mia sorella spaventata
No! Chi se ne importa..
PEDALARE
Fischio del vigile
PEDALARE
Devo scendere?!
No!
PEDALARE
Un altro fischio
un' altra pedalata.
PEDALARE -- PEDALARE
i due vigili infuriati (per essere passati inosservati)
salgono in macchina
 
PEDALARE PEDALARE
C’inseguono
PEDALARE PEDALARE
Ci sorpassano e ...
STOP!
bloccano la macchina davanti a noi.
Scendono.
La vigilessa si fionda sulle ruote davanti per impedirne di proseguire, Ceccon tira fuori il suo block notes.
--Mi dica le sue generalità?
--Signorina ha sentito? Nome e cognome!
--CRISTINA MARINO
--Chi è tuo padre?
--Come se non lo sapesse
--Mi risponda
--No! L'ho sa perché devo risponderle!
--Mi risponde?
--No. Perché?... altrimenti che mi fa?
--Lei fa un po’ troppo la furba. signorina
--E lei vuol solo farsi bello davanti alla sua amante.
--Come si permette!
-- Ma lei ... non ha niente altro da fare che fermare due in bicicletta?
--No!–mia sorella- fa anche altre cose. "Fa l'amore con la vigilessa davanti al cimitero".
--Ecco lo sente lo sanno anche i bambini quello che fate invece di lavorare.
--Voi due state scherzando con il fuoco. Domani verrò a dire tutto a vostro padre.
--E mio papà sarà contentissimo di ascoltare questa storiella.
--State attente che lo ho mangiato più polenta di voi. E voi solo friselle.
-- Si è allora? Ognuno ha i suoi gusti.
--No non è una questione di gusti è solo di testa.
--Voi avete la testa dura come quella di una frisella
--Meglio che averla molliccia come la polenta
--Basta ora mi fate incazzare
--Che colpa abbiamo noi se non ci piace la polenta!
--Non vi piace la polenta?
--NO!
(Pausa)
Questa risposta suscitò nel vigile una strana e inaspettata reazione.
Ci lasciò andare.
 
Più in là nel tempo tutti capirono che Ceccon non era affatto una persona da rispettare.
Chiedeva soldi a tutti i negozi di Caluso e non solo.
Fu così indagato per tangenti.
Oggi Ceccon fa ancora il vigile
e la vigilessa si è sposata con un altro uomo e non vive più a CALUSO (piccolo centro del Canavese).

 


Maria Scalese

IL CAMINO
 
Eccola la mia vecchia philips 28 pollici su una mensola di legno di noce. Nessuno la segue attentamente.
Mia madre lava i piatti di vetro infrangibile, mio padre sonnecchia sul divano. Ah., che soffice., sembra cotone questo plaid.
La mia agenda sul muretto di mattoni, io che scrivo, la fiamma accanto a me che mi riscalda.
La stanza é piena del rosso della fiamma, scura per il legno di noce della porta e della mensola sopra il camino.
Un vecchio ferro da stiro a carbone di nonna Caterina, la giara di terracotta e dietro un avvilupparsi di cavi elettrici che scendono fino alle prese dell'elettricità, mi ricordano le liane delle foreste pluviali.
Ombre e luci,, luci e ombre create dal lampadario in vimini. Oh,, che sonno! E come riscaldano i tubi d'acqua calda che stanno sotto di me; mi piace troppo star seduta a terra!
Questi odori sono forti, sono pieni: è la cipolla rossa di Tropea soffritta in olio d'oliva, il sugo di pelati appena imbottigliatile salsicce fresche allo spiedo.
gli sportelli di vetro del caminetto non lasciano uscire neanche un soffio di fumo.
Che ninna nanna il magma di suoni e voci che escono indistintamente da quella cassa magica a schermo bombato.
E il ritmo pacato, lento della fiamma che stanca e morente ci augura la buona notte.

 


Daniela Shalom

TAVOLO DA THE
 
1,2,3... 10.
Quante volte ti sei ubriacata?
1,2,3... 10.
Quante sigarette fumi? (hai mai fumato?)
1,2,3, ... 10.
Quante volte sei scappata di casa?
1,2,3... 10.
Era la tipa giusta per me! avremmo fatto grandi cose insieme.
lo la solita brava ragazza, di una tranquilla città di provincia; lei disegnava graffiti sui vagoni dei treni. Trascorrevamo ogni sera a cantare e a suonare in una piazza diversa, fino mattina. Un giorno avevamo deciso di andare a Firenze, ci eravamo ritrovate a Milano, perché avevamo sbagliato direzione del treno. Non saremmo mai invecchiate, noi.
1,2,3...
Un pomeriggio di Novembre, quando non ci vedevamo più da molto tempo, le chiesi: "Vuoi un tè?" "Si." Avevo messo la bustina di tè nell'orziera , perché il tè viene più forte. Avevo apparecchiato il tavolo, le avevo ceduto la mia tovaglietta, prendendo io una di quelle brutte plastificate. Le avevo versato il tè nella mia tazza nera, con il disegno della statua della libertà. Avevo aperto la scatola nuova dei biscotti, e messo al centro del tavolo barattoli di marmellata e fette biscottate.
... 51,52,53...
Il tempo si mise a correre a ritroso: mia nonna, quando qualche ospite veniva a trovarla, prendeva dalla credenza del salotto le tazzine di porcellana inglese, che custodiva come reliquie. L'aroma del tè si spandeva per tutta la casa.
Tra un sorso e l'altro erano passati anni.
... 74,75,76.
Non c'era più Sara davanti a me, ma c'era mia nonna, con i guanti bianchi e la cipria.
Sara che disegnava graffiti sui muri, era diventata graffita di rughe.
1,2,3,4,5,6,7,8,9,10...

 


Roberto

LE CASE DI VIA MARECCHIA
 
Via Marecchia è una delle più vecchie vie di Rimini di là del ponte romano, il ponte di Tiberio. Fino al ’34 costeggiava il fiume Marecchia. Dopo l’anno del deviatore (….) è rimasta una viuzza strana del Borgo S. Giuliano . Il fiume non c’è più, e fa effetto vedere le case scomposte crescere l’una appoggiata all’altra su un alto argine di vecchi mattoni rossi. La mancanza d’acqua rende tutto sproporzionato.
Proprio all’inizio di questa via, l’angolo con la latteria e il fior di loto, (…) al numero 9, dopo la guerra è stata ricostruita la nostra casa.
Mio nonno Mario e mia nonna Emmore hanno sempre abitato lì all’angolo, ma prima dei bombardamenti al posto dell’attuale casone alto e sgraziato, sullo stesso identico lotto di terra, sorgeva la loro prima casa, la loro vera casa, quella che ricordano sempre.
Era più piccola, ma molto più piccola, costruita su due piani bassissimi e circondata da una roseto vigoroso, mlticolore, multiprofumato.
Conosco la vecchia casetta attraverso i loro racconti incessanti e attraverso le pareti delle stanze di questa nuova.
Ovunque gli occhi si posino, vedi quadretti di vecchie fotografie.
Sono in bianco e nero e tutte sovraesposte perché scattate a decine in un unico giorno di sole intenso prima di scappare e sfollare a causa dei bombardamenti.
Decine di foto scattate con ansia in un unico giorno.
Foto alla casa e al giardino di rose: sono foto sfocate perché hanno catturato l’aurea di profumo intenso e luce.
Mio nonno Mario mi racconta spesso, forse esagerando, che il colore di quelle rose a volte, nel periodo di massima fioritura, al crepuscolo faceva una luce, dentro, così brillante che sembrava un mare.
Della vecchia casa non si è salvato un solo muro, non un arbusto di rose.
Ma si è salvato l’interno: prima del bombardamento i mobili e gli oggetti erano stati tutti già posti al sicuro.
E’ come se il nuovo casone abbia prestato soltanto lo scheletro vuoto per essere riempito ostinatamente, di nuovo, con quei mobili e quegli oggetti che oggi risultano troppo piccoli, sorprendentemente inadeguati alla nuova disposizione degli spazi.
Ma mio nonno, come mia nonna – danno l’idea di accorgersi di vivere da ben quarant’anni in questa, a cui io sono affezionato, perché ci sono cresciuto e …perché a capirla bene, funziona come una casa doppia.
Vale due case:
E’ una casa a scatola cinese. C’è una casa e c’è quell’altra, dentro.
Entrando ed esplorando le stanze comincia lo sdoppiamento.
La casa attuale lentamente si sgretola e ridà le immagini di quella vecchia. Che non si staccherà mai…

 


Fabrizio Di Tommaso
PIAZZE ESTIVE
 
Questa VALIGIA non l'ho più abbandonata.
Questa e' la CASSETTA che mi ha registrato Candida, la mia regista, e' lei che mi ha proposto di entrare nel gruppo "Classe Mista".
Il MOZZICONE DELLA SIGARETTA di Marianna: capelli rossi, occhi espressivi, recitava : "La vita non è questa noia distillata in cui da sette eternità …..
Il GILET DI PELLE MARRONE che indossavo quando interpretavo Enrico il porcaro: sotto però ero a torso nudo….
La BUSTA DI PINOLI che i ragazzini della piazza di Frosolone avevano raccolto per noi.
I proprietari del castello ci hanno messo a disposizione alcune stanze e il cortile antestante. Quella sera ci invitarono ad entrare:
-S--Proprio oggi c'hanno portato na crostata che è la fine der monno-
-M--No signora grazie, dobbiamo proprio andare
-C--Ma quasi quasi un pezzo lo prender-ei....
-F--SI ma un pezzettino piccolo!
-E--Ma lo sa che è proprio buona!-
-S--Taiamo pure un po’ de lonza,de formaggio?
-A--Assolutamente no!
-M---Questo cacio cavallo mi ricorda quello che faceva nonno
---Ci sarebbe un po’ di pane?
-S- Un po’ di vino ragazzi?
-F- No..
-M- Magari un goccio di bianco…
-F- Rosso.
-M- facciamo tutti e due signora, grazie…….
-S- Vedo che mangiate volentieri ragazzi, aspettate , vado un momento in cucina….
Quel giorno cominciammo col dolce, continuammo con l’antipasto e poi spazzolammo anche : bucatini all’amatriciana, frittata di cipolla, insalata di pomodoro….epoi ce ne andammo , pieni di cibo e…di vergogna…
Nella valigia c’è poi la FOTO di quando recitai la prima volta con "Classe Mista", nel cortile
dell’Annunziata, un cortile che di notte, circondato da palazzi antichi, dominato dal campanile,
illuminato dalla luna, si anima di un’atmosfera magica.
 
"La vita non è questa noia distillata in cui da sette eternità…si fa macerarel’anima; non è questa morsa infernale che attanaglia le nostre coscienze…perché ha bisogno di musica, di poesia, di teatro e amore per esplodere di quando in quando" Antonin Artaud

 


Francesca

SUI MOBILI - DA HEIDI A SAILOR MOON

Quando ero piccola la sala della nonna Lina aveva giusto un divanetto in pelle grinzosa e due mobili in formica marrone: era il mio regno. Da ogni cassetto spuntavano i miei primi disegni, soprattutto i miei ritratti della mia famiglia e dei miei animali preferiti; sulle mensole c’erano le mie bottigliette del mio profumo che ricavavo coi petali di rose, la mia unica Barbie sposa era appoggiata timidamente in un angolo del divano, io preferivo la mia vecchia bambola, Heidi, si chiamava. I miei giornalini della mia musica preferita con le foto dei Duran Duran o degli Wham restavano invece nei quaderni o nella cartella, un po’ nascosti ….che alla nonna non sarebbero piaciuti! Ora la nonna è invecchiata, ma "si tiene su" come dice lei. Ora alla sala si è aggiunto un secondo ambiente con caminetto e poltrone morbidissime, ed io, d’improvviso mi sono trovata immobile, di fronte al fuoco, a fissare Pinguibeach, Elefantao, Tartallegre, Coccodritti, Miaoegizi, Squalibabà…..abbandonati sulla mensola dalla Virginia la mia cuginetta . Ed è lei, la nipote più piccola che crea il nuovo regno, il suo: lascia i suoi giochi sopra i miei libri e fatraboccare i cassetti dei suoi ritratti della sua famiglia, di videocassette, cicciobelli, truccosetti; appaende in sala le foto delle Spice-Girls o di Nek (ormai la nonna non protesta più) e schiera sopra la TV: Barbie fior di pesco, Barbie sirena, Barbie Charleston e Coccolotti, Micigomici, fiammiferini, BimboliSguazzini, Babymia, L’imperatrice Sissy, Shelly sorella di Barbie, gli Smaltini di Pupa, Cioè, Dolly, Gommolotti, Camille, Skifiltors…lo scettro di Sailor Moon, il Camper di Minisbrodolina pasticcera……
 
( CORO: Una sorpresa su cinque………)

 


Tzuyoshi Nakano

Nacqui il 10 aprile 1970 a Sagamihara, tipica città alla periferia di Tokyo, di 100mila abitanti. Pesavo 340O grammi e rispetto agli altri neonati giapponesi di quell'epoca ero abbastanza grande, ero sano e non avevo nessun problema fisico tranne le gambe un po' storte. Ma di tutto questo non ricordo niente.
I miei veri ricordi cominciano dal 73 a Roma nel quartiere Laurentina, dove abitammo fino al 75 a causa del lavoro di mio padre, pilota d'aereo. Quando lasciammo Roma, avevo 5 anni.
Tornai dal Giappone 20 anni dopo. Avevo una fotografia e una sola indicazione: "Scendi al capolinea della metropolitana, fermata LAURENTINA"
Non riconoscevo niente di Roma, sul treno guardai la foto. Un cielo a settembre, un cancello al centro, due palazzi identici, un po' di verde in basso.
Là c'era la mia finestra.
 
Nessun ricordo.
 
Al capolinea però cambiò tutto: capii subito la strada che dovevo prendere e a quale angolo dovevo svoltare senza esitazioni, come se non fossi mai andato via. Trovai i palazzi gemelli, alzai lo sguardo e non riuscii a vedere la mia finestra. Un alberone altissimo, un pino, mi bloccava la vista. Nella fotografia, al margine dell'inquadratura il verde si vedeva appena. Io ero cresciuto.
L'albero era cresciuto con me.
A migliaia di chilometri di distanza.
E io lo avevo ritrovato.
 
Non so esattamente perché, ma volevo restare in Italia.
 
Il giorno dopo partii per Siena, dove c'è la scuola di lingue. Mi piace tanto stare qui, ma perché no? Non mi mancano i miei amici, la mia famiglia, la cucina giapponese. Non ho mai avuto nessun dubbio.
Voglio vivere in Italia.
 
Forse c'entra quel pino.
Forse quel che mi diceva allora mio padre:
Tsuyoshi tu non sei mio figlio, eri abbandonato sotto la statua di Romolo e Remo, e poppavi con loro. Se non ti avessimo salvato...... Hai capito? Non fare il cattivo sennò ti rimando là, sotto la statua di Romolo e Remo.

 


Silvia Marchionni
- Questa figliola farà la balleriiiiiina da grande! -
Esclama nonna Floriana interpretando come un presagio i miei goffi approcci danzanti. Perciò, all'età di tre anni, mi porta alla palestra Salvarani, la più "in" della città. Una palestra di ginnastica artistica. "Piiiiiiippi! In quel posto diventerai una grande ballerina, come le vallette di Pippo Baaaaaaaudo".
"Hmmm non ci vado"
"Come l’Hearther Pariiiiiiiiiisi"
"Si, così mamma mi vede in televisione!"
Esercizi di allungamento, streching, potenziamento... delle torture ... tutti accompagnati dalle grida metalliche di Barbara, la maestra,
- Uno, due, tre…….uno, due, tre…….uno, due ,tre…….uno, due , tre……..uno, due, tre…….
Io ero l'allieva più piccola, il costumino nero mi stava grande, la sala mi sembrava gigantesca, gli "un, due, tre..." della maestra si perdevano in un eco e l'acre odore dei disinfettanti mi stordiva.
Perdevo l’orientamento.
"Uno, due , tre…"
Il saggio era vicino, dovevamo provare. Uno, due, tre!" e riprovare ….uno,due,tre…. "Aiuto" mi viene da piangere, (il labbro mi sfugge, lo mordo, non lo controllo, mi trema, dove posso nascondermiLa loro
"Di nuovo, stavolta con la musica",
Ecco ci mancava questa novità della musica, sarà anche peggio; basta, adesso piango ... ma ...
…Tin, tin, pah, pah ...
 
La musica, ecco cosa mancava, ………. Il battito dei bassi mi pulsa nello stomaco, il calore mi divampa alle tempie, ho voglia di ballare. Devo muovermi, Ci provo? Mi muovo?
"Ferma, Silvia aspetta le altre"
Ma perchè in questo posto tutto quello che è piacere è vietato?
 
Le note volano, il corpo si scioglie, mi muovo, mi muovo!
Non sento la faticaaaaa!.
 
"Ottimo Silvia, volavi"
Nonna non trattiene un applauso: Brava Silvia, volavi!
Le mie compagne. "Brava Silvia, bravissima!".
Brava Silvia!
Brava,brava,Brava!
 
"Però più controllo, non è mica un balletto"
-………….. Cosa?, come sarebbe "nonè un balletto"?, e allora cos'è?
 
Quella sera nonna mi rivelò la verità. Che delusione!
"No non ci vado più! No, non mangio. No. La Narbie non la volgio, non volgio niente, non ti voglio più! No, no no!".
La disperazione, la delusione per tanto tradimento contenuto nelle parole, fu tale che la nonna mi portò in una scuola di danza vera……
Odore di baita di montagna, i pavimenti di legno.
Come mi piaceva... nessun grido nessuna eco.
La maestra, Aliala, Aliala …….ali…sussurra le parole;
Finalmente…..tutto qui è musica, forma, dimensione, orientamento.

 


Mariangela
Avevo i capelli lunghi e castani, lì stiravo col phon perché non avevano un verso vero e proprio, ma così mi sentivo bene, con i capelli che mi nascondevano un po'.
Da troppi mesi ero rimasta dietro quei capelli, anche se lunghi li ho sempre amati, ma belli come volevo io non li ho mai avuti.
 
Una presa di potere: "Basta"
Prima tappa: "Bar Claudio"
Per tre mesi ogni giorno sempre la stessa strada, le stesse curve, è probabile anche le stesse macchine, la mia macchina, la mia casa, nel mio paese collinare.
E ogni giorno il mare di Senigallia, coi sole che brucia, il sole che fa sudare, il sole che abbronza ... chi non lavora.
Io lavoravo, però, e dopo pochi giorni avevo già i capelli corti e biondo-carota.
Marco era il padrone dei bar; aveva 31 anni, e, dei segno dei leone, sprigionava tutta la sua naturale tendenza al ruolo di despota.
Naturale questo suo modo di essere, forse perché tutto quello che di positivo era nascosto in lui, incostantemente percettibile, era stato costretto e soffocato dalla figura di suo padre.
 
Questo signore rugoso e ombroso di circa sessant'anni ci spiava; ci spiava dalla cucina dietro il bar, attraverso una specie dì spioncino, perché non fregassimo le "Vigorsal".
Marco diceva sempre che coi capelli arancioni dimostravo 38 anni, io allora lì ho tagliati ancora più corti e sono tornati castani.
Con me altri sei compagni, non solo di lavoro ma anche di piccola comunità.
Una vita notturna più che diurna la nostra, con limiti non ben definiti a seconda dei turni lavorativi; degli orari di chiusura, di quanta energia ci rimaneva o di quanta ne volevamo recuperare.
Io, Marta e Barbara: Marta con i suoi bei capelli lunghi, i suoi occhi grandi e lontani, fragilità interiore e corazza esterna. Barbara: la più viva incarnazione della felicità, dinamica, egocentrica, spensierata, di nascosto non aveva proprio nulla.
Barbara aveva i capelli corti, ho provato a pettinarli come lei, ma i risultati erano diversi; intanto il mio viso era completamente scoperto e di questo mi sono pentita, ma poi ricreduta, per poi ripentirmi di nuovo per 304 volte. Oggi sono a Bologna, il tempo passato è molto di più di quello reale.
In viaggio sul treno, dal finestrino ripercorro ogni volta le stesse tappe: inizialmente il mare, poi case su case, la pianura Padana, fino a raggiungere i quartieri periferici di Bologna...
... e dallo stesso finestrino guardo i miei capelli, e ogni volta sono un po' più lunghi. Non riesco più a sistemarli bene, perché è un po' difficile farli riallungare anche se rinascono più forti dopo ogni cesura; ma io ho imparato a spuntarla, la chioma.Quello che vedo poi è Bologna, la città, la nebbia il freddo dell’inverno; prima c'era il mare, il sole, l'estate.Ma a Bologna ci sono giornate in pieno dicembre in cui c'è il sole, ed è più bello, luminoso, caldo, perché più raro; e c'erano giornate al bar Claudio in cui pioveva e il bar rimaneva solitario.
Non è né estate né inverno: è un'eterna primavera, che a volte ha le caratteristiche dell'autunno, ma ogni primarie ha bisogno del suo inverno e PROMETTE l'estate successiva. lo ho imparato a RIDESIDERARE L'ESTATE. Per quella che verrà voglio farmi ricrescere i capelli fin sotto gli orecchi.

 


Giacomo Arnaboldi

L’ULTIMO SCAFFALE
 
Da ragazzino il caffè era per la mamma e il papà: "Giaco, ci fai tu il caffè?" . " Giaco ci fai tu il caffè?". "si mamma". Fare il caffè era una sfida, ogni volta acquisivo velocità e precisione, era la soddisfazione che mi dava l'essere capace di svolgere quel compito così "adulto". E poi quello che accadeva là dentro nella caffettiera, era affascinante, quasi magico: quando meno te l’aspettavi il caffè saliva rumoroso come spinto da una forza invisibile, e riempiva la caffettiera quasi fino all'orlo; inoltre mi chiedevo sempre a che cosa potesse servire quell'affare rotondo che mamma chiamava "valvola", sapevo solo che non dovevo coprirlo con l'acqua, altrimenti si rompeva l’incantesimo.
E poi mi è sempre piaciuto l'odore penetrante di quella povere scura, che chiusa in un barattolo stava nel mobile in alto come un ingrediente prezioso, e io ogni volta mi dovevo alzare sulle punte dei piedi tastando con la mano fra gli altri oggetti che lo circondavano.
 
"Facciamo il caffè?" Domando mezzo addormentato, "Dai, bella, facciamo il caffè", ma nessuno si alza, io e i miei compagni d'appartamento fissiamo i piatti appena svuotati; ognuno è svaccato nella propria sedia e attende che qualcuno sì alzi.
"Facciamo il caffè?" se me lo avesse chiesto mia madre dieci anni fa non avrei indugiato un attimo, ma oramai quel compito ha perso il suo fascino antico
Dov’è la sfida?
Dove sono l’attesa,….la forza invisibile,….. la soddisfazione?
L'ingrediente prezioso è in alto, nell’ultimo scaffale, nascosto fra i barattoli che con la mano faccio cadere, mah...
A volte penso che basterebbe ricordare di alzarsi sulle punte dei piedi...

 


Rossella Sanguedolce

LA CAMERA DEL BAMBINO
 
Sepolto l'amico non torni subito a trovarlo. Io dovevo "Vi ho portato una copia dell'atto" "Sali !"
Mi aspettano sulla porta. Una stretta di mano ed eccomi di nuovo nel mio vecchio appartamento di Santo Spirito. Con orgoglio i nuovi inquilini mi mostrano i cambiamenti. Pavimento lucido di ceramica, stucco veneziano e un odore acre di mobili nuovi.
"Vieni, ti faccio vedere il resto". La seguo.
In tutta la casa non c'è più traccia né di me né di Mark,.
 
(pausa lunga)
 
Raggiungo Mark.
Dopo aver imboccato l'autostrada, gli racconto che fine ha fatto il nostro vecchio appartamento e in un niente ci troviamo a progettare quello nuovo.
 
Prima che nasca il bambino voglio ricostruire la stessa atmosfera che c'era a S. Spirito.
Piuttosto mettiamo l'armadio da qualche altra parte.
Bologna non ha il sole di Santo Spirito".
E chi se ne importa! Il giallo Napoli andrà benissimo pure a Bologna.
Già mi immagino il piccolo che ci disegna sopra con le mani sporche di cioccolata.

 


Michela Ciappini
ALLE DIECI DI MATTINA
 
Alle dieci di mattina
di quel venerdì,
pareva stanca, dormire supina
la piazza Morgagiù di Forlì.
Scarse le auto,pochi i pedoni
quel venerdì,
come tutti i venerdì a quell'ora,
calma scorreva la strada.
Ma dentro-centro si lavora:
palazzi antichi,cancellate,
vetri,porte,ringhiere,inferriate
tutto tutto mascherava.
Ma dentro-dentro si lavora:
romba,smonta,
mastica,svita
"Accidenti che fatica!"
"Uffa-uffa quanto caldo!"
Svelto-presto la ciambella,
via la crema, poi la granella!"
Il fornaio Sapigni Mario
lavorava lì,
affacciato sulla piazza Morgagni di Forlì.
Dentro a scuola
si studiava,lì:
oggi prima lezione di restauro
per la classe prima B.
 
Professoressa Benini Ombretta.
 
"Ma l'hai vista?"
"Si chiama Nicoletta."
"E' piccoletta?"
"No,Ombretta!"
"Che sonno!
"Bene! "
"Nooo,il cognome è Beninii!"
"Benone passami una sigaretta."
"Cela facciamo una maraffa?"
"O.K."
Relax autogestito.
 
La piazza Morgagni di Forlì
scorreva lenta quel venerdì
sotto le ombre nette
alle dieci e trenta perfette.
Passo-passo,
ore dieci-trentotto,
Tacco-tacco,
tacco-tacco ticchettante
"Tocca a te!"
"Butta il re!"
Tacco-tacco,tic,
tacco tic tac
tacco-tic
tacco-tac
"No quello di bastoni!"
"La briscola è spade!"
"Ehè, buongiorno! "
"Buongiorno sono la professoressa Benini Ombretta.
 
Tutti zitti,a sedere,via le carte,fuori il registro."
 
Scorreva lenta e franca
l'ombra stanca,
sulla Morgagni di Forlì,
quel venerdì.
"Disegnate il marmo! Quello!"
La professoressa Benini Ombretta posa al centro del tavolo un blocco freddo,incontestabile,compatto,di pietra grigia.Sì,forse marmo.
"Marmo in che senso?"
"Dai,quelle venature,penso."
"Sbirciamo un pochino..."
"Mi passi il temperino?"
"Non parlate! Si lavora!!"
La professoressa Ombretta
voce maledetta.
 
Scarse le auto,
raro il pedone,
silenziose scorrevan l'ore
in piazza Morgagni a Forlì,
quella mattina di venerdì.
Seppur minuta niente rendeva in lei deboli le sue intenzioni.
Ombretta, scarpette da Cenerentola, alla narice occhialino calante, otteneva sempre silenzio, e "sgabelli ordinati sopra il tavolo,a fine lezione!".
Finalmente sparite
le ombre impaurite
dal sol di mezzodì,
la piazza Morgagni di Forlì
solare e festosa,
eruttava ogni cosa.
 
Tram,pedoni,
scolari,colori,
borsa in spalla,
cicli in corsa,
intrecciavano illegali
strade e aree pedonali.
Corri svelto,
accellera, svolta!
frena scappa
verso casa unica tappa!
Dileguate le prede, muta rimane l'aula.La professoressa Benini Ombretta, camice bianco, cappotto e borsetta, ripone gli attrezzi, controlla gli sgabelli e sigilla la porta. Mano alle tempie,rincalza gli occhiali, batte i tacchi e se ne va.
 
Al sol di mezzodì
solare e festosa eruttava ogni cosa
la Morgagni di Forlì.
Al sol di mezzodi
Benini Ombretta compra una ciambella
da Mario Sapigni, fornaiodi Forlì.
Buon pranzo, cala la serranda
Buon pranzo, si avvia lenta
Ombretta Benini per la strada
Già vuota quel venerdì
In piazza Morgani a Forlì.

 


Linda Verzani
NON STAVAMO POI COSì BENE, IN CUCINA.
 
PASTA PER LE CREPES
MEDIA DIFFICOLTA'
PREPARAZIONE 30 MINUTI
COTTURA 20 MINUTI
 
AVEVO DISPOSTO GLI INGREDIENTI SUL PIANO DI LAVORO QUANDO CON NONCURANZA ZIA SILVANA - LA SORELLA DI MIO NONNO, VEDOVA - SI ERA IMPOSSESSATA DEL SACCHETTO DI FARINA E SI ERA TRASCINATA FINO ALLA BILANCIA PER PESARLA.
ANCHE NONNA ILDE CON PASSO DECISO ERA ENTRATA IN CUCINA. GUARDO' GLI INGREDIENTI SUL TAVOLO E LA ZIA CHE PESAVA LA FARINA SULLA BILANCIA. LA SUA BILANCIA ?! NELLA SUA CUCINA ?!
VELOCEMENTE APRI' UN CASSETTO DELLA CREDENZA E VENNE DA ME COL SUO RICETTARIO IN MANO, UN PICCOLO QUADERNO INGIALLITO PIENO DI FOGLIETTI APPUNTATI AI LATI. CONFRONTO' LA SUA RICETTA CON LA MIA.
N - E' MEGLIO CHE SEGUI QUESTA.
 
Z - NON SARA' MICCA QUELLA DELLE CRESPELLE, CHE QUELLA LA SO FARE MEGLIO IO DI TUA SORELLA.
N - A BE', SE LA SAI CUCINARE ANCHE TU, IO VADO SU A STIRARE.
 
Z - NO, NO. SE VUOI RESTARE. METTI CHE CI SERVE UN CONSIGLIO. IO PASSAVO LO SGUARDO DA UNA ALL'ALTRA PER CAPIRE COME IN UN PAIO DI MINUTI ERO STATA RETROCESSA DA CAPOCUOCA AD AIUTOSGUATTERA. VOLEVO FARLE USCIRE DALLA CUCINA.
 
L - MA NON DOVEVI STIRARE NONNA ? NON TI AVEVA CHIAMATO IL NONNO PER GIOCARE A CARTE ZIA ?
MA NESSUNA DELLE DUE SI MUOVEVA.
 
Z - QUI CI VUOLE ALTRO ZUCCHERO
 
N - ZUCCHERO ? SCHERZI, CE N'E' GIA’ TROPPO. DICO BENE ?
 
N - MA QUI QUANTA FARINA CI HAI MESSO ?
 
E DI NUOVO LA NONNA SI RIVOLGE A ME, PUR SAPENDO CHE E' STATA LA ZIA
A VERSARE LA FARINA NELLA TEGLIA.
 
Z - CE NE SONO 2 ETTI.
 
N - PENSAVO CE NE VOLESSE MENO.
 
Z - NO, NO. E' PROPRIO LA DOSE GIUSTA. VEDI LINDA COME C'ESCRITTO QUI.
 
N - BE', SE C'E' SCRITTO COSI'.
ANCHE DURANTE L'OPERAZIONE DI COTTURA ERANO DIETRO LE MIE SPALLE PER CONTROLLARE.
 
Z - METTICI PIU' BURRO
 
N - NO, CHE POI DIVENTANO TROPPO UNTE.
Z - MA SONO ANCHE PIU' BUONE.
 
N - SI', MA NOI SIAMO A DIETA.
 
E GUARDA INSISTENTEMENTE IL VENTRE PROMINENTE DELLA ZIA CHE TIRA
INDIETRO LA PANCIA E RIBATTE
Z - ... MIA MADRE USAVA LA MARGARINA.
 
N - TUA MADRE NON SAPEVA NEANCHE CUOCERE UN UOVO.
 
Z - L'UOVO NO, MA I DOLCI ...
 
N - SI', QUELLI CHE COMPRAVA IN PASTICCERIA.
 
Z - PERO' I TORTELLINI. QUELLI PICCOLI, GIALLI, SAI LINDA, LI FACEVA IL SABATO SERA, 5 0 6 VASSOI, E LI LASCIAVA RIPOSARE LA NOTTE COSI' PER LA FESTA AVEVAMO TORTELLINI IN BRODO E BOLLITO DI CARNE.
N - MA IL VERO SEGRETO E' IL PESTO, IL RIPIENO. SE NON E' BUONO IL PESTO, E' TUTTO DA BUTTARE.
 
Z - QUESTO COSA VUOL DIRE ? CHE I TORTELLINI DI MIA MADRE NON ERANO FATTI BENE ?
 
N - NO. DICEVO COSI'... PER FARE UN ESEMPIO... PERO' ...
Z - PERO' ?
 
N - PERO' C'ERA TROPPO GRANA. E NON A TUTTI PIACCIONO QUANDO SI SENTE MOLTO.
 
Z - COMUNQUE ERANO BUONI, TENERI. E IL BRODO, COSI' SAPORITO E CALDO CHE TI SCALDAVA TUTTO LO STOMACO.
 
N - BE', CON I SOLDI E' FACILE SCALDARSI ! MICCA COME NOI CHE IL BRODO LO POTEVAMO FARE AL MASSIMO UNA VOLTA AL MESE, QUANDO IL CONTADINO CI REGALAVA UNA GALLINA.
 
Z - NEANCHE NOI STAVAMO POI COSI' BENE IN FONDO.
 
N - NOI MANGIAVAMO LA CARNE SOLO LA DOMENICA.
 
Z - NOI SOLO UNA VOLTA AL MESE E ALCUNI MESI NON LA MANGIAVAMO NEANCHE...
 
N - INVECE UNA VOLTA NOI ABBIAMO DOVUTO DIVIDERE UNA CIOTOLA DI RISO FRA NOI 5 BAMBINI ...NON E' VERO CHE IN CASA NOSTRA DURANTE LA GUERRA SI MANGIAVA POCO, QUASI NIENTE ?
Z- A NOI DA PICCOLI SI VEDEVANO LE COSTOLE TANTO ERAVAMO MAGRI.
N- PERO’ VEDO CHE TI SEI RIPRESA BENE.
Z- IO MANGIO TANTO PER NON FUMARE. LO SAI.
N- E QUELLA CHE TENEVI IN MANO STAMATTINA COS’ERA?
Z- MALO SAI CHE FUMO PERCHE’ SONO NERVOSA.
N- NERVOSA PER COSA? CHE NON FAI NIENTE TUTTO IL GIORNO.
Z- TU INVECE NON RIESCI A STARE FERMA MAI. UNA DI QUESTE VOLTE TI VERRA’ UN INFARTO.
N- FIGURATI , IO VI SEPPELLIRO’ TUTTI.
Z- GUARDA CHE RESTARE SOLI AL MONDO NON E’ MICA UNA BELLA COSA.
N- HAI AVUTO VENT’ANNI PER ABITUARTI, MI SEMBRA CHE TI SEI RIPRESA PIUTTOSTO BENE.
Z- MA CHE NE SAI TU DI COME MI SENTO IO. TU C’HAI LA TUA FAMIGLIA, TUO FIGLIO, LE TUE NIPOTI. IO COS’HO?

 


Renata Adamo

CUCINA: INTERNO NOTTE
 
La macchina da scrivere, una lettera 32 Olivetti è sul tavolo, in cucina. E' notte. C'è silenzio. Sono nella casa di via Murri, a Bologna
Dovrei lavorare per la prova di dattilografia: 60 battute al minuto senza guardare i tasti.
Dispongo le dieci dita sulla tastiera. Non ce la farò mai a scrivere a quella velocità. 0 forse sì, ad una condizione: non devo fidarmi degli occhi.
Cerco un panno nero. Lo sistemo sulla tastiera e vi infilo sotto le dita. Tocco i tasti: la loro superficie è un po' incavata per far aderire bene i polpastrelli. Cerco di fissarmi in mente la disposizione delle lettere sulla tastiera, poi batto alcune parole a casaccio.
Scrivo: "domani Cristina ritorna a Merano". E ancora: "Merano- Méran, luogo doppio: bilingue, bietnico. Cristina è pure bilingue. Di cognome fa Ausserbrunner ma il suo fidanzato Rainer di cognome fa Serra". Cristina Ausserbrunner- Raiser Serra.
Continuo a battere sui tasti e intanto fisso lo sguardo sulla porta finestra. Dal buio di fuori penetra un odore di primavera. Scrivo ancora: "Cristina è incinta, si sposerà a maggio".
 
Il giorno dopo accompagno Cristina alla stazione. Al momento di congedarci lei mi infila nella borsa una delle sue bambole di pezza. Le confeziona con stoffe vivaci, sorridono e le somigliano un po’.
 
Ho rivisto Cristina dopo 17 anni mentre passeggiavo sulla Winterpromenade, a Merano. Una donna mi afferra per un braccio e mi fissa senza parlare. Al suo fianco c'è una ragazza. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso. E' Cristina, come io la ricordo. Cristina di 17 anni prima. All'orecchio mi giunge la voce della donna: la donna è Cristina invecchiata di 17 anni "Questa è Sigrid", dice, "mia figlia Sigrid".
 
Mentre tornavo a casa, mi sentivo come qualcuno che ha preso dei calci in tutta la persona.
E' notte. Sono seduta in cucina nella casa di mio padre. Ho le ossa ancora indolenzite. All'improvviso mi ricordo della bambola, quella che Cristina mi aveva regalato il giorno della sua partenza. Apro l’armadietto. Eccola lì, accucciata in un angolo. Sembra che dorma.
Le sollevo la testa.
"Non riuscirò mai a risvegliarla, penso. " O forse si, ad una condizione: non devo fidarmi degli occhi".
Spengo la luce. Dalla porta finestra appena socchiusa penetra un odore di primavera. Tocco la bambola. Prendo le sue piccole mani tra le mie e le batto una contro l'altra.
*"Einz, zwei, Polizei", mi affiora alla mente una filastrocca, ein Rattenschwanz, "drei, vier, Offizier", la cantavamo io e Cristina tanto tempo fa, "fúnf, sechs, die alte Echs, sieben, acht, gute Nacht..." (ripetere solo filastrocca a due voci che svaniscono).
 
*Uno, due, polizia; una filastrocca, tre, quattro, ufficiale, cinque sei, la vecchia strega, sette, otto, buona notte.

 


Mieko Sugawara
UN VIAGGIO CON LA SCATOLA
 
Ho guidato la macchina per la prima volta nella vita in Puglia.
 
In estate, il '97 ho fatto un viaggio con i miei amici pugliesi si chiamano Daniele, Giovanni, Mario.
 
Questo ragazzo, Daniele Marra è nato il 18 aprile 1959 a Milano. Era un bimbo piccolo e magro. Nel 1964,la sua famiglia ha traslocato da Milano a Lecce, dove sono nati i suoi.
Adesso abita a Bologna, fa il restauratore. Va a Lecce due volte l'anno a trovare i suoi 3 figli e la loro madre.
 
Lecce, dove sono nati 3 ragazzi, è a 800 Km più a sud di qui, Bologna; a proposito con la stessa distanza più a nord da Bologna si può arrivare a Vienna.
 
A Bologna, Daniele ha complato volkswagen polo grigia 3 anni fa come auto d'occasione.
 
Lui ha fatto 3 volte il terzo anno della scuola media. Infatti non era bravo. Prima di prendere la licenza media, ha deciso di non fare il liceo. Nel 1977 ha cominciato a lavorare con suo padre che fa carpentiere come assistente.
 
Io avevo bisogna di assistente di guida. Lui si è seduto a destra, altri due ragazzi dormivano dietro, in pace,pace,pace....
 
Nel 1983, lui è diventato padre per caso.
 
I genitori di Daniele sono restati a bocca aperta. Anche lui.
 
Anch'io sono restata a bocca aperta con piena di paura quando ho cominciato a guidare dalla grande via di comunicazione che porta da Lecce a Maglie. Maglie è un comune in provincia di Lecce, dista 40 Km da Lecce.
 
A 40 Km l'ora. , ... Questa è velocità del polo grigia.
La strada per Maglie era sempre diritta, infinita e poi c'erano pochi semafori e macchine
 
Lui era sempre magro, alto; quindi non ha potuto fare il servizio di militare a causa della mancanza di peso.
 
C'era solo un gran campo di olive intorno strada. Daniele mi Spiegava bene come il padre legge un libro per bambini.
 
Lui ha avuto 2 figli dopo il primo figlio. Nel 90, lui ha trovato una fidanzata a Bologna.
 
Dopo 20 minuti, questa scatola in cui ci siamo noi 4 ragazzi è arrivata ad un semaforo prima di Maglie .Ho fermato la scatola. Mi sono stancata di guidare Purtroppo io non avevo la patente di guidata.
 
La vita di Daniele è sempre la stessa; in agosto ed a Natale torna a Lecce. E' ancora magro, ancora non è sposato ma ha 3 figli a Lecce.
 
Dopo quella volta, non ho guidato mai più.

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e-mail: cimes@muspe.unibo.it