Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna La Soffitta 2004 - Cinema - Jean Eustache

 LA SOFFITTA 2004

CINEMA
dicembre 2003 - aprile 2004

 
Imitations of Life: il melodramma cinematografico

a cura di Franco La Polla

in associazione con la Cineteca del Comune di Bologna

Cinema Lumière - Sala Auguste
 

Frutto di una tradizione spettacolare popolare e condivisa da entrambe le parti dell’Oceano, il melodramma trova nel cinema una cassa di risonanza ideale. In una serie di transiti e scambi tra Europa e Stati Uniti motivi, personaggi e patimenti transitano liberamente, come i cineasti, i volti, le storie. Più grandi della vita…



15 aprile, ore 18.30

LETTERA DA UNA SCONOSCIUTA
(1948, Max Ophuls)

Tra le caratteristiche distintive del melodramma, il rimpianto per l’occasione perduta e il sacrificio femminile. "Quando riceverai questa lettera, sarò forse morta. Leggendo questa lettera saprai come sono diventata tua mentre tu non sapevi chi ero e che esistevo…". In questa inaugurazione funebre rintocca il dolore di un melodramma volto al passato. La vocazione di Ophuls a un’estetica da studio e la ricorrenza del tema della memoria trovano la cristallizzazione ideale nel modo di rappresentazione hollywoodiano.

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16 aprile, ore 20.10

TUTTO SU MIA MADRE
(1999, Pedro Almodóvar)

È possibile un melodramma canzonatorio? Il dolore può decadere nel grottesco? Almodóvar sembra impegnarsi a fondo ad affermarlo. In un elogio al trasformismo muove da All About Eve per finire ai transessuali: la migrazione di organi, ideologie, sessi e sentimenti è incessante.

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22 aprile, ore 17.30

JOHNNY GUITAR
(1954, Nicholas Ray)

Un saloon con una entraîneuse di nome Vienna. Un cowboy marchiato dall’ossessione del passato. Una gelosia corrosiva. E sullo schermo brillante Trucolor sfilano le macchie di colore delle bande, in una coreografia sottile. "Johnny Guitar è un finto western ma non un ‘western intellettuale’. È un western sognato, spettacolare, irreale fino al limite, delirante" (François Truffaut).

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26 aprile, ore 17.30

COME LE FOGLIE AL VENTO
(1956, Douglas Sirk)

Un possibile tracciato delle traiettorie dei personaggi del melodramma rivelerebbe somiglianze con la commedia degli equivoci. Ma nel melodramma raramente tutti trovano il loro posto, alla fine del gioco. Come le foglie al vento fa muovere in uno scenario di colori fantastici i quattro personaggi, soffocati dall’asfissia delle relazioni sociali e familiari. Li sposta, li muove nuovamente, li sospinge infine come foglie. Ma non tutti trovano posto nel mondo in apparenza perfetto dell’America degli anni Cinquanta

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28 aprile, ore 22.15

DANCER IN THE DARK
(2000, Lars von Trier)

Von Trier tenta con Dancer in the Dark una delle operazioni concettuali più ardite degli ultimi anni: la conquista europea del melodramma americano, il furto dell’ideologia autocritica alla cultura dominante, con una clamorosa serie di falsi. Sicché spedisce una cantante islandese nel liberismo statunitense. Trasforma i suoi sogni in un musical scombinato. Sistema Catherine Deneuve alla catena di montaggio. Ma si riserva il piacere sadico di un momento di franca crudezza: e lascia tutta la scena del patibolo all’esibizione per voce sola di Björk.

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29 aprile, ore 19.30

LE LACRIME AMARE DI PETRA VON KANT
(1972, Rainer Werner Fassbinder)

Per tutta la propria fulminante carriera Fassbinder cercò di coniugare la riflessione sulle forme di convivenza sociale con l’adesione emotiva al racconto, la qualità della meditazione critica con lo spettacolo dei sentimenti. Le lacrime amare di Petra von Kant inaugura questo percorso, chiude i personaggi in uno spazio coercitivo e speculare, li condanna all’eterno riflesso di se stessi.

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3 maggio, ore 18

QUALCUNO VERRÀ
(1959, Vincente Minnelli)

Buona parte del cinema di Minnelli ruota intorno al confronto infausto tra fantasia e realtà. I grandi musical per la MGM, le sue commedie più scanzonate e i suoi melodrammi degli anni Cinquanta e Sessanta dispongono con sontuosi carrelli e dolly queste coordinate. Qualcuno verrà non fa eccezione: il finale tragico è scandito a colpi di movimenti di macchina.

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4 maggio, ore 16.30

LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE
(1959, Alfred Hitchcock)

A Hollywood Hitchcock realizzò film i più diversi, con il marchio del maestro del brivido. Sul finire della carriera, il suo cinema prese una strana inclinazione senile e commovente, struggente per la crudeltà delle conclusioni. Si parla di un film malato, per Marnie (1964). La donna che visse due volte lo anticipa ed eguaglia, con un meccanismo di perfezione formale impietosa: la spirale è la cifra dominante del film, l’origine della vertigine e la strada inevitabile di una caduta libera del protagonista e della sua amata.

 
 

Questo breve programma nasce a ridosso del seminario sul cinema melodrammatico, tenutosi presso la sezione cinema del Dipartimento di Musica e Spettacolo lo scorso anno, e del convegno internazionale che ne ha coronato i lavori.
     Seminario e convegno avevano come obiettivo uno sguardo critico su quel genere cinematografico che attraversa sia tutte le cinematografie che tutti gli altri generi. Ma uno sguardo critico mosso proprio da questa sua primaria caratteristica. Il film melodrammatico, infatti, si presta meglio di tanti altri a una lettura non "semplicemente" tecnica, esegetica, formalista o altro che sia, ma anche fondamentalmente culturale.
     In effetti, proprio la planetarietà di questo genere invita ad analisi legate alle singole culture che quei film hanno prodotto. Va da sé che una pellicola come Senso nasce e si sviluppa da motivazioni sociali, politiche e largamente culturali diverse, poniamo, da Duello al sole o Tutto su mia madre. Non si tratta, sia chiaro, semplicemente di un diverso cronotopo, di differenze che pur indubbiamente segnano forti elementi di diversità fra gli anni '40 e gli anni '90. Si tratta piuttosto di altrettanto forti componenti che chiedono di essere lette in una chiave nazionale.
     Di problema dell'identità si è parlato spesso negli ultimi anni, vuoi in chiave esistenziale, vuoi psicanalitica, vuoi di gender ed altro ancora. Ma non è un caso che la chiave dell'identità nazionale sia però quella che più decisamente si sta facendo sentire in questi anni nello studio del cinema mondiale.
     Il film melodrammatico funge da un magnifico case study per questa ottica critica, poiché fornisce da un lato un minimo comun denominatore retorico-strutturale in qualche misura comune, e dall'altro componenti culturali e stilistiche irriducibili ad altro da sé.
     Se a questo aggiungiamo che la nozione di melodramma, intesa in senso lato, coinvolge gli ambiti e le pratiche letterarie più diversi (talché nel detto seminario sono intervenuti studiosi non solo di cinema e di teatro, ma anche di letteratura greca classica e di letteratura italiana rinascimentale), non potremo non riconoscere in esso un crocicchio culturale di densità inusitata, nel quale primeggia l'interdisciplinarietà dell'approccio.
     Questa è la direzione metodologica dell'iniziativa, una direzione che continuerà nelle prossime scelte seminariali e, in larga misura, nelle ricerche già in atto.

Franco La Polla


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