Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
Nota per lAnfitrione di H. v. Kleist
Alcune scene dello
spettacolo sono visualizzabili presso
Nello stesso momento in cui ritorna trionfante da una rischiosa campagna militare Anfitrione si trova improvvisamente posto davanti alla sua insignificanza umana, privato di ogni certezza, addirittura della sua stessa identità. Infatti, Giove, il padre degli dèi, durante la lunghissima notte che ha preceduto il suo arrivo una notte che ha reso lunga quanto tre notti si è congiunto con sua moglie Alcmena e proprio prendendo il suo aspetto. Apollodoro assicura che tutto ciò è avvenuto quasi senza passione, da parte di Giove, e solo per procreare Ercole; ma per altri autori, e Plauto in testa, la ragione era invece innanzitutto quellaltra. Ed è forse per lambiguità del soggetto (o anche per spegnere la sua inevitabile allusività a un ben più pregnante tema cristiano) che gli autori che via via lo hanno trattato (prima del proprio, che andò in scena nel 1929, Giraudoux ne contò 37, ma la serie ha continuato ad allungarsi, dopo di lui) hanno preferito mantenersi su unavventura galante, per quanto complicata da furti di identità o da identità sdoppiate. Una burla, dunque, e nientaltro; a volte pesante (pesantissima quella patita da Bartolomeo degli Avveduti, nella novella del Lasca, che impazzisce), o anche interamente erotica, a volte più lieve, quasi bonaria; a volte addirittura compiuta su se stessi (in Figueiredo, per esempio); ma con un fondo buio, un fondo di spettri, o solo di specchi. Acre, alla fine, dunque; forse anche paurosa.
Cè qui daltra parte il tema della vittoria e insieme dellumiliazione, o disinganno, delleroe; cè il tema del doppio, che agisce al nostro posto, che ci anticipa in ciò che vorremmo fare, e ce lo toglie per sempre. Cè il tema dellarroganza dei potenti che qui sono però dèi, e diventano allora ignobili; cè certo il tema delle corna che si trasformano in benedizione (come osservava Diodoro Siculo), ma cè pur sempre anche il tema supremo, mistico, netto e limpido, della visita del dio, e quindi delleffusione della grazia, del dono. Christine de Pizan, p. es., era del parere che "quando si dice che Zeus lamò [Alcmena] bisogna intendere le virtù di Zeus che in lei furono infuse".
Kleist (il suo trattamento del tema, che cominciò come una traduzione di quello di Molière, è del 1801) sembra attratto, caso unico, proprio da questo particolare aspetto della faccenda, dalla presenza del divino nellagire degli uomini; di certi uomini, almeno. Ma poi non si tratta solo di questo, per lui, è chiaro; cè il pessimismo che gli fa svalutare ogni sforzo umano, che lo convince che il vero è solo apparenza, che non cè alcuna verità posta, al termine di tutto, come una terra promessa agli uomini. Cè però anche la speranza che la purezza dei sentimenti sarà infine ciò che li salverà; cè lincontro delluomo e della donna, di lui che si trasfonde in lei e di lei che lo riconosce. Cè naturalmente uno smisurato orgoglio; molto romantico, in tutto questo. Così che i due Anfitrioni nel limite estremo delle loro realtà sono in fondo uno, uno stesso uomo, riunito e perfetto. E lei, che è chiamata a riconoscerli, e quindi (è inevitabile) a distinguerli, dividerli e Alcmena è forzata a fare proprio questa distinzione, pubblicamente, in mezzo a tutti, come in un sarcastico giudizio di dio alla fine capisce che, semplicemente, è proprio quanto non dovrebbe essere fatto, ché è la colpa più grave rompere un risultato così faticosamente ottenuto ma che è insieme così duramente invivibile; e che quindi quello che è inevitabile fare è appunto questo, distinguere, separare; per quanto ciò porti con sé ora che si sa tutto il rammarico (il cinismo?) del mondo. Il racconto si chiude del resto con quel suo celebre Ach! (può significare ahimé, ma anche molto altro, stupore, o forse collera, o sollievo) su cui hanno dibattuto generazioni di critici. Resta che il fatto dato da Kleist come borghesemente crudele (o forse solo come sciocco, volgare, ma poi significativamente posto alla radice del racconto) mi sembra proprio questo costringere lei davanti al popolo a scegliere. Il che produce un roboante finale dopera, con lapparizione di aquile che stringono tra gli artigli le folgori degli dèi ma insieme dentro e nel mezzo mentre le frasi pronunciate, che corrono tutto intorno, si trasformano in falsità, si vuotano di senso, unocchiata segreta tra lei e lui definitivamente riuniti, e solo per ciò che sono (scena a Potsdam, sul Wannsee, 21 novembre 1811).
Arnaldo Picchi
Personaggi e interpreti
Musiche di Albeniz, Brahms,
Gabriel, Purcell, Verdi
Scena Cortile di S. Giovanni in Monte a Bologna
Per il suono Giampiero
Berti
Per le luci Luigi Sermann e Massimiliano Sassi
Materiale fonico Cooperativa Al Limite
Materiale elettrico Illumino Service
Attrezzeria e gestione dei materiali Laura Montanari e
Alessandro Taborelli
Maschere Aleksandra Di Capua e Andrea Tamagnini
Costumi Alberani
Per la progettazione grafica Angela Maria Piegari
Amministrazione Giovanna Filippini e Roberto Raspadori
(Dipartimento Musica e Spettacolo dellUniversità di
Bologna)
Assistente alla regia Cinzia Mela
Regia Arnaldo Picchi
Gli studenti del
Laboratorio teatrale di Istituzioni di Regia del Dipartimento di
Musica e Spettacolo dellUniversità di Bologna
dedicano questo loro lavoro al Magnifico Rettore, prof. Fabio
Alberto Roversi Monaco.