martedì 22 marzo
Aula absidale, ore 21
ingresso gratuito
IL VIOLINO SPIRITATO
Monica Fini, pianoforte
Luca Fanfoni, violino
Robert Schumann (1810-1856)
Tre Romanze op. 94
Nicht schnell
Einfach, innig
Nicht schnell
Franz Schubert (1797-1828)
Sonata in La maggiore D574
Allegro moderato
Scherzo (Presto)
Andantino
Allegro vivace
Giuseppe Tartini (1692-1770)
Fritz Kreisler (1875-1962)
Variazioni su di un Tema di Corelli
Luigi Dallpiccola (1904-1975)
Tartiniana seconda
Divertimento per violino e pianoforte
Pastorale
Tempo di Bourrée
Presto; leggerissimo
Variazioni
Claude Debussy (1862-1918)
Sonata
Allegro vivo
Intermède
Finale
MONICA FINI
Nel 1983 si è diplomata in pianoforte col massimo dei voti al Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna. Si è formata con Lidia Proietti, Lya de Barberiis e Piero Guarino. Ha seguito i corsi internazionali dell'Accademia Musicale Chigiana di Siena, e si è perfezionati con artisti quali Brengola, Gazzelloni, Gulli, Cavallo. Nel 1984 ha vinto il primo premio al concorso di musica da camera di Caltanissetta. Ha effettuato registrazioni radiofoniche (RAI2, RAI3) in duo col violista Francesco Fiore e col violinista Gabriele Pieranunzi. Come solista, in duo, con gruppi cameristici e sinfonici ha suonato nei principali teatri italiani, per illustri istituzioni, nonché in Svizzera, Turchia e Stati Uniti. Con Luca Fanfoni ha inciso per la Phoenix, ottenendo lusinghiere recensioni.
Da vent’anni si dedica all’insegnamento, maturando l’esperienza in ambiti differenti: Conservatorio, Scuole civiche, corsi ad indirizzo musicale nella scuola media.
LUCA FANFONI
Allievo di Giuseppe Alessandri, ha poi proseguito gli studi al Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano, diplomandosi col massimo dei voti sotto la guida di Gigino Maestri. Si è perfezionato con Kogan, Gulli, Schwarzberg, Accardo, ed è risultato vincitore di numerosi concorsi nazionali ed internazionali (tra gli altri, Stresa, “Romano Romanici - Premio Città di Brescia”, “Viotti” di Vercelli, “Paganini” di Genova). A ventidue anni è stato scelto da Riccardo Muti quale primo violino di spalla dell’orchestra scaligera. Si è esibito nelle principali sale da concerto nazionali ed internazionali; nel febbraio del 2002 ha debuttato alla Carnegie Hall di New York, dove è stato nuovamente ospite in occasione di successive tournées statunitensi.
Ha all’attivo un’intensa attività discografica (Phoenix, Dynamic, Orfeo, Amadeus).
È titolare della cattedra di violino al Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma.
Suona un violino Gobetti del 1719.
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Nel 1849 Robert Schumann si dedicò alla composizione di brani per strumenti solisti e pianoforte, fra cui le Tre Romanze op. 94 per oboe (ad libitum per violino, clarinetto o violoncello). Aliene da ogni forma esteriore di virtuosismo, le Romanze, caratterizzate da una notevole densità di scrittura e da sottili connessioni motiviche, eludono le simmetrie che l’apparente semplicità della forma prescelta ci farebbero attendere, sottraendosi ad ogni riferimento all’ormai trascorsa epoca Biedermeier.
Pubblicata postuma nel 1851, la Sonata in La maggiore D574 fu scritta nel 1817 e rimane un unicum nel catalogo schubertiano, distaccandosi dalle tre Sonatine dell’op. 137 (1816) per lo spiccato carattere concertistico. La scrittura è più ricca sia nei percorsi armonici, sovente modulanti, sia nell’invenzione melodica, ma evita sempre una facile esibizione virtuosistica. La brillantezza del carattere emerge fin dal primo movimento, in forma sonata, e ancor più nello Scherzo e nell’Allegro vivace. Nell’Andantino l’estroversa scorrevolezza si placa nella “dolce” sezione centrale, cui la distanza tonale conferisce il senso dei più tipici ripiegamenti intimistici schubertiani.
Trascrizioni e rielaborazioni di brani settecenteschi furono coltivate con assiduità da numerosi violinisti tra Otto e Novecento. Per questa sua pièce de salon Fritz Kreisler utilizzò L’arte dell’arco (ed. 1748 ca.) di Giuseppe Tartini, summa della tecnica violinistica barocca contenente cinquanta variazioni sul tema di una Gavotta di Arcangelo Corelli (dalla Sonata op. 5 n. 10, 1700). Kreisler rielaborò tre di queste variazioni che, inquadrate dal tema, impegnano il violinista nell’esibizione di un funambolico virtuosismo.
La produzione di Luigi Dallapiccola è caratterizzata dall’uso prevalente della tecnica dodecafonica, ad eccezione di alcune composizioni strumentali degli anni ’50, tra cui Tartiniana seconda (1956). Come in precedenti opere, il linguaggio diatonico è arricchito da un severo impegno contrappuntistico e da numerosi artifici canonici che modificano lievemente, a tratti, i temi di Tartini, altrimenti sempre immutati. Nella Pastorale è il pianoforte ad eseguire, nell’unico suo intervento, un canone retrogrado della parte violinistica; nella Bourrée le due parti strumentali si intrecciano in un continuo gioco di rimandi canonici, più mobili; è invece il pianoforte a proporre il canone (per moto contrario, poi per moto retto) nell’agile Presto, cedendo il passo al violino nella seconda metà del movimento; ancora più arditi i procedimenti canonici delle sei variazioni finali.
Estremo lavoro di Debussy, la Sonata per violino e pianoforte (1917) è l’ultima di un ciclo di tre sonate (dovevano essere sei, per diversi organici), omaggio alla tradizione musicale francese e ai suoi grandi maestri. Nessun intento restaurativo, nonostante il titolo: lo schema sonatistico agisce da lontano, suggerendo una più ampia architettura e inducendo Debussy a servirsi di ripetizioni e riprese tematiche, che mai gli erano state congeniali, addirittura con intento ciclico (all’inizio del terzo movimento risuona il tema d’apertura). La Sonata, al pari di certe creazioni pianistiche coeve, è caratterizzata da una scrittura tersa ed essenziale che, nonostante la varietà degli effetti strumentali, rinuncia ad ogni seduzione timbrica.
Fabrizio Bugani
dottorando in Musicologia
coordinamento e redazione di
Anna Quaranta e Anna Scalfaro |