Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Dipartimento di Musica e Spettacolo - La Soffitta 2005

LA SOFFITTA - Centro di promozione teatrale


LA SOFFITTA 2005
TEATRO
19 gennaio - 23 maggio

8-10 marzo
NUNZIO FRA SCENA E SCHERMO

in collaborazione con Arena del Sole - Nuova Scena - Teatro stabile di Bologna

martedì 8 - giovedì 10 marzo
Arena del Sole - Sala Interaction
(via Indipendenza 44)
ore 21.30

informazioni: tel. 051-2910910   www.arenadelsole.it

NUNZIO

di Spiro Scimone

regia di Carlo Cecchi
con Spiro Scimone e Francesco Sframeli
scene Sergio Tramonti
luci Domenico Maggiotti




Opera vincitrice selezione IDI (Istituto Dramma Italiano) "Autori Nuovi 1994" con la motivazione: “Opera di rara intensità espressa in una lingua siciliana, forte e autentica. In un clima di realismo fantastico, l’autore disegna in rapporto di amicizia di toccante umanità, ove si rispecchiano inquietudini e allarmi dell’intero corpo sociale”.

Medaglia d’oro IDI per la drammaturgia 1995

Nomination premio speciale UBU 1995




Spiro Scimone e Francesco Sframeli in Nunzio


Due solitudini che convivono, due uomini ai margini della vita. L’uno sempre in giro, per misteriosi incarichi, forse un killer. L’altro chiuso in casa, di guardia al frigorifero e alla malattia che gli squassa i polmoni. Sono i due protagonisti di Nunzio, sorprendente opera prima (nel ’94) di Spiro Scimone, giovane autore siciliano che insieme a Francesco Sframeli forma fin dagli inizi anche un’affiatata coppia di attori.
     Si ritrovano chiusi nello spazio di una cucina, attorno al tavolo che domina al centro di quell’unico ambiente che è casa, rifugio, tana. Dove entrambi si nascondono: a sé, al mondo. Entrambi incapaci di decidere del proprio destino, l’uno costretto a ubbidire agli ordini di un invisibile mandante, l’altro ad affidarsi alle pasticche e al lumicino acceso davanti all’immagine del Sacro Cuore, nel rifiuto di ammettere la malattia che lo sta uccidendo. In quello spazio chiuso il mondo esterno penetra solo attraverso i rumori di una sirena, il vuoto risuonare di telefonate mute, colpi battuti alla porta. E attraverso le buste infilate sotto la porta con cui arrivano soldi, biglietti aerei, una fotografia, forse le istruzioni per una prossima missione.
     Situazione pinteriana, come si suol dire, viene in mente il celebre Calapranzi in cui pure due imprecisati sicari attendono gli ordini in arrivo dal montacarichi del titolo. E certo pesa la lezione del maestro inglese, come pure si potrebbero mettere in campo i nomi di Koltès o Fassbinder. Ma quel che intanto fa la differenza, dove cioè s’impianta l’originalità stilistica di Scimone, è la lingua messinese in cui è scritto il breve atto unico, come a dire un siciliano di frontiera, allusivo e al tempo stesso facilmente comprensibile. Lingua non astratta o letteraria, ma nata all’interno dell’esperienza di scena condivisa dai due giovani attori. Resa vitale proprio dalla dialettica fra la ricerca di stile e la concretezza del quotidiano, arricchita dalla consapevolezza acuta del conflitto con la convenzione naturalistica su cui ha agito la regia di Carlo Cecchi.
     Il testo è costruito su un dialogo serrato, fatto soprattutto di domande e risposte ribattute, ossessivo nelle sue ripetizioni. Giacché l’ossessione circolare è la sua misura, è lo specchio fedele di una situazione senza uscite. O meglio: da cui non si vuole uscire, perché quel che si intravede al di là è solo un buco nero senza ritorno.
L’idea della morte, mai nominata, è l’ideale punto di incontro delle due solitudini dei protagonisti. Quella che l’uno dà per mestiere. Quella che l’altro, Nunzio, riceve poco per volta, ucciso dal veleno della fabbrica, dalla polvere respirata sul luogo di lavoro, contro cui poco valgono le pillole generosamente offerte dal padrone. (C’è poco da fare, la morte non si condivide, né la propria né quella dell’altro). A cui si possono opporre soltanto i piccoli rituali della quotidianità, le cose da mangiare preparate con le proprie mani, una tazzina di caffè con la sigaretta. E quei discorsi scontrosi, quei più lunghi silenzi così profondamente incisi nel carattere dei siciliani. E i gesti d’affetto rudi come il regalo di una giacca che può anche produrre un momento di commozione.
     Non c’è però rischio di patetismi, in Nunzio. Che anzi la chiave privilegiata è piuttosto una comicità agra e svagata, costruita sui corpi degli interpreti, clown privati di contesto e tesi verso un’apparente immobilità, in realtà una sottile trama di azioni e reazioni che si ricreano sera per sera. E’ in quei corpi sempre consapevoli di esistere su una scena, nell’intimità della loro lingua, nella complicità dei loro gesti, che leggiamo una disperata volontà di resistenza umana.


 


Dipartimento di Musica e Spettacolo
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