Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna NEXT GENERATION

la soffitta
Centro di promozione teatrale

STAGIONE 2000
teatro

 

9-23 marzo 2000

NEXT GENERATION

Una finestra da Teatri 90

Il progetto, dedicato alle giovani generazioni, presenta una succinta ma significativa rappresentanza della cosiddetta "Terza ondata" teatrale, alla quale Teatri 90 ha dedicato tre importanti festival, fra Milano e Palermo, in questo ultimo triennio del secolo.
I giovani artisti si affacciano al panorama teatrale con intermittenza più o meno regolare portandovi nuove urgenze espressive e reclamando spazio e ascolto. Il termine "ondata" descrive l’attuale flusso generazionale marcandone le componenti di irruenza, spontaneità, compattezza. Ma il fenomeno dell’ondata presuppone un nuovo riflusso, e quindi il defluire dell’emergenza. Si parla molto, attualmente, della ricchezza rappresentata dal nuovo teatro giovanile e, contempo-raneamente, se ne indica la condizione di emergenza, fra strettoie burocratiche e inadeguatezze istituzionali. E non ci si accorge che, nella divaricazione fra risorsa ed emergenza, si finisce col perdere di vista la normalità della condizione giovanile a teatro: che non è fase incoerente o incerta, ma epoca più di ogni altra propositiva e sostenuta da motivazioni forti. In questo senso, Teatri 90 ha contribuito ad accendere consapevolezza rispetto alla gioventù del teatro in quanto condizione vitale ed imprescindibile per il progresso e il rinnovamento artistico.
La finestra aperta da Teatri 90 nella programmazione della Soffitta corrisponde a tre spettacoli e un convegno (brevi momenti che si riallacciano comunque alle altre presenze, nel cartellone 2000, di nuovi gruppi e artisti della "scena ardita" contemporanea).
Aprirà il progetto un incontro, curato da Antonio Calbi, direttore e ideatore di Teatri 90, che ha avuto il merito di nominare e rendere riconoscibile "l’universo sotterraneo e tumultuoso dei nuovi gruppi", con le diverse "estetiche, le poetiche, le radicalità e gli estremismi, accanto a nuove formule organizzative, sia nella fruizione degli spettacoli, sia nell’utilizzazione di spazi inconsueti a loro volta reinventati". E La drammaturgia degli spazi è per l’appunto il tema dell’incontro (Palazzo Marescotti, 9 marzo, ore 16) nonché l’elemento di raccordo degli spettacoli.
In Dialoghi con le piante (Teatro San Martino, 9/10 marzo, ore 21) Mariano Dammacco dimostra di saper trasformare un approccio al testo di segno prettamente attorico in ricchezza di ambientazioni e invenzioni sceniche.
Il Peep Show, performance "estrema" di 7 minuti per uno spettatore, della Teddy Bear Company, presentata da Fanny & Alexander, è l’esposizione di un corpo sulla scena: "spazio-altare nudo, quasi di piazza" dove gli sguardi lo attraversano "facendone carne macellata, ripetendo un atto evidentemente cristologico" (Palazzo Marescotti, 11/12 marzo, dalle ore 16).
Sono Stato o il tramonto dell’eroe dell’Accademia degli Artefatti (Teatro San Martino, 22/23 marzo, ore 21) rappresenta il conflitto fra un teatro in cui la parola celebra la sua crisi e un attore che continua a fare dono di sé ribellandosi alla museificazione che lo circonda, alla quale allude la costruzione scenografica, ispirata a un cinquecentesco Wunderkammer.

DIALOGHI CON LE PIANTE

di e con MARIANO DAMMACCO

regia SALVATORE TRAMACERE

produzione KOREJA

Dialoghi con le piante introduce subito lo spettatore nel mito classico del labirinto di Creta attraverso l'incontro con i suoi protagonisti, ognuno con il suo costume, la sua parrucca e il suo fondalino bidimensionale: Minosse, Teseo, Pasifae, Arianna, non il Minotauro.
Poi c'è un ultimo incontro, il più lungo e approfondito, che sposta completamente il luogo della scena in uno spazio precisamente collocato nella nostra epoca e rende così un nuovo colore a tutte le parole e i personaggi fin lì incontrati.
I primi personaggi appartengono al mito in maniera pura anche se non classica o tradizionale; l'ultimo personaggio agisce in un luogo-casa dal quale non esce mai e nel quale dialoga con le piante; è come se in lui la "vita finta", convenzionale, dell'uomo occidentale, avesse preso una forma mostruosamente chiara. I suoi piccoli gesti, al limite del paradosso, sono il sintomo della sua malattia, anche se egli li vive come se ne fossero il rimedio: il suo nome è Asterione, nome del Minotauro.

PEEP SHOW

di Teddy Bear Company

…è con evidenza e senza motivo di vergogna che dichiaro il mio parto come inerziale discesa, atto di pura necessità materiale…non arrossisco al pensiero di essere un corpo che si offre, che si vende ad un cliente, ma faccio della mia prostituzione programmata ilo mio puntello, il mio orgoglio…mi offro in quanto corpo e vado a essere motivo di arredo, di mobilio, di decoro o meglio di oscenità […] ed è con la stessa logica da tavolino che dichiaro la mia totale inutilità culturale, la grande vanità o vacuità del mio operato di fronte a quelli che assistono, mentre rivendico per me la possibilità di un riscatto, di un rovesciamento…con questo spirito vado a porre il mio corpo sulla scena, lo vado a esporre, a mettere fuori, su uno spazio-altare nudo, quasi di piazza, dove mille sguardi si incontrano, all'aperto, facendone carta macellata, ripetendo un atto evidentemente cristologico […] l'atto performativo, da semplice marchetta di prostituta d'arte, consumata ai fini del piacere del cliente, si fa esercizio in sé e per sé, hic et hic, in un tempo presente, dilatato, non precommensurato o commensurabile, ma incidentale, eventuale, di fatto inesistente…e il mio orgasmo, inteso come risultato, fine di piacere, di fertilità euforica di un corpo che lavora, che è dunque energetico, non è tutto mentale e speculativo, ma sta proprio nell'esperire l'idea, nel fare del corpo un laboratorio vivente di sperimentazione a trecentosessanta gradi, un'officina ambulatoriale dove ausculto e notomizzo un limite…l'esercizio dell'esporre il corpo alla violenza dello sguardo e di subirlo è per me occasione e obbligo di grande disciplina, di rigore interiore, di inevitabile concentrazione in me, di sviluppo di una microtecnica muscolare per il controllo della maschera di impassibilità ovvero di passività, per combattere l'usura di un ritmo a volte estenuante…amo la reiterazione, lo scacco, il conflitto, la vergogna, la superficie…

da Conversazione con Teddy Bear Company


SONO STATO O IL TRAMONTO DELL'EROE.

MONOLOGO D'OCCIDENTE

drammaturgia e regia di Fabrizio Arcuri

Nella prima parte di Sono Stato. Monologo d'Occidente, lo spettatore è invitato in una grande Wunderkammer del 500 tedesco (o ad un reliquario di quelli che si vedono in certe chiese del Sud o dell'Est). Una stanza della memoria, un museo o meglio un archivio. Un primo tentativo parziale e fantasioso di catalogazione e riordine del mondo. Ma in Sono Stato il mondo è Teseo. La scena è la rappresentazione del personaggio.
Sono Stato si concentra sull'immaginario eroico di Teseo, come sensore della dimensione ontologica, etica, temporale dell'essere.
Un participio passato, la condizione in cui si trova un corpo, l'organizzazione politica di una società.
Stato, è una parola che si presta all'equivoco; ma forse, proprio l'indicibilità aiuta a fare senso.
Figlio di tutti, padre di nessuno, l'eroe è ciò che si racconta di lui, senza che sia mai necessariamente esistito […]
Avanzando, lo spettacolo provoca sfondamenti prospettici che implicano un'essenziale traslazione del punto di vista per cui lo spettatore è allontanato fisicamente dal corpo dell'eroe per osservarlo paradossalmente, ancora più da vicino, in dettaglio, e come sfogliandolo, per scoprirne l'essenza […]
Il testo e il corpo del personaggio defluiscono incoscientemente da un Teseo incontinente, come per drenaggio, allontanando man mano il peso della memoria, dell'età, dell'interpretazione, fino ad una regressione infantile e a una dissoluzione corporale che aspira alla dissolvenza. In questo Stato di incontinenza si affacciano alla superficie, parole mai pronunciate, umori segreti e pudichi, organi vitali e le memorie che implacabilmente, ma ormai senza efficacia, ricordano il fallimento di un'esistenza: i piaceri dell'amore; le ossessioni dell'abbandono; la morte di Arianna, sepolta con io figlio in grembo; la procreazione e l'istituzione dello Stato, come illusorie vie per l'immortalità.
A fronte di questo vuoto fisico e verbale ci sono tentativi di ricostruzione, in un caso a partire dalla parola in prima persona, come soggetto dialogante o come chiave d'accesso all'identità individuale, nell'altro ad opera di un Prometeo assemblato in modo posticcio (forse l'unico vero attore dello spettacolo), che invece del fuoco porta all'umanità il calore di una pista da ballo.
Una vera e propria geometria ritmica dello spazio e del tempo, intrecciato in un lavoro drammaturgico che pur tenendo presente le riscritture del mito di Teseo, da Gide alla Yourcenar, da Còrtazar a Bataille, passando per Manganelli, non esita ad alterare sensi, parole e modi del linguaggio per svelare il debito d'artificio di ogni rappresentazione, che nel suo rivelarsi tale accredita la ferma incommutabilità del vuoto.
Il Minotauro abita i nostri labirinti e i nostri voli si schiantano al suolo come quelli di Icaro.

per informazioni:

soffitta@muspe.unibo.it

tel: 051/2092016 2092018 2092021
fax: 051/2092017

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