Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna RARI_M_D3_testo
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ELOGIO

A

MARIA BRIZZI GIORGI

NELLE SOLENNI ESEQUIE

A LEI FATTE

DALL’ ACCADEMIA FILARMONICA

Il I. Decembre 1812.

IN S. GIOVANNI IN MONTE

DI BOLOGNA.

 

 



BOLOGNA MDCCCXIII.


TIPOGRAFIA DE’ FRANCESCHI.


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[p. 3]

A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR CONTE

FERDINANDO MARESCALCHI

Ministro delle Relazioni Estere del Regno
d'Italia, Grand'Acquila della Legion
d'Onore, Gran Dignitario, e Can-
celliere del R. Ordine della
Corona di Ferro ec. ec. ec.




ECCELLENZA.



L'Accademia Filarmonica fece a Madama Giorgi solenni esequie; nelle quali fu recitata l'orazione che dedichiamo a Vostra Eccellenza e di dedicarla abbiamo preso consiglio principalmente dall'orazione medesima. La quale deducendo l'encomio di quell'amabil donna dal suo valore in una pregiatissima arte, dimostra come la Giorgi adornò colla musica la sua bellezza, adornò i costumi, si compose la fortuna perciò che facendosi [p. 4] graziosa ai Signori dalla benevolenza loro acquistò facoltà per esercitare il suo pietoso desiderio di giovare chiunque fosse in bisogno, e farsi amica a tutti: Di che divenne tanto cara nell'universale, che viva e morta fu con raro esempio amata ed onorata. Così l'elogio della Giorgi ci riesce veramente un'encomio dell'arte, che fu prima radice ad ogni suo merito, ad ogni suo bene. Ma a cui si deono più lodare le Arti che a Vostra Eccellenza, che tutte le favorisce con benignità da privato e con larghezza da principe? Quello che sa la Francia, e sa l'Italia, e singolarmente gode la nostra città, non abbisogna del testimonio di nostre parole: E come a lodare così a ringraziare ci sentiamo insufficienti per tutto quello che fa Vostra Eccellenza di beneficio pubblico. Solamente professiamo il nostro particolare obbligo per averci degnato di accogliere questo piccolo segno della nostra devozione.

Bologna 2. Maggio 1813.

 

Di VOSTRA ECCELLENZA

Umilissimi devotissimi ossequiosissimi servi

GLI EDITORI.


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Che a lodare oggi solennemente Maria Brizzi Giorgi abbiate, o Accademici, richiesto la mia debile voce potranno molti a lor senno maravigliarsi: ma l'onore che fate a quella cara anima sarà certamente da tutti come ufficio di pietà giustissima commendato. Chè non siamo soli noi a compiangersi di avere perduto la Giorgi: ma quando le altre morti appena sogliono avere privato pianto, questa fu di lutto comune; e laddove il nome dei più suole col cadavere insieme seppellirsi, il nome di Maria Giorgi, bella ingegnosa amabile di bontà sincera, da quanti in Bologna e fuori nella sua fine si dolsono ricordato lungamente vivrà. E se a ciascuno sta bene avere grata memoria di questa donna, in quanto nella sua dolce conversazione si piacque, o del suo cuore benefico si giovò; tanto meglio conveniva alla vostra accademia continuare con affetto alla defunta l'onor singolare che a lei viva faceste. Nel quale onore io dubito se io ponga innanzi il merito e la modestia di lei, o il vostro generoso giudicio. Poichè la Giorgi non chiedente spontanei eleggeste, quando la [p. 6] voce della patria anzi dell'Italia, e (per vero dire) da molti lati d'Europa la fama vi ammoniva che al vostro bel numero male mancava questa così eccellente e ammirata per soavità rarissima di musica: ed ella, pur tacente di se, vi pregava per l'amica Isabella Colbran. Accettaste a sua petizione la Colbran, degnissima di essere dalla Giorgi raccomandata: e lei pregando invitaste ad occupare tra voi il seggio che troppo lungamente vacava. Deste ai Concordi esempio che pronti seguirono. Nè dovrà l'uomo biasimarvi come lenti: avvegnachè tanto è più caro il pregio degli onori che vengono maturi, e rimosso ogni sospetto di ambizione, dal giudizio libero e sicuro della fama non pure confermati ma comandati.
         E alla fama precorse di buon'ora un privilegio notabile della natura: la quale, a grado eminente nella musica destinando costei donolle temperamento di complessione e di spiriti a quella perfezione abilissimo; e sortille di nascere da una famiglia che da quest'arte avesse vanto, e fortuna: quando nella patria i fratelli n'erano lodati; e alcun di loro nelle corti di Monaco di Parigi di Vienna acquistò onoratissiini premii. Di lei presto apparve a quanto dovesse riuscire; che fanciulletta di nove anni fu con molto stupore ascoltata pubblicamente sonare: ed aveva pur dodici anni quando le suore di San Bartolomeo in Ancona la domandarono a regolare la musica del [p. 7] monastero. Dopo tre anni ritornata, fu appresso altrettanti data a marito: e di averla meritò Luigi Giorgi. Nella quale giovinezza e libertà era pericolo che i più facili piaceri seducendo vincessero l'amore dell'arte, la quale appena con fatiche lunghe si guadagna. Ma l'indole buona e 'l sano accorgimento prevalse. In quel fiore di così freschissima bellezza la Giorgi, nel frastuono delle novità lusinghevoli di quel tempo, non per tanto dimenticò di quale ingegno colla natura e con se medesima avesse debito; e stimando l'avvenenza, comunque sì ambita esser caso, volle poter essere lodata di cosa che contenesse alcuna parte di virtù. Seguitò studiosamente nella sua musica; e con virile animo non ispaventossi nè per quattro anni si stancò di imparare il contrappunto; sapendo che all'invidiato ma fuggitivo pregio del corpo aggiungeva ornamento non meno caro e più durabile.
          Avea voce e animo per ottener lode parimente rara nel canto; ma il dilicato petto non sostenendo la fatica, sperò ed ebbe pure eccellenza di fama dal sonare. La quale si acquistò non solamente per agilità dì mano destrissima ad appianare le difficoltà, in che l'arte a dì nostri (forse troppo ambiziosamente) si compiace; ma per iscienza profonda, cui non possono dare impaccio le malagevolezze onde il mezzano sapere si tarda o si spaventa. Ella di musica era peritissima, [p. 8] non solamente a sonare ma a comporre: e molte sue composizioni rimangono, non come di donna ma come di artista lodate. Bello a vedere fu per due anni l'armata gioventù bolognese muoversi a’ passi militari colla musica d'una bella giovane di vent'anni: Bello a udire che la musica di lei salutasse le prime vittorie italiche di Napoleone. E quando nell'807. la città fece riverenza al Principe figliuolo di Napoleone Augusto, quegli pure ascoltò le sue e le paterne lodi cantate con musica della Giorgi. La quale, già per l'ingegno e per gli studi sufficiente maestra, cortesemente a molti insegnò quello che egregiamente sapeva: e molti oggi son lodati, uomini e donne, che volentieri da lei riconoscono ciò che hanno di fortuna e di valore nell'arte. Ben confesso ch'io non crederei, se non ci fosse testimonianza solenne d'intere città, ch'ella bastasse a ben comporre improvviso. E quanto sia mirabile tanto è certo che più volte nelle accademie pubbliche e ne’ teatri si sperimentò con sonatori valentissimi; ora invitandoli di creare subiti motivi, a’ quali col Pianoforte si accompagnava; ora pregandoli che i trovati da lei similmente seguitassero.
          Sì manifesta e straordinaria virtù non lasciò luogo all'invidia: Onde però la Giorgi con sincera ammirazione fu liberamente e universalmente celebrata. Di lei si onorò la patria; di lei corse grido per le contrade lontane; [p. 9] lei esaltavano uomini e donne i professori; e i maestri, che non adulano, a lei dedicavano in Italia loro opere, a lei in Germania; lei visitavano i forestieri, che molte fiate per sua cagione facevano in questa città più lungo soggiorno; lei accoglievano già nota e desiderata gli altri paesi; nè dovette parere bugiarda la fama a’ cittadini di Vienna, che udivano lodarla da Clementi da Cozeluq, e da quello che bastava nominar solo Giuseppe Haidn: di lei chi perdeva la presenza voleva almeno l'immagine; onde in Italia e fuori sono moltissimi i ritratti; lei celebrarono assai poeti de’ nostri de’ francesi degli alemanni
          Nè di tanta universale affezione dee stupire chi sappia (e chi non sa?) ciò che fosse comunemente ammirato e amato nella Giorgi: la quale avendo luogo primario tra’ più valenti nella musicale scienza, conquistava poi i cuori per una soavità nello esprimere gli affetti, che veramente era singolare. E già a questo fu trovata colla poesia la musica: di che paiono oggidì molti, perversamente ambiziosi, non volersi rammentare. Ma chi intende a regnare negli animi ed essere popolarmente nelle bocche di affezionati lodatori, considera come per le difficoltà da molta e arcana scienza superate, con pochissimo nostro piacere e con vanto dell'artista ci punge un secreto amaro d'invidia della soverchianza altrui: mentre la grazia affettuosa, [p. 10] non mostrando orgoglio, con tanta dilettazione ci entra nel cuore che dolcemente ci sforza ad amore di colui ond'ella proviene. Oltrechè la scienza (che è cosa come a dire aspra e disdegnosa) potendosi con ostinata fatica acquistare da molti; laddove quell’amoroso affetto di grazia nelle arti è privilegio da sola natura donato a pochissimi: quindi avviene che le genti più leggieramente si passino di ciò che potere anch'esse volendo conseguire si stimano, e quello adorino di che veggono le brame di moltissimi disperate. Quell'armonia cara che nella intenerita anima non fuggevolmente risuona, quella guadagnava ogni cuore alla Giorgi: di questa 1'amavano in ogni contrada gl'italiani, che meglio d'altra nazione la sentono; di questa la esaltavano i francesi che volentieri, se sapessero, la cambierebbono ai loro strepiti e alle loro monotonie; questa soavità specialmente le invidiavano i tedeschi, maravigliosi di studio in qualsivoglia arte imprendano; i quali non di vincer tutti creando sempre e superando stranissime e inaudite disagevolezze si diletterebbono, se sperassero di giugnere alla squisita facilità di questa italiana dolcezza. Per virtù della quale la Giorgi ammirava sopra tutti i maestri Cimarosa e Paisiello: e qualora si sperava d'intendere 1'affettuosissimo sonare della Giorgi, tanto se ne prometteva ogni uomo di contento al cuore che riuscivano anguste le sale, nè i teatri alla folla bastavano. [p. 11] E quantunque più volte ritornassero i medesimi uditori (cosa maravigliosa d'istrumento facilmente sazievole) partivano ogni volta con desiderio. Ma come quell'antico artista più d'un solo Platone che d'uno intero teatro lodatore si compiacque; così Maria Giorgi dovette sopra ogni altra lode pregiarsi che di lei fosse contento quell'onore dell'età nostra, il quale nelle musiche tanto ama la dolcezza affettuosa, Antonio Canova.
          Questa donna, celebrata da' professori e da ogni generazione di privati, era necessario che venisse a notizia de’ grandi e de' principi; i quali dal testimonio costante della generale opinione accolgono giudicata e certa la eccellenza degli artisti. E i signori e i principi conobbero la Giorgi, e la gradirono. La conobbero in diverse parti d'Italia e fuori, dovunque il volere o le occasioni o gl'inviti la recarono, precorsa dal comune grido, accompagnata da lettere di Ministri; in ogni luogo riportò onore, riportò premii, e ciò che più stimo amicizia.
          Quì molti pensieri mi sospingono, o Signori, di alzare la mente e le mani a Dio, dal quale oggi preghiamo che tra i cori eternalmente beati conceda riposo a questa gentile anima; e m'invogliano di ringraziare quella pietosissima provvidenza che a' mortali donò le dilicate arti, tra le quali è sì cara parte la musica, potenti ad aprire e intenerire i petti che da superbia indurati si chiudono. [p. 12] Oh di quanto bene sarebbe privato il mondo se di quelle mancasse! Quale congiunzione si troverebbe, in tanta disugualità di fortuna, tra grandi e piccoli? Quindi superbo imperio, e quindi misera necessità di servire. Ecco a' poveri agricoltori, senza i quali pur non si vivrebbe, come duramente si comanda! e come ingratamente la vita de' ricchi si fa aiutare dalla turba de' meccanici artieri! Certo non giace in basso l'ingegno de' medici de' leggisti de' matematici; ma la dottrina di costoro è più presto adoperata per l'uso che per amore cercata. Fanno buon senno i filosofi quando per celato sentiero di solitaria vita camminano; perocchè se escono al mondo, e lo richiamano alla virtù degli antichi esempi, o nelle storie osano mostrare anticipato il giudicio degli avvenire, hanno pronti o gli scherni o gli sdegni di coloro che a godimenti e non a fatiche si credono destinati. Il servigio de' mestieri e l'ufficio della sapienza non toccano il cuore e nol mutano; perocchè nel cuore non ha forza altro che il piacer presente, il quale sia con alcuno esercizio d'intendimento. Per questa cagione le graziose arti ammorbidiscono e piegano la rigida altezza de' potenti, che volontaria s'inchini a gradire a carezzare quasi direi ad amare la piacevolezza ingegnosa de' minori. Di che tra sì contrarie indoli e tra educazioni sì disformi generandosi una specie di benevolenza sociale, e poco meno che d'amicizia, [p. 13] alcun poco si ristrigne il paventoso intervallo onde fortuna ruppe e separò la natura comune. Questa divina efficacia delle arti ad ammollire quantaunque durezza e ricongiugnere le più discordanti generazioni, bene la intese quella antichissima età che simboleggiando narrò vinti al cantare e alla cetera di Orfeo andare appresso dimentichi della nativa fierezza mansueti e piacevoli i leoni e le tigri, e commosso a insolita pietà mutare suoi aspri decreti il re d'inferno. Ma noi lasciando le antiche istorie, non che le favole, e restandoci alla memoria de' padri, abbiamo grande esempio come si vide la melodia de’ versi affettuosi fare graziosissimo a Carlo Cesare e alla figlia Augusta Pietro Metastasio; moltissimo favore appo il cattolico re Carlo procacciare la pittura a Rafaello Mengs; e con Ferdinando Sesto niun uomo essere sì grande come il cantore soavissimo Carlo Broschi; i quali da umile nazione il merito delle arti esaltò, e nelle prime reggie di Europa magnificò. Di che sia lodato il provvedimento di natura, che i beati ricchi nella sazievole abbondanza di ogni loro desiderio vengano assaliti spesso da fastidio e cruciati da noia; i buoni principi sotto il fascio di negozi gravissimi tale fiata si stanchino: conciossiachè in questi il continuo travagliare della mente ne rompe il vigore; in quelli diviene inquieta e tormentosa per troppo cessare la naturale attività dell’intelletto, impedita dall' [p. 14] eccessivo operare de' sensi: e a quelli e a questi porge gratissimo o sollievo o rimedio la varia industria delle arti, ricreando e rinnovando gli animi colle immagini deliziose delle scelte bellezze, e col sentimento degli affetti soavi: in che facilmente e dolcemente esercitandosi risana cui l'ozio ammalava; e non oziosamente riposa chi dal duro travagliare era rotto. E noi nella fortuna umile abbiamo un compenso onde la mondana grandezza non sempre ci dispregi. Poichè impararono i grandi come queste arti a solo diletto trovate perciò appunto si chiamano e sono liberali che nell'animo da vile servitù contristato e agghiacciato non potrebbono germogliare; ma a nutrire lor frutti domandano calore e letizia di onesta libertà: Di che il gentile uffizio piacevolmente richiesto, non altieramente comandato, poi quasi dono di cortesìa gradito, è con gara di liberalità rimunerato.
          Vero è che recati alla conversazione ambita e pericolosa de' maggiori non tutti camminano sicuramente in quella insolita altezza; ma vacillando quivi perdono la pace e il decoro, secondochè o dimenticando o troppo ricordando la primiera condizione, ora per viltà ora per insolenza discordano da quella temperatura di costumi che mantiene quiete e dignità. Dal quale difetto fu mirabilmente lontana Maria Giorgi: sempre la vedemmo con franchezza onesta, non vergognosa, [p. 15] non superba, liberamente modesta conversare coi signori ai quali l'arte fortunata l'approssimava. Direste che la fortuna e i costumi in lei dalla soave gentilezza dell'armonia pigliavano qualità. Non dava ai grandi sazietà, non dispregio, bensì desiderio del suo conversare, egualmente lontana da bassezza, lontana da arroganza.
          Nè poi quelle mondane pompe l'abbagliavano e la insuperbivano, sicché le dolesse il dipartirle da se, e la tranquillità solitaria o la consuetudine de' privati amici le venisse a fastidio. Anzi della quiete domestica e delle familiari amicizie mostrava che più cordialmente si piacesse: e niuna era sì povera e infelice persona ch'ella amorevolmente accogliendo non cercasse con ogni studio di aiutare. Alcuni credono avare naturalmente e invidiose il più delle femmine: ma questa certamente fu di tutto suo potere liberalissima. Non aspettava che le amiche la richiedessero, o pur facessero alcuna vista di bramare; spontaneamente offeriva e istantemente pregava che togliessero se avesse cosa niuna a lor grado. Per soccorrere i miserabili non perdonava a quanto le venisse alle mani; mancandole pronto danaro impegnava gioie argenti vesti, checchè altro potesse: quando nulla avea, ricorreva al marito, eccitava la pietà degli amici. Nè in ciò era punto di ostentazione; dalla quale fu di parole e di fatti sempre alienissima. Il vero è [p. 16] che quella benignità d'indole tenerissima niuno male altrui poteva patire; quanto meno fare! Quindi non udirsi mai (e questo è pure gran cosa, o Signori, grandissima certamente) non udirsi mai una sua parola che potesse minimamente altrui offendere o contristare. Comunemente si crede esser le donne rivali ciascuna di tutte, persino delle non conosciute; e ciò tanto più quanto minori cose hanno da contendere insieme che gli uomini: onde paiono di mal grado stare in compagnia, quasi naturalmente emule. Costei come amica volentieri con tutte: e se taluna pure non seppe celare l'invidia, essa non fece pur vista di accorgersi. Quella benevolenza universale, di che il mondo reputa semplice chi in cuor l'abbia, e garrisce come villano chi impudentemente non la finga (nè poi è sì agevole, come altri crede, il fingerla) fu nella donna che lodiamo costante manifesta sincera. Lungi dal detrarre di chi professasse la sua arte, era di lodi profusa. Lodava liberamente con verace ammirazione gli eccellenti: e per verità non le veniva da temere che l'altrui splendore la adombrasse. Lodava non parcamente i mediocri: a commendare e a promuovere tutti prontissima, intantoche parve tal fiata in questo soverchia e incauta; come se volontaria facesse inganno alle genti che nel giudicio di lei si confidavano. Di che ricevendo talora dagli amici cortese rimprovero, benignamente scusavasi [p. 17] che dovea aversi rispetto al bisogno di chi fosse per avventura più scarso di merito. -- Che è a voi (diceva) gittare un poco di superfluo della vostra moneta, onde quel pover uomo a se e alla moglie e a’ figlioli tragga la fame? Nol trovaste eccellente, come credeste che io il vi promettessi: ma in ciò ha colui più di sventura che di colpa; il quale certamente operò ogni suo possibile per riuscire al sommo; e non potè. Ma viver bisogna anche a' mediocri, anche a’ non sufficienti. -- La quale parola non approverei ad un uomo, e massime se la riputazione o gli uffici gli dessero autorità: chè a questo modo si nutrica e si cresce la impudenza; a questo modo si guastano e si inviliscono le arti: le quali non vogliono essere profanate e vilipese da temerari, ma con riverenza da pochi e ottimi onorate. Ma questa sapienza austera mi riuscirebbe odiosa in donna; dove non vidi mai (vera o finta) severità che non fosse maligna. A voi, donne, sta bene non giudicare accigliate come da tribunale; ma pietosamente scusare ciò che lodare non si può. A voi diede natura le bellezze lusinghevoli, e tanto potere di occhi e di parole a persuadere, acciocchè da voi prendessero gli uomini la commiserazione e la piacevolezza; che fuor de' negozi pubblici è sempre da antiporre al rigore della giustizia.
          Quella pietà che tanto abbellisce e adorna la bellezza non cessava mai nella Giorgi. Tante illustri amicizie di signori ne' magistrati negli [p. 18] eserciti nella corte potenti erano da lei continuamente adoperate in aiuto degli infelici. Chiunque da malignità degli uomini o della fortuna percosso aveva in lei sicuro e amoroso rifugio. Quella bocca non si apriva se non per cagione di far bene: e pareva che pur di questo fossero tutte le sollecitudini e tutti i pensieri di quell'anima benedetta. Onde a noi sarebbe necessario giudicare non buono cui nell'animo capisse di detrarre per verun modo a questa sì pietosa donna. Ma noi lo stimiamo impossibile di chiunque la conobbe. E chi non la vide, da quale racconto potè attignere di non amarla?
          Ben ella si godè in una amicizia universale il degnissimo frutto di sua conosciuta bontà: chè propriamente per la bontà rara fu così amata da tutti. Nè tolgo perciò il suo luogo alla bellezza, raggio di luce divina onde pare che il cielo agli uomini consolando sorrida. E la Giorgi fu bellissima; che bella parve a quel supremo giudice e parco lodatore di bellezze Canova; il quale (me ascoltante) fra gl'intimi amici spontaneamente lodolla essendo trecento miglia lontano da lei. Persona giusta svelta avvenevole: capegli nerissimi lucenti, che facevano meglio apparire la carnagione bianchissima soavemente colorita; occhi, certo de' più belli che mai si vedessero al mondo, neri lampeggianti parlanti con dolcezza maravigliosa; bocca amorosa ridente; mani delicate. E quale parevano le mani [p. 19] la bocca gli occhi tutta la persona quando ella sedeva sonando! oltrechè in bello e grazioso corpo qualunque virtù d'ingegno è più cara; direi che allora l'ingegno e l'arte non eran pure aggiunto ornamento a quella beltà amabile, ma divenivano propria e intrinseca parte di essa. E nondimeno io tengo e affermo (ciò che per molti esempi si vede) che tutte le più care qualità scompagnate da bontà vera e conosciuta sarebbono atte a partorire più presto invidia e odio che sincera benevolenza nell'universale.
          Ma la bontà verace di Maria Giorgi fu amata cordialmente da tutti: fu amata in vita; e meglio ancora si parve nella sua morte; la quale fu sentita come danno pubblico, fu da moltissimi pianta quasi calamità domestica. Appena si seppe la Giorgi essere a caso di forte pericolo, non quelli solamente che della sua conversazione godevano se ne mostrarono ansiosi; ma un popolo di minute genti o di povere, che per la sua carità e per i benefizi la conoscevano, fecero continuo assedio alla sua abitazione per averne le novelle; e udendole tristi, come di grave e di propria sciagura si lamentavano. Era pieno e calcato sulla strada e la piazza quando il corpo si portava alle esequie; centocinque sonatori vollero gratuitamente di loro arte prestarle estremo ufficio di amicizia; oltre un miglio fuori della città (per sì aspra stagione) l'accompagnò una moltitudine dolente alla sepoltura. [p. 20] Non bastò il primo funerale alla pietà de' parenti; e con grandissimo concorso fu nel secondo pubblicamente lodata. Nè voi soli, o Accademici, questi onori funebri con orazione le ordinaste: i Concordi hanno stabilito anch'essi di onorarla con poesia e con musica; e la società del Casino (che è tanta parte della città ) volle oltre le musiche e i poemi con laudazione celebrarla. Più mesi dopo la sua morte fu udito un venerando pastore, uomo d'età di giudicio di professione di costumi grave, pubblicamente in chiesa con parole magnifiche esaltare le virtù di lei, e la perdita come grande e memorabile deplorare. Quale altra, anche in più splendida fortuna, ebbe tanto di onori? Nè a queste passaggere pompe sta contento il pubblico amore ch'ella meritò: di memoria durabile in cospicuo luogo del cimitero comune le farà monumento scolpito, che i costumi soavissimi e la perizia egregia nell'arte certifichi agli avvenire.
          E tutto questo è premio alla bontà universalmente conosciuta e cara: di che ella godette merito ancora più desiderabile in quella sicurtà della coscienza intima che le diede sì placido e invidiabile fine di vita. In su quella ultima linea delle cose mortali non solamente facciamo noi giudizio certo dell'uomo, ma l'uom giudica sinceramente se stesso. Per ciò non terrori non angosce, non lamenti non lagrime, non disperato silenzio accompagnò costei al passo donde non fu mai ritornato; ma [p. 21] ella entrovvi con serena tranquillità, con umile fiducia in Dio, con voci di speranza e di amore. Giustamente all'estremo bisogno in lui confidava cui sempre aveva temuto: l'aveva onorato col cuore in tutta la vita, e con quegli atti di culto che la religione timida e non letterata ansiosamente moltiplica; i quali sebbene ella (conoscendo il secolo) nè pubblicasse nè ascondesse, non però se ne vergognava nella presenza di quelli che più domesticamente con lei vivevano. Sapeva poi benissimo come la religione più accetta a Dio, e la più raccomandata a' cristiani, è la pietà verso i prossimi, nella quale si era continuamente esercitata; e di ciò aspettava mercede dal misericordioso padre. Al quale io stimo ch'ella offerisse grato sacrificio di quella che fu l'ultima delle sue opere umane, e fu per dare conforto alla famiglia afflitta: (e bene alla sua famiglia dovrà essere perpetuamente memorabile il giorno 26. decembre 1811.) ch'ella già vicinissima di alquante ore al parto, e già nelle doglie, si alzò e passò alle camere dove i suoi con pochi amici, rammaricandosi del pericoloso travaglio di lei, ascoltavano la maggiore delle figliuole che per fare qualche inganno ai comun dolore sonava. Quivi Marietta, pregando gli amici a farsi animo, dissimulando i tormenti che pativa, dissimulando ciò di che era presaga, volle sopra un motivo di Paisiello sonare come le succedevano in mente alcuni affettuosissimi concetti, pieni [p. 22] di malinconia sì dolce che facevano per tenerezza piangere chi li intendeva: e guardando in lei pur cresceva il pianto. Ma ella non mescolandosi alle lacrime delle quali sentiva se esser cagione, e ritornando al letto donde non dovea più sorgere, disse queste parole proprie, che ora si morrebbe contenta di aver dato quella consolazione e quel diletto al marito e alla famiglia. Poi chiamatasi appresso la figliuola domandolla come avesse ben ricevuto nella memoria que' suoni; e molto raccomandolle che tale e tal parte più diligentemente studiasse di serbare, dov'ella interrompendosi e ripigliandosi (con affetto non possibile a narrare) aveva espresso quel breve ristarsi dell'anima e rivolgersi alle amate cose che non dee vedere mai più; e mostrò aperto desiderio, e quasi per testamento pregò la sua Teresina, che dopo se durasse quell'ultimo saluto ch'ell'aveva dato alle sue cose più care.
          Rivolgendo io nella mente quanto si esalti e si celebri per effetto di straordinaria sapienza l'animo d'insigni uomini non alterato nel morire; tanto più mi è stupendo con che forte cuore e lieto questa donna (siccome narrano quelli che intervennero a' suoi momenti estremi) abbracciò il suo destino. Il quale per verità a tutti pareva acerbo: esserle interrotto, appena giunta alla metà, il cammino che può permettere la natura di compiere; nel colmo della età, in fortuna prospera, [p. 23] partirsi da tanti amici che ogni dì le rallegravano la casa; lasciare la città, che era per lei quasi una famiglia; separarsi dal marito col quale concordissimamente viveva; perdere le figliuole, delle quali una ancora tenera e bisognosa delle materne cure, l'altra in quegli anni che davano alla madre speranza di presto vederne compiuta gioia di nipoti, e di rallegrarsi in quella gentilissima e dolcissima indole e in quella tanta perizia della materna arte: finalmente (e questo più feriva il cuore) finalmente abbandonare (e chi sa a quanti casi?) il figliuolo testè nato, il suo Eugenio, che tanto le costava; al quale se vivrà, comunque del resto sia fortunatissimo, qual cosa potrà mai togliere questa perpetua tristezza di udir tanto lodare sua madre, e non avere potuto conoscerla? Quante cagioni di sentire acerbissima e troppo dolorosamente immatura la morte! E nondimeno ella medesima se la giudicò, quando i medici volevano tuttavia rassicurarla ch'ella non era sfidata; e domandò istantemente i cristiani misteri, per sua consolazione (diceva) e per buono esempio; ed essa medesima chi le piangeva intorno consolò, paragonando la sua dipartita a un viaggio che da supremo ordinatore, innanzi alla opinione del peregrino e de' compagni, senza ingiuria senza danno per occulta provvidenza sia fermato: senza lagrime sino all'ultimo senza sospiri, parlò con bella e accesa fiducia in Dio, che la accoglierebbe [p. 24] nella eterna pace; e parevale che le mandasse incontro i suoi angeli consolatori, e che una musica lieta di paradiso la invitasse al bacio del creatore, alla compagnia de' buoni nella immortale felicità. La quale a te, o benedetta, con fedele amore pregano gli amici che lasciasti in terra, sconsolati; se non quanto alla mestizia di averti sì presto perduta è conforto nel ripensare i tuoi dolci costumi, e la divota quiete del tuo fine.

 

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