A vita musicale di
Bologna nel secolo decimottavo fu talmente intensa, che
dovrebbe essere oggetto di studio profondo. A me, dilettante
in materia, giova scegliere un periodo breve, leggero nella
produzione, e nello stesso tempo non privo di interesse.
Tale è il periodo che può essere definito
napoleonico, e che va dal 1796 al 1815.
Mentre gravi
avvenimenti cambiavano, di un tratto, la fisonomia politica
della Europa intiera, quali erano gli scrittori musicali che
lavoravano in Italia e fuori? Già era sopita, nel
campo del teatro, la lotta tra i seguaci di Gluck e di
Piccinni; il primo infatti era morto nel 1787: il secondo,
vecchio di settant'anni, più non produceva. In
Francia Grétry e Méhul, in Italia Paisiello,
Cimarosa, Cherubini e Spontini preparavano lentamente la via
al melodramma moderno: non ancora Weber, allora fanciullo,
aveva inaugurato il romanticismo nel teatro: nascevano
Meyerbeer nel 1791 a Berlino: Gioacchino Rossini nel 1792 a
Pesaro.
Ma intanto
in Germania e in Austria, la Musica pura e fondamentale, la
musica sinfonica aveva fatto passi da gigante. Quando il
nome di Bonaparte risuonò da prima glorioso in
Italia, Haydn aveva già 64 anni, e compiva coi suoi
ultimi oratori, il ciclo delle sue composizioni: Beethoven,
di soli 26 anni, già aveva scritto grande parte della
sua musica di prima maniera, Mozart era morto a trentacinque
anni, nel 1791, l'anno che nasceva Rossini. Un italiano,
allora poco noto, ma che può stare presso ai
maggiori, il Clementi, quarantenne, viveva allora tra Londra
e Vienna, e già poteva vantare una forte produzione
di musica da camera e sinfonica.
Ma, tra il
risuonare lontano di nomi sì grandi, quale era il
vero
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|
gusto musicale
del momento in Italia, e più specialmente a Bologna?
Non credo che in quel ventennio il gusto possa dirsi abbia
subìto radicali trasformazioni: credo invece che
l'apparire della Rivoluzione francese, abbia informato colla
sua influenza la scuola tedesca nella sinfonia e la italiana
nel melodramma. Beethoven, coetaneo di Napoleone, ritrae
nella sua musica la grandezza degli avvenimenti eroici e la
profondità del senso individuale: Rossini, cresciuto
ed educato più tardi nella Bologna napoleonica, (alla
quale non si può negare maggiore genialità di
quella papale) si libera dalle pastoie della scolastica, e
lancia all'Italia dalla pura vena melodica un torrente, sia
pure poco profondo, di fosforescenze musicali.
Non intendo
insistere su queste relazioni tra gli eventi politici e le
manifestazioni artistiche. Mi domando ancora una volta:
quale era il gusto musicale del momento? Risponderò
molto semplicemente: l'Italia era ancor in cerca di un gusto
musicale qualsiasi. E la prova? Porto come documento un
concorso con premio, bandito(1)
col seguente programma, a Milano, nel 1811.
«Determinare, in tutta la sua estensione, e con gli
opportuni confronti, il gusto e lo stato attuale della
musica in Italia, indicare i difetti se ve ne abbiano, e gli
abusi che possono essersi introdotti; e quindi assegnare i
mezzi più idonei per allontanarli, e portare la
musica alla sua maggiore perfezione».
Mentre
dunque si fondavano importanti scuole musicali (e vedremo
sorgere il Liceo di Bologna) mentre queste scuole erano
frequentate da alunni valorosi, si riteneva ancora che il
modo di salvare la musica italiana dovesse indicarlo il
vincitore di un concorso, il quale, tra le altre cose,
doveva anche determinare quale fosse il gusto musicale del
momento.
Al concorso
prese parte, e ne ebbe il premio, un certo Perotti, di
Vercelli, accademico filarmonico di Bologna, del quale
esiste, elegantemente pubblicata, la vuota dissertazione.
Egli ci dice intanto che i migliori rappresentanti della
musica italiana di allora erano il Mayer il Paër, lo
Zingarelli: si guarda bene dal nominare quelli che oggi
riteniamo assai maggiori, il Clementi, il Cimarosa, lo
Spontini. Il Mayer, sebbene nato in Germania, si considerava
come gloria italiana, perchè viveva da tempo a
Bergamo. Il Paër era di Parma, ma aveva
occupato
| p. 5
|
prima il posto
di maestro di cappella a Dresda e, dopo il 1807, di maestro
di cappella a Parigi chiamato da Napoleone: fu anzi il vero
musicista della sua corte, e insegnò anche
all'Imperatrice Maria Luisa. Lo Zingarelli, per contrario,
si può chiamare il cortigiano di Pio VII,
perché per lunghi anni fu maestro della cappella
pontificia e rimase sempre fedele al suo padrone. Ma di
questi tre, allora così rinomati, che cosa rimane
oggi?
Seguiamo
ancora il Perotti nella sua dissertazione, che è di
un certo interesse quando ci dice: «il compositore
è in contrasto col musico, è in contrasto col
poeta, e viene a cozzare coll'impresario. Il pittore, il
macchinista, l'orchestra, i ballerini, tutti sono tra loro
in altercazione e dissidio, e tutti per tal modo
congiuravano insieme alla rovina del Melodramma. Un altro
dei vizi dominanti, che pur deriva dalla poca cognizione
della Poesia, quello si è di voler terminare quasi
tutte le arie peripatetiche in allegro. Il sentire che un
prigioniero vicino a morte termina la sua scena d'orrore con
una vivace Polacca, non è ella cosa che al buon senso
ripugna?».
Qua il
Perotti mi sembra cominci a intravedere quello che
più tardi doveva formare l'opera moderna;
l'unità perfetta della poesia colla musica, integrate
dallo spettacolo scenico ed eventualmente dalla danza.
«Di
più» prosegue il Perotti «questa turba di
maestri altro non fa che copiarsi l'un l'altro! Il Teatro
poi è assolutamente in potere degli Impresari».
Questo quante volte si potrebbe anche oggi ripetere!
Lasciamo il
Perotti col suo diploma di salvatore della musica italiana,
e veniamo ad altri più autorevoli. Massimiliano
Angelelli(2)
il grande classicista, nel 1816, parlerà ai bolognesi
della perfezione della scuola tedesca nel campo orchestrale,
pure riconoscendo che tali loro ardimenti non sono
tollerati, anzi sono condanmati
dalla Scuola bolognese. Esisteva dunque allora una
Scuola bolognese? Darò più tardi la
risposta. Per ora seguirò i bolognesi nei giudizi che
davano sui grandi operisti dell'epoca(3).
Quanto discordi tali giudizi! Mentre nel 1807, e poi nel
1811, a Parigi la Vestale dello Spontini aveva un
costante successo, a Milano cadeva, nello stesso 1811 , il
Barbiere del Paisiello, per la troppa
«semplicità e antichità della
composizione», della quale i critici dicono essere
blasés.
p. 6
Nello
stesso anno si era data all'Opera di Parigi il
Don Giovanni di Mozart; i giornali di Bologna
del tempo ne fanno grandi elogi: «Mozart con
quest'opera ha sciolto il problema sì difficile
dell'unione della armonia colla melodia». Ma non tutti
sono della stessa idea; poichè il Tognetti, (che
passava per un buon giudice in musica) dirà «Le
cantilene di Mozart o non sono naturali, o sono troppo
comuni: se mai fossero belle per la Germania e per la
Francia, le arie di Zerlina e di Don Giovanni, al certo non
lo sono per l'Italia. Gli strepiti del finale e dei
pezzi concertati offrono un ammasso di musica istrumentale.
L'ascoltatore però dice freddamente: «io non vi
comprendo nulla!». Il quale Tognetti dice pure di Haydn
che per il canto non merita di essere
con fasto ricordato alla posterità; mentre nel 1811,
un giornale ci dà questo giudizio di un concerto dato
dalla Accademia dei Concordi nella grande aula del Liceo
Filarmonico: «piacquero sommamente le due sinfonie
dell'immortale Haydn, ma sopra tutto strappò con
entusiasmo gli applausi della conversazione il duetto a
Pianoforte e Fagotto, eseguito dalla
inimitabile signora Giorgi e dal bravo signor Zoboli
accademici filarmonici e concordi onorari». Dovremo
spesso ripetere il nome di questa signora Maria Giorgi.
Ogni tanto
nei giornali dell'epoca comincia a far capolino un grande
nome, quello di Beethoven! «egli» si dice «ha
battuto una strada diversa da Haydn per la sinfonia; ma non
può negarsi che le sue sinfonie sembrino appartenere
al genio germanico e si odano con grande piacere dopo quelle
dell'immortale Haydn». Il quale Haydn, si vede
chiaramente, era ancora ritenuto in quel periodo di
transizione il vero rappresentante della scuola sinfonica
tedesca.
A Milano,
nel 1813, si dà l'Orfeo di Gluck, che
però era stato rappresentato al Comunale di Bologna
sino dal 1771, sette anni dopo la sua apparizione a Vienna.
Ma anche allora, a Milano, il successo è assai
contrastato, ed è naturale non potesse incontrare il
gusto della epoca, il quale, come ho già ripetuto,
era ancora, in via di formazione.
Se
però in Italia il gusto era discutibile, la passione
invece della musica era forte a Bologna, ed abbondante era
la produzione.
I giornali
del tempo sono pieni di cronaca musicale, anzi essi dedicano
speciali supplementi all'arte della musica. Il Redattore
del Reno, uno dei settimanali più autorevoli, ha
queste parole nel febbraio |
p. 7 |
del 1808.
«La musica è divenuta in Bologna, più che
in altro tempo mai forse, la delizia e lo studio universale.
Qui Liceo, Accademia Filarmonica ed Accademia Polinniaca
sono tre campi d'onore ove si mietono palme
gloriose».
Il primo
Istituto, come vedremo, era da poco inaugurato: il secondo
vantava una lunga tradizione di glorie musicali, ma aveva
oramai perduto assai d'importanza. L'Accademia Polinniaca
aveva il carattere di scuola di piano e di canto, diretta da
quella Maria Giorgi, alla quale ho accennato.
Conclude il
Redattore del Reno: «A Bologna un eletto fiore
di illustri cittadini nulla trascura per procacciare, anche
in tal guisa, lustro e splendore ad una città non
ultima tra le prime che vanta l'Italico Regno di Napoleone
I».
A questa
Accademia Polinniaca si presenta nel 1808 per
la prima volta, come concertista, Gioacchino Rossini, allora
giovane di 17 anni, non ancora diplomato al nostro Liceo; si
presenta con una sinfonia da lui appositamente composta,
«Il Pianto di Armonia»; ed è per noi
di interesse quanto ci dice il citato giornale: «La
sinfonia è stata composta dal sig. Rossini accademico
filarmonico e giovane di grandi speranze. Fu essa trovata
armoniosa oltre ogni credere. Il suo genere era del tutto
nuovo, e ne riscosse il compositore universali
applausi». Si cade però anche questa volta nella
signora Giorgi, la quale suonò, accompagnata col
corno da caccia da suo fratello Francesco Brizzi. La danza
poneva fine a questi trattenimenti.
Altra
accademia assai importante era allora l'Accademia dei
Concordi, che vedremo rendersi iniziatrice di notevoli
esecuzioni in occasioni solenni. Essa ci dà veramente
l'immagine delle odierne società di Concerti, quale
potrebbe essere oggi a Bologna la «Società del
Quartetto». L'oggetto dell'Accademia era di sorvegliare
e conservare il buon gusto per quest'arte bella e mantenerla
nell'antico splendore. La direzione dell'orchestra era
affidata al maestro al cembalo, il quale però doveva
intendersi con una commissione direttiva. Ogni accademico
aveva diritto a sei biglietti d'ingresso per ogni concerto,
coll'avvertenza però che il socio è garante
della
persone invitate, oltre il privilegio di seco condurre
«una persona (una sola però) di sesso
diverso».
Lo Statuto
di questa Accademia dei Concordi era stato approvato
il 18 marzo 1811; ed aveva un carattere del tutto moderno e
pratico, se si mette a confronto collo Statuto della stessa
Società precedente alla Rivoluzione, che aveva un
carattere prevalentemente religioso e
nobiliare. | p. 8
|
In quello
Statuto infatti, più che dei concerti, si parla della
protezione della Beata Vergine, del Principe che fa
celebrare le messe colle raccolte fatte tra i signori
Accademici, del protettore della Accademia, che deve essere
nobile e titolato, e che si compiacerà
di mantenere la pace tra gli Accademici. Come anche in
queste istituzioni di poco conto si sente il passaggio delle
aure di nuova vita!(4)
Si faceva musica anche in ambienti più mondani, e
meno seri, La Società del Casino, allora
fiorentissima, che aveva sede nel palazzo Amorini in Strada
Stefano, dava ogni giorno festivo dal mezzodì alle
tre un concerto di musica, ed ogni tanto la sera accademie
di Musica vocale e istrumentale(5).
Nel 1813 vi si diede una Cantata dei Sampieri intitolata
«Deucalione» nella quale la parte di Pirra era
sostenuta dalla Colbrand(6).
Concerti ed Accademie teneva pure la Società delle
Signore, primo tentativo allora di circolo femminile, se non
femminista, della quale facevano parte tutte le prime dame
dell'aristocrazia di allora, se pure, per questi anni, di
aristocrazia si possa parlare.
In mezzo a
tante Accademie e società che tenevano acceso il
sacro fuoco della musica, ve n'era una che già
contava un secolo e mezzo, e che, non ostante la
vetustà degli Statuti e delle consuetudini, ha
sfidato i rivolgimenti politici e sociali, ed anche oggi
esiste: l'Accademia Filarmonica.
Come era
definita ai primi dell'ottocento questa Accademia?
«Essa altro non è che l'unione dei professori di
musica, istituita in epoca antichissima, cioè nel
1666, da Vincenzo Maria Carati, che la volle stabilita nella
propria casa, disponendo un Legato annuo di 50 scudi, per
celebrare la festa di Sant'Antonio protettore della
Accademia»(7).
Anche questa
Accademia ha dunque, nella sua origine, un carattere
prevalentemente religioso, e vedremo quanto lottò per
mantenerlo.
All'Accademia
Filarmonica anche allora, come oggi, domandarono di
aggregarsi i più grandi musicisti italiani e
stranieri, ed a tutti è noto come il Mozart
sostenesse l'esame per l'ammissione e come il Rossini
| p. 9
|
vi sia stato
aggregato a 15 anni, nel 1806, nella classe dei
cantori. Ne furono presidenti, in quegli anni, per
turno, i più noti luminari dell'arte musicale, dal
Mattei al Pilotti, dal Tesei al Gibelli. Nè si creda
che allora l'Accademia mantenesse con troppo rigore il
carattere arcigno dei primi tempi: anzi aprì la sue
porte anche agli artisti di canto più famosi: valga
per tutti il nome di Isabella Colbrand, che nel 1806
entrò all'Accademia; lo stesso anno dunque di quel
Rossini, che, allora quindicenne, doveva poi, a suo tempo,
innamorarsene, e sposarla.
Dice il
verbale d'ammissione(8)
della Colbrand, «che essa fu approvata come accademica,
perché essa è un genio
privilegiatissimo, superando colla rarità
della sua voce e colla profondità dei suoi lumi ogni
altra contemporanea nell'arte del canto: essa fu acclamata
accademica con altissimi gridi di gioia e di
festività». Per festeggiare la sua nomina ad
accademica, la Colbrand diede un grande concerto l'anno
successivo nella Sala del Liceo, con programma che
comprendeva un'aria di Zingarelli, una di Mayer, un
quartetto di Paisiello, ed altro: infine un'aria a
clarinetto obbligato, con cori. Dice il resoconto: «Non
è possibile trovare maggiore perfezione di questa. La
prodigiosa sua voce ha l'estensione dì tre
ottave». Tra altro, cantò
al
famosa cavatina «Ombra adorata aspetta» che a
Parigi ottenne gli applausi di Napoleone. Il direttore di
questo concerto fu il maestro Tommaso Marchesi, il quale in
compenso di tante sollecitudini, ebbe facoltà
dì invitare quel numero di individui che gli
sembrò opportuno. Vi figurate la ressa delle
domande!
Nella stessa
seduta del 1806 fu nominata accademica onoraria la Maria
Brizzi Giorgi per l'arte del suono del pianoforte. Questa
Maria Giorgi ebbe l'onore di avere in morte, nel 1812, un
elogio dettato da quel fine scrittore che fu Pietro
Giordani, recitato davanti agli Accademici Filarmonici;
«Maria Giorgi, bella, ingegnosa, amabile: bello
è a udire che la musica di lei salutasse le prime
vittorie italiche di Napoleone. Nè dovette parere
bugiarda la fama ai cittadini di Vienna che udirono lodarla
da Clementi e da Haydn. Bella apparve a quel supremo giudice
e parco lodatore di bellezza che fu il Canova. Prima di
morire, ascoltava suonare le sue figlie, ed ella pure, su un
motivo di Paisiello, suonò alcuni squarci di
musica»(9).
p.
10
Dall'Accademia
partiva ancora ai primi di quel secolo il verbo del gusto
musicale. I discorsi inaugurali sono pieni di ricordi
classici e storici. Non si cominciava mai uno di tali
discorsi da epoca più recente di quelli dei Greci,
quando non si rimontava agli Egiziani e agli Assiri, e
così, poco alla volta, soffermandosi ai vari momenti
storici, era naturale che il disserente arrivasse a toccare
dei contemporanei, e bruciasse un poco di incenso al grande
Eroe Napoleone; poichè, come si legge in un discorso
del 1806, la Società Filarmonica aveva l'onore di
essere accetta e cara alla Donna, congiunta per sangue e per
virtù al più possente dei Monarchi,
cioè alla imperatrice Giuseppina, che nel 1805 era
venuta Bologna(10).
Ed eccoci
giunti a parlare delle istituzioni derivate in linea diretta
dalla Accademia Filarmonica, che rendono questo breve
periodo così memorabile negli annali della
musica.
Nel 1797,
appena Bonaparte ebbe stabilita la Repubblica Cispadana,
della quale Bologna era la principale città, chiara
apparve al Direttorio Francese l'importanza del nostro
ambiente per la parte artistica e musicale; così ci
spieghiamo la legge del 18 novembre 1797 che stabilisce in
Bologna l'«Istituzione Nazionale di Scienze ed
Arti» fra le quali doveva essere compresa anche la
musica.
Era questa
un'idea nobile e grande, ma forse difettava di
praticità al pari di molte idee escogitate da quel
Governo direttoriale. Occorreva che la Cispadana fosse unita
alla Cisalpina, perché, nel successivo 1798, si
cominciassero pratiche trattative fra l'Amministrazione di
Bologna e il Governo centrale di Milano rappresentato dal
ministro degli interni Marescalchi, egli pure bolognese. Il
mediatore autorevole, in tali trattative, fu il professore
Giovanni Aldini, medico musicofilo, fratello di
quell'Antonio, che fu poi da Napoleone Imperatore nominato
ministro del Regno Italico. L'Aldini andava a Milano con
idee pratiche e chiare. Egli doveva, in mente sua, trovare
troppa
idealistica la creazione di un grande Istituto Nazionale a
Bologna.
Siccome
è legge storica e politica che la necessità
materiale di pochi spinge le popolazioni a creare importanti
istituti e ad operare cose utili e belle, così anche
in questo fu il bisogno della classe dei
| p. 11
|
musicanti che
spinse l'Aldini a perorare a Milano la necessità di
un Istituto che ravvivasse la vita musicale della nostra
città. La soppressione degli ordini religiosi, la
chiusura di conventi, la cessazione di molte funzioni aveva
tolto ai suonatori e ai cantanti una parte notevole dei loro
guadagni, e il teatro non era sufficiente per farli vivere.
Non era necessario a Bologna fare tutto di nuovo: esisteva
già, fiorentissima, l'Accademia Filarmonica, la
quale, diceva l'Aldini «raccogliendo da tutte le parti
della Repubblica i migliori lumi e le filarmoniche
cognizioni, darebbe pure a voi nuove risorse per coltivare
la musica facoltà».
Le ragioni
dell'Aldini persuasero pienamente il Governo centrale, il
quale, rinunciando per allora all'idea di un Istituto
Nazionale di Scienze ed Arti, trovò di maggiore
urgenza l'istituzione di un nuovo stabilimento
filarmonico, derivazione dell'Accademia, ma da questa
indipendente. A questo fine, emise il decreto del 24
vendemmiale anno VI, che corrisponde al 20 ottobre 1798, col
quale si disponeva di trasportare nel locale del soppresso
convento degli Agostiniani di S. Giacomo l'archivio del
celebre professore padre Martini, morto da pochi anni,
quello del maestri di cappella di S. Petronio, le
composizioni che erano presso i padri Filippini, vari libri
corali delle soppresse Corporazioni, una collezione di
istrumenti, e la magnifica collezione di ritratti dei
più famosi Filarmonici. Per non destare sospetti
nell'Accademia, il Governo centrale delegò, con
decreto 5 marzo 1799, una Deputazione
Filarmonica alla custodia del prezioso materiale,
deputazione che doveva in seguito avere altri importanti
uffici: essa fu intanto costituita dal padre Stanislao
Mattei, D. Valerio Tesei, Francesco Rastrelli, Giovanni
Zanotti e Vincenzo Cavedagna. Non ostante che questa
deputazione fosse costituita di accademici filarmonici, non
tutti i componenti di quel tradizionale Istituto videro di
buon occhio l'intenzione di creare una nuova scuola
musicale. Il Governo direttoriale volle tentare di devolvere
al nuovo istituto parte delle rendite dell'Accademia, e
sopra tutto quelle che servivano alla funzione religiosa in
S. Giovanni in Monte. È facile immaginare
l'indignazione del cittadino Carati, discendente dal
fondatore dell'Accademia, per questa proposta: egli giunse a
minacciare di espulsione dalla sua abitazione il
rappresentante del Governo, il quale si accorse di essere di
fronte ad un Istituto che non era consigliabile modificare,
e rinunciò alla sua proposta.
Durante
l'anno 1799, tornati gli Austriaci, si arenò per un
momento l'opera della Deputazione. Ripristinata la
Repubblica Cisalpina col nome di Italiana nel giugno
del 1800, l'Amministrazione Dipartimentale del Reno non
chiamò per il momento la Deputazione Filarmonica,
| p. 12
| ma
nominò una speciale Delegazione, formata dai
cittadini Giovanni Aldini, Luigi Zanotti ed Alessandro
Agucchi, la quale si occupò subito di ricuperare il
convento di S. Giacomo temporaneamente occupato e deturpato
dalle truppe austriache, e di proseguire il riordinamento
del materiale. Sebbene ancora il nuovo Istituto Filarmonico
non si potesse dire formato, questi tre cittadini possono
dirsi essere stati veramente benemeriti della sua
fondazione.
Questo
lavoro di preparazione continuò per tutto il 1802, e
sembrò tornare nel 1803 la speranza che in Bologna il
tanto atteso Istituto Nazionale di Scienze ed Arti dovesse
comprendere anche la sezione musicale; ma in questo fu di
ostacolo la continua resistenza passiva dell'Accademia. Fu
allora che la Municipalità decise di assumere essa la
spesa della conservazione delle raccolte di oggetti musicali
già riunite in S. Giacomo, e deliberò di
istituire un Liceo Filarmonico. La Deputazione
presentò ai primi del 1804 le sue proposte al
Consiglio Comunale, ma non avendo la visione dell'importanza
superiore che doveva rivestire la Scuola sulla Accademia,
confondeva nella sua proposta gli interessi dell'una con
quelli dell'altra. La proposta era così formulata:
«è necessario che l'Accademia Filarmonica coi
suoi Statuti (salve quelle modificazioni che si crederanno
opportune) sia trasportata nel convento soppresso di S.
Giacomo, erigendosi in stabilimento pubblico comunale».
Le proposte della Deputazione furono approvate nelle sedute
del 26 e 28 aprile 1804, e sanzionate definitivamente
nell'agosto. Il Consiglio metteva subito a disposizione
dell'Accademia lire 2500 di Bologna per l'attuazione del
nuovo piano. La Deputazione prese in consegna il materiale
già raccolto in S. Giacomo. «Fu accomodata»
dice il piano di pubblica Istruzione «una magnifica
Sala, con grandiose cantorie dorate, per dare pubbliche
accademie, munita di doppia orchestra, in mezzo alla quale
siede uno squisito organo del Preti veneziano».
Finalmente
con manifesto del 3 novembre la municipalità di
Bologna annuncia l'apertura del Liceo Musicale, e
l'inaugurazione delle scuole per la fine di quel mese, con
una cerimonia alla quale concorreranno tutti i professori
filarmonici gratuitamente. Questa cerimonia ebbe luogo il 30
novembre con una orazione recitata dal cittadino Prandi,
professore della Università, preceduta da una
sinfonia, e seguita da una cantata. Ecco quale fu il primo
modesto organico del nostro Liceo.
Insegnante
|
di
Contrappunto, prof. Mattei con
|
L.
1200
|
»
|
di
Pianoforte, Giov. Calisto Zanotti
|
»
1000
|
p. 13
|
|
|
Insegnante
|
di Canto,
prof. Lorenzo Gibelli
|
L.
800
|
»
|
Violino,
prof. Luigi Mandini
|
»
600
|
»
|
Violoncello,
prof. sac. Vincenzo Cavedagna
|
»
600
|
»
|
Oboe e
Corno Inglese, prof. Sante Anguillar
|
»
600
|
Tra questi
professori ve ne era uno vecchissimo, il Cavedagna
insegnante di violoncello, il quale subito nel 1805
domandò un coadiutore; il Podestà
nominò per tale incarico il Parisini, senza
stipendio; il quale però, dovendo provvedere al suo
sostentamento, stava fuori di Bologna, e così la
scuola di violoncello rimase senza titolare sino al 1822. Se
però si eccettuano queste deficienze, i primi anni
del nostro Liceo furono anni di grande attività e di
fiorente produzione, tanto che poteva già dirsi fosse
assurto a gloria italiana, quando Pietro Giordani, nel 1811,
recitò il discorso per la solenne distribuzione dei
premi, rilevando «l'armonia che doveva rivestire
l'anima di Dante».
Nei suoi
primi anni di vita il Liceo rimase sotto la sorveglianza
della Deputazione Filarmonica, la quale continuava a dare
disposizioni pel buon funzionamento delle Scuole. Questa
Deputazione Filarmonica doveva continuare ad essere l'anello
di congiunzione tra Accademia e Liceo, ed aveva tra i suoi
membri il Presidente dell'Accademia. Dopo la fondazione del
Liceo, la Deputazione allarga le sue attribuzioni, e si
estende alla sorveglianza sulle orchestre e sui teatri,
d'accordo colla Direzione teatrale; e la Prefettura deve
riconoscere, sino dal 1804, che «si è ottenuto
in questo ramo un sensibile miglioramento».
Per quanto
però l'Aldini, nel 1807, proclamasse che «si
deve considerare come uno stabilimento solo
l'Accademia, il Liceo e la Deputazione
Filarmonica», tuttavia era naturale che un
governo eminentemente rivoluzionario, quale era il
napoleonico, avesse delle preferenze per la sua geniale
creatura, il Liceo Musicale, a confronto della vecchia
Accademia che doveva avere sapore alquanto antico e papale:
tanto che, già nel 1811, il prefetto del Dipartimento
del Reno scrive alla Accademia, che essa cesserà da
ora innanzi di avere un'esistenza propria e dovrà
«far parte dell'Ateneo di Bologna». E restano per
qualche anno silenziosi gli annali dell'antica
Accademia(11).
p. 14
Tutto questo
importante movimento musicale ai primi del nuovo secolo
assorbiva anche un'altra vecchia e gloriosa istituzione, la
Cappella di S. Petronio. E che essa fosse unita e legata
agli altri istituti musicali, lo deduciamo da questo, che,
nel 1813, «mentre deve provvedersi il Liceo di un
insegnante di violino, si presenta la necessità di
dare un coadiutore al primo violino della Cappella di S.
Petronio e di assicurare agli spettacoli teatrali un valente
direttore d'orchestra»(12).
A risolvere il difficile problema si accinge la Deputazione
Filarmonica, la quale deve riconoscere che, per la
tenuità dei fondi messi a disposizione, difficilmente
si potevano trovare tre individui capaci di disimpegnare
uffici così importanti; dispone quindi che l'elezione
per tutte tre le cariche cada sopra un solo soggetto, e che
si provveda per concorso, in seguito a pubblico esperimento
nella sala del Liceo. Il triplice ufficio fu assegnato a
Felice Radicati, torinese, uno dei primi allievi del
Pugnani. Fu poi abile direttore ed ottimo concertista: fu
anche compositore stimato, ed autore di un'opera teatrale
Castore e Polluce rappresentata alla Fenice di
Venezia nel 1815.
Anche la
Cappella di S. Petronio aveva dovuto seguire gli avvenimenti
politici, e vediamo che il 18 dicembre 1796, fu cantata
messa solenne in musica, nello stesso modo che nel giorno di
S. Petronio perchè così comandati dal
Bonaparte, per festeggiare l'entrata dei Francesi.
Nel 1807
furono riformati i capitoli della Cappella, essendosi
| p. 15
| verificati
disordini, ai quali vollero subito provvedere Callisto
Zanotti, maestro di Cappella, il suo coadiutore Angelo Tesei
e il Rastelli primo violino. Lo Zanotti era già molto
avanzato in età, tanto che, nel 1808, deve dichiarare
essere egli quasi inabilitato a comporre; e per altro
disposto a supplire, cedendo gli arretrati dello stipendio.
Come è speciale cosa di quei tempi! essere attaccati
al posto, e rendersi inamovibili rinunciando al compenso. Se
questo era un segno di disinteresse ed una economia per le
amministrazioni, non si può dire giovasse
all'arte!
Nel 1809, la
decadenza della Cappella continua, tanto che il
Podestà scrive lettere al maestro di Cappella e Capo
Orchestra per riprendere le mancanze e la negligenza dei
suonatori e dei cantanti. E tale decadenza doveva continuare
sino al 1817, quando, morto il Tesei coadiutore dello
Zanotti allora quasi nonagenario, nominano a nuovo
coadiutore il famoso p. Stanislao Mattei, e lo designano,
passando sopra ad ogni formalità, successore del
Zanotti, per quando questi sarà morto. Strano modo di
nomina!
Certamente
il p. Mattei fu quello che nel periodo successivo fece
risorgere la Cappella della Basilica. Egli era entrato, sino
dal 1784, defunto il grande padre Martini, nel posto di
maestro di cappella nella Chiesa di S. Francesco. Nel 1798,
causa le vicende politiche, aveva dovuto svestire l'abito
ecclesiastico. Era considerato il più sapiente
compositore nello stile fugato; fu insegnante di
contrappunto al Liceo Musicale, sino dalla sua origine, e
varie volte principe dell'Accademia Filarmonica. Non diverso
in questo dai suoi contemporanei, musicherà colla
stessa indifferenza nel 1799 un inno per gli Austro-Russi,
come nel 1805 ne musicherà uno per l'arrivo di
Napoleone in Bologna. Al Mattei furono offerti vari posti
d'insegnamento fuori di Bologna; ma egli non volle mai
abbandonare la sua patria, di dove era ricercato il suo
consiglio anche dai compositori stranieri. Fu suo merito e
soddisfazione avere dato il primo insegnamento a Gioacchino
Rossini(13).
Ho detto che
tutto il movimento per la creazione di nuove istituzioni
musicali e per la conservazione delle antiche era originato
dai | p. 16
| musicanti,
i quali si trovavano da qualche tempo con scarso guadagno.
Dirò ora qualche cosa dell'orchestra di allora come
era regolato
e quale valore essa aveva.
La
sorveglianza che sulle orchestre aveva la Deputazione
Filarmonica insieme alla Direzione dei Teatri diede luogo a
continui dissapori tra i due Enti. Ai Filarmonici infatti
stava specialmente a cuore la loro professione, mentre la
Direzione dei Teatri tendeva a conciliare il decoro delle
rappresentazioni coll'interesse degli Impresari.
Il Municipio
riconobbe, nel 1806, la necessità di pubblicare uno
speciale regolamento sui Teatri, foggiato su quello allora
in vigore a Milano, pel quale fu tolta alla Deputazione la
sorveglianza sulle Orchestre teatrali. Nel 1808 il Municipio
assunse anche la presidenza della Deputazione, e fu questa
un'altra diminuzione notevole per l'Accademia Filarmonica.
Tutta questa persecuzione all'Accademia e ai suoi deputati
provenne dal fatto che la Deputazione compiva con troppo
zelo il suo dovere; essa cercava impedire i tanti
inconvenienti che succedevano allora nelle orchestre
teatrali per l'avarizia degli impresari ed usava grande
severità nella ammissione dei richiedenti. Gli abusi
da evitare erano numerosi. Vi erano impresari che si
contentavano di pochi professori «popolando poi
l'orchestra di una turba di inesperti suonatori i quali,
vivendo di altro mestiere, vendevano per pochi soldi la loro
ignoranza»(14).
Dopo la riforma del 1806, destituita la Deputazione di ogni
facoltà di sorveglianza, l'orchestra decadde in modo
dal suo antico splendore, che anche nei giornali se ne
trovano critiche acerbe.
È di
molto interesse ciò che ci riferisce la Gazzetta
di Bologna nel 1808: «Se vi piace eccettuarne sette
od otto, tutti gli altri suonatori si mostrano così
distratti e disattenti, che recano col loro suono una
ferita mortale all'orecchio di chi li ascolta.
Chi liscia lo strumento e fa plauso al danzatore; chi
abbandona la parte, e si volge col capo al palcoscenico;
v'è persino chi prende la parte sua, e la colloca
all'esterno appoggio del detto palcoscenico, onde vedere con
più agio lo spettacolo. L'orchestra di Bologna manca
al suo onore, perché non attacca più nessun
pregio all'azione principale e decorosa che le vien dato a
sostenere. A capo di ogni cinque sere, traggono
indebitamente i suonatori il prezzo della qualunque loro
opera, e ciò li soddisfa. Non così era un
giorno. Era insufficiente il prezzo, se a capo di
ogni dieci o dodici | p. 17
| sere il
pubblico od il Governo non coronava con plauso la loro
precisione».
Tale
decadenza continuò sino al 1815, anno nel quale
troviamo i primi sintomi di un serio concetto di
associazione di mutuo soccorso tra i musicanti. Sembra quasi
essere giunti alle attuali leghe di resistenza. I
professori stabiliscono di unirsi tra loro, fissando
un'orchestra tale che se uno di loro venga assunto a
servizio teatrale, gli altri pure vengano assunti, non
pretendendo da alcuno impresario onorari maggiori di quelli
che sono stati sino ad ora consueti. Questa seria
associazione fu costituita sotto la direzione del maestro
Tommaso Marchesi(15).
È
necessario ora ricercare dove si svolgeva principalmente la
vita musicale cittadina; e comincerò dai teatri
minori per arrivare ai maggiori. Accennerò appena
agli innumerevoli teatri che erano nelle case private, come
ad esempio il Teatro Legnani, nel palazzo di quella
famiglia in S. Mamolo, il Teatro di S. Saverio
attaccato ad una caserma, il Teatro
Coralli(16),
nel locale della Chiesa di S. Gabriele.
Ai primi
dell'Ottocento, fra i teatri più frequentati era
ancora il Teatro Formagliari detto anche
Zagnoni(17),
che però fu distrutto da un incendio nel 1802, e dove
già dal 1770 non si rappresentavano lavori
importanti, dopo l'apertura del Teatro Comunale avvenuta nel
1763. In via Barbaziana era il Teatro Felicini, dove
si davano soltanto lavori drammatici, allora sotto la
direzione di Madame Raucourt prima attrice del Teatro
Francese, con importante repertorio, come, ad esempio, tutto
il Teatro di Molière. Il Teatro Taruffi, si
aprì per la prima volta nel palazzo di via del
Poggiale l'autunno del 1799 con un dramma giocoso per musica
intitolato Li Raggiri scoperti dedicato alla Reggenza
Imperiale Austriaca che comandava in quell'anno. Nel 1805,
quando si aprì il nuovo Teatro del Corso, il
sacerdote Taruffi proprietario del piccolo teatro
domandò di chiuderlo. Si vede però che allora
era più facile aprire un teatro che chiuderlo;
perché | p. 18
| la
Prefettura, prima di emettere il decreto di chiusura, fa
indagini sui motivi della domanda del vecchio prete che essa
crede «ispirati da superstizione e male intesa
religione, e contrari alle viste politiche che
riconoscono nell'esistenza dei Teatri un mezzo di promuovere
il costume e le utili cognizioni e le Arti(18)».
Certamente però fu poi dato il permesso richiesto,
perché di quel Teatro più non si parla.
Molto
importante era per contrario il Teatro
Rossi-Marsigli, anche questo sino a che non fu
detronizzato dal nuovo Teatro del Corso. Esso era in una
casa di Strada Maggiore, circa in faccia all'attuale palazzo
Hercolani, e vi si eseguivano opere in musica, serie e
buffe; non sempre però con molto decoro, a quanto
pare. Nel 1804 lo spettacolo era dato da una Impresa
Cardinali: la Direzione teatrale pare non ne fosse molto
soddisfatta, poichè essa propone al Delegato di
Polizia che si sostituisca la prima donna, sebbene allieva
del maestro Marchesi: la nuova però doveva rimanere
in pari grado colla presente, per evitare qualunque amarezza
e discordia. Il Delegato per altro chiede al Prefetto
misericordia pel disgraziato Impresario. Trovo che nel 1809
in gennaio si rappresentava al Teatro Marsigli Il
matrimonio segreto del Cimarosa, sebbene fosse aperto
contemporaneamente il Comunale e il Corso. Nel carnevale del
1810 vi si rappresenta Elisa, dramma sentimentale in
un atto per musica del maestro Mayer: «la scena»,
dice la didascalia, «è nelle montagne di
ghiaccio, cosidette del Gran S.
Bernardo»(19).
Si inaugurarono anche in quegli anni, nel 1810 l'Arena del
Sole e nel 1814 il Teatro Contavalli; ma questi non hanno
importanza per la musica.
Il Teatro
del Corso, anche oggi tanto ammirato per la eleganza delle
sue linee, fu finito di costruire nel 1805 coi disegni
dell'architetto Santini, e fu inaugurato il 18 maggio di
quell'anno, con tale concorso di gente, che si dovettero
dare speciali disposizioni pel transito delle vetture. Il
teatro acquistò subito importanza per le esecuzioni
musicali e drammatiche che vi si fecero. Per lo più
vi si davano opere buffe, ma non mancarono, in quegli anni,
anche opere serie e balli: per questi ultimi erano continue
le istanze alla Prefettura dei ballerini disoccupati; la
Prefettura si raccomanda alla Direzione degli spettacoli che
essi, vengano assunti al Teatro del Corso, sebbene si sappia
che | p. 19
| questi
sono i rifiuti degli altri Teatri, e, piuttosto che
decorare, saranno di disdoro allo spettacolo. Il 29 ottobre
1811, il Teatro del Corso ebbe l'onore di dare il battesimo
ad un'opera del ventenne Rossini L'equivoco
stravagante: ne vedremo i giudizi. Nel 1813 vi si dava
la Lodoiska del maestro Simone Mayer, indi il Ballo
eroico del Gioia I Riti Indiani: nel 1814,
L'Italiana in Algeri, primo vero capolavoro del
Rossini che l'anno innanzi aveva furoreggiato a Venezia per
la prima volta, e che, dopo il Corso, passò al Teatro
Comunale.
Il Teatro
del Corso (chiamato così ufficialmente perché
la strada di S. Stefano era allora il Corso di Bologna!) si
chiamò per molto tempo Teatro Badini dal nome del suo
proprietario. Questo Badini nel 1814 dà un resoconto
alla Commissione governativa (dopo caduto il dominio
napoleonico) di quanto si era fatto sino allora con scarso
risultato economico! In quel decennio si erano già
rappresentate quattro opere serie, con grandiosi balli,
tredici opere buffe, e quattro oratori. L'importanza di
questo teatro fu subito così grande, che il Badini
aveva sino pensato di fondare un Albergo
nobile, in contiguità della sala,
perché i forestieri potessero dal loro alloggio
recarsi, senza disagio, allo spettacolo(20).
La vita
musicale si esplicava assai più intensamente nel
grande Teatro del Comune, che, negli anni repubblicani, si
chiamò anche Teatro Nazionale. Questo Teatro, che era
stato inaugurato col Trionfo di Clelia del
Glück, che nel 1771 aveva dato l'Orfeo e nel
1777 l'Alceste dello stesso autore, aveva fatto
conoscere dal 1795 al 1799 un poco di buona musica italiana
colle opere dello Zingarelli, perché era allora il
solo italiano che scrivesse le opere cosi dette serie. Il
Teatro però era ridotto in difficili condizioni dal
Iato economico, e non si poteva più a lungo sostenere
nel suo decoro. Nel 1804, troviamo una importante Memoria
trasmessa dal Municipio al Prefetto, dove si propone di
istituire i canoni dei palchi, come oggi sono in uso; si
propone anche l'istituzione di una commissione direttiva
speciale al Teatro: una commissione dovrà sorvegliare
l'esecuzione dello scenario, e si costruirà un
lampadario per illuminare la platea, che sino allora era
| p. 20
| al buio,
come è tornato oggi di moda durante l'esecuzione
della musica.
Più
interessanti ancora sono le disposizioni che si prendono per
la parte artistica. Appare oggi strano che non si ammettesse
l'esecuzione di opere già note, per quanto di grande
valore: il dramma dovrà essere nuovo, la musica
sarà composta espressamente; il tutto
coll'approvazione della Commissione. Quando sia possibile,
l'argomento del Ballo che separa i due atti
rappresenterà una azione analoga; era allora
obbligatorio che i due atti fossero intramezzati da un
ballo, che spesso non aveva nessuna relazione coll'argomento
dell'opera. Si riconosce però, nel rapporto, «la
difficoltà di migliorare gli spettacoli, anche per
l'ineducazione degli spettatori, avidi solo di divertirsi,
avvezzi a considerare il Teatro sotto una vista diversa da
quella del Politico e del
Filosofo»(21).
In quegli
anni, si fecero spesso affitti del Teatro Comunale per
lunghi periodi: Cosi fu fatto nel 1809, all'impresario Costa
per un triennio. Nel 1811, si costituisce un'«Accademia
del Teatro Comunale» di centocinquanta membri, ciascuno
dei quali si obbliga di sborsare lire cinquecento ad ogni
richiesta, per un triennio, a sostegno del Teatro,
l'Accademia darà tre spettacoli ciascun anno. Dal
principio di primavera alla fine di estate darà
trenta recite di opera seria musicale con un ballo
eroico-pantomimo spettacoloso: nella stagione di autunno
darà trenta recite di opera buffa musicale con
ballo pantomimo, non però eroico, ma
spettacoloso; nel Carnevale darà circa
quaranta recite di una delle migliori compagnie comiche,
ovvero due o tre opere buffe musicali, senza ballo
dispendioso, ma con qualche specie di intermezzo tra gli
atti, cercando trattenere gli spettatori nel tempo del
riposo degli attori». Tutto questo però rimase
allo stato di progetto, poichè vediamo che nel
triennio 1811-12-13 si ebbero due sole stagioni estive molto
scadenti, sino a che, nel 1814, non venne la musica di
Rossini, col Tancredi e coll'Italiana in
Algeri, a rialzare le sorti del Teatro. Nel 1811 la
decadenza del Teatro era tale che la Direzione degli
spettacoli riferiva al Prefetto, sulla necessità di
rialzare il Comunale, portando come ragioni della
decadenza il prezzo eccessivamente tenue del
biglietto(22):
pare che colla spesa di una lira si potesse allora entrare
in Platea. L'allestimento degli spettacoli, per contrario,
era assai | p. 21
|
dispendioso, specialmente per il lusso nei Balli, che allora
sembrava eccessivo. Il riferimento della Direzione termina
proponendo di aprire un nuovo ordine di palchi, in basso, in
luogo delle ringhiere che allora esistevano. Al contrario di
quello che oggi si fa: nei teatri nuovi si sopprimono i
palchi per sostituirli colle ringhiere. Le ringhiere furono
allora abolite; ma il nuovo ordine di palchi di pepiano (per
fortuna dell'architettura) non fu fatto.
Oltre le
opere dello Zingarelli, alle quali abbiamo accennato, sono
degne di nota le esecuzioni, al Comunale, di alcune
opere del Cimarosa, quali Giannina e Bernardone; del
Paër, la Lodoviska, il Principe di
Taranto; del Mayer, Ginevra di Scozia; del
Paisiello il Re Teodoro: tutta roba della quale oggi
più non resta memoria. Resta invece memoria dei nomi
degli esecutori. Così nel 1809 si resero celebri la
Colbrand (accademica filarmonica al servizio di S. M.
Cattolica il Re di Spagna) come prima donna e Tacchinardi
come tenore in opere quali Traiano in Dacia ed
Artemisia di un certo maestro Nicolini, oggi del
tutto dimenticato. Durante il governo napoleonico non si
arrivò per altro all'estremo di permettere al
Comunale degli esercizi di equitazione, come fece nel
dicembre del 1814 il cosidetto buon Governo
provvisorio dell'Austria. Il gusto degli spettatori che
abbiamo già definito assai deficiente e le abitudini
del teatro si confacevano del tutto al genere dei lavori
musicali. La Direzione dei Teatri precorreva però i
tempi, quando riteneva necessario reprimere l'uso male
inteso dei cantanti e dei ballerini di contraccambiare gli
applausi, di interrompere l'azione per esprimere
ringraziamenti, e quello di replicare i
pezzi(23).
Lasciamo per
un momento queste miserie; e ricordiamoci intanto che nel
1810 Rossini lasciava la scuola del padre Mattei, e iniziava
la sua maravigliosa produzione musicale. Egli presentava
quell'anno La Cambiale di
matrimonio a Venezia, con scarso successo: nel 1811
dava al Teatro del Corso di Bologna L'equivoco
stravagante. Dice il Redattore del
Reno: «Alla prima rappresentazione, grande piena
per curiosità; diversi partiti pel compositore della
musica, eccessiva | p. 22
| nausea per
l'indecente libretto. Non ostante questo, ha saputo in
alcuni pezzi distinguersi il sig. Rossini con molta lode,
dove si scorge il giovane pieno di estro, e che avendo
gravida la mente dei pezzi migliori dei buoni maestri, pare
che ne improvvisi gli stessi motivi più applauditi.
Che il libretto sia, permettemi,
cattivo, lo dimostra la risoluzione della Prefettura che ha
proibito la continuazione delle recite ...». Nel 1812
si rappresenta La Pietra del paragone a Milano;
finalmente, nel 1813 a Venezia, successivamente, il
Tancredi alla Fenice e L'Italiana in
Algeri al Teatro di S. Benedetto. L'entusiasmo per
queste opere fu tale a Venezia che Rossini diceva
«credevo che, dopo avere inteso le mie opere, mi si
darebbe del matto: ora sono tranquillo, i Veneziani sono
più matti di me». Queste due opere dovevano poi
essere rappresentate a Vienna nel 1816.
Dopo
l'Aureliano in Palmira e Il Turco in Italia,
scritte nel 1814 per la Scala di Milano, si arriva subito
nel 1816 al Barbiere di Siviglia, del quale
naturalmente non parlerò!
Ricorderò
invece due episodi politici, sebbene essi siano noti ai
cultori di memorie rossiniane. Nel 1812 sarebbe toccato al
Rossini il servizio militare, e avrebbe dovuto seguire
Napoleone nella Campagna di Russia. Il Vice Re Eugenio lo
esentò dal servizio per meriti
artistici, scrivendo: «Je ne prendrai pas sur
moi d'exposer aux balles ennemies une existence si
précieuse; mes contemporains ne me le pardonneraient
pas. C'est peut-être un médiocre soldat que
nous perdons, mais c'est à coup sur un homme de
génie que nous conservons à la patrie».
L'altro episodio politico non torna molto ad onore del
nostro Rossini. Nel 1815, quando Murat proclamò a
Bologna l'indipendenza italiana, egli aveva composto la
musica per un inno patriottico popolare, che doveva essere
come la Marsigliese italiana. All'arrivo degli
Austriaci comandati dal generale Stefanini fu ordinato
l'arresto di Rossini, che il padre Mattei scongiurò
di fuggire. Egli invece, si presentò al Generale con
un rotolo di musica legato coi colori austriaci, pregandolo
di accettarlo in omaggio, poichè era un inno in onore
di sua Maestà l'Imperatore d'Austria. Domandò
così al generale il salvacondotto. Il generale glielo
concesse, ma vi scrisse sopra «pel signor Rossini
patriota senza importanza»(24).
p. 23
Dirò
brevemente dei Concerti ed Oratori che si eseguirono in
quegli anni. Essi erano per lo più costituiti da
brani orchestrali intercalati con pezzi di canto e di
istrumenti solisti.
Nel 1803, al
Teatro Zagnoni (già Formagliari) che bruciava
poco dopo, si presenta un suonatore di oboè e di
corno inglese che delizia gli uditori con due concerti, uno
per istrumento: però compie il programma con una
Sinfonia di Haydn e con una del Mayer: in più, delle
arie e duetti anonimi: forse l'autore non
voleva essere nominato!
Nel 1805
cominciano i concerti dati nell'aula del Liceo Musicale,
appena inaugurato. Ogni tanto qualche concerto ha luogo per
iniziativa dell'Accademia Filarmonica: memorabile, nel 1806,
l'esecuzione dell'Oratorio La Passione di Cristo del
Stanislao Mattei, per la quale sono d'interesse le
disposizioni che prende l'Accademia d'accordo colla
Deputazione, sopra tutto per la formazione dell'orchestra.
Fu eseguita la sera del Venerdì Santo. L'allievo
Rossini, che aveva 14 anni, sostenne la parte di
Maddalena!
Per questa
festa musicale fu necessaria una sottoscrizione cittadina,
che fruttò la somma, oggi irrisoria, di lire 212. Il
maggiore offerente fu Sebastiano Tanari con lire 30.
Un'altra
Passione di Cristo, del maestro Paisiello, fu
eseguita il 20 marzo 1807 all'Accademia Polinniaca. È
strano che si trovò necessario eseguire un intermezzo
a due pianoforti, ad uno dei quali era la solita signora
Maria Giorgi. Per un'altra Passione, del maestro
Torelli, la signora Giorgi suona «una assai
spiritosa suonata d'organo.».
Ecco
l'elogio che nel 1809 un giornale faceva al maestro Marchesi
pel programma di uno dei suoi concerti: «il misto di
serio ed allegro che ha saputo alternare non rattrista
né ammollisce soverchiamente l'animo degli
spettatori!»(25).
I concerti
dell'Accademia Polinniaca portavano anche il
vanto della bellezza del pubblico! ad uno di questi del
1809, più di quaranta belle
| p. 24
| signore
intervengono, «cui le Grazie e la figlia di Egioco
fanno corona» così dice il Redattore del
Reno.
Usavano
anche allora i concerti di Beneficenza: trovo, ad esempio,
che, sempre nel 1809, al Teatro del Corso si eseguisce
l'oratorio anonimo La distruzione di Gerusalemme a
beneficio della Congregazione di Carità.
Ma
quell'anno deve essere stato afflitto da concerti di ogni
genere: questo tra gli altri: «È di passaggio un
virtuoso della Corte di Mannheim, il quale suona molti
istrumenti, ma con la sola bocca, come anche eseguisce
diversi concerti, imitando degli animali volatili, il tutto
accompagnato a piena orchestra». La Prefettura
però non diede il permesso di tale concerto
perché esso, per la sua natura, avrebbe offeso il
decoro dei Teatri di Bologna(26).
Ho voluto
serbare per ultima cosa di parlare delle esecuzioni musicali
che si ebbero a Bologna per circostanze patriottiche e
nazionali, in relazione tutte al dominio napoleonico.
Prima per
importanza artistica e per solennità fu quella del 10
maggio 1811, in occasione della nascita del Re di Roma,
dell'erede di Napoleone, che parve per un momento schiudesse
un eterno avvenire all'Impero! E questa volta fu veramente
felice la scelta del lavoro: fu fatto conoscere all'Italia
l'ultimo ed uno dei maggiori oratori di Haydn Le quattro
stagioni. Esso era stato eseguito a Dresda nel 1802,
nella stessa traduzione italiana delle parole che
servì per Bologna. L'esecuzione ebbe luogo nella
grande aula del Liceo Musicale per cura della Accademia dei
Concordi. Sull'ingresso della porta era scritto: «Ob
Natalem faustum, felicem Regis Romae, Accademia Concordium
gratulationis laetitiaeque causa, numeris Haydinis carmina
modulatur». Dirigeva l'esecuzione Gioacchino Rossini,
diplomato da un anno, che stava al cembalo. Nell'Ode
Saffica che fu scritta in elogio, si dice del
Rossini:
«Oh
te felice, cui diè tanto onore
Il ciel negli anni che lieve ombra al mento
Fa dell'età vivace il primo fiore!
Oh bel portento!
p. 25
Lunghe
e vivaci furono le discussioni prima e dopo l'avvenimento!
Ma, in genere, prevalsero gli elogi. Dice il Redattore
del Reno: «Lo studio posto pel felice riuscimento
di una musica sì difficile per le orecchie italiane
ha vinto l'aspettativa; e tre volte abbiamo avuto il piacere
di gustarla. Si farà anche la quarta; e bene è
a dirsi che, non ostante la lunghezza della composizione,
non stanchi, perché la sala si è mantenuta
sempre piena più di quattro ore senza
sbadigli e spesso con commozione di vero entusiasmo
... Il signor Gioacchino Rossini maestro al cembalo, non che
il signor Giuseppe Boschetti primo violino e direttore
d'orchestra meritano particolari encomi per la loro
instancabilità e precisione nel condurre i Cori, i
Suonatori, i Professori di Canto, e nel difficile accordo di
tante parti, e tanti istrumenti!»(27).
Non
parlerò delle grandi feste che si fecero a Bologna
per il fausto evento: accennerò che una
speciale Deputazione partì per Parigi per assistere
al battesimo del Re di Roma e la componevano Cesare
Bianchetti, Fabio Agucchi e Luigi Albergati(28).
Non voglio certamente enumerare tra le manifestazioni
musicali,tutti i Te Deum solenni che in questa e in
simili occasioni, si cantavano, ad ogni momento nelle
Chiese: dei Te Deum vi fu tale abuso in quegli anni
dell'Impero, che, si diceva per scherzo, bisognava stanziare
il calmiere dei Te Deum!(29).
Nè mancò per altro una Cantata scritta
espressamente per l'occasione, e intitolata La nascita
del Re di Roma che fu eseguita il 5 luglio al Casino di
Bologna. Interlocutori, Apollo, Minerva, Marte, Coro di Muse
e Genii. La poesia era del signor Girolamo Zappi, e la
musica del signor Francesco Giovanni Sampieri.
Come nel
1811 si inneggiò alle gioie della famiglia imperiale,
gioie che poi dovevano contribuire alla decadenza di
Napoleone, così negli anni precedenti, si era
inneggiato alle sue vittorie, sopratutto nel 1805, dopo
Austerlitz!
Nel 1808, si
era giunti a mettere in musica il «Bollettino della
Grande Armata» in 34 numeri, comprendenti tutta la
Battaglia di Jena. Era forse un primo tentativo di
poema sinfonico, per pianoforte con accompagnamento di
orchestra, composto dal capitano Michele
| p. 26
| Braun,
accademico concorde. Ogni numero veniva annunciato
col suono della Gran Cassa. Nello stesso anno, per la
nascita della principessa di Bologna, (Giuseppina, nata al
Vice-Re Eugenio), si trasporta come eccezione l'opera buffa
dal Teatro Marsigli al Teatro Comunale(30).
In occasione
dell'onomastico dell'Imperatore, nell'agosto si ripetevano
tutti gli anni grandi feste. Nessuna però
arrivò all'importanza, dal punto di vista musicale,
di quella del 1809, quando al Teatro Comunale nel tempo del
grande ballo che vi si rappresentò, comparve la
signora Colbrand, in forma di Genio Italico, cantando
un'aria di circostanza!(31).
E la festa
del Vice-Re, il 29 ottobre 1810? Essa fu celebrata per una
vittoria della piccola flotta italiana al comando del
Vice-Re Eugenio, contro gli Inglesi nelle acque di Lissa,
vittoria purtroppo meno nota di recente sconfitta nelle
stesse acque. Fu eseguito in quella occasione, nel palazzo
Caprara, allora di proprietà imperiale, un
componimento drammatico in musica, in presenza di Sua
Altezza, del quale fece le parole il cav. Giusti e
addattarono la musica la signora Maria Giorgi e il signor
Pilotti(32).
Quest'arte
divina era già da molti anni addomesticata alla
servilità!
Sino dal
1800, quando Napoleone vinceva a Marengo, la veneranda
Accademia Filarmonica credeva suo dovere di prendere parte,
sotto la direzione del maestro Marchesi, alle Feste
Nazionali, a quella, tra le altre, dedicata alla Scienza e
alla Virtù in omaggio alla vittoriosa Armata
francese(33);
e nel 1801 si festeggiava, con scelta musica, al Teatro
Nazionale (già Comunale) la Pace di
Lunéville(34).
Per l'esaltazione di Napoleone al Regno Italico fu composta
espressamente da Francesco Morlacchi accademico filarmonico
una Cantata, eseguita dall'Accademia dei Concordi, mentre
dalla piazza maggiore si toglieva l'Albero della
Libertà!
Dopo questo,
si potrà immaginare quanto la musica dovette
strisciare e suonacchiare, quando Napoleone I arrivò
nel giugno del 1805 in persona a Bologna. Poiché
tutti sanno che l'Imperatore e l'Imperatrice entrarono nel
Dipartimento del Reno il 18 giugno di quell'anno: il 20
giugno arrivò l'Imperatrice a Bologna, e il 21
l'Imperatore. Fu costruito un Arco di trionfo a poca
distanza da porta S. Felice, che, da
| p. 27
| quel
giorno si chiamò porta Napoleone. Da questo
arco sino alla porta, dalle due parti della strada, furono
costruiti fabbricati finti, ripetuti poi entro la
città, dalla porta sino ai fabbricati veri. Tutta la
via S. Felice sino alla volta dei barberi e la via di
S. Prospero (ora via Imperiale) sino al palazzo Caprara (ora
Montpensier) erano coperte di tele e
decorati
di ricchi veli. In faccia al palazzo Caprara, destinato per
abitazione dei Sovrani, era una prospettiva dipinta.
E la musica?
Fu preparata al Liceo Filarmonico una Cantata composta dal
padre Mattei, alla quale però gli Imperiali, troppo
stanchi, non vollero assistere. Si recarono invece insieme,
la sera del 21, all'Opera al Teatro del Corso; non mi
risulta quale opera fosse eseguita. Il Teatro era stato
inaugurato appena un mese prima; ma intanto era stato
portato a compimento, unendovi il Casino e il Ridotto,
elegantemente ammobigliati e illuminati per conversazione e
festa di ballo. Queste sale occupavano tutta la parte
dell'edifizio, oggi occupata dal palazzo Aria.
La sera del
23 fu dato un magnifico veglione gratuito al Teatro
Comunale, al quale per breve ora intervennero i Sovrani,
essendo stati uniti i tre palchi di mezzo per formare un
solo palco per la Corte. Il piano della Platea era stato,
per la prima volta, alzato al livello del Palcoscenico. Dal
Palco reale si scendeva nella grande sala per due comode
scale laterali. Il fondo del palcoscenico era aperto, e da
questo si comunicava, sempre allo stesso livello, col
terrapieno nel guasto Bentivoglio, ridotto a giardino con
piante e fontane, e tutto vagamente illuminato. L'effetto
doveva essere veramente geniale ed artistico!
All'arrivo
dell'Imperatrice, all'arco di trionfo fuori la città
fu eseguito a coro di popolo, per cura dell'Accademia dei
Filarmonici, una cantata che cominciava
«Alle
grida del popol festivo
Sorgi o Reno, dal seno dell'onda».
Per l'arrivo
di Napoleone, il giorno appresso, fu cantato
l'inno,
«Vieni,
o prode, fra i canti festivi»
di
Paolo Costa, inno a tre voci e banda(35).
p. 28
Ma mi vedo
arrivato al punto di non trovare la musica a Bologna pari
alla grandezza delle persone e degli avvenimenti. Se dovessi
continuare, mi sentirei trascinato ad abbandonare quella per
parlare di questi.
Trascenderei
quindi dall'argomento che ho voluto delibare e che
preferisco lasciare ad altri di trattare più
ampiamente.
[Note
al testo, a piè di pagina
nell'originale]
(1)
Biblioteca del Liceo Musicale di Bologna. G. A.
PEROTTI,
accademico filarmonico di Bologna. Dissertazione per il
Concorso bandito a Milano nel 1811.
(2)
Biblioteca dell'Archiginnasio. Ms. Tognetti. Lettere di
Mass. Angelelli al Tognetti, 16 ottobre 1816.
(3)
V. passim i giornali dell'epoca: Giornale del
Dipartimento del Reno, Il Redattore del Reno ed
altri.
(4)
V. gli Statuti dell'Accademia dei Concordi alla Biblioteca
dell'Archiginnasio.
(5)
V. gli Statuti del 1810 nella detta Biblioteca.
(6)
Biblioteca Ambrosini (Bologna). Deucalione. Cantata a
tre voci e cori da eseguirsi nel Casino di Bologna nella
Quaresima del 1813.
(7)
Accademia Filarmonica. Archivio. Rapporto della
Contabilità 15 aprile 1803.
(8)
Accademia Filarmonica. Verbali 21 novembre 1806.
(9)
PIETRO
GIORDANI.
Elogio a Maria Brizzi Giorgi nelle solenni esequie
e
lei fatte dall'Accademia Filarmonica il 1° dicembre
1812 in S. Giov. in Monte (Biblioteca del Liceo
Musicale).
(10)
Discorso del dott. Luigi Masini, membro e segretario
dell'Accademia Filarmonica, recitato nella grande Aula delle
Scuole Comunali in occasione della solenne dispensazione dei
premi, 1806.
(11)
Per la documentazione delle origini del Liceo Musicale,
vedi:
Archivio
dell'Accademia Filarmonica. Rapporti. Verbali. Statuti.
Biblioteca del Liceo
Musicale. Prefazione del Gaspari al Catalogo –
Orazione recitata nel Liceo Filarmonico di Bologna
nell'occasione della solenne distribuzione dei premi da
Francesco Tognetti, agosto 1810 –
Lettera della Municipalità di Bologna al Presidente
dell'Accademia Filarmonica, 20 dicembre 1804 –
Discorso di Pietro Giordani per la distribuzione dei premi
al Liceo, 1811 –
Circolare firmata dal p. Stanislao Mattei agli alunni per
l'esecuzione di un'accademia in ringraziamento alle
Autorità cittadine, 1814 –
Lazzarini Augusto. Memoria sul Liceo Comunale di musica e
sui suoi rapporti coll'Accademia Filarmonica.
Biblioteca
dell'Archiginnasio. Manoscritti Tognetti. Memorie diverse.
Musica. Teatro dal 1798 al 1814 –
Lettere del Ministro degli affari interni
all'Amministrazione Centrale di Bologna, 1798 –
Lettere dell'Amministrazione Centrale di Bologna al
Direttorio Esecutivo, 1797 –
All'ill.mo Consiglio dei 48 Savi di Bologna l'Assunteria
della Comunale Istruzione –
Copia del Piano di pubblica istruzione proposto da una
Commissione apposita, ed approvato dal Consiglio Comunale in
seduta 26 e 28 aprile 1804 –
Memorie della illustrissima Assunteria di pubblica
istruzione sul Comunitativo Liceo di Bologna. Osservazioni
sulla medesima dell'Accademia Filarmonica di Bologna
– Rapporto
del cittadino prof. G. Aldini intorno allo stato attuale e
ad alcune disposizioni riguardanti l'Accademia Filarmonica,
1799 – Il
Redattore del Reno, giornale, ad annos –
La Direzione sopra i teatri al sig. Delegato di polizia
presso la Prefettura, 18 aprile 1804 –
Atti del Consiglio Comunale, 26-28 aprile-2 agosto 1804 -
Raccolta di Bandi, 3 novembre 1804-21 ottobre
1805.
(12)
Bibl. dell'Archiginnasio. Ms. Tognetti, 5 ottobre
1813.
(13)
LE
FAGE
ADRIANO.
Notice sur le
vie et les oeuvres de Mattei.
Archivio della
Fabbriceria di S. Petronio. Capitolo per il buon regolamento
della Cappella della Basilica di S. Petronio estesi d'ordine
della Delegazione Municipale all'Amministrazione della
Fabbrica di detta Basilica e da essa approvati nella sua
seduta delli 9 ottobre 1807.
Ibidem, Verbali
delle sedute dal 1796 al 1817.
(14)
Lettera del presidente della Deputazione Filarmonica, Angelo
Mazzoni, alla Municipalità.
(15)
Biblioteca dell'Archiginnasio. Ms. Tognetti, 1813-15. La
Municipalità di Bologna alla Deputazione Filarmonica,
1805-06-07 –
Accademia Filarmonica. Verbali –
Biblioteca del Liceo Musicale. Rapporto sul diritto di
nomina nelle orchestre teatrali appartenente
Musicale.
(16)
GUIDICINI.
Diario Bolognese.
(17)
CORRADO
RICCI.
Il Teatro Formagliari in Bologna (1636 - 1802), in Atti e
Memorie della Deputazione di Storia Patria, serie 3ª,
vol. III.
(18)
R. Archivio di Stato. Atti della Prefettura del Dipartimento
del Reno, 1º maggio 1805.
(19)
R. Archivio di Stato. Atti citati, passim.
Biblioteca Ambrosini.
Collezione di libretti di melodrammi eseguiti in vari teatri
bolognesi.
(20)
Biblioteca dell'Archiginnasio, Ms. Tognetti, passim.
Ibidem.
Collezione di Bandi (anno 1805).
R. Archivio di Stato.
Atti citati –
Sezione di Polizia –
Regolamento teatrale pel Comune di Bologna –
Corrispondenza tra il Prefetto e la Direzione degli
spettacoli.
(21)
R. Archivio di Stato. Atti citati –
Memorie e progetti riguardanti i bisogni e condizioni del
Teatro Comunale trasmessi dalla Municipalità al
Prefetto. La relazione è firmata da Alessandro
Agucchi Legnani.
(22)
R. Archivio di Stato. Atti citati.
(23)
Per le rappresentazioni al Teatro Comunale, vedi anche i
giornali come Il Redattore del Reno, ad
annos.
BIGNAMI.
Spettacoli dati al Teatro Comunale.
MANZI.
Memorie e storie artistiche.
GIORDANI
GAETANO.
Intorno al gran Teatro Comunale.
(24)
Sulla vita di Gioacchino Rossini, vedi, tra altro, Archivio
dell'Accademia Filarmonica.
Biblioteca del Liceo
Musicale: dove esistono i primi saggi di lui, alunno, e
l'autografo del Barbiere.
Biblioteca
dell'Archiginnasio. Memorie diverse nei ms. Tognetti
sull'esecuzione delle sue prime opere; nei giornali Il
Redattore del Reno e Giornale del Dipartimento del
Reno.
F.
CANUTI.
Vita di Stanislao Mattei.
ZANOLINI.
Biografia di Gioacchino Rossini.
ESCUDIER.
Rossini sa vie et ses oeuvres.
STENDHAL.
Vie de Rossini.
(25)
Il Redattore del Reno, 24 gennaio 1809.
(26)
R. Archivio di Stato. Atti della Prefettura del Dipartimento
del Reno.
Archivio
dell'Accademia Filarmonica. Verbali e programmi di
concerti.
Biblioteca del Liceo
Musicale. Programmi di concerti.
(27)
Il Redattore del Reno, 21 maggio 1811.
Biblioteca Ambrosini.
V. la traduzione del libretto che servì per
l'esecuzione.
Biblioteca del Liceo
Musicale. V. il programma della esecuzione.
Archivio
dell'Accademia Filarmonica. V. lettera del Segretario
dell'Accademia de Concordi al Segretario della Deputazione
Filarmonica, 8 maggio 1811.
(28)
Il Redattore del Reno, 18 maggio 1811.
(29)
Biblioteca dell'Archiginnasio, ms. 1119. Memorie storiche
della città di Bologna.
(30)
GUIDICINI.
Diario bolognese, 6 gennaio 1808.
(31)
R. Archivio di Stato. Atti della Prefettura, 13 Agosto 1809
– Il
Podestà di Bologna al sig. Prefetto.
(32)
UNGARELLI.
La Festa del Vice Re, pubblicazione per
nozze.
(33)
Archivio dell'Accademia Filarmonica. Verbale, 11 luglio
1800.
(34)
Biblioteca dell'Archiginnasio. V. ms. Tognetti, 6 aprile
1801.
(35)
GIUS.
GUIDICINI.
Diario bolognese dal 1796 al 1818.
Archivio di Stato,
Atti della Prefettura del Reno –
Spettacoli –
1805. Operato della Municipalità durante il soggiorno
delle LL. MM. Napoleone I e consorte –
Il Capo Sezione di Polizia presso la Prefettura del Reno al
sig. Prefetto.
Biblioteca del liceo
Musicale. 1805. A. S. M. l'Imperatore dei francesi e Regina
d'Italia pel suo faustissimo arrivo in Bologna. Cantata
offerta in segno di venerazione della Municipalità ed
eseguita dall'Accademia dei Filarmonici.
Ibidem.
COSTA
PAOLO.
Per l'ingresso in Bologna di S. M. Napoleone I, 20 giugno
1805. Inno «Vieni, o prode, fra i canti festivi».
Fa anche parte dell'opuscolo «Poesia di Vincenzo Monti
e di altri celebri autori in occasione dell'erezione al
trono d'Italia di Napoleone I», musicata dal maestro
Tommaso Marchesi. V. Catalogo della Biblioteca del Liceo
Musicale, III, 273.
Ibidem, dello
stesso. Per l'ingresso in Bologna di S. A. I. la principessa
Elisa, la quale col serenissimo coniuge il principe di
Piombino si reca nei suoi Stati. Inno.
Gazzetta di
Bologna, n. 96, del 1805 (27 novembre) dello stesso.
Inno cantato sul teatro per le precedenti vittorie di
Napoleone.