Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna LA SOFFITTA - Centro di Promozione Teatrale

la soffitta
Centro di promozione teatrale

STAGIONE 2000
teatro

 

Il mio maestro

di Alessandra Galante Garrone

Nella mia vita ho avuto un grande privilegio: conoscere ed avere per Maestro Jacques Lecoq. Non un maestro-santone, non un "guru", non un maestro-manipolatore (come da troppi anni tanti giovani che desiderano avvicinarsi al Teatro hanno invece avuto la sfortuna di incontrare).

Parlare di Jacques Lecoq è difficile perché ogni parola rischia di essere riduttiva e di non trasmettere davvero il suo pensiero.

Sono stata sua allieva nel 1967/69. Quella che ho frequentato non è mai stata una "Scuola di mimo". La "passeggiata sul posto" mi è praticamente sconosciuta e l'expression corporelle mi ha sempre, profondamente, annoiata.

Lecoq ci ha insegnato molto di più, ci ha insegnato ad esplorare la vita in tutte le sue forme. Appena qualcuno rendeva "accademico" un movimento o formalizzava un personaggio (secondo schemi precostituiti) il suo giudizio era spietatamente ed inequivocabilmente negativo. "Croire ou s'identifier n'est pas suffisant, il faut jouer".

Lecoq è stato un grande educatore del Novecento: un Maestro non solo per quello che ha insegnato ma per l'inquietudine creativa che ha saputo trasmetterci attraverso quel suo atteggiamento apparentemente freddo e distaccato ma in realtà timido e di una umanità sottile e scontrosa. Lecoq parlava, agiva, insegnava, senza quasi averne l'aria, con la semplicità, la forza, la convinzione e il rigore di un educatore vero. Un uomo colto, curioso, allergico alle mode culturali, spiritoso, sensibile ed attento ai cambiamenti, alle tensioni del mondo esterno. Nel 1968 - è importante ricordarlo - la sua Scuola scese nelle strade di Parigi per capire quanto stava succedendo.

Avere studiato in quella Scuola è stato determinante per la mia vita e per il mio lavoro. La pedagogia di Lecoq non ha portato alla formazione di tanti "piccoli Lecoq" ma di artisti assolutamente diversi fra loro: noi ex allievi di generazioni diverse ci riconosciamo per un "sentire" comune. Lecoq mi ha insegnato ad imparare dagli allievi, a rimettere sempre tutto in discussione e a non perdere mai il senso dell'umorismo che è indispensabile per insegnare, per recitare ed anche per vivere.

[Da "Hystrio", XII, 2, 1999, p. 21]

Il mimo che veniva dallo sport

di Marco De Marinis

Con la scomparsa di Jacques Lecoq, che segue di qualche anno quella di Etienne Decroux (1991) e di Jean-Louis Barrault (1994), la scuola francese che ha reinventato il mimo nel Novecento perde un altro dei suoi maestri: oggi, dei quattro moschettieri, resta il solo Marcel Marceau, di due anni più giovane rispetto a Lecoq.

Il grande merito di Lecoq, arrivato al teatro dallo sport e dall’educazione fisica, è stato quello di aver capito subito – in quegli anni Quaranta in cui il lavoro del rifondatore Decroux stava uscendo alla luce dopo un lungo periodo di ricerca segreta, preceduto di poco dalle prime, folgoranti apparizioni del suo allievo Barrault – come il contributo decisivo che il mimo avrebbe potuto dare al teatro non stesse nella proposta di un nuovo genere "muto", di un nuovo linguaggio mimico autonomo e autosufficiente, e tantomeno risiedesse nelle contaminazioni eclettiche e superficiali che già se ne stavano tentando in scena, nel teatro drammatico, servendosene quale virtuosismo d’attore o trovata registica.

Lecoq è stato fra i primi a intuire che il grande apporto del mimo alla ricerca teatrale contemporanea consisteva invece nel fatto di porre, con una radicalità teorica e una sistematicità pratica mai viste prima, la questione dei fondamenti dell’arte dell’attore in quanto fondamenti fisici, corporei, che richiedono un apprendimento adeguato e uno specifico allenamento. In questo, oggettivamente, e per quanto invece vi prendesse le distanze sul piano estetico, egli si ricollega al cuore dell’insegnamento di Decroux, per il quale il mimo, in quanto educazione ed espressione corporea, avrebbe dovuto rappresentare lo strumento di una rivoluzione copernicana della pedagogia teatrale, cioè di un ripensamento globale e dalle fondamenta dell’intera formazione dell’attore, delle sue modalità, dei suoi scopi.

Segnato alle origini dall’incontro con Jean Dasté (che lo immise nel solco della feconda tradizione del Vieux-Colombier, addestrandolo in particolare all’improvvisazione con la maschera) e poi da quello, almeno altrettanto importante, con il teatro italiano (Gianfranco De Bosio, Amleto Sartori, Franco Parenti, Giorgio Strehler), il progetto pedagogico di Lecoq, che apre la scuola parigina nel ’56, viene sviluppandosi sull’ipotesi di una dimensione espressiva originaria, totale e indifferenziata, anteriore al costituirsi dei diversi linguaggi e dei vari generi e legata ontogeneticamente e filogeneticamente al mimismo (termine mutuato dall’antropologia di Marcel Jousse), piuttosto che al mimo o alla mimesi: dove per mimismo bisogna intendere una facoltà o attitudine innata dell’essere umano, che in origine (bambino, società primitive) si relaziona al mondo e lo conosce mediante la riesecuzione (rejeu), perdendo in seguito gran parte di tali capacità.

Su questa base Lecoq ha costruito e via via arricchito un percorso formativo che molto deve alle pedagogie evolutive-progressive della prima metà del secolo (e in particolare a quella di Jacques Copeau) e che porta l’allievo in due anni (più un altro di specializzazione) dalla "mimodinamica" alla "geodrammatica", ovverosia dall’esperienza dei fondamenti dell’azione e dell’espressione scenica (improvvisazione, maschera neutra, analisi del movimento, personaggio) all’esplorazione dei grandi territori teatrali, dal melodramma alla Commedia dell’Arte, dai buffoni alla tragedia, dalla pantomima al clown.

In particolare, il lavoro sulla Commedia dell’Arte e quello sul clown sono diventate le due specialità per la quali è rinomata la sua scuola, che continua a richiamare ogni anno molte decine di allievi da tutte le parti del mondo; e sempre a Lecoq si deve uno slogan che fece fortuna anche in Italia, all’epoca della grande diffusione del teatro giovanile di base: la ricerca del proprio clown.

E se forse, nel tempo, questa scuola non ha saputo sempre mettersi al riparo dai pericoli costituiti dal gigantismo e dalla commercializzazione, da un lato, e dall’adagiarsi nelle formule già note evitando il rischio fecondo della sperimentazione autentica, dall’altro, ciononostante la proposta pedagogica di Lecoq conserva intatta ancora oggi la sua forza di provocazione: "Una scuola di teatro – ha scritto il maestro francese nel libro Le corps poétique [Il corpo poetico], pubblicato nel 1997 e adesso tradotto in italiano da Ubulibri – non deve andare al rimorchio dei teatri esistenti. Al contrario, deve essere in parte visionaria e contribuire, con l’invenzione di nuovi linguaggi, al rinnovamento del teatro stesso. […] I teatri ‘puri’ sono pericolosi. Che sarebbero un ‘puro’ melodramma, una tragedia ‘pura’? La purezza è morte! Il caos è indispensabile alla creazione, ma un caos … organizzato, che permetta a ciascuno di ritrovare le proprie radici e i propri slanci. […] Questo procedimento pedagogico [basato sull’apprendistato fisico (N. d. R.)] può essere adattato a ogni educazione artistica: impegnare il corpo mimante per il riconoscimento del reale, permette a ciascuno di incorporare il mondo che lo circonda prima di dipingerlo, scriverlo, cantarlo, danzarlo… Le forme proposte in quel caso sarebbero, senza dubbio, più sentite e meno cerebrali".

[Da "Hystrio", XII, 2, 1999, pp. 20-21]


per informazioni:

soffitta@muspe.unibo.it

tel: 051/2092016 2092018 2092021
fax: 051/2092017

Università degli Studi di Bologna

Dipartimento di Musica e Spettacolo

home

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna