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Andrej
Rubliov tra cinema e teatro di Livia
Lupattelli
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- Il
Tam teatro musica, formazione
artistica padovana formata da
Michele Sambin, Pierangela
Allegro e Laurent Dupont, ha
portato a Bologna il suo lavoro
più maturo e convincente il
Sogno di Andrej mirabile sintesi
della molteplicità di linguaggi
e di sinergia tra le arti. La
scrittura scenica è di
Pierangela Allegro, la
composizione scenica di Michele
Sambin, l'interpretazione di
Marco Casotto, Alejandra Quintero
Vega, Renzo Andrea Sanovia,
Michel Sambin, Pierangela
Allegro.
- Il
Tam ha realizzato una
trasposizione teatrale del
celebre film Andrej Rubliov
di Andrej Tarkovskij il quale, in
otto momenti diversi , ripercorre
la vita del monaco russo Andrej
Rubliov pittore dicone
vissuto tra il 1370 e il 1430 in
una Russia messa a ferro e a
fuoco dalle invasioni asiatiche.
La storia si snoda intorno al
dramma spirituale e artistico di
Andrej, il quale costretto a
uccidere un soldato straniero in
difesa di una sordomuta, e dopo
la condanna di eretico, viene
rinchiuso in un convento, uscirà
dal suo muto isolamento il giorno
che incontra Boriska un ragazzo
che fonda in maniera perfetta una
campana, tutto ciò gli conferma
che la sua fede nelluomo
non è vana.
- In un
atmosfera rarefatta un coro di
voci rosso fiammeggiante, la
musica soave di un contrabbasso,
aprono la scena accompagnati dal
canto nostalgico di Andrej, il
quale in un crescendo di leggera
tensione fonde il canto e la
parola in forma di musica. Una
cascata di sassi interrompe il
silenzio, simbolo della
inevitabile guerra e del nulla
qui rappresentato da un asse di
legno che oscilla nel vuoto come
a scandire il tempo, il silenzio
e il ritmo incessante
delluniverso sempre in
movimento.
- Sullo
sfondo nella semioscurità di
sapore onirico, figure nobili di
donne sfilano in abiti dai colori
cangianti, appartengono a un
mondo altro, ai ricordi lontani
di Andrej che con il suo compagno
vaga senza meta nella steppa di
una Russia sconfinata proferendo
parole che esaltano le virtù
dascesi e sacrificio. Una
luce accecante che avvolge una
figura bianca femminile li
sorprende: è lallegoria
dellispirazione pittorica,
del libero arbitrio,
limmagine trasfigurata di
Boriska, ella lo esorta a
dipingere nuovamente e lo invita
a realizzare il suo sogno.
- Tre
tele vengono fatte calare in
scena come a segnare il ritorno
di Andrej alla pittura che,
insieme ai due compagni, inizia a
coprirne di vernice colorata
lintera superficie; la
scena come anche nel film dal
bianco e nero si apre ai colori
delle opere del pittore.
Ricompare dietro una griglia di
candele la bianca musa
ispiratrice intenta a proferire
senza tregua che
"lopera darte
non deve essere una creazione
intellettuale ma divina",
"è il pittore a santificare
le opere non sono le opere che lo
santificano". Queste parole
introducono latto di
creazione della Passione in cui
la sagoma di un uomo lentamente
si scorge in trasparenza dietro
la tela illuminata, come fosse
disegnata, Andrej segue le linee
di quella figura di uomo che
lentamente scompare e prende
forma limmagine di Gesù
crocifisso. La sovrapposizione
delle due immagini rende la
Passione: rappresentazione della
sofferenza fisica e spirituale di
Gesù Cristo, che da questo
momento diventerà testimone
silenzioso e vigilerà in un
unico sguardo penetrante Andrej,
lattore e lo spettatore.
- Dopo
la fugace distraente apparizione
di una sensuale fanciulla in
cerca di ogni sorta di piacere,
Andrej inizia a dipingere la
postmoderna Vergine Maria lontana
dall immagine iconografica
della Madonna ma piuttosto
Ma-donna di Touluse Lautrec che
ostenta disinibita le sue forme.
Al fervore mistico si sostituisce
la festa pagana: ricompare di
nuovo la fanciulla che inizia a
sedurre con una danza magica uno
dei compagni di Andrej, i due
iniziano una corsa amorosa si
inseguono, si sfiorano, si
toccano fino a stendersi nella
tela centrale e comporre con i
loro corpi intrecciati
nellatto amoroso la terza
creazione di Andrej ossia il
Giudizio universale come in una
performance di bodyart
in cui lartista diventa
protagonista stesso
dellopera darte e la
performance coincide con il
performer stesso. Andrej continua
a dipingere non più sulla tela
ma direttamente sui corpi dei due
amanti, i due amanti scompaiono,
rimangono i segni sotto forma di
mille colori dellatto
damore, tali segni astratti
contengono il ritorno di Cristo
sulla terra e la successiva fine
del mondo, la glorificazione dei
giusti e la condanna dei
peccatori. La scena si chiude con
la ricomposizione del coro rosso
insieme a Andrej, tutti intenti a
riportare le tele verso l'alto,
poi lassoluta oscurità.
- La
composizione dello spettacolo
prende vita nel comporre che a
sua volta dà vita a una
composizione onnicomprensiva,
tutto lo spettacolo segue il
flusso della creazione in una
sovrapposizione di linguaggi in
cui la musica la parola detta, il
canto, il gesto scaturiscono da
una massa informe che è il
materiale scenico e pittorico; in
una frenesia epica alternata a
delle visioni elegiache, si può
parlare di una epifania moderna
nel senso profano del termine.
-
- Motus
in giacca pitonata e occhiali
scuri per l'Orfeo dei giorni
nostri.
-
- di
Silvia Pischedda
-
- Chi
mai avrebbe immaginato il mitico
cantore che, con la sua lira,
riuscì a commuovere la regina
dell'Ade, nei panni di una rock
star?
- Questo
è ciò che hanno proposto i
Motus al Link. Una rivisitazione
in chiave moderna del mito di
Orfeo e Euridice, a iniziare dal
palcoscenico, che si presenta
come un'abitazione dei giorni
nostri, che domina su una città
in miniatura.
- Un
forte simbolismo (forse in alcuni
casi non del tutto comprensibile)
è presente in ogni momento dello
spettacolo e nella scenografia:
un barbagianni imbalsamato,
simbolo di morte; l'immagine
della Madonna, emblema forse di
un santuario in onore di una
donna(quello che la casa di Orfeo
è diventata); il rosso e il nero
dei costumi, richiama al tema
Amore e Morte.
- Almeno
così sembra, dato che nulla si
può dare per scontato. Vediamo
Orfeo: rock star, dissoluto,
malato, quasi pazzo nei suoi
movimenti, ora trascinati, ora
violenti; apre la scena cantando,
la continua urlando, poi
accasciandosi, poi bevendo, come
se il dolore e la disperazione
andate lo scaraventassero a terra
e poi lo risollevassero in aria,
all'infinito.
- Dice:
"Vivo con un fantasma"
e per tutto il tempo si hanno
immagini di una donna bella e
sensuale, vestita di rosso, a
tratti volgare. Senza dubbio una
provocazione; resa ancora più
forte dal contrasto con
l'immagine della Madonna; alla
quale la compagnia non ha voluto
rinunciare.
- Orfeo
sogna, rivede se stesso(in
realtà un altro attore) nel
passato, con la sua donna, quella
donna che non è più con lui.
Questa figura l'ossessiona a tal
punto da portarlo ad indossare
l'abito della sua amante per
farla come rivivere attraverso il
suo stesso corpo.
- Un
angelo, che di angelo ha ben
poco, veglia sul protagonista e
lo convincerà a oltrepassare lo
specchio (altro elemento
simbolico), passaggio che collega
il nostro mondo a quello
dell'ignoto e dietro il quale l'
immagine di Euridice si è
fermata per sempre.
- Orfeo
saluta il suo angelo e se stesso,
quello che lui era, vestito di
rosso e nero: la cieca passione
per Euridice e la sua morte non
accettata. Adesso è pronto per
attraversare lo specchio.
- Finisce
lo spettacolo, ogni
interpretazione è possibile,
poche le ovvietà e nella
confusione in cui lo spettatore
è gettato, l'unica certezza è
che valeva la pena intraprendere
la lotta fuori dal teatro per
assicurarsi un posto.
- Orfeo: morte di
un eroe
- o nascita di un
mortale?
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- Dissacrante.
Provocatorio. Ostentato: ai
limiti lOrfeo di Motus
di Tiziana Longo
- Uno
spettacolo da elettrochoc con
mille colpi di scena.
- Un
"sensazionalismo" quasi
perfetto che rischia di scadere
nellovvio.
È lHangar
lennesimo esempio di come Motus
riesca a teatralizzare uno spazio
quotidiano quale lex mercato
ortofrutticolo adiacente al Link, prova
di un percorso che la compagnia segue da
anni, creazione di eventi unici concepiti
per spazi anomali. Dopo un sentiero buio
e tortuoso abitato da aborti metallici
entriamo in un capannone industriale. La
luce fioca di qualche candela e di
ununica lampadina avvolta da un
nastro isolante verde, effetto
psichedelico. Biglietteria e angolo bar
sono il risultato di arrangiamenti
rudimentali così come una sorta di
separé fatto di piante sintetiche che ci
impedisce di avvicinarci al
palcoscenico-set. Dopo una lunga attesa
ci accomodiamo. La scenografia colpisce
sin dallinizio. È quella di un
interno con soppalco arredato in stile
postmoderno. I colori sono molto accesi e
predomina il rosso fuoco delle pareti. In
ogni camera vi è un pennuto. Tutto è
curato minuziosamente, come se sotto
questo minimalismo simbolico si
nascondesse chissà quale grande
significato. È inoltre possibile
collocare lo spazio del teatro in un
tempo riconoscibile e riconducibile ad un
ventiquattro dicembre pre-natalizio. Poi
lo spettacolo ha inizio e così anche un
tessuto ricco di suoni quotidiani. Si
tratta di un Orfeo moderno che di
attinente alloriginale ha ben poco
eccetto il subire la morte della sua
donna, Euridice; di un lavoro più sulla
metafora del mito che sulla sua storia.
Egli è infatti una rock-star
dellinframondo, un bohemien,
una variante di poeta maledetto che cita
Rilke, canta Cave e che nel momento
stesso in cui realizza la morte della
donna che ama scoppia di dolore, si
strugge, canta lurlo della morte
che ha dentro. Forse è la cruda scoperta
che anche il mitico Orfeo ha la sua parte
imperfettamente umana, che può lasciarsi
morire se a spegnersi è la passione di
cui si nutre, quella per la donna che
ama. Da qui lo spettacolo non sarà che
la distruzione delleroe, del tempo
interiore della sua perdita che va
lentamente destrutturandosi, che si fa
ora sogno, ora incubo, ora ossessione,
fino a corrodere del tutto la linea di
separazione fra il visibile e
linvisibile, fra teatro e cinema. E
non è di certo facile ricreare in uno
spazio teatrale un tempo cinematografico:
questo lobiettivo primo di Motus,
che si serve per riuscirci di una porta
scorrevole cangiante posta al centro
della parete frontale, elemento di
collegamento e spaccatura tra il mondo
terreno e il mondo divino, specchio di
introspezione e autoanalisi in cui Orfeo
smonta la sua psiche, luogo della memoria
e del ricordo di Euridice sposa, poi di
Euridice e Orfeo nellintimità e
infine di Euridice morta. Per tutto lo
spettacolo Euridice vaga nella mente di
Orfeo come un fantasma, in compagnia
delle incursioni
"apparizioni-sparizioni" di un
angelo della morte e di un altro uomo,
lOrfeo che fu di colei che prima
appare, poi scompare, poi riappare per
infine ricomparire. Vive come se ci fosse
e non ci fosse. E Orfeo disperato perché
non può più rincontrarla ne è
ossessionato a tal punto da infilarsi il
suo abito rosso lungo e sensuale, i suoi
tacchi, la sua parrucca. La vede persino
come una Madonna e a Motus piace
moltissimo ironizzarci su. Anche perché
pare che il blasfemo nonsense
faccia tendenza. Questa logica con cui
sono state concepite scene quali quella
dellaccendino-crocifisso ("Dio
non mi abbandona mai!") o quella di
Orfeo che sfoggia nella sua custodia da
chitarra una statuetta della Madonna
ricoperta di petali. Ma al blasfemo si
aggiunge il kitsch, una serie di
piccole cose di pessimo gusto: dalla
sindrome del Big Brother di una toilette
dalle pareti opache ai bisogni
fisiologici impellenti soddisfatti in
diretta, dallerotismo spicciolo
alle impurità linguistiche, Inglese,
Francese et voilà les jeoux sont
faits! Ladies and gentlemen welcome to
Orpheus glance. Eroe allucinante o
uomo allucinato?
- Riflessi nello
sguardo di Orpheus
- Appena
prima dellinferno. Atto
conclusivo.
-
- di
Enrico Cagalli
-
- Hangar
del Link Project ed ex del
mercato ortofrutticolo. Da fuori
un grande e dismesso edificio
industriale. Mi ricordo di Occhio-Belva
nel contesto di Prototipo
allInterzona. Là lo spazio
sembrava infinito, i confini
delledificio si perdevano
nel buio, dove lo sguardo non va
a cercare. Ma stasera ci aspetta
qualcosa di nuovo, di diverso: lo
spettacolo che emblematicamente
ripropone lestetica Motus
per rilanciarla su nuovi piani di
visione, dascolto e
suggestione, presenta, per la
prima volta nella storia della
compagnia, lidea di
lavorare su un interno e su un
certo naturalismo. Quella di
Orfeo è una vera casa
"magica". Due piani,
aperta sul fronte, con camera,
studio, bagno, cucina, salotto,
grande specchiera al centro. Una
dimensione realistica, ma forse
il termine più adatto è
cinematografica. E un
lavoro su tagli e frammenti
allinterno di uno spazio
unico diviso per ambienti.
Cè un policentrismo di
situazioni che compaiono e
spariscono sotto linflusso
delle luci. Orfeo vive tutto il
tempo - un tempo beckettiano di
solitudine - e attorno a lui gli
oggetti si ribellano, creano
fratture, come in un grande
quadro medievale ispirato
all'estetica pop e kitsch
attuale, dove tante cose si
sommano, si sovrappongono,
svaniscono. Un melodramma barocco
postmoderno, eccessi e
accostamenti azzardati, ricchezza
di dettagli e ricercatezza di
effetti.
- Lo
spettacolo inizia dopo la morte
di Euridice. Un requiem blues dà
il via alla consumazione di un
tempo intimo e solitario che va
lentamente destrutturandosi, si
fa sogno, incubo, ossessione;
corrode progressivamente la linea
di separazione fra reale e
irreale, visibile e invisibile e
soprattutto confonde tra teatro e
cinema. Rimandi tra uno specchio
e l'altro, attraverso velature
agitate dal vento, l'oggetto e lo
sguardo si annientano
reciprocamente. Solo la
linearità altalenante del suono
scandisce la ritmica del tempo
scenico conferendo fluidità. È
un quasi musical, a sorpresa si
nota un lavoro sui dialoghi,
anche cantati, come mai prima per
Motus. Orfeo è una figura
fonocentrica. Tutto è legato a
una strettissima riflessione
sullinterazione fra musica
classica e musica elettronica per
creare una ritmica di
sovrapposizione e complicazione
di melodie, di strane assonanze e
dissonanze. Motus elabora al
computer le sonorità
dellallestimento dove anche
le parole delle canzoni fanno
parte del testo teatrale. I
"versi" di Nick Cave
sono drammaturgia.
- Orfeo/Cave,
una cupa rockstar
dellinframondo, "bella
e dannata", figura della
metamorfosi, del mutamento.
Canta. Soffre. Un personaggio
profondamente combattuto,
spaccato internamente.
Eternamente ossessionato,
combattuto fra un immaginario
religioso e una tendenza alla
perdizione, alla dissoluzione. È
unimmagine di Orfeo
costruita come una figura vicina
al noir americano, anche in senso
un po ironico. Influenzata
dai film di Abel Ferrara (alcuni
frammenti costituiscono la
colonna sonora così come
dallOrfeo di Cocteau) ne
presenta tutta la tensione tra
natura e cultura, tra cielo e
terra.
- "Orpheus
Glance è il momento in cui ogni
cosa torna" ha dichiarato
Daniela Niccolò.
- In
questo spettacolo, infatti,
ritorna tutta la ricerca Motus
degli ultimi due anni, ritorna
trovando un assestamento interno.
Il rapporto con la casa, con il
tempo, con gli oggetti, con
piccole manie. Con lassenza
di una figura femminile:
Euridice, una Madonna che compare
e scompare come segno di un
passato vissuto assieme a Orfeo,
con la consistenza di un ricordo.
E insieme a tutto questo torna
anche il discorso sullo sguardo
che Motus affronta da molto tempo
in una personale ricerca
costante. Il progetto è partito
nel '98 a Sarajevo dove si è
tenuto il primo workshop della
compagnia, lavorando con 24
giovani attori balcanici sulle Elegie
Duinesi di Rilke. Da lì si
è sviluppato un percorso
attraverso una serie di eventi
intermedi, ma in sé anche
conclusi, sulla maniera di porsi
attorno alla visione di Orfeo.
Alla fine, è arrivato lo
spettacolo teatrale vero e
proprio, da palco. Il confronto
con il tempo della scena e con il
pubblico seduto in platea.
Sperimentando il rapporto con lo
sguardo dello spettatore. Ne è
nata una serie di studi, Étrange,
Etre Ange, Étrangeté
lo sguardo azzurro. Le prime
due schegge di cielo sono state
presentate a Urbino dove c'era
principalmente un lavoro fisico
da parte degli attori su un
tappeto sonoro, senza testo.
Nell'esperimento di Santarcangelo
il pubblico era all'interno
dell'ambiente, aveva uno sguardo
diretto sullo specchio e sulle
visioni al di là di esso. Qui,
lo sguardo si sposta dallo
spettatore a Orfeo. È lui a
relazionarsi con lo specchio e
con i mondi al di là dello
specchio che, peraltro, riflette
anche il pubblico seduto di
fronte a uno spettacolo che ha
una durata e che dall'annuncio
della morte di Euridice sviluppa
il rapporto di Orfeo con il
fantasma che vive all'interno
della casa. Lo sguardo indietro
di Orfeo è stato usato come
metafora. Può essere possesso
distruttivo o perdita. Un occhio
rapace la cui violenza del
desiderio fa subito sparire il
volto di Euridice.
- È
solo la parola, alla fine, che
svela il volto di Euridice, prima
del suo definitivo svanire e
rende possibile il
ricongiungimento degli amanti al
di là dello specchio.
-
- TEATRO
INESAURIBILE
-
- di
Elisa Fontana
-
- Da un
"occhio belva" ad uno
"Sguardo di Orfeo":
"coerenza testarda e
creativa di una ricerca
visionaria nel ridisegnare spazi
[...]"" questa la
motivazione del Premio UBU
Speciale conferito nel 1999 a
Motus, Nucleo di lavoro fondato
nel 1991 da Enrico Casagrande e
Daniela Nicolò. Teatro
visionario, evocativo, da fruire
denudati di qualsiasi pretesa
categorizzante, desiderosi di
lasciarsi penetrare dalle cose
della scena e di compiere un
viaggio allinterno del
lavoro. Una sfida alla ricerca
di senso. Unimmersione
nellextra - quotidiano per
entrare nel quotidiano di
unaltra realtà.
- Ricordo
quellOcchio belva
allInterzona di Verona,
spettacolo allestito per il
progetto Prototipo
nellottobre1999 in una ex
cella frigorifera tappezzata di
lamiera freddamente luccicante di
un bagliore livido, che
racchiudeva un mondo altro,
lento, scandito
dalloscillare di massi
appesi al soffitto da corde
lunghissime, dal dondolio serio e
imponente di due figure vestite
di bianco in piedi su altalene
lunghissime. Ricordo rumori,
suoni distorti e lontani, ma
immensamente presenti lì, ad
accogliere uno spettatore
incuriosito, leggermente
intimorito, pauroso di
disturbare, forse, estraneo,
dominato, impotente. Corpi, luci,
suoni, movimenti, espressioni,
ecco cosa si presenta al povero
intruso. "Che
cosè?", "Cosa
significa?", "Ma cosa
fanno?"
e intanto
guarda, incuriosito,
lospite, ignaro di quello
che accadrà. Ogni convenzione,
ogni sicurezza è sconvolta,
distrutta. Ogni aspettativa
disattesa. Non resta che
abbandonarsi ai sensi. Perché è
proprio uninvasione
sensoriale che i Motus desiderano
provocare nel loro pubblico; un
pubblico che esce frastornato, un
po scosso, incapace di
capire cosa gli sia successo.
Molto gli è stato
comunicato
sconosciuta la
lingua e quindi il senso di
tutto. E proprio chi ne ricercava
un senso ne esce deluso con la
frase più enigmatica che possa
essere pronunciata a commento di
un evento teatrale: "Non ci
ho capito nulla!".
- Enigma
che cela questioni da lungo tempo
dibattute, e che io stessa mi
pongo di fronte a tanto teatro
contemporaneo. Supponendo che il
teatro sia una forma di
comunicazione e inserendo quindi
levento nello schema
semiotico classico che pone in
relazione emittente e
destinatario attraverso un canale
comunicativo, che contiene un
messaggio da codificare e
decodificare, sorgono una serie
di considerazioni sulla
fruibilità dello spettacolo da
parte dello spettatore.
Considerando inoltre che
lopera darte è
definita polisemica, ovvero
capace di generare, con lo stesso
segno, significati diversi,
spesso si incorre in quella
pretesa di libertà
interpretativa assoluta che fa
perdere di vista la volontà, da
parte dellartista, di
mettersi in relazione con lo
spettatore (posto che questa
volontà esista). Ferdinando
Taviani espone un concetto
interessante a questo proposito:
"far capire uno spettacolo
non è progettare scoperte, ma
disegnare, progettare gli argini
lungo i quali navigherà lo
spettatore" . Questi argini
però devono essere ben definiti,
altrimenti sorge il rischio di
ingenerare una sovrapposizione di
canali interpretativi a cui non
si sa più quale codice
applicare, e lo spettatore esce
dallo spettacolo con un senso di
vuoto, di mancanza, di in -
comprensione. Non è riuscito a
trovare la porta giusta per
lasciar entrare lo spettacolo
dentro di sé.
- "Locchio
belva" dei Motus si è posto
nel canale visuale-evocativo e,
mantenendosi lungo quella linea
ha dato la possibilità allo
spettatore di decodificare quei
segni in modo preciso, anche se
sicuramente secondo
interpretazioni diverse per ogni
persona.
- Diversa
la sorte del più recente
spettacolo "Orpheus Glance:
sguardo di un Orfeo di cui
ascoltiamo il canto e vediamo
limmagine riflessa nello
specchio della sua casa abitata
dal fantasma della sensuale
Euridice. Interno medio-borghese,
natalizio grazie al quale il
gruppo romagnolo abbandona quella
presenza fortemente fisica legata
allo stare, alloccupare un
tempo ed uno spazio, a
quellesserci che portava
quasi levento teatrale ad
una colonizzazione
dellambiente, ad una presa
di potere totale. Ora lo
spettatore non è più ospite di
un mondo, ma guarda, spia
dallesterno la vita di
Orfeo, dellangelo caduto
Heuterbise, di Euridice morta ma
presente. Non più vissuta, ma
osservata, la scena si presenta
frontale, separata dal resto
dello spazio in cui viene
relegato lospite, a cui
stavolta viene concesso solamente
di spiare ciò che avverrà nella
casa di Orfeo. Spettacolo che
riprende gli stilemi visionari
dell "Occhio
belva", ma che apre uno
spiraglio alla narrazione,
allentrata in scena del
personaggio. Scelta
consapevolmente audace, dettata
da una "necessità di
allontanamento, di presa di
distanza dalle troppe pseudo -
teorizzazioni sul teatro del
corpo che ci sono state
appiccicate addosso con troppa
leggerezza ", come afferma
la stessa Daniela Nicolò.
- Nasce
così un pericoloso intreccio fra
canale narrativo e canale
visuale, il cui delicatissimo
equilibrio viene faticosamente
sostenuto, fra i dialoghi in
francese, in inglese e in
italiano, naturalistici perché
volutamente cinematografici e
forse forzatamente accostati
allimpatto evocativo e
visuale di tutte le componenti
dello spettacolo. Lo spettatore
si trova forse leggermente
spaesato di fronte ad una così
vasta ricchezza di linguaggi poco
calibrati nel loro essere
incastrati strettamente
luno con laltro. Si
impone una scelta imbarazzante di
fronte ad uno spettacolo che
offre un coinvolgimento
sensoriale notevole, ospitando
nella sua casa già ricca di
simboli, Orfeo, "il
mitico, cupa rockstar
dellinframondo, che mette
in bilico le certezze, che vive
in simbiosi con il qui e
lora del teatro e
lintervallo, la pausa, il
deep nothing
dellimprevedibile".
Per questo moltissimi spettatori
sentono lesigenza di
rivederlo
perché ogni volta
che si entra nella casa di Orfeo
si scoprono cose nuove, si creano
nessi diversi tra gli oggetti e i
loro simboli. Orpheus Glance: uno
spettacolo inesauribile.
ORPHEUS
GLANCE
di Simonetta Fallini
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- Suoni
inquietanti di animali esotici
invadono la sala e catturano
ludito rivelando misteriosi
mondi. I rumori, anche i più
piccoli, vengono amplificati a
dismisura fondendosi con
cinguettii di uccelli e il
gracchiare di corvi celati.
- Protagonista
è Orfeo, rivisto in chiave
decisamente moderna: pantaloni di
pelle nera, camicia di seta e
giacca pitonata. Ha una voce
profonda e seducente che accoglie
il pubblico e lo introduce alla
messa in scena: un magico canto
capace di zittire il tumulto
prodotto dagli animali della
foresta.
- La
scenografia consiste in un
appartamento dei giorni nostri,
visto in sezione, con elementi
che richiamano il quotidiano.
- Sul
fondale della scenografia, in
centro, si staglia una struttura
composta da due ampi vetri
scorrevoli: è uno specchio, ma
subito dopo è una vetrina dalla
quale si possono osservare
diverse scene della vita di Orfeo
e della sua amata; oppure
scompare in un nero fondale.
- Si
accende una luce in una camera e
i spegne nellaltra: in
questo modo viene guidato lo
sguardo dello spettatore, in una
giostra di sorprese e emozioni.
- Caricato
di funzione simbolica è
luso del colore: il rosso
è continuamente riecheggiato
negli oggetti sparsi per la casa,
nellabbigliamento e nelle
pareti che improvvisamente si
tingono di un rosso carminio.
- Interessante
il sogno di Orfeo, rappresentato
nel salotto, mentre Orfeo dorme
inquieto al piano superiore: una
scena erotica di seduzione dove
unemancipata Euridice è
alle prese con un gioco focoso
nei confronti dellalter ego
di Orfeo. Questultimo,
uscito dalla fase onirica,
indossa gli abiti della bella
Euridice, e una parrucca, quasi
volesse rievocarla in una specie
di rito.
- Oltre
alla visione
dellappartamento in
sezione, nella zona centrale
adiacente al pubblico abbiamo una
piccola città in miniatura, fra
le cui case vi è anche quella di
Orfeo vista dallesterno,
quasi a voler suggerire una
molteplicità di punti di vista.
Per tutto larco della messa
in scena il concetto del Tempo è
affrontato con continui salti dal
passato della leggenda al
presente della rappresentazione,
ripercorrendo la vicenda
personale di un amore.
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