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RARI.M.D41.4

Riccardo Prati
Giuseppe Martucci

Torino : La riforma musicale, 1914
64 p., [1] c. di tav. ; 20 cm.
(I grandi musicisti, 4)

 


 

Nota

«La riforma musicale», editore del volume, fu un settimanale pubblicato ad Alessandria (1912) poi a Torino tra il 1913 e il 1915 e ancora, per breve tempo, nel 1918, alla fine della Grande Guerra. Ne furono direttori Carlo Scaglia e Giorgio Calandra, redattore il ventenne Guido M. Gatti, già allora attivo nella promozione di una nuova cultura musicale cittadina e nazionale.1 Intorno alla rivista si raccolsero giovani compositori destinati ad acquisire un ruolo di primo piano nel Novecento musicale italiano come Casella, G. F. Malipiero, Pizzetti.

I pochi volumetti pubblicati tra il 1914 e il 1915 nella collana I grandi musicisti riflettono in modo latente l'orientamento della rivista, offrendo una selezione piuttosto eterogenea di monografie comprendente protagonisti storici del riformismo musicale come Gluck (a cura di E. Ferrettini), baluardi di una tradizione strumentale italiana caduta nell'oblio come Corelli (L. Orsini) e compositori stranieri già consegnati alla storia ma non ancora digeriti appieno dal pubblico italiano come Bizet (G. M. Gatti) e soprattutto Hugo Wolf, cui è dedicato il volume d'esordio, affidato allo stesso Prati.

Particolarmente indicativa degli orientamenti editoriali appare la scelta di Giuseppe Martucci (Capua 1856 - Napoli 1909), massimo compositore strumentale e protagonista della rinascita concertistica nel nostro paese, come rappresentante italiano di un Ottocento musicale in realtà, proprio nel Belpaese, monopolizzato dalla produzione operistica. Martucci appare ai nostri occhi come il compositore meno quotato della collana, ma questa evidentemente non fu il l'opinione dei redattori della «Riforma».

L'approccio, a tutto tondo, di Prati al suo soggetto è sostanzialmente apologetico («fu grande maestro come fu grande musicista, grande interprete e pianista insuperabile») ma non privo di meditati e dettagliati spunti critici ed analitici. Nel ritratto che ne delinea, Martucci è l'«antesignano di un risveglio artistico», un «genio ... antesignano di nuove forme» chiamato a scuotere un' «arte italiana» che «verso il principio del secolo XIX ... aveva perduto tutta l'antica vastità di pensiero», le proprie «energie ... assorbite esclusivamente ... dal teatro». Fatalmente, di fronte ad un pubblico e a una critica nazionale che predilige «l'arte teatrale anche più facile e volgare» Martucci appare dunque destinato al ruolo dell'artista incompreso, cui solo il tempo potrà rendere onore. Prati non adombra l'eccezionale merito e fama di Martucci come pianista, ponendolo senza remore «a lato dei Rubinstein, dei Liszt, dei Bülow e dei Tausig», ma è sul Martucci compositore che sposta il baricentro della sua importanza storica. Fil rouge della trattazione è il rammarico per l'inversa proporzionalità tra l'effettivo (a suo giudizio) valore delle opere e la popolarità che riscossero, con riferimento in particolare alla fortuna non del tutto meritata della produzione pianistica a fronte del sostanziale disinteresse e oblio riservato al resto di una produzione che, in ambito cameristico, vocale e soprattutto sinfonico, egli reputa qualitativamente «immensa». Prati non esita a giudicare le romanze di Martucci inferiori solo ai Lieder di Wolff, e la sua produzione sinfonica smaccatamente superiore a quella di Mahler, attribuendole un connotato di equilibrio e classicità unito ad «una individualità originalissima e quasi solitaria».

Assai meno perplessi ci lascia quella «dote di una grande larghezza di concetti e di idealità» che Prati attribuisce al Martucci interprete, ricordando accanto alla rinomata attività del direttore d'orchestra che sdogana audacemente i generi e i repertori d'oltralpe divenendo eroe del culto wagneriano a Bologna, anche la meno nota attività di trascrittore di opere antiche, segnatamente quelle di padre Martini (sino a quel momento noto solo come teorico), Boccherini, Corelli, Rameau e Piccinni, le cui fonti erano disponibili nella ricca biblioteca del Liceo Musicale bolognese costituita attorno alla preziosa raccolta dello stesso Martini. Una larghezza di orizzonti nello spazio e nel tempo che lasciò un contributo all'evoluzione artistica e culturale italiana forse più fecondo di quello che la produzione musicale di Martucci fu in grado di produrre, un contributo al quale «La riforma musicale» volle rendere omaggio.

Come si apprende dal testo, Riccardo Prati studiò al Liceo musicale di Bologna negli anni in cui Martucci ne tenne la direzione unitamente all'insegnamento di Alta composizione,2 ma ne fu discepolo solo in modo indiretto, attraverso il magistero di Bruno Mugellini a sua volta tra gli «allievi prediletti del Martucci». La testimonianza di Prati presenta dunque un punto di vista spiccatamente bolognese, riferendo di prima mano sull'attività didattica di Martucci (tra i cui allievi si annovera Respighi), sulle sue acclamate performances pianistiche, sulla benemerita attività direttoriale, dei pochi e negletti concerti delle sue musiche cameristiche e sinfoniche, sulla collaborazione artistica con Corrado Ricci, sulle recensioni del «Resto del Carlino» e sulle analisi di Luigi Torchi che costituirono all'epoca i soli contributi di spessore musicologico dedicati alla produzione di Martucci.3

Gianmario Merizzi

 


1. A. Basso, Guido M. Gatti (1892-1973), «Studi musicali» II/1 (1973), pp. 3-14 : 4-5.

2. Insegnanti e allievi del Liceo musicale, a cura del Museo internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna, 2006 <http://badigit.comune.bologna.it/cmbm/scripts/vellani/index.asp>; in particolare qui.

3. L. Torchi, La sinfonia in re minore di Giuseppe Martucci, «Rivista musicale italiana», III (1896), pp. 128-166; Id., La seconda sinfonia (in fa maggiore) di Giuseppe Martucci, «Rivista musicale italiana», XII (1905), pp. 151-209.


Documento a cura di Gianmario Merizzi.


© Dipartimento di Musica e Spettacolo, Università degli Studi di Bologna - 2009
Ultimo aggiornamento: 11 novembre 2009