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- Incontro con
Salvador Tavora
UN TEATRO ANDALUSO
conduce Claudio
Meldolesi
intervengono
José Monleon (Istituto
Internazionale Teatro del Mediterraneo), Concha
Tavora (attrice e trainer).
Nel corso
dellincontro verrà presentato il
reportage fotografico e video "La
drammaturgia dellimmaginario".
Evento
a cura di Cira Santoro, in collaborazione
con il progetto per Bologna 2000
"Culture a confronto. Teatralità
invisibile e flamenco" di Cira
Santoro e Tatiana Gambetta, con il
contributo di Lufthansa e Kodak, e con il
patrocinio dellAmbasciata di Spagna
- lunedì
12 marzo, ore 15.30
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- Abbiamo
individuato il flamenco come
"comportamento
restaurato", ossia come
forma di rappresentazione in cui
lespressione artistica è
diretto significante di una
modalità di relazione e di
unidentità etnica
fortemente connotata. Con una
apparente forzatura del termine,
abbiamo dato alla parola flamenco
unaccezione più larga di
quella a cui siamo abituati, ma
è stato evidente, dalle varianti
stilistico-musicali fino alla
funzione assunta dagli artisti,
che ci trovavamo di fronte alla
coscienza sonora di una terra e
di un popolo.
Abbiamo
scelto di documentare alcuni aspetti, dai
riti religiosi fino alle più spontanee
manifestazioni di strada, che possano
raccontare questo particolarissimo
linguaggio a partire dai suoi valori
fondamentali. In questo percorso, in cui
il sentiero è stato voluto spesso dalle
coincidenze, abbiamo incontrato Salvador
Távora, che da questo linguaggio ha
creato un teatro, rendendo visibile la
"teatralità invisibile" del
flamenco e trasparente quella
"drammaturgia dell'immaginario"
che regola convenzioni sociali,
relazioni, spazi e tempi andalusi.
Abbiamo
invitato a Bologna Salvador Távora e
José Monleón, rispettivamente regista
della compagnia di teatro La Cuadra di
Siviglia e direttore della Fundación
Instituto del Teatro del Mediterràneo di
Madrid, perché raccontassero il loro
lavoro e lintreccio che hanno
realizzato tra culture popolari e teatro
di ricerca.
Nella
giornata dedicata alla cultura popolare
andalusa, oltre a una conversazione con
gli ospiti spagnoli guidata dal prof.
Claudio Meldolesi, vedremo in video gli
"storici" spettacoli della
Cuadra de Sevilla, commentati dallo
stesso regista; proietteremo alcune
immagini tratte del nostro reportage
fotografico e video e presenteremo il
lavoro di ricerca svolto in Spagna con la
prospettiva di allargare e approfondire
il nostro discorso.
Cira Santoro e Tatiana
Gambetta
SALVADOR
TÁVORA E LA CUADRA DE SEVILLA
Di
fondamentale importanza per la storia di
Távora, della sua compagnia e per il
flamenco stesso, è stato il primo, ormai
mitico spettacolo: "Quejio" dal
lamento che generalmente precede e
intercala limprovvisazione del
cantaor. Di questo lavoro non esistono
documenti video, solo qualche foto e
tante parole che lo raccontano a volte
come un evento "fatale", nato
dallistinto di un gruppo di non
addetti ai lavori e dalla fortissima
necessità di rompere il silenzio
culturale sotto cui era schiacciato il
proletariato spagnolo. Non è secondario,
infatti, considerare il periodo storico
in cui nasce questo lavoro, come uno
degli elementi fondamentali dello
spettacolo stesso.
Erano i
primi anni settanta e Távora aveva avuto
lopportunità di partecipare al
Festival Internazionale di Teatro di
Nancy con una compagnia semi-amatoriale,
nella sezione dedicata alle minoranze
etniche. Lo stesso regista ammette di
essersi fatto contaminare profondamente
dalle cose viste in quel Festival, di
aver visto lì, per la prima volta, un
teatro fatto di azioni, lontano dal
dramma letterario e dalla cultura
accademica, con cui, per esperienza e
formazione non poteva riconoscersi. Quejio
è stato inoltre un punto di non ritorno
per il flamenco, portando in scena la
parte "sporca, brutta e
cattiva" di questo linguaggio.
Il
dittatore Francisco Franco aveva usato il
flamenco come "specchietto per le
allodole": dagli anni cinquanta il
cante e soprattutto il ballo
gitano-andaluso, eseguito da sottili
danzatrici in pois colorati, era stato
uno dei pochi veicoli di apertura che
chiamavano in Spagna un turismo
superficiale ed era diventato il mezzo di
comunicazione privilegiato con il resto
del mondo. Il risultato era la creazione
di unimmagine stereotipata e
snaturata del flamenco e un occultamento
della situazione reale del paese.
È su
questi elementi che Távora costruisce la
sua poetica, ma dal 1972 a oggi la sua
produzione artistica ha subito una
profonda trasformazione. I suoi
spettacoli sono molto lontani dalla
rabbia proletaria dei primi anni e molto
più simili a un grande circo popolare
andaluso in cui cavalli danzanti, tori,
flamenco, marce processionali, cori e
cavalieri si intrecciano in uno spazio
circolare, come quello dellarena,
per raccontare le leggende popolari di
quella terra.
Nel campo
del linguaggio teatrale, il regista ha
introdotto sulle scene, lentamente ma con
singolare precisione, il valore poetico
delle macchine, degli strumenti, del
colore, della sorpresa e della bellezza
degli animali, del ritmo, e buona parte
dell'universo sonoro e drammatico
andaluso, come il pasodoble, le marce
suonate nelle processioni religiose, i
cori popolari, l'odore dei rituali, il
rischio o la tensione delle corride,
trascrivendo in teatro, quella
"drammaturgia
dellimmaginario" che regola
invisibilmente il calendario andaluso e
le relazioni sociali che vi si
intrecciano.
Cira Santoro
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