Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Nota per il Cimbelino di Shakespeare

Arnaldo Picchi,

Nota per il Cimbelino di Shakespeare

 

Dunque si racconta che il re di Britannia Cimbelino e la sua regina sono entrambi in seconde nozze. E che tutti e due hanno un figlio - lui una femmina (Imogene) e lei un maschio (Cloten, che però è considerato un po' tardo; ed è un giovane violento). Per comprensibili ragioni dinastiche la Regina vorrebbe combinare il matrimonio tra i due ragazzi; sul che il re non avrebbe proprio niente da dire, ma c'è il fatto che Imogene è innamorata di Postumo, il figlio orfano (e povero) di un antico e glorioso generale del regno. Una complicazione da niente, insomma. E infatti lei sposa il suo amato in segreto. Ne consegue la collera del re (istigato dalla Regina), che caccia dalla corte Postumo e chiude lei a chiave. Questa la situazione di partenza; come dire: tutto per il peggio. Per cui la prima scena, che è di una mattina presto, con Postumo che si riveste e lei che non ha neppure la forza di guardarlo, io l'ho chiamata gli Addii. Come per dire: tono minore e malinconico. Poi nel racconto di Shakespeare arriveranno messaggeri da Roma che reclamano tasse non pagate; che i Britanni (perché la Regina non vuole pagare) non pagheranno e comincerà la guerra, dove tutti avranno la propria traversia.

Gli studiosi che si sono interessati dell'opera - s'intende, da lettori - sono propensi a credere che in Cimbelino principale sia proprio il racconto della guerra tra i Britanni e Roma (Melchiori, Boitani ecc.); per altri (p.es. Baldini) si tratterebbe invece solo di una cornice. Si discute cioè se per prima vada considerata la peripezia di Imogene, o se è più conveniente per la comprensione seguire lo scenario di guerra, le separazioni, le battaglie, gli sconfitti, i riconoscimenti e la pace finale. Ora, si dica quel che si vuole, è quasi automatico pensare alla storia d'amore e ai suoi oltraggi come alla vicenda prima e vedere poi il resto come fondo (e d’altra parte sappiamo che in Inghilterra, all'epoca della Restaurazione, di questo Shakespeare circolava non l’originale ma solo un rifacimento intitolato The Injured Princess or The Fatal Wager - e cioè La Principessa oltraggiata ovvero La Scommessa fatale). E per questa scelta si possono avere mille giustificazioni. Soprattutto se si pensa alla eleganza e facilità della novella II,9 di Boccaccio (Storia di Bernabò, di Zinevra e di Ambrogiuolo) che Shakespeare ha incorporato e intrecciato (sia pure passando forse per una versione laterale, la Frederyke of Jennen) alle notizie leggendarie dell’antica Britannia che prendeva da Holinshed o da Geoffrey of Monmouth. Cacciato da Cimbelino Postumo arriva a Roma, dove incontra un gruppo di gentiluomini che discutono simposialmente sull'infedeltà delle donne; un’infedeltà che ritengono costituzionale. E qui con uno di questi, che si chiama Iachimo, finisce per giocarsi la propria compagna - oro contro l'anello di diamanti che è l'ultimo dono di lei. Scommette sulla virtù della moglie. E si lascia ingannare quando l’altro gli porta prove apparenti dell’avvenuto adulterio; per cui impazzisce di gelosia e ordina al suo servo rimasto in Britannia di punire lei nel modo più duro. Ma poi, che sia questo l’intreccio da tener d’occhio ce lo chiedono la regalità e la grandezza d'animo di Imogene, rimasta sola in una corte in cui è oggetto dei brutti propositi di molti. Così, quando Melchiori ci raccomanda di stare attenti e di vedere come primario lo scenario storico, premendo sul fatto che è il racconto di una guerra che si svolse al tempo della presenza di Cristo nel mondo, nel tempo cioè in cui l'uomo fu riscattato, nonostante questo resta difficile seguirlo. Relegare Imogene in secondo piano sembra una profanazione. E' però un fatto che l'incrocio dei due scenari è un po’ macchinoso. Burgess ritiene Cimbelino "il più singolare miscuglio di tutto Shakespeare", gli trova difetti di struttura ("Figure tratte da Holinshed e un racconto tratto da Boccaccio sono improbabili compagni di letto"). Baldini osserva che vi abbondano passaggi convenzionali; ci fa la lista dei personaggi che ritiene legnosi, sbiaditi (Postumo, Iachimo, Belario, Arvirago, Guiderio; e finisce per aggiungervi lo stesso Cimbelino). C’è solo Imogene, dice ("cui pure il solito travestimento obbliga a mosse forzate"), a essere degna delle grandi figure femminili di Shakespeare. Ma poi, entrando registicamente nel testo, vedendolo vivere con la vita degli attori, si comincia a sospettare che Melchiori forse qualche ragione ce l’ha. Sì - è possibile: l'esistenza e l'etica individuali sono certo inestricabilmente legate ai nodi della storia e alla presenza del trascendente nella vita umana. Cimbelino è allora il vecchio nascosto come una belva nel fondo buio di questa storia, e muove gli eventi nella sua cecità; con dietro di sé quella terribile Regina, che gli dà catena, o gliela accorcia. Forse sono le antiche malvagità, in cui non abbiamo avuto parte, che continuano a franarci addosso.

C'è da dire però che anche questo del primo o secondo intreccio appare presto come un fatto marginale. Molto più importante si dimostra invece arrivare a vedere le facce di queste persone da più vicino possibile. E sono facce che mutano come quando si sogna. Appena inclinando la testa Imogene improvvisamente si trasforma nella Bella Addormentata (è quando nella notte nella sua stanza penetra Iachimo, il nemico), o in Biancaneve (quando nel bosco il servo Pisanio deve ucciderla, e invece la risparmia e la fa vestire da uomo e cammina cammina lei finisce nella casa dei sette nani, che qui però sono tre cacciatori), o in Giulietta (quando è creduta morta e posta accanto a Cloten decapitato, e lei lo crede Postumo e si dispera; ma poi la tragedia è impedita e si prende un'altra strada). E’ però un fenomeno che riguarda tutti i personaggi: nella serrata situazione della scommessa abbiamo il tempo di vedere la faccia di Postumo sparire sotto quella di Otello (il cui onesto Iago, che qui è appunto Iachimo, ha però un carattere meno livido, e una vena di cupa angelicità); nella sua furia iniziale Cimbelino affronta Imogene come Lear Cordelia; proclamando i suoi propositi di vendetta Cloten in III,5 diventa il Chiron di Tito Andronico, e anche sua madre viene da là, e a volte ha la stessa maschera della Regina dei Goti. E lasciamo perdere le facce cancellate, i travestimenti, il fatto che Imogene, in abiti maschili come Julia nei Due gentiluomini di Verona, o Viola nella Dodicesima notte, non sia riconosciuta dal marito (che addirittura la colpisce scambiandola per un servo) e neppure dal proprio padre. E via allora anche le simmetrie, le corrispondenze: Postumo grida contro la slealtà delle donne e Imogene contro i giuramenti traditori degli uomini; lei fugge stanchissima e affranta nel bosco e stanchissimo e disperato Cloten la insegue, entrambi ragazzi abbandonati a se stessi. Iachimo è l’ingannatore, come dicevo, ma sa pentirsi e sa pentirsi anche Cimbelino, guarda, e perdona col sovrano perdono del re. Io non ubbidisco, protesta Pisanio all’ordine di Postumo di uccidere Imogene e Ubbidisci! gli impone subito dopo lei per quello stesso ordine.

Lascio perdere tutto questo. Eppure sono legami ipnotici, perché Imogene (soggetto supremo di Cimbelino, qualcuno dice, il più alto punto di riferimento per gli attori) è tanto la grazia che si muove nel mondo, un angelo del cielo, che una donna dura, e fors'anche opportunista; Postumo è un innamorato che ci mette cinque minuti, in una discussione tra sconosciuti, per arrivare a scommettersela; e Cloten, di certo volgare, e forse anche stolto, sa vivere per lei una idea di amore tanto terribile da spingerlo in solitudine in una caccia malvagia, in cui peraltro perderà la vita, con la temerarietà e la purezza di un Parsifal. Poi, nei momenti di massima cupezza, o scoramento, il racconto si volta e in modo inatteso sorride; le simmetrie sono ipnotiche, sono come rime, ritornelli, un barbaglio di speranza, o di bonarietà drammaturgica; o anche sinistra, autoimposta, forse un inganno. In III,6, quando la Regina esulta all'idea che suo marito possa morire di collera e di malattia quella stessa notte (Possa non vedere il giorno di domani, grida), e si cancelli così tutta la sua discendenza, compresa Imogene, in modo che possa fare del proprio figlio il re, e restare padrona assoluta di tutto, dei veleni e dell'odio, dei luttuosi palazzi di Schinkel, diremmo, che ha attorno, non appena lei è uscita ecco suo figlio Cloten buttarsi in ginocchio ed esultare nel comprendere quanto invece lui, Imogene, l'ami

perché è bella e regale, la più squisita dama tra tutte le dame, tra tutte le donne. Di tutte è il meglio e di questo meglio è fatta, per questo le supera tutte e per questo io l'amo

salvo poi ricordarsi che lei ha pur sempre scelto quell'altro; per cui la punirà, scannerà Postumo e la violenterà sul suo corpo, e poi la riporterà a corte, da dove lei è fuggita, a pugni, e a calci in camera sua.

Sappiamo che come al suo solito Shakespeare scrisse questo pezzo con un occhio agli incassi. Ma a quel tempo le cose per la sua compagnia non andavano troppo bene, era moda preferire la concorrenza, Beaumont e Fletcher. Il tempo era passato, gli antichi proclami, le commedie dialettiche erano ora inservibili; merce scaduta. Ma sappiamo anche che non sapeva trattenersi dal profittare delle nuove mode. Ora, per questo nuovo pubblico di cambiata intelligenza, e ritegno, o smagato, e di bocca buona, i vecchi eroi erano stracci, abiti smessi appesi al chiodo, roba per i cenciaioli. Ogni tanto càpita. Se si voleva farsi sentire da lui bisognava servirgli quello che voleva, una cosa semplice, un’avventura e un lieto fine. Basta con la severità; una cosa facile da seguire, scorrevole, ricongiungimenti finali, baci. Una fiaba? Con trabocchetti, allora, bassi fondali e maree. Sì; ma anche – e per forza – corridoi laterali, un percorso in quella che era ormai la galleria degli spettri. Cimbelino è anche questo, un campionario di vecchie trovate, quelle che un tempo tutti avevano amato e che ora non valevano più; una raccolta di ritratti, una rassegna di parti d’attore. Che sia dunque una fiaba, e che dentro ci siano tutti i vecchi compagni. E quindi gioielli, tirate ovvie, costumi rimessi a posto, vecchie facce, riciclaggio di fondi di cassetto, un po’ di disinganno e un ossequioso disprezzo. Ossequioso; perché il botteghino è sempre il botteghino. Come un omaggio avvelenato, un mazzo di fiori che ad annusarlo si perde la testa, un bouquet fatto di gigli, rose ed elleboro. Cimbelino è un lavoro di montaggio e di intarsio, e una collezione di ricordi, di richiami. Facce false che sbocciano sui rami invernali come fiori. Composto attorno al 1610, è il terz'ultimo lavoro di Shakespeare, dopo ci saranno solo il Racconto d'inverno, la Tempesta e le penne spezzate, e una tranquilla vita in campagna.

L'incarico che ho ricevuto dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna era quello di allestire in S. Giorgio in Poggiale con i miei studenti del Laboratorio di Istituzioni di Regia del DAMS qualcosa che riguardasse un pubblico di adolescenti. Forse anche di bambini accompagnati dal loro papà. Per questo ho proposto Cimbelino. Ho pensato: potrei ritenermi soddisfatto se tornando a casa quel papà pensasse Maledizione che ho finora dimenticato di giocare con questo ragazzo. E invidiasse un po' il figlio, che sa giocare bene, e sa crederci. Così ho pensato (a uso dei papà) di rincarare un po’ la dose della fiaba facendo trovare in scena ai cattivi la loro nobiltà e ai buoni la loro doppiezza; di scambiare le teste e fare che ciascuno di questi personaggi avesse un po’ del proprio nemico. E di aggirare il tempo; prima tutti in abiti del '600 e alla fine tutti in smoking e le signore in abito da sera; perché la faccenda è qui e ora, giusto vicino. Certo, Cimbelino infine si dimostra un racconto senza desiderio, sì, la sua linfa è fredda, scorre per varie scelte crudeli; e la prima è quella compiuta dall’autore sulla propria materia. Dovunque corrono le bugie. C’è davvero solo Imogene che sembra andare con la sua vita. Ma nel finale anche lei, poi, svanisce; e sembra di restare con una lampada che si spegne. Si desidera una soluzione, ma ci sono solo parole, parole. L’inganno della consolazione ruota sul mondo la sua falce. Tutto finisce in una chiacchiera di cortigiani, e tutti bene in parte, si capisce; neppure un anello, o una cravatta, è fuori posto. Così l’autore cede la propria materia. C’è qualcosa di doloroso e di inflessibile in lui. E allora – se è così - che tutti i personaggi siano esposti ed esultanti, come cantanti d’opera. Che il bosco sia buio proprio come è il bosco delle fiabe, e la corte senza lei, senza Imogene, un luogo triste, abitato da un tempo rauco e immiserito. Che sia un'opera; che le voci siano portate alte, e i personaggi si dimostrino inverosimili e vivi. Scesi sì nel modo più tristo nei sotterranei del mondo – come deve essere - eppure leggeri e lievi, più leggeri degli uccelli del cielo. E che, dopo di ciò, ciascuno si pasca del proprio cinismo, visto che si compra a così caro prezzo. Pensavo anche a un racconto a fumetti che usciva sul "Corriere dei Piccoli" quand'ero ragazzino. Si intitolava Fort Pitt resiste ancora. Non me ne ricordo che il titolo, e i volti tatuati degli indiani huron che vi abitavano, quelli di Fenimore Cooper; Magua, e La longue Carabine. Pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto potere usare almeno una volta un titolo come quello, così spazioso e profondo, pieno di imbarchi e di terre lontane; in assoluta libertà d'animo. Perché no, poi? In fondo non mi va male un duello tra bugie, le sue e le mie; primo cavaliere/secondo cavaliere. Lui dice: Non resta che ingannare. Sì, probabile; muoviamo gli inganni, allora; vediamo come va a finire.

 

 

Personaggi e interpreti

Gauderio Luca Amenduni
Caio Lucio Filippo Armati
L’Indovino Tommaso Arosio
Imogene Shiva Bayat Sarmadi
Una dama della Regina Giovanna Canu
Cimbelino Massimiliano Cossati
Pisanio Nunzio Diana
La signora romana Anna Di Carlo
Postumo Davide Donadini
Il Secondo signore britanno Daniele D’Onofrio
Iachimo Tommaso Fortunato
Cornelio, dottore Emilio Guizzetti
Cloten Fabio Irrera
Arvirago Davide Lombardi
Il francese (poi Capitano romano) Giovanni Marandola
Il Primo signore britanno Leone Padula
Dama di Imogene Claudia Perfetto
Belario Federico Pizzuto
Un’altra dama della Regina, La Danzatrice Aurelia Ricciardi
Un gentiluomo di Caio Lucio Alessandro Taborelli
La Regina Simonetta Venturini
   
   
Regia Arnaldo Picchi
Regista assistente Simonetta Venturini
Trainer Massimiliano Cossati
Musiche originali Roberto Picchi
Flauti rinascimentali Martino Noferi
Violino Simona Cavuoto
Viola Thomas Cavuoto
Violoncello Marco Ferri
Fonica Giampiero Berti
Materiale fonico Sound Store
Scenografia Enrico Manelli
Assistente di cattedra Marcello Morresi
Assistente alla scenografia Michelangelo Barbieri
Realizzatori della scenografia Cecilia Bettiol
Michela Ciappini
Silvia Comasetto
Federico Marchese
Marcello Morresi
Barbara Moruzzi
Mauro Pisano
Massimiliano Serrapica
Davide Tagliaferri
Attrezzisti Andrea Grazia
Giovanna Iaquinta
Luca Rossi
Alessandro Taborelli
Silvia Zecchino
Costumi Giancarla Evangelisti
Sarte in quinta per il 3.o atto Laura Ammattatelli
Eleonora Loprete
Disegnatori delle luci Luigi Sermann
Proiezioni Paolo Gualdi
Materiale elettrico Ilumino Service, Bologna
Ideazione e progettazione grafica AngelaMaria Piegari
Organizzazione e amministrazione Il Laboratorio delle Idee, Bologna
Ufficio organizzativo Emanuela Juorio
Coordinamento della produzione Giulio Corrente
Ufficio informazioni e prenotazioni Silvia Vacchetti
Ufficio Stampa Avenue Media, Bologna
Patrizia Romagnoli

Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna