Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna
L'ARTE DELLA VOCE
Le origini del flamenco ancora oggi sono avvolte da una sorta di mistero, anche se si sa per certo che questa musica è nata in Andalusia e si è affermata attorno alla seconda metà del XIX secolo a seguito dellinteresse del Romanticismo per le musiche popolari ed autoctone. È in questo periodo, infatti, che cominciano ad apparire documenti che certificano lesecuzione di balli e canti denominati "flamenco" e associati spesso al mondo dei gitani. È molto probabile che la parola flamenco derivi da flamengo, cioè fiammingo, come venivano chiamati i gitani provenienti dalle Fiandre e stabilitisi poi in Spagna alla fine della loro lunga migrazione dallIndia. Ma flamenco non è stato lunico nome con il quale si è indicata questa musica durante i suoi centocinquanta anni di storia. Quando, a cavallo fra lOttocento e il Novecento il termine flamenco cominciò ad essere associato ad unimmagine negativa della Spagna, chi, come Manuel de Falla e Federico Garcìa Lorca, volle dare un importante valore artistico alla musica andalusa, distinse il flamenco dal cante jondo, questultima considerata la vera espressione del popolo andaluso. Il Concurso de cante jondo organizzato da questi due artisti a Granada nel 1922 rappresentò la messa in pratica di questo concetto, che di fatto privava il ballo ed alcuni stili di canto di valore artistico. Anche se oggi la prevalenza del nome flamenco è indiscutibile, questa distinzione continua ad esistere nel repertorio tradizionale. Questo, infatti è suddiviso in due tronconi: cante jondo (o cante grande) e cantes festeros (chiamati anche cante chico). Alla prima categoria appartengono quei generi (palos in spagnolo) considerati alla base dellevoluzione del flamenco, mediante i quali si esprime il duende, quel sentimento di "lotta sadica ed ironica allo stesso tempo, con la morte" (Federico Garcìa Lorca), caratteristico del popolo andaluso. I canti senza chitarra insieme alla seguiriya e alla soleà rappresenterebbero la radice di quellalbero genealogico con il quale si descrivono le molteplici forme che ha assunto oggi il flamenco. Con il termine cantes festeros ci si riferisce invece a generi in apparenza più "leggeri" (livianos) e in genere associati al ballo. Se però queste distinzioni, in un periodo di ricerca della "purezza" quale è stata la prima metà del Novecento erano molto nette, oggi si tende, giustamente, a ricercare il duende nellespressività dellesecuzione più che nel genere in sé. La voce e la chitarra sono da sempre considerati lessenza del flamenco. La tipica impostazione vocale che richiede il flamenco, il suo timbro rauco e sofferente esprime al meglio il fatalismo di cui sono intrisi i testi (coplas), la rassegnazione e lironia di chi soffre ma non può lottare per stare meglio. Esistono due varianti di questuso della voce: una più lirica, più dolce, attribuita solitamente ai cantanti non gitani ed una più "gridata", più anarchica, che caratterizza il modo di cantare dei gitani. Pepe Marchena e Antonio Mairena rappresentano storicamente il binomio più significativo in questo senso. Fin dalle origini del flamenco la chitarra ha avuto sempre un ruolo tanto fondamentale quanto subalterno alla voce. Questo strumento ha il compito importantissimo di dare il ritmo, di scandire gli intervalli del canto e di sottolineare le punte più alte dellespressività del cantante. È per questo che è considerata di fondamentale importanza lintesa tra il chitarrista ed il cantante, che spesso si trovano ad improvvisare insieme: in unesecuzione il cantante sceglie, a seconda della situazione, dello stato della sua voce e dal duende che sente in quel momento, le strofe da cantare mentre il chitarrista cerca di seguirlo attingendo al suo repertorio di falsetas (fraseggi standard di chitarra). |
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