Archivio Storico:- ex Dipartimento di Musica e Spettacolo - Universita' di Bologna Il Suono e l'Immagine - terza edizione

 

nell'ambito della rassegna
VOCI FUORI SCENA
visioni teatrali in forma di racconto
a cura di Gerardo Guccini

 

9 novembre - ore 10-19
10 novembre - ore 10-13
Laboratori DMS - Auditorium

Nel teatro di Giuliano Scabia
proiezioni video

 

10 novembre - ore 18
Laboratori DMS - Auditorium

Trent’anni di apprendistato
incontro con Giuliano Scabia
con una presentazione di Gerardo Guccini





Appunti per una lode della pedagogia

È meraviglioso stare all’università e fare ricerca insieme agli studenti.
Brodski, il grande poeta russo, un giorno che era a Venezia l’ho sentito dire: Ma vi rendete conto, io posso stare ogni anno con dei giovani a leggere i poeti.
Per me i corsi (correre, correre insieme) sono avventure di ricerca. Chi segue i corsi, se entusiasmato e attrezzato, diventa collaboratore indispensabile – importante più di quanto lui immagina. In questi anni di apprendistato al Dams (chi insegna è sempre, secondo me, in fase di apprendistato) ho capito sempre di più che la trasmissione di conoscenza è l’atto più alto e umile praticato dagli uomini, in ogni campo. Parlo della pedagogia che mette sete e gioia di conoscere, atto creativo di vita nuova.
L’università (la scuola) può essere il luogo giardino dove insieme – studiando, cercando, faticando – si inventa il futuro: perché i giovani sono il futuro, con tutti i loro sogni, problemi, paure, dolori, amori, tristezze, violenze, errori, sapienze, ignoranze e allegrie.

Giuliano Scabia, novembre 2005

 





Presentazione
Poesia - scrittura drammatica/narrativa - teatro - poesia. Gli elementi di questo circuito senza soluzione di continuità, nella pratica di Scabia si traducono in azioni: tra azione poetica e azione teatrale avviene un cortocircuito per cui l’una è l’altra e viceversa (scrivere il romanzo Nane oca o le poesie del Poeta albero è fare poesia, ma è anche fare teatro, andare dai “matti” di Trieste o studiare il “teatro di stalla” per attraversare l’Appennino con gli studenti universitari è fare teatro, ma è anche fare poesia); e l’azione teatrale/poetica di Scabia è percorsa e scossa da una serie di altre azioni operanti ad un livello secondo, di cui essa si sostanzia e da cui prende vita:
-camminare
-raccontare
-ascoltare.
     Il suo è un teatro/poesia camminante, raccontante, ascoltante. Il poeta stesso è tale in quanto camminante, raccontante, ascoltante. Ma ciò che è più significativo è che i partecipanti, coloro che sono chiamati a essere parte del “mistero” (mistes, colui che partecipa) – siano essi lettori, spettatori, studenti di corso, utenti di un manicomio, scolari, gente di piazza – sono indotti a formare un cerchio (circolo) di camminanti, raccontanti, ascoltanti, al cui interno la poesia/teatro si compie. E il cammino non è mai (o quasi mai) metaforico, così come il racconto non deve necessariamente passare per la verbalità ma è quasi sempre il racconto attraverso il fare o il corpo che fa. Dunque, la poesia non è la parola stampata sulla carta, ma un’azione (magica) che il poeta compie per sé e per coloro che partecipano; e il teatro non è un’immagine che scorre di fronte (o intorno) a noi, ma un viaggio da vivere in prima persona con il proprio corpo (percorso-racconto dentro il corpo con il corpo e dal corpo alla mente), non per rappresentare o per subire la rappresentazione ma per andare alla scoperta. Nel mistero si può solo essere dentro; lo spettatore, colui che guarda e basta, è un intruso/escluso, come Penteo nella Baccanti di Euripide.
     Vorrei fare un solo esempio, limpidissimo. Si tratta dell’intervento portato da Scabia al Festival di Santarcangelo nel 1999, che ha preso il nome di Camminata notturna da Santarcangelo al mare e che è forse l’azione più bella di Scabia degli ultimi anni. Fu una camminata epica di 14 km dalle cave di Santarcangelo al molo ultimo di Rimini, da mezzanotte alle sei del mattino; scatenò reazioni contrastanti ed estreme che andavano dalla totale empatia al furioso rifiuto. Il punto notevole è per me che tutti gli elementi entrati in gioco, le brutture dell’ambiente, il silenzio, la fatica, il male dei piedi, la rabbia, strutturati all’interno dell’azione “camminata notturna”, così prepotentemente lontana da ogni forma di rappresentazione, di spettacolarità, e anche tutto sommato di happening, entravano nella bellezza, erano la bellezza, dell’ascolto e dello sguardo puro, del discorso poetico (cioè non di qualcosa che veniva proposto, ma del suo accadere, l’accadere del camminare, dei suoni della notte, del sudore, del dolore dei piedi, dello strusciare dei corpi, delle chiacchiere, dei pensieri liberi, delle emozioni). E l’opuscolo che Scabia ha prodotto, con le bellissime immagini di Maurizio Conca, per ricordare la camminata, e che ha regalato un anno dopo a coloro che vi avevano partecipato, contiene una delle sue scritture più intense e folgoranti.
     Ecco, con il percorso che propongo qui, vorrei arrivare a mostrare la centralità fondativa, non solo per l’esperienza di Scabia con gli studenti ma per tutti i suoi interventi teatrali-poetici, di ciò che mi piace chiamare l’«epos dell’azione poetica», cioè quell’insieme di pratiche assolutamente eterogenee (scritture, disegni, fotografie, registrazioni video, ecc.) che vengono dopo, o a ridosso, del fare. Esempi poco conosciuti di questo «epos» sono i quaderni universitari; esempi noti sono invece il libro di Marco Cavallo, o quello sull’esperienza del Gorilla Quadrumàno, anch’essa un’esperienza universitaria, o le bellissime ‘lettere a Dorothea’ su Il Diavolo e il suo Angelo e molti altri.
     Mi piace schematizzare così. Da una parte nella pratica di Scabia abbiamo il fare, dove azione poetica, azione narrativa, azione drammatica sono in un certo senso indistinguibili perché portate a sintesi da quella ricerca inesausta del mistero che io identifico con il “segreto dell’eterna giovinezza” di cui lui parla spesso ai suoi studenti come termine ultimo di un viaggio teatrale/poetico che sia vero, vissuto (e poi anche con il momón di Nane Oca1 ); e proprio come emanazioni coerenti di questa ricerca si danno appunto le molte occupazioni scabiane: romanzo, scrittura drammatica, narrazione orale, scrittura poetica, impegno teatrale.
     Dall’altra parte la riflessione sul fare, che stante precisione e dettaglio, si spoglia del rigore, del rigor mortis, dell’analisi fine a se stessa, della documentazione catalogatoria, del giudizio definitorio a posteriori, per ammantarsi invece del tremito di cui vive il corpo nell’azione, della vitalità del discorso poetico, della potenza in atto di una scrittura che incide nella carne del vissuto, che sollecita il ricordo come fantasma (o forse demone), che tratteggia gli archetipi della mente, che riassume l’esperienza in un nuovo viaggio, la testimonia ma anche la plasma. Ecco, la riflessione sul fare, come reinvenzione potente del fare stesso attraverso la memorialità attiva, si trasforma a sua volta in un fare, in un’azione poetica seconda, non meno densa e incisiva della prima, e che non ha termine (o meglio, la cui durata è indefinita).
     Ed entro i confini di questo «epos» appena delineato si collocano anche i materiali-video proposti in queste giornate, e a cui solo impropriamente ci si può riferire come ‘documenti’. Essi, al pari delle scritture (racconti, diari, rievocazioni…), delle fotografie, dei disegni, delle trascrizioni delle sequenze corporee, o dei canti o delle danze, che si possono trovare nei quaderni universitari, sono tracce di un cammino, incisioni nel corpo dell’esperienza perché germogli ancora, richiami per riattivare la comunicazione (con il passato, o con noi che siamo nel passato?), racconti rinnovati, interrogazione ininterrotta di un fare che in essi continua a vivere mostrando luci e ombre; non prodotti conchiusi per essere fruiti come tali, ma frammenti di un discorso, che producono senso solo nel dialogo interno con tutti gli altri frammenti.


Francesca Gasparini


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Note
1)   “- Caro Giovanni, cara signora Flora, cari ragazzi del Palo delle Rondini, cara Maria la Bella, caro Celeste lo sposo, - disse l'Uomo Selvatico, - sono venuto stasera per impulso dell'anima allo scopo di rivelarvi il segreto più grande che ci sia. Avete mai sentito parlare dell'albero della vita?
- Certamente, - disse la signora Flora. - Se ne raccontano tante sugli alberi della vita. La Scrittura dice che anche nel Paradiso Terrestre...
- Appunto, - disse l'Uomo Selvatico. - Ero presente quando Dio proibì al primo uomo di mangiare la foglia per paura che diventasse immortale come lui. Di nascosto io ho assaggiato, ne è passato di tempo, e non sono ancora morto. Penso di essere diventato immortale.
- Allora l'albero della vita è veramente esistito! - disse Giovanni.
- E ancora esiste, - disse l'Uomo Selvatico.
- Dove? - domandò Giovanni.
- È l'albero sopra cui sto, - disse l'Uomo Selvatico.
[…]
Tutti restarono a bocca aperta. Si sentivano i battiti dei cuori. Giovanni disse:
- Mi piacerebbe mangiare le foglie.
- Mangiate, mangiate, - disse l'Uomo Selvatico. Sentite come sono dolci e garbine.
Allora tutti si accostarono all'albero, staccarono le foglie e ne mangiarono. […]
Intanto in piazza tutti aspettavano e Giovanni disse:
- Cosa mai avranno queste foglie dolci e garbine per rendere immortali?
- Sono il vero più vero momón, - disse l'Uomo Selvatico, - e l'albero è collegato per le radici con tutti gli alberi della Pavante Foresta e delle selve sorelle sparse per il mondo.
- Ma guarda, - disse Giovanni, - il momón era davanti a casa e non lo sapevo.
- Che cosa cambia adesso che siamo immortali? disse la signora Flora.
- Che ci godiamo eternamente la vita e l'amore, disse suor Gabriella”

(G. Scabia, Nane Oca, Torino, Einaudi, 1992, pp. 138 e 141).

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Materiali-video
“Nel teatro di Giuliano Scabia”



Mercoledì 09 novembre 2005, ore 10-13

1) Il Gorilla Quadrumàno1
a. Immagini del Gorilla Quadrumàno di A. Landuzzi e G. Scabia (1975, durata: 51’)
b. Primo Maggio del “Gorilla” al Pilastro con commento di G. Scabia2 (1975, durata: 6’)
c. La grande commedia del Gorilla Quadrumàno a Nancy di A. Landuzzi, con commento d’epoca di G. Scabia (1975, durata: 29’)
d. Attila alla corte Boscona di A. Cavalieri e A. Landuzzi (1975, durata: 21’)

2) Il Diavolo e il suo Angelo1
a. Introduzione di G. Scabia (2005, durata: 7’)
b. Passaggio del Diavolo e il suo Angelo per l’alto Casentino con visita all’eremo della Verna e salita al Monte Penna di M. Bartolini e M. Magrini (1981, durata: 30’)
c. Il Diavolo e il suo Angelo a Venezia di F. Quilici (produzione RAI, 1980, durata: 6’)
d. Racconto del Diavolo e del suo Angelo a Roma per i matti (2005, durata 18’)


Mercoledì 09 novembre 2005, ore 15-18


3) Marco Cavallo e il Drago di Montelupo
a. Introduzione di G. Scabia1(2005, durata: 7’)
b. Se ho un leone che mi mangia il cuor di A. Fago1 (produzione RAI, 1977, durata: 50’)
c. Il Drago di Montelupo di M. Conca1 (2003, durata: 24’)
d. Dragomago! di P. Ciommi e M. Martinelli (2003, durata: 45’)

4) Nutrire dio1
a. Introduzione di G. Scabia (2005, durata: 7’)
b. L’albero di Dioniso natale/mortale (Avvicinamento a Dioniso III°, 1998, durata: 36’)
c. Brekekekex koax koax. Dioniso di pancia e culo (Avvicinamento a Dioniso IV°, 1999, durata: 28’)


Giovedì 10 novembre 2005, ore 10-13


5) Libro di carta e libro elettronico: intervista a G. Scabia (1997, durata: 7’)

6) La casa della scrittura di M. Conca (2002, durata: 43’)

7) Lezioni di teatro. Documenti audiovisivi sugli ultimi due corsi di Drammaturgia Pratica tenuti da Giuliano Scabia di D. Bonazza (2005, durata: 85’)

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1) “Progetto archivio digitale G. Scabia”, a cura di Dario Canè (coordinamento e supervisione), Frank Baliello (responsabile tecnico) e Claudio Lamperti (tecnico).
2) Immagini d’archivio di A. Landuzzi; integrazioni a cura di D. Canè, C. Lamperti, F. Baliello.

 

 

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