Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna JEAN EPSTEIN

la soffitta
Centro di promozione teatrale

STAGIONE 2000
cinema
 

1-15 aprile 2000

Omaggio a

JEAN EPSTEIN

a cura di Laura Vichi

 

L’esperienza della première vague francese (Delluc, Dulac, Epstein, L’Herbier, Gance) è una delle fasi più originali nella storia del cinema europeo per la ricchezza degli spunti teorici e realizzativi offerti: tutti i cineasti protagonisti di questa stagione hanno anche una produzione critico-teorica, con la quale i film sono in continuo dialogo. L’importanza di questa fase per la storia del cinema è stata recentemente ribadita da un convegno internazionale dedicato all’opera cinematografica, teorica e letteraria di Jean Epstein e tenutosi nell’aprile 1997 alla Cinémathèque Française.

Uno dei dati più interessanti della proposta della première vague consiste nella ricerca di una narrazione eminentemente visiva, ma non estranea alle logiche produttive del mercato e alle necessità del pubblico. In quest’ottica possono essere letti anche i tentativi documentari di Gérmaine Dulac e Jean Epstein: non tanto pratica alimentare, ma luogo di incontro tra necessità di una committenza e ricerche di una forma peculiare di racconto. In questo senso, l’anomalia di queste opere suggerisce ancora molte risposte allo studioso e allo spettatore odierni.

Jean Epstein (1897-1953) ha dato sicuramente un contributo fondamentale per quanto riguarda l’evoluzione del linguaggio cinematografico, sia attraverso la riflessione teorica che la pratica filmica. Questi due aspetti si sono alimentati reciprocamente contribuendo anche alla formazione di una grande capacità di rinnovamento formale all’interno della sua opera, mentre l’impatto della ricerca di Epstein sulla storia del cinema ha una portata tale (cfr. Burch e Fieschi), che l’importanza di film come La glace à trois faces, Six et demie onze e Finis terrae di Epstein, insieme a L’argent di L’Herbier, si comprendono pienamente solo oggi, dopo Resnais, Bergman e Antonioni. Considerato tra i maggiori rappresentanti dell’avanguardia impressionista francese o "première vague" insieme a Germaine Dulac, Louis Delluc, Marcel L’Herbier e Abel Gance, lo abbiamo scelto anche per il suo particolare contributo al cinema documentario.

Al centro delle poetiche di questi registi è il concetto, elaborato da Delluc, di "fotogenia", il cui significato è legato alle possibilità peculiari del mezzo cinematografico, per cui l’immagine non è più mera registrazione del profilmico, ma acquista un’espressività tutta nuova. In questo modo lo spettatore diventa partecipe di esperienze visive che non appartengono all’esperienza quotidiana. Il cinema impressionista deve suscitare delle esperienze emotive nella soggettività di chi lo fruisce, con una modalità molto simile a quella musicale: "Solo lo choc delle immagini può tradurre gli stati d’animo" ("Images et rhytmes", 1924); "Nell’arte il tema è primordiale […]. Tutte le arti sono movimento perché implicano lo sviluppo di qualche cosa, ma l’arte delle immagini è […] più vicina alla musica attraverso il ritmo che è a loro comune […]. Giochi di luce, combinazioni di gesti, di tempi, di frasi " ("Le mouvement créateur d’action", 1924).

Anche se raramente questi registi realizzarono film astratti, come per esempio fece Dulac alla fine degli anni Venti con i suoi ultimi cortometraggi Disque 927 (1928), Thèmes et variations (1928), Etude cinématographique sur un arabesque (1929), la loro idea di cine-ma tende a quella di un "cinema puro", senza storia, senza quasi un soggetto (se non il movimento), per concentrarsi sugli elementi formali: il tipo di ripresa, il montaggio, il ritmo.

E’ attraverso l’impiego della tecnica, che vengono ottenuti gli effetti della narrazione. In La souriante madame Beudet (Dulac, 1923) l’infelicità matrimoniale della protagonista viene tradotta in immagini mediante alterazioni ottiche delle inquadrature soggettive in cui si vede il volto del marito deformato, nel momento della ripresa, tramite uno specchio ricurvo. In Cœur fidèle (Epstein, 1923), è attraverso il montaggio che l’effetto delle riprese soggettive viene intensificato tramite un frenetico susseguirsi di inquadrature che anticipano il montaggio vertoviano.

La soggettività del personaggio è il citato "tema primordiale" di cui parla Dulac e diviene, attraverso l’impiego della tecnica, anche forma del film. Dice Epstein: "Vorrei, mentre un personaggio va incontro ad un altro, andare con lui, non dietro, o davanti o di fianco, ma in lui, e guardare attraverso i suoi occhi e vedere la sua mano tendersi sotto di me come fosse mia, e degli stacchi in nero che imitano finanche il battito delle palpebre" ("Le cinéma et les lettres modernes", 1921).

Da quanto detto finora risulta evidente l’apporto notevole di questi autori d’avanguardia ad uno sviluppo del linguaggio cinematografico in senso moderno. Tuttavia, vi sono altri aspetti di rilievo importantissimo, nell’attività degli autori in questione, che sono però stati poco indagati e restano quindi meno noti e in attesa di una rivalutazione. Si tratta, in sostanza, di elementi legati ad un cinema di tipo documentario, ma compresenti alla sperimentazione linguistica che i cineasti mettono in atto anche nei film di fiction: da una parte, nell’approccio agli elementi naturali, agli ambienti, ai gesti, agli oggetti, ecc., dall’altra, nell’attenzione al fatto umano e sociale. D’altra parte le relazioni tra avanguardia, sperimentazione linguistica e documentario sono state più volte riconosciute, anche se non studiate approfonditamente, come dimostra la recente pubblicazione di L’autre et le sacré: Surréalisme, cinéma, ethnologie, oltre quattrocento pagine che da diversi punti di vista prendono in esame il caso particolare del surrealismo e le sue relazioni con il cinema etnografico.

Direttamente legata all’esperienza dell’avanguardia è sicuramente l’attenzione ai dettagli, a quegli aspetti inediti della realtà che solo il cinema è in grado di svelare attraverso procedimenti propri, sia in fase di ripresa che di montaggio.

Questo farà capire meglio le radici di film come Symphonie Paysanne (Storck, 1942-44) o Farrebique (Rouquier, 1946).

Infatti, se da una parte viene privilegiata la soggettività dello sguardo, dall’altra l’impiego del mezzo cinematografico va in direzione antipsicologica, analitica, assumendo talvolta un aspetto antropologico (negli scritti di Epstein e di Dulac torna insistentemente l’attenzione al gesto) e un senso fisico. Citiamo un passo di Epstein, ma il concetto, tradotto in pratica nei suoi film, è ripetuto a più riprese nella sua opera: "come noi, mentre passeggiamo, ci chiniamo per vedere meglio una pianta, un insetto o un sasso, così l’obiettivo deve inserire in una ripresa della campagna un primo piano di fiore, di frutto o di animale: nature vive. Non cammino mai solennemente come questi operatori. Guardo, annuso, tocco. Primo piano, primo piano, primo piano. Non punti di vista raccomandati, gli orizzonti del Touring Club, ma dettagli naturali, indigeni e fotogenici. Vetrine, caffè, marmocchi pidocchiosi, la tabaccaia, gesti consueti con la loro piena portata di realizza-zione, una fiera, la polvere delle auto, un’atmosfera" ("Le cinéma et les lettres modernes").

Per Dulac il cinema diviene uno strumento per conoscere il mondo: esso è infatti un’"arte intrinseca. Una delle sue prime caratteristiche è il suo potere educativo ed istruttivo; i film documentari ci mostrano, come farebbe un microscopio grazie al quale percepiamo […] ciò che non percepiremmo senza far uso di esso. In un documentario, in un film scientifico, la vita ci appare con i suoi mille dettagli, la sua evoluzione, tutto ciò che l’occhio non può seguire ordinariamente" ("L’Essence du cinéma - l’idée visuelle", 1925). E ancora: "Movimento interno, movimento esterno, che si commentano l’un l’altro per formare la frase cinematografica, espressione di un viso, mobilità di un gesto, significato che si produce tra un particolare e l’immagine che segue in un ritmo che porta con sé prospettive diverse" (1925).

Infine, di Epstein è da sottolineare la riflessione su un cinema di tipo etnografico, che affida alla cinepresa il compito, ancora una volta, di svelare realtà sconosciute. A proposito dei suoi film sulla Bretagna, dove aveva vissuto per diverse settimane con i protagonisti dei suoi film, afferma: "bisogna capire questi uomini, penetrare sotto il loro tetto, sedersi alla loro tavola per capire l’origine del dramma, […] battere il mare con loro perché dietro l’aspetto ora non più banale di un colpo alla barra del timone, abbia luogo una rivelazione".


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