FILIPPO BOSDARI

 

 

La Vita Musicale a Bologna
nel periodo napoleonico

 

 

BOLOGNA
COOPERATIVA TIPOGRAFICA AZZOGUIDI
1914


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Estratto da L'Archiginnasio, Anno IX (1914) 


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A vita musicale di Bologna nel secolo decimottavo fu talmente intensa, che dovrebbe essere oggetto di studio profondo. A me, dilettante in materia, giova scegliere un periodo breve, leggero nella produzione, e nello stesso tempo non privo di interesse. Tale è il periodo che può essere definito napoleonico, e che va dal 1796 al 1815.
       Mentre gravi avvenimenti cambiavano, di un tratto, la fisonomia politica della Europa intiera, quali erano gli scrittori musicali che lavoravano in Italia e fuori? Già era sopita, nel campo del teatro, la lotta tra i seguaci di Gluck e di Piccinni; il primo infatti era morto nel 1787: il secondo, vecchio di settant'anni, più non produceva. In Francia Grétry e Méhul, in Italia Paisiello, Cimarosa, Cherubini e Spontini preparavano lentamente la via al melodramma moderno: non ancora Weber, allora fanciullo, aveva inaugurato il romanticismo nel teatro: nascevano Meyerbeer nel 1791 a Berlino: Gioacchino Rossini nel 1792 a Pesaro.
       Ma intanto in Germania e in Austria, la Musica pura e fondamentale, la musica sinfonica aveva fatto passi da gigante. Quando il nome di Bonaparte risuonò da prima glorioso in Italia, Haydn aveva già 64 anni, e compiva coi suoi ultimi oratori, il ciclo delle sue composizioni: Beethoven, di soli 26 anni, già aveva scritto grande parte della sua musica di prima maniera, Mozart era morto a trentacinque anni, nel 1791, l'anno che nasceva Rossini. Un italiano, allora poco noto, ma che può stare presso ai maggiori, il Clementi, quarantenne, viveva allora tra Londra e Vienna, e già poteva vantare una forte produzione di musica da camera e sinfonica.
       Ma, tra il risuonare lontano di nomi sì grandi, quale era il vero | p. 4 | gusto musicale del momento in Italia, e più specialmente a Bologna? Non credo che in quel ventennio il gusto possa dirsi abbia subìto radicali trasformazioni: credo invece che l'apparire della Rivoluzione francese, abbia informato colla sua influenza la scuola tedesca nella sinfonia e la italiana nel melodramma. Beethoven, coetaneo di Napoleone, ritrae nella sua musica la grandezza degli avvenimenti eroici e la profondità del senso individuale: Rossini, cresciuto ed educato più tardi nella Bologna napoleonica, (alla quale non si può negare maggiore genialità di quella papale) si libera dalle pastoie della scolastica, e lancia all'Italia dalla pura vena melodica un torrente, sia pure poco profondo, di fosforescenze musicali.



       Non intendo insistere su queste relazioni tra gli eventi politici e le manifestazioni artistiche. Mi domando ancora una volta: quale era il gusto musicale del momento? Risponderò molto semplicemente: l'Italia era ancor in cerca di un gusto musicale qualsiasi. E la prova? Porto come documento un concorso con premio, bandito(1) col seguente programma, a Milano, nel 1811. «Determinare, in tutta la sua estensione, e con gli opportuni confronti, il gusto e lo stato attuale della musica in Italia, indicare i difetti se ve ne abbiano, e gli abusi che possono essersi introdotti; e quindi assegnare i mezzi più idonei per allontanarli, e portare la musica alla sua maggiore perfezione».
       Mentre dunque si fondavano importanti scuole musicali (e vedremo sorgere il Liceo di Bologna) mentre queste scuole erano frequentate da alunni valorosi, si riteneva ancora che il modo di salvare la musica italiana dovesse indicarlo il vincitore di un concorso, il quale, tra le altre cose, doveva anche determinare quale fosse il gusto musicale del momento.
       Al concorso prese parte, e ne ebbe il premio, un certo Perotti, di Vercelli, accademico filarmonico di Bologna, del quale esiste, elegantemente pubblicata, la vuota dissertazione. Egli ci dice intanto che i migliori rappresentanti della musica italiana di allora erano il Mayer il Paër, lo Zingarelli: si guarda bene dal nominare quelli che oggi riteniamo assai maggiori, il Clementi, il Cimarosa, lo Spontini. Il Mayer, sebbene nato in Germania, si considerava come gloria italiana, perchè viveva da tempo a Bergamo. Il Paër era di Parma, ma aveva occupato | p. 5 | prima il posto di maestro di cappella a Dresda e, dopo il 1807, di maestro di cappella a Parigi chiamato da Napoleone: fu anzi il vero musicista della sua corte, e insegnò anche all'Imperatrice Maria Luisa. Lo Zingarelli, per contrario, si può chiamare il cortigiano di Pio VII, perché per lunghi anni fu maestro della cappella pontificia e rimase sempre fedele al suo padrone. Ma di questi tre, allora così rinomati, che cosa rimane oggi?
       Seguiamo ancora il Perotti nella sua dissertazione, che è di un certo interesse quando ci dice: «il compositore è in contrasto col musico, è in contrasto col poeta, e viene a cozzare coll'impresario. Il pittore, il macchinista, l'orchestra, i ballerini, tutti sono tra loro in altercazione e dissidio, e tutti per tal modo congiuravano insieme alla rovina del Melodramma. Un altro dei vizi dominanti, che pur deriva dalla poca cognizione della Poesia, quello si è di voler terminare quasi tutte le arie peripatetiche in allegro. Il sentire che un prigioniero vicino a morte termina la sua scena d'orrore con una vivace Polacca, non è ella cosa che al buon senso ripugna?».
       Qua il Perotti mi sembra cominci a intravedere quello che più tardi doveva formare l'opera moderna; l'unità perfetta della poesia colla musica, integrate dallo spettacolo scenico ed eventualmente dalla danza.
       «Di più» prosegue il Perotti «questa turba di maestri altro non fa che copiarsi l'un l'altro! Il Teatro poi è assolutamente in potere degli Impresari». Questo quante volte si potrebbe anche oggi ripetere!
       Lasciamo il Perotti col suo diploma di salvatore della musica italiana, e veniamo ad altri più autorevoli. Massimiliano Angelelli(2) il grande classicista, nel 1816, parlerà ai bolognesi della perfezione della scuola tedesca nel campo orchestrale, pure riconoscendo che tali loro ardimenti non sono tollerati, anzi sono condanmati dalla Scuola bolognese. Esisteva dunque allora una Scuola bolognese? Darò più tardi la risposta. Per ora seguirò i bolognesi nei giudizi che davano sui grandi operisti dell'epoca(3). Quanto discordi tali giudizi! Mentre nel 1807, e poi nel 1811, a Parigi la Vestale dello Spontini aveva un costante successo, a Milano cadeva, nello stesso 1811 , il Barbiere del Paisiello, per la troppa «semplicità e antichità della composizione», della quale i critici dicono essere blasés.
p. 6   Nello stesso anno si era data all'Opera di Parigi il Don Giovanni di Mozart; i giornali di Bologna del tempo ne fanno grandi elogi: «Mozart con quest'opera ha sciolto il problema sì difficile dell'unione della armonia colla melodia». Ma non tutti sono della stessa idea; poichè il Tognetti, (che passava per un buon giudice in musica) dirà «Le cantilene di Mozart o non sono naturali, o sono troppo comuni: se mai fossero belle per la Germania e per la Francia, le arie di Zerlina e di Don Giovanni, al certo non lo sono per l'Italia. Gli strepiti del finale e dei pezzi concertati offrono un ammasso di musica istrumentale. L'ascoltatore però dice freddamente: «io non vi comprendo nulla!». Il quale Tognetti dice pure di Haydn che per il canto non merita di essere con fasto ricordato alla posterità; mentre nel 1811, un giornale ci dà questo giudizio di un concerto dato dalla Accademia dei Concordi nella grande aula del Liceo Filarmonico: «piacquero sommamente le due sinfonie dell'immortale Haydn, ma sopra tutto strappò con entusiasmo gli applausi della conversazione il duetto a Pianoforte e Fagotto, eseguito dalla inimitabile signora Giorgi e dal bravo signor Zoboli accademici filarmonici e concordi onorari». Dovremo spesso ripetere il nome di questa signora Maria Giorgi.
       Ogni tanto nei giornali dell'epoca comincia a far capolino un grande nome, quello di Beethoven! «egli» si dice «ha battuto una strada diversa da Haydn per la sinfonia; ma non può negarsi che le sue sinfonie sembrino appartenere al genio germanico e si odano con grande piacere dopo quelle dell'immortale Haydn». Il quale Haydn, si vede chiaramente, era ancora ritenuto in quel periodo di transizione il vero rappresentante della scuola sinfonica tedesca.
       A Milano, nel 1813, si dà l'Orfeo di Gluck, che però era stato rappresentato al Comunale di Bologna sino dal 1771, sette anni dopo la sua apparizione a Vienna. Ma anche allora, a Milano, il successo è assai contrastato, ed è naturale non potesse incontrare il gusto della epoca, il quale, come ho già ripetuto, era ancora, in via di formazione.



       Se però in Italia il gusto era discutibile, la passione invece della musica era forte a Bologna, ed abbondante era la produzione.
       I giornali del tempo sono pieni di cronaca musicale, anzi essi dedicano speciali supplementi all'arte della musica. Il Redattore del Reno, uno dei settimanali più autorevoli, ha queste parole nel febbraio | p. 7 | del 1808. «La musica è divenuta in Bologna, più che in altro tempo mai forse, la delizia e lo studio universale. Qui Liceo, Accademia Filarmonica ed Accademia Polinniaca sono tre campi d'onore ove si mietono palme gloriose».
       Il primo Istituto, come vedremo, era da poco inaugurato: il secondo vantava una lunga tradizione di glorie musicali, ma aveva oramai perduto assai d'importanza. L'Accademia Polinniaca aveva il carattere di scuola di piano e di canto, diretta da quella Maria Giorgi, alla quale ho accennato.
       Conclude il Redattore del Reno: «A Bologna un eletto fiore di illustri cittadini nulla trascura per procacciare, anche in tal guisa, lustro e splendore ad una città non ultima tra le prime che vanta l'Italico Regno di Napoleone I».
       A questa Accademia Polinniaca si presenta nel 1808 per la prima volta, come concertista, Gioacchino Rossini, allora giovane di 17 anni, non ancora diplomato al nostro Liceo; si presenta con una sinfonia da lui appositamente composta, «Il Pianto di Armonia»; ed è per noi di interesse quanto ci dice il citato giornale: «La sinfonia è stata composta dal sig. Rossini accademico filarmonico e giovane di grandi speranze. Fu essa trovata armoniosa oltre ogni credere. Il suo genere era del tutto nuovo, e ne riscosse il compositore universali applausi». Si cade però anche questa volta nella signora Giorgi, la quale suonò, accompagnata col corno da caccia da suo fratello Francesco Brizzi. La danza poneva fine a questi trattenimenti.
       Altra accademia assai importante era allora l'Accademia dei Concordi, che vedremo rendersi iniziatrice di notevoli esecuzioni in occasioni solenni. Essa ci dà veramente l'immagine delle odierne società di Concerti, quale potrebbe essere oggi a Bologna la «Società del Quartetto». L'oggetto dell'Accademia era di sorvegliare e conservare il buon gusto per quest'arte bella e mantenerla nell'antico splendore. La direzione dell'orchestra era affidata al maestro al cembalo, il quale però doveva intendersi con una commissione direttiva. Ogni accademico aveva diritto a sei biglietti d'ingresso per ogni concerto, coll'avvertenza però che il socio è garante della persone invitate, oltre il privilegio di seco condurre «una persona (una sola però) di sesso diverso».
       Lo Statuto di questa Accademia dei Concordi era stato approvato il 18 marzo 1811; ed aveva un carattere del tutto moderno e pratico, se si mette a confronto collo Statuto della stessa Società precedente alla Rivoluzione, che aveva un carattere prevalentemente religioso e nobiliare. | p. 8 | In quello Statuto infatti, più che dei concerti, si parla della protezione della Beata Vergine, del Principe che fa celebrare le messe colle raccolte fatte tra i signori Accademici, del protettore della Accademia, che deve essere nobile e titolato, e che si compiacerà di mantenere la pace tra gli Accademici. Come anche in queste istituzioni di poco conto si sente il passaggio delle aure di nuova vita!(4) Si faceva musica anche in ambienti più mondani, e meno seri, La Società del Casino, allora fiorentissima, che aveva sede nel palazzo Amorini in Strada Stefano, dava ogni giorno festivo dal mezzodì alle tre un concerto di musica, ed ogni tanto la sera accademie di Musica vocale e istrumentale(5). Nel 1813 vi si diede una Cantata dei Sampieri intitolata «Deucalione» nella quale la parte di Pirra era sostenuta dalla Colbrand(6). Concerti ed Accademie teneva pure la Società delle Signore, primo tentativo allora di circolo femminile, se non femminista, della quale facevano parte tutte le prime dame dell'aristocrazia di allora, se pure, per questi anni, di aristocrazia si possa parlare.



       In mezzo a tante Accademie e società che tenevano acceso il sacro fuoco della musica, ve n'era una che già contava un secolo e mezzo, e che, non ostante la vetustà degli Statuti e delle consuetudini, ha sfidato i rivolgimenti politici e sociali, ed anche oggi esiste: l'Accademia Filarmonica.
       Come era definita ai primi dell'ottocento questa Accademia? «Essa altro non è che l'unione dei professori di musica, istituita in epoca antichissima, cioè nel 1666, da Vincenzo Maria Carati, che la volle stabilita nella propria casa, disponendo un Legato annuo di 50 scudi, per celebrare la festa di Sant'Antonio protettore della Accademia»(7).
       Anche questa Accademia ha dunque, nella sua origine, un carattere prevalentemente religioso, e vedremo quanto lottò per mantenerlo.
       All'Accademia Filarmonica anche allora, come oggi, domandarono di aggregarsi i più grandi musicisti italiani e stranieri, ed a tutti è noto come il Mozart sostenesse l'esame per l'ammissione e come il Rossini | p. 9 | vi sia stato aggregato a 15 anni, nel 1806, nella classe dei cantori. Ne furono presidenti, in quegli anni, per turno, i più noti luminari dell'arte musicale, dal Mattei al Pilotti, dal Tesei al Gibelli. Nè si creda che allora l'Accademia mantenesse con troppo rigore il carattere arcigno dei primi tempi: anzi aprì la sue porte anche agli artisti di canto più famosi: valga per tutti il nome di Isabella Colbrand, che nel 1806 entrò all'Accademia; lo stesso anno dunque di quel Rossini, che, allora quindicenne, doveva poi, a suo tempo, innamorarsene, e sposarla.
       Dice il verbale d'ammissione(8) della Colbrand, «che essa fu approvata come accademica, perché essa è un genio privilegiatissimo, superando colla rarità della sua voce e colla profondità dei suoi lumi ogni altra contemporanea nell'arte del canto: essa fu acclamata accademica con altissimi gridi di gioia e di festività». Per festeggiare la sua nomina ad accademica, la Colbrand diede un grande concerto l'anno successivo nella Sala del Liceo, con programma che comprendeva un'aria di Zingarelli, una di Mayer, un quartetto di Paisiello, ed altro: infine un'aria a clarinetto obbligato, con cori. Dice il resoconto: «Non è possibile trovare maggiore perfezione di questa. La prodigiosa sua voce ha l'estensione dì tre ottave». Tra altro, cantò al famosa cavatina «Ombra adorata aspetta» che a Parigi ottenne gli applausi di Napoleone. Il direttore di questo concerto fu il maestro Tommaso Marchesi, il quale in compenso di tante sollecitudini, ebbe facoltà dì invitare quel numero di individui che gli sembrò opportuno. Vi figurate la ressa delle domande!
       Nella stessa seduta del 1806 fu nominata accademica onoraria la Maria Brizzi Giorgi per l'arte del suono del pianoforte. Questa Maria Giorgi ebbe l'onore di avere in morte, nel 1812, un elogio dettato da quel fine scrittore che fu Pietro Giordani, recitato davanti agli Accademici Filarmonici; «Maria Giorgi, bella, ingegnosa, amabile: bello è a udire che la musica di lei salutasse le prime vittorie italiche di Napoleone. Nè dovette parere bugiarda la fama ai cittadini di Vienna che udirono lodarla da Clementi e da Haydn. Bella apparve a quel supremo giudice e parco lodatore di bellezza che fu il Canova. Prima di morire, ascoltava suonare le sue figlie, ed ella pure, su un motivo di Paisiello, suonò alcuni squarci di musica»(9).
p. 10   Dall'Accademia partiva ancora ai primi di quel secolo il verbo del gusto musicale. I discorsi inaugurali sono pieni di ricordi classici e storici. Non si cominciava mai uno di tali discorsi da epoca più recente di quelli dei Greci, quando non si rimontava agli Egiziani e agli Assiri, e così, poco alla volta, soffermandosi ai vari momenti storici, era naturale che il disserente arrivasse a toccare dei contemporanei, e bruciasse un poco di incenso al grande Eroe Napoleone; poichè, come si legge in un discorso del 1806, la Società Filarmonica aveva l'onore di essere accetta e cara alla Donna, congiunta per sangue e per virtù al più possente dei Monarchi, cioè alla imperatrice Giuseppina, che nel 1805 era venuta Bologna(10).


       Ed eccoci giunti a parlare delle istituzioni derivate in linea diretta dalla Accademia Filarmonica, che rendono questo breve periodo così memorabile negli annali della musica.
       Nel 1797, appena Bonaparte ebbe stabilita la Repubblica Cispadana, della quale Bologna era la principale città, chiara apparve al Direttorio Francese l'importanza del nostro ambiente per la parte artistica e musicale; così ci spieghiamo la legge del 18 novembre 1797 che stabilisce in Bologna l'«Istituzione Nazionale di Scienze ed Arti» fra le quali doveva essere compresa anche la musica.
       Era questa un'idea nobile e grande, ma forse difettava di praticità al pari di molte idee escogitate da quel Governo direttoriale. Occorreva che la Cispadana fosse unita alla Cisalpina, perché, nel successivo 1798, si cominciassero pratiche trattative fra l'Amministrazione di Bologna e il Governo centrale di Milano rappresentato dal ministro degli interni Marescalchi, egli pure bolognese. Il mediatore autorevole, in tali trattative, fu il professore Giovanni Aldini, medico musicofilo, fratello di quell'Antonio, che fu poi da Napoleone Imperatore nominato ministro del Regno Italico. L'Aldini andava a Milano con idee pratiche e chiare. Egli doveva, in mente sua, trovare troppa idealistica la creazione di un grande Istituto Nazionale a Bologna.
       Siccome è legge storica e politica che la necessità materiale di pochi spinge le popolazioni a creare importanti istituti e ad operare cose utili e belle, così anche in questo fu il bisogno della classe dei | p. 11 | musicanti che spinse l'Aldini a perorare a Milano la necessità di un Istituto che ravvivasse la vita musicale della nostra città. La soppressione degli ordini religiosi, la chiusura di conventi, la cessazione di molte funzioni aveva tolto ai suonatori e ai cantanti una parte notevole dei loro guadagni, e il teatro non era sufficiente per farli vivere. Non era necessario a Bologna fare tutto di nuovo: esisteva già, fiorentissima, l'Accademia Filarmonica, la quale, diceva l'Aldini «raccogliendo da tutte le parti della Repubblica i migliori lumi e le filarmoniche cognizioni, darebbe pure a voi nuove risorse per coltivare la musica facoltà».
       Le ragioni dell'Aldini persuasero pienamente il Governo centrale, il quale, rinunciando per allora all'idea di un Istituto Nazionale di Scienze ed Arti, trovò di maggiore urgenza l'istituzione di un nuovo stabilimento filarmonico, derivazione dell'Accademia, ma da questa indipendente. A questo fine, emise il decreto del 24 vendemmiale anno VI, che corrisponde al 20 ottobre 1798, col quale si disponeva di trasportare nel locale del soppresso convento degli Agostiniani di S. Giacomo l'archivio del celebre professore padre Martini, morto da pochi anni, quello del maestri di cappella di S. Petronio, le composizioni che erano presso i padri Filippini, vari libri corali delle soppresse Corporazioni, una collezione di istrumenti, e la magnifica collezione di ritratti dei più famosi Filarmonici. Per non destare sospetti nell'Accademia, il Governo centrale delegò, con decreto 5 marzo 1799, una Deputazione Filarmonica alla custodia del prezioso materiale, deputazione che doveva in seguito avere altri importanti uffici: essa fu intanto costituita dal padre Stanislao Mattei, D. Valerio Tesei, Francesco Rastrelli, Giovanni Zanotti e Vincenzo Cavedagna. Non ostante che questa deputazione fosse costituita di accademici filarmonici, non tutti i componenti di quel tradizionale Istituto videro di buon occhio l'intenzione di creare una nuova scuola musicale. Il Governo direttoriale volle tentare di devolvere al nuovo istituto parte delle rendite dell'Accademia, e sopra tutto quelle che servivano alla funzione religiosa in S. Giovanni in Monte. È facile immaginare l'indignazione del cittadino Carati, discendente dal fondatore dell'Accademia, per questa proposta: egli giunse a minacciare di espulsione dalla sua abitazione il rappresentante del Governo, il quale si accorse di essere di fronte ad un Istituto che non era consigliabile modificare, e rinunciò alla sua proposta.
       Durante l'anno 1799, tornati gli Austriaci, si arenò per un momento l'opera della Deputazione. Ripristinata la Repubblica Cisalpina col nome di Italiana nel giugno del 1800, l'Amministrazione Dipartimentale del Reno non chiamò per il momento la Deputazione Filarmonica, | p. 12 | ma nominò una speciale Delegazione, formata dai cittadini Giovanni Aldini, Luigi Zanotti ed Alessandro Agucchi, la quale si occupò subito di ricuperare il convento di S. Giacomo temporaneamente occupato e deturpato dalle truppe austriache, e di proseguire il riordinamento del materiale. Sebbene ancora il nuovo Istituto Filarmonico non si potesse dire formato, questi tre cittadini possono dirsi essere stati veramente benemeriti della sua fondazione.
       Questo lavoro di preparazione continuò per tutto il 1802, e sembrò tornare nel 1803 la speranza che in Bologna il tanto atteso Istituto Nazionale di Scienze ed Arti dovesse comprendere anche la sezione musicale; ma in questo fu di ostacolo la continua resistenza passiva dell'Accademia. Fu allora che la Municipalità decise di assumere essa la spesa della conservazione delle raccolte di oggetti musicali già riunite in S. Giacomo, e deliberò di istituire un Liceo Filarmonico. La Deputazione presentò ai primi del 1804 le sue proposte al Consiglio Comunale, ma non avendo la visione dell'importanza superiore che doveva rivestire la Scuola sulla Accademia, confondeva nella sua proposta gli interessi dell'una con quelli dell'altra. La proposta era così formulata: «è necessario che l'Accademia Filarmonica coi suoi Statuti (salve quelle modificazioni che si crederanno opportune) sia trasportata nel convento soppresso di S. Giacomo, erigendosi in stabilimento pubblico comunale». Le proposte della Deputazione furono approvate nelle sedute del 26 e 28 aprile 1804, e sanzionate definitivamente nell'agosto. Il Consiglio metteva subito a disposizione dell'Accademia lire 2500 di Bologna per l'attuazione del nuovo piano. La Deputazione prese in consegna il materiale già raccolto in S. Giacomo. «Fu accomodata» dice il piano di pubblica Istruzione «una magnifica Sala, con grandiose cantorie dorate, per dare pubbliche accademie, munita di doppia orchestra, in mezzo alla quale siede uno squisito organo del Preti veneziano».
       Finalmente con manifesto del 3 novembre la municipalità di Bologna annuncia l'apertura del Liceo Musicale, e l'inaugurazione delle scuole per la fine di quel mese, con una cerimonia alla quale concorreranno tutti i professori filarmonici gratuitamente. Questa cerimonia ebbe luogo il 30 novembre con una orazione recitata dal cittadino Prandi, professore della Università, preceduta da una sinfonia, e seguita da una cantata. Ecco quale fu il primo modesto organico del nostro Liceo.


Insegnante

di Contrappunto, prof. Mattei con

L. 1200

»

di Pianoforte, Giov. Calisto Zanotti

»  1000

p. 13

Insegnante

di Canto, prof. Lorenzo Gibelli

L.   800

»

Violino, prof. Luigi Mandini

»    600

»

Violoncello, prof. sac. Vincenzo Cavedagna

»    600

»

Oboe e Corno Inglese, prof. Sante Anguillar

»    600

 
       Tra questi professori ve ne era uno vecchissimo, il Cavedagna insegnante di violoncello, il quale subito nel 1805 domandò un coadiutore; il Podestà nominò per tale incarico il Parisini, senza stipendio; il quale però, dovendo provvedere al suo sostentamento, stava fuori di Bologna, e così la scuola di violoncello rimase senza titolare sino al 1822. Se però si eccettuano queste deficienze, i primi anni del nostro Liceo furono anni di grande attività e di fiorente produzione, tanto che poteva già dirsi fosse assurto a gloria italiana, quando Pietro Giordani, nel 1811, recitò il discorso per la solenne distribuzione dei premi, rilevando «l'armonia che doveva rivestire l'anima di Dante».
       Nei suoi primi anni di vita il Liceo rimase sotto la sorveglianza della Deputazione Filarmonica, la quale continuava a dare disposizioni pel buon funzionamento delle Scuole. Questa Deputazione Filarmonica doveva continuare ad essere l'anello di congiunzione tra Accademia e Liceo, ed aveva tra i suoi membri il Presidente dell'Accademia. Dopo la fondazione del Liceo, la Deputazione allarga le sue attribuzioni, e si estende alla sorveglianza sulle orchestre e sui teatri, d'accordo colla Direzione teatrale; e la Prefettura deve riconoscere, sino dal 1804, che «si è ottenuto in questo ramo un sensibile miglioramento».
       Per quanto però l'Aldini, nel 1807, proclamasse che «si deve considerare come uno stabilimento solo l'Accademia, il Liceo e la Deputazione Filarmonica», tuttavia era naturale che un governo eminentemente rivoluzionario, quale era il napoleonico, avesse delle preferenze per la sua geniale creatura, il Liceo Musicale, a confronto della vecchia Accademia che doveva avere sapore alquanto antico e papale: tanto che, già nel 1811, il prefetto del Dipartimento del Reno scrive alla Accademia, che essa cesserà da ora innanzi di avere un'esistenza propria e dovrà «far parte dell'Ateneo di Bologna». E restano per qualche anno silenziosi gli annali dell'antica Accademia(11).


p. 14   


       Tutto questo importante movimento musicale ai primi del nuovo secolo assorbiva anche un'altra vecchia e gloriosa istituzione, la Cappella di S. Petronio. E che essa fosse unita e legata agli altri istituti musicali, lo deduciamo da questo, che, nel 1813, «mentre deve provvedersi il Liceo di un insegnante di violino, si presenta la necessità di dare un coadiutore al primo violino della Cappella di S. Petronio e di assicurare agli spettacoli teatrali un valente direttore d'orchestra»(12). A risolvere il difficile problema si accinge la Deputazione Filarmonica, la quale deve riconoscere che, per la tenuità dei fondi messi a disposizione, difficilmente si potevano trovare tre individui capaci di disimpegnare uffici così importanti; dispone quindi che l'elezione per tutte tre le cariche cada sopra un solo soggetto, e che si provveda per concorso, in seguito a pubblico esperimento nella sala del Liceo. Il triplice ufficio fu assegnato a Felice Radicati, torinese, uno dei primi allievi del Pugnani. Fu poi abile direttore ed ottimo concertista: fu anche compositore stimato, ed autore di un'opera teatrale Castore e Polluce rappresentata alla Fenice di Venezia nel 1815.
       Anche la Cappella di S. Petronio aveva dovuto seguire gli avvenimenti politici, e vediamo che il 18 dicembre 1796, fu cantata messa solenne in musica, nello stesso modo che nel giorno di S. Petronio perchè così comandati dal Bonaparte, per festeggiare l'entrata dei Francesi.
       Nel 1807 furono riformati i capitoli della Cappella, essendosi | p. 15 | verificati disordini, ai quali vollero subito provvedere Callisto Zanotti, maestro di Cappella, il suo coadiutore Angelo Tesei e il Rastelli primo violino. Lo Zanotti era già molto avanzato in età, tanto che, nel 1808, deve dichiarare essere egli quasi inabilitato a comporre; e per altro disposto a supplire, cedendo gli arretrati dello stipendio. Come è speciale cosa di quei tempi! essere attaccati al posto, e rendersi inamovibili rinunciando al compenso. Se questo era un segno di disinteresse ed una economia per le amministrazioni, non si può dire giovasse all'arte!
       Nel 1809, la decadenza della Cappella continua, tanto che il Podestà scrive lettere al maestro di Cappella e Capo Orchestra per riprendere le mancanze e la negligenza dei suonatori e dei cantanti. E tale decadenza doveva continuare sino al 1817, quando, morto il Tesei coadiutore dello Zanotti allora quasi nonagenario, nominano a nuovo coadiutore il famoso p. Stanislao Mattei, e lo designano, passando sopra ad ogni formalità, successore del Zanotti, per quando questi sarà morto. Strano modo di nomina!
       Certamente il p. Mattei fu quello che nel periodo successivo fece risorgere la Cappella della Basilica. Egli era entrato, sino dal 1784, defunto il grande padre Martini, nel posto di maestro di cappella nella Chiesa di S. Francesco. Nel 1798, causa le vicende politiche, aveva dovuto svestire l'abito ecclesiastico. Era considerato il più sapiente compositore nello stile fugato; fu insegnante di contrappunto al Liceo Musicale, sino dalla sua origine, e varie volte principe dell'Accademia Filarmonica. Non diverso in questo dai suoi contemporanei, musicherà colla stessa indifferenza nel 1799 un inno per gli Austro-Russi, come nel 1805 ne musicherà uno per l'arrivo di Napoleone in Bologna. Al Mattei furono offerti vari posti d'insegnamento fuori di Bologna; ma egli non volle mai abbandonare la sua patria, di dove era ricercato il suo consiglio anche dai compositori stranieri. Fu suo merito e soddisfazione avere dato il primo insegnamento a Gioacchino Rossini(13).



       Ho detto che tutto il movimento per la creazione di nuove istituzioni musicali e per la conservazione delle antiche era originato dai | p. 16 | musicanti, i quali si trovavano da qualche tempo con scarso guadagno. Dirò ora qualche cosa dell'orchestra di allora come era regolato e quale valore essa aveva.
       La sorveglianza che sulle orchestre aveva la Deputazione Filarmonica insieme alla Direzione dei Teatri diede luogo a continui dissapori tra i due Enti. Ai Filarmonici infatti stava specialmente a cuore la loro professione, mentre la Direzione dei Teatri tendeva a conciliare il decoro delle rappresentazioni coll'interesse degli Impresari.
       Il Municipio riconobbe, nel 1806, la necessità di pubblicare uno speciale regolamento sui Teatri, foggiato su quello allora in vigore a Milano, pel quale fu tolta alla Deputazione la sorveglianza sulle Orchestre teatrali. Nel 1808 il Municipio assunse anche la presidenza della Deputazione, e fu questa un'altra diminuzione notevole per l'Accademia Filarmonica. Tutta questa persecuzione all'Accademia e ai suoi deputati provenne dal fatto che la Deputazione compiva con troppo zelo il suo dovere; essa cercava impedire i tanti inconvenienti che succedevano allora nelle orchestre teatrali per l'avarizia degli impresari ed usava grande severità nella ammissione dei richiedenti. Gli abusi da evitare erano numerosi. Vi erano impresari che si contentavano di pochi professori «popolando poi l'orchestra di una turba di inesperti suonatori i quali, vivendo di altro mestiere, vendevano per pochi soldi la loro ignoranza»(14). Dopo la riforma del 1806, destituita la Deputazione di ogni facoltà di sorveglianza, l'orchestra decadde in modo dal suo antico splendore, che anche nei giornali se ne trovano critiche acerbe.
       È di molto interesse ciò che ci riferisce la Gazzetta di Bologna nel 1808: «Se vi piace eccettuarne sette od otto, tutti gli altri suonatori si mostrano così distratti e disattenti, che recano col loro suono una ferita mortale all'orecchio di chi li ascolta. Chi liscia lo strumento e fa plauso al danzatore; chi abbandona la parte, e si volge col capo al palcoscenico; v'è persino chi prende la parte sua, e la colloca all'esterno appoggio del detto palcoscenico, onde vedere con più agio lo spettacolo. L'orchestra di Bologna manca al suo onore, perché non attacca più nessun pregio all'azione principale e decorosa che le vien dato a sostenere. A capo di ogni cinque sere, traggono indebitamente i suonatori il prezzo della qualunque loro opera, e ciò li soddisfa. Non così era un giorno. Era insufficiente il prezzo, se a capo di ogni dieci o dodici | p. 17 | sere il pubblico od il Governo non coronava con plauso la loro precisione».
       Tale decadenza continuò sino al 1815, anno nel quale troviamo i primi sintomi di un serio concetto di associazione di mutuo soccorso tra i musicanti. Sembra quasi essere giunti alle attuali leghe di resistenza. I professori stabiliscono di unirsi tra loro, fissando un'orchestra tale che se uno di loro venga assunto a servizio teatrale, gli altri pure vengano assunti, non pretendendo da alcuno impresario onorari maggiori di quelli che sono stati sino ad ora consueti. Questa seria associazione fu costituita sotto la direzione del maestro Tommaso Marchesi(15).



       È necessario ora ricercare dove si svolgeva principalmente la vita musicale cittadina; e comincerò dai teatri minori per arrivare ai maggiori. Accennerò appena agli innumerevoli teatri che erano nelle case private, come ad esempio il Teatro Legnani, nel palazzo di quella famiglia in S. Mamolo, il Teatro di S. Saverio attaccato ad una caserma, il Teatro Coralli(16), nel locale della Chiesa di S. Gabriele.
       Ai primi dell'Ottocento, fra i teatri più frequentati era ancora il Teatro Formagliari detto anche Zagnoni(17), che però fu distrutto da un incendio nel 1802, e dove già dal 1770 non si rappresentavano lavori importanti, dopo l'apertura del Teatro Comunale avvenuta nel 1763. In via Barbaziana era il Teatro Felicini, dove si davano soltanto lavori drammatici, allora sotto la direzione di Madame Raucourt prima attrice del Teatro Francese, con importante repertorio, come, ad esempio, tutto il Teatro di Molière. Il Teatro Taruffi, si aprì per la prima volta nel palazzo di via del Poggiale l'autunno del 1799 con un dramma giocoso per musica intitolato Li Raggiri scoperti dedicato alla Reggenza Imperiale Austriaca che comandava in quell'anno. Nel 1805, quando si aprì il nuovo Teatro del Corso, il sacerdote Taruffi proprietario del piccolo teatro domandò di chiuderlo. Si vede però che allora era più facile aprire un teatro che chiuderlo; perché | p. 18 | la Prefettura, prima di emettere il decreto di chiusura, fa indagini sui motivi della domanda del vecchio prete che essa crede «ispirati da superstizione e male intesa religione, e contrari alle viste politiche che riconoscono nell'esistenza dei Teatri un mezzo di promuovere il costume e le utili cognizioni e le Arti(18)». Certamente però fu poi dato il permesso richiesto, perché di quel Teatro più non si parla.
       Molto importante era per contrario il Teatro Rossi-Marsigli, anche questo sino a che non fu detronizzato dal nuovo Teatro del Corso. Esso era in una casa di Strada Maggiore, circa in faccia all'attuale palazzo Hercolani, e vi si eseguivano opere in musica, serie e buffe; non sempre però con molto decoro, a quanto pare. Nel 1804 lo spettacolo era dato da una Impresa Cardinali: la Direzione teatrale pare non ne fosse molto soddisfatta, poichè essa propone al Delegato di Polizia che si sostituisca la prima donna, sebbene allieva del maestro Marchesi: la nuova però doveva rimanere in pari grado colla presente, per evitare qualunque amarezza e discordia. Il Delegato per altro chiede al Prefetto misericordia pel disgraziato Impresario. Trovo che nel 1809 in gennaio si rappresentava al Teatro Marsigli Il matrimonio segreto del Cimarosa, sebbene fosse aperto contemporaneamente il Comunale e il Corso. Nel carnevale del 1810 vi si rappresenta Elisa, dramma sentimentale in un atto per musica del maestro Mayer: «la scena», dice la didascalia, «è nelle montagne di ghiaccio, cosidette del Gran S. Bernardo»(19). Si inaugurarono anche in quegli anni, nel 1810 l'Arena del Sole e nel 1814 il Teatro Contavalli; ma questi non hanno importanza per la musica.
       Il Teatro del Corso, anche oggi tanto ammirato per la eleganza delle sue linee, fu finito di costruire nel 1805 coi disegni dell'architetto Santini, e fu inaugurato il 18 maggio di quell'anno, con tale concorso di gente, che si dovettero dare speciali disposizioni pel transito delle vetture. Il teatro acquistò subito importanza per le esecuzioni musicali e drammatiche che vi si fecero. Per lo più vi si davano opere buffe, ma non mancarono, in quegli anni, anche opere serie e balli: per questi ultimi erano continue le istanze alla Prefettura dei ballerini disoccupati; la Prefettura si raccomanda alla Direzione degli spettacoli che essi, vengano assunti al Teatro del Corso, sebbene si sappia che | p. 19 | questi sono i rifiuti degli altri Teatri, e, piuttosto che decorare, saranno di disdoro allo spettacolo. Il 29 ottobre 1811, il Teatro del Corso ebbe l'onore di dare il battesimo ad un'opera del ventenne Rossini L'equivoco stravagante: ne vedremo i giudizi. Nel 1813 vi si dava la Lodoiska del maestro Simone Mayer, indi il Ballo eroico del Gioia I Riti Indiani: nel 1814, L'Italiana in Algeri, primo vero capolavoro del Rossini che l'anno innanzi aveva furoreggiato a Venezia per la prima volta, e che, dopo il Corso, passò al Teatro Comunale.
       Il Teatro del Corso (chiamato così ufficialmente perché la strada di S. Stefano era allora il Corso di Bologna!) si chiamò per molto tempo Teatro Badini dal nome del suo proprietario. Questo Badini nel 1814 dà un resoconto alla Commissione governativa (dopo caduto il dominio napoleonico) di quanto si era fatto sino allora con scarso risultato economico! In quel decennio si erano già rappresentate quattro opere serie, con grandiosi balli, tredici opere buffe, e quattro oratori. L'importanza di questo teatro fu subito così grande, che il Badini aveva sino pensato di fondare un Albergo nobile, in contiguità della sala, perché i forestieri potessero dal loro alloggio recarsi, senza disagio, allo spettacolo(20).



       La vita musicale si esplicava assai più intensamente nel grande Teatro del Comune, che, negli anni repubblicani, si chiamò anche Teatro Nazionale. Questo Teatro, che era stato inaugurato col Trionfo di Clelia del Glück, che nel 1771 aveva dato l'Orfeo e nel 1777 l'Alceste dello stesso autore, aveva fatto conoscere dal 1795 al 1799 un poco di buona musica italiana colle opere dello Zingarelli, perché era allora il solo italiano che scrivesse le opere cosi dette serie. Il Teatro però era ridotto in difficili condizioni dal Iato economico, e non si poteva più a lungo sostenere nel suo decoro. Nel 1804, troviamo una importante Memoria trasmessa dal Municipio al Prefetto, dove si propone di istituire i canoni dei palchi, come oggi sono in uso; si propone anche l'istituzione di una commissione direttiva speciale al Teatro: una commissione dovrà sorvegliare l'esecuzione dello scenario, e si costruirà un lampadario per illuminare la platea, che sino allora era | p. 20 | al buio, come è tornato oggi di moda durante l'esecuzione della musica.
       Più interessanti ancora sono le disposizioni che si prendono per la parte artistica. Appare oggi strano che non si ammettesse l'esecuzione di opere già note, per quanto di grande valore: il dramma dovrà essere nuovo, la musica sarà composta espressamente; il tutto coll'approvazione della Commissione. Quando sia possibile, l'argomento del Ballo che separa i due atti rappresenterà una azione analoga; era allora obbligatorio che i due atti fossero intramezzati da un ballo, che spesso non aveva nessuna relazione coll'argomento dell'opera. Si riconosce però, nel rapporto, «la difficoltà di migliorare gli spettacoli, anche per l'ineducazione degli spettatori, avidi solo di divertirsi, avvezzi a considerare il Teatro sotto una vista diversa da quella del Politico e del Filosofo»(21).
       In quegli anni, si fecero spesso affitti del Teatro Comunale per lunghi periodi: Cosi fu fatto nel 1809, all'impresario Costa per un triennio. Nel 1811, si costituisce un'«Accademia del Teatro Comunale» di centocinquanta membri, ciascuno dei quali si obbliga di sborsare lire cinquecento ad ogni richiesta, per un triennio, a sostegno del Teatro, l'Accademia darà tre spettacoli ciascun anno. Dal principio di primavera alla fine di estate darà trenta recite di opera seria musicale con un ballo eroico-pantomimo spettacoloso: nella stagione di autunno darà trenta recite di opera buffa musicale con ballo pantomimo, non però eroico, ma spettacoloso; nel Carnevale darà circa quaranta recite di una delle migliori compagnie comiche, ovvero due o tre opere buffe musicali, senza ballo dispendioso, ma con qualche specie di intermezzo tra gli atti, cercando trattenere gli spettatori nel tempo del riposo degli attori». Tutto questo però rimase allo stato di progetto, poichè vediamo che nel triennio 1811-12-13 si ebbero due sole stagioni estive molto scadenti, sino a che, nel 1814, non venne la musica di Rossini, col Tancredi e coll'Italiana in Algeri, a rialzare le sorti del Teatro. Nel 1811 la decadenza del Teatro era tale che la Direzione degli spettacoli riferiva al Prefetto, sulla necessità di rialzare il Comunale, portando come ragioni della decadenza il prezzo eccessivamente tenue del biglietto(22): pare che colla spesa di una lira si potesse allora entrare in Platea. L'allestimento degli spettacoli, per contrario, era assai | p. 21 | dispendioso, specialmente per il lusso nei Balli, che allora sembrava eccessivo. Il riferimento della Direzione termina proponendo di aprire un nuovo ordine di palchi, in basso, in luogo delle ringhiere che allora esistevano. Al contrario di quello che oggi si fa: nei teatri nuovi si sopprimono i palchi per sostituirli colle ringhiere. Le ringhiere furono allora abolite; ma il nuovo ordine di palchi di pepiano (per fortuna dell'architettura) non fu fatto.
       Oltre le opere dello Zingarelli, alle quali abbiamo accennato, sono degne di nota le esecuzioni, al Comunale, di alcune opere del Cimarosa, quali Giannina e Bernardone; del Paër, la Lodoviska, il Principe di Taranto; del Mayer, Ginevra di Scozia; del Paisiello il Re Teodoro: tutta roba della quale oggi più non resta memoria. Resta invece memoria dei nomi degli esecutori. Così nel 1809 si resero celebri la Colbrand (accademica filarmonica al servizio di S. M. Cattolica il Re di Spagna) come prima donna e Tacchinardi come tenore in opere quali Traiano in Dacia ed Artemisia di un certo maestro Nicolini, oggi del tutto dimenticato. Durante il governo napoleonico non si arrivò per altro all'estremo di permettere al Comunale degli esercizi di equitazione, come fece nel dicembre del 1814 il cosidetto buon Governo provvisorio dell'Austria. Il gusto degli spettatori che abbiamo già definito assai deficiente e le abitudini del teatro si confacevano del tutto al genere dei lavori musicali. La Direzione dei Teatri precorreva però i tempi, quando riteneva necessario reprimere l'uso male inteso dei cantanti e dei ballerini di contraccambiare gli applausi, di interrompere l'azione per esprimere ringraziamenti, e quello di replicare i pezzi(23).



       Lasciamo per un momento queste miserie; e ricordiamoci intanto che nel 1810 Rossini lasciava la scuola del padre Mattei, e iniziava la sua maravigliosa produzione musicale. Egli presentava quell'anno La Cambiale di matrimonio a Venezia, con scarso successo: nel 1811 dava al Teatro del Corso di Bologna L'equivoco stravagante. Dice il Redattore del Reno: «Alla prima rappresentazione, grande piena per curiosità; diversi partiti pel compositore della musica, eccessiva | p. 22 | nausea per l'indecente libretto. Non ostante questo, ha saputo in alcuni pezzi distinguersi il sig. Rossini con molta lode, dove si scorge il giovane pieno di estro, e che avendo gravida la mente dei pezzi migliori dei buoni maestri, pare che ne improvvisi gli stessi motivi più applauditi. Che il libretto sia, permettemi, cattivo, lo dimostra la risoluzione della Prefettura che ha proibito la continuazione delle recite ...». Nel 1812 si rappresenta La Pietra del paragone a Milano; finalmente, nel 1813 a Venezia, successivamente, il Tancredi alla Fenice e L'Italiana in Algeri al Teatro di S. Benedetto. L'entusiasmo per queste opere fu tale a Venezia che Rossini diceva «credevo che, dopo avere inteso le mie opere, mi si darebbe del matto: ora sono tranquillo, i Veneziani sono più matti di me». Queste due opere dovevano poi essere rappresentate a Vienna nel 1816.
       Dopo l'Aureliano in Palmira e Il Turco in Italia, scritte nel 1814 per la Scala di Milano, si arriva subito nel 1816 al Barbiere di Siviglia, del quale naturalmente non parlerò!
       Ricorderò invece due episodi politici, sebbene essi siano noti ai cultori di memorie rossiniane. Nel 1812 sarebbe toccato al Rossini il servizio militare, e avrebbe dovuto seguire Napoleone nella Campagna di Russia. Il Vice Re Eugenio lo esentò dal servizio per meriti artistici, scrivendo: «Je ne prendrai pas sur moi d'exposer aux balles ennemies une existence si précieuse; mes contemporains ne me le pardonneraient pas. C'est peut-être un médiocre soldat que nous perdons, mais c'est à coup sur un homme de génie que nous conservons à la patrie». L'altro episodio politico non torna molto ad onore del nostro Rossini. Nel 1815, quando Murat proclamò a Bologna l'indipendenza italiana, egli aveva composto la musica per un inno patriottico popolare, che doveva essere come la Marsigliese italiana. All'arrivo degli Austriaci comandati dal generale Stefanini fu ordinato l'arresto di Rossini, che il padre Mattei scongiurò di fuggire. Egli invece, si presentò al Generale con un rotolo di musica legato coi colori austriaci, pregandolo di accettarlo in omaggio, poichè era un inno in onore di sua Maestà l'Imperatore d'Austria. Domandò così al generale il salvacondotto. Il generale glielo concesse, ma vi scrisse sopra «pel signor Rossini patriota senza importanza»(24).


p. 23   


       Dirò brevemente dei Concerti ed Oratori che si eseguirono in quegli anni. Essi erano per lo più costituiti da brani orchestrali intercalati con pezzi di canto e di istrumenti solisti.
       Nel 1803, al Teatro Zagnoni (già Formagliari) che bruciava poco dopo, si presenta un suonatore di oboè e di corno inglese che delizia gli uditori con due concerti, uno per istrumento: però compie il programma con una Sinfonia di Haydn e con una del Mayer: in più, delle arie e duetti anonimi: forse l'autore non voleva essere nominato!
       Nel 1805 cominciano i concerti dati nell'aula del Liceo Musicale, appena inaugurato. Ogni tanto qualche concerto ha luogo per iniziativa dell'Accademia Filarmonica: memorabile, nel 1806, l'esecuzione dell'Oratorio La Passione di Cristo del Stanislao Mattei, per la quale sono d'interesse le disposizioni che prende l'Accademia d'accordo colla Deputazione, sopra tutto per la formazione dell'orchestra. Fu eseguita la sera del Venerdì Santo. L'allievo Rossini, che aveva 14 anni, sostenne la parte di Maddalena!
       Per questa festa musicale fu necessaria una sottoscrizione cittadina, che fruttò la somma, oggi irrisoria, di lire 212. Il maggiore offerente fu Sebastiano Tanari con lire 30.
       Un'altra Passione di Cristo, del maestro Paisiello, fu eseguita il 20 marzo 1807 all'Accademia Polinniaca. È strano che si trovò necessario eseguire un intermezzo a due pianoforti, ad uno dei quali era la solita signora Maria Giorgi. Per un'altra Passione, del maestro Torelli, la signora Giorgi suona «una assai spiritosa suonata d'organo.».
       Ecco l'elogio che nel 1809 un giornale faceva al maestro Marchesi pel programma di uno dei suoi concerti: «il misto di serio ed allegro che ha saputo alternare non rattrista né ammollisce soverchiamente l'animo degli spettatori!»(25).
       I concerti dell'Accademia Polinniaca portavano anche il vanto della bellezza del pubblico! ad uno di questi del 1809, più di quaranta belle | p. 24 | signore intervengono, «cui le Grazie e la figlia di Egioco fanno corona» così dice il Redattore del Reno.
       Usavano anche allora i concerti di Beneficenza: trovo, ad esempio, che, sempre nel 1809, al Teatro del Corso si eseguisce l'oratorio anonimo La distruzione di Gerusalemme a beneficio della Congregazione di Carità.
       Ma quell'anno deve essere stato afflitto da concerti di ogni genere: questo tra gli altri: «È di passaggio un virtuoso della Corte di Mannheim, il quale suona molti istrumenti, ma con la sola bocca, come anche eseguisce diversi concerti, imitando degli animali volatili, il tutto accompagnato a piena orchestra». La Prefettura però non diede il permesso di tale concerto perché esso, per la sua natura, avrebbe offeso il decoro dei Teatri di Bologna(26).



       Ho voluto serbare per ultima cosa di parlare delle esecuzioni musicali che si ebbero a Bologna per circostanze patriottiche e nazionali, in relazione tutte al dominio napoleonico.
       Prima per importanza artistica e per solennità fu quella del 10 maggio 1811, in occasione della nascita del Re di Roma, dell'erede di Napoleone, che parve per un momento schiudesse un eterno avvenire all'Impero! E questa volta fu veramente felice la scelta del lavoro: fu fatto conoscere all'Italia l'ultimo ed uno dei maggiori oratori di Haydn Le quattro stagioni. Esso era stato eseguito a Dresda nel 1802, nella stessa traduzione italiana delle parole che servì per Bologna. L'esecuzione ebbe luogo nella grande aula del Liceo Musicale per cura della Accademia dei Concordi. Sull'ingresso della porta era scritto: «Ob Natalem faustum, felicem Regis Romae, Accademia Concordium gratulationis laetitiaeque causa, numeris Haydinis carmina modulatur». Dirigeva l'esecuzione Gioacchino Rossini, diplomato da un anno, che stava al cembalo. Nell'Ode Saffica che fu scritta in elogio, si dice del Rossini:

«Oh te felice, cui diè tanto onore
Il ciel negli anni che lieve ombra al mento
Fa dell'età vivace il primo fiore!
                            Oh bel portento!

p. 25  Lunghe e vivaci furono le discussioni prima e dopo l'avvenimento! Ma, in genere, prevalsero gli elogi. Dice il Redattore del Reno: «Lo studio posto pel felice riuscimento di una musica sì difficile per le orecchie italiane ha vinto l'aspettativa; e tre volte abbiamo avuto il piacere di gustarla. Si farà anche la quarta; e bene è a dirsi che, non ostante la lunghezza della composizione, non stanchi, perché la sala si è mantenuta sempre piena più di quattro ore senza sbadigli e spesso con commozione di vero entusiasmo ... Il signor Gioacchino Rossini maestro al cembalo, non che il signor Giuseppe Boschetti primo violino e direttore d'orchestra meritano particolari encomi per la loro instancabilità e precisione nel condurre i Cori, i Suonatori, i Professori di Canto, e nel difficile accordo di tante parti, e tanti istrumenti!»(27).
       Non parlerò delle grandi feste che si fecero a Bologna per il fausto evento: accennerò che una speciale Deputazione partì per Parigi per assistere al battesimo del Re di Roma e la componevano Cesare Bianchetti, Fabio Agucchi e Luigi Albergati(28). Non voglio certamente enumerare tra le manifestazioni musicali,tutti i Te Deum solenni che in questa e in simili occasioni, si cantavano, ad ogni momento nelle Chiese: dei Te Deum vi fu tale abuso in quegli anni dell'Impero, che, si diceva per scherzo, bisognava stanziare il calmiere dei Te Deum!(29). Nè mancò per altro una Cantata scritta espressamente per l'occasione, e intitolata La nascita del Re di Roma che fu eseguita il 5 luglio al Casino di Bologna. Interlocutori, Apollo, Minerva, Marte, Coro di Muse e Genii. La poesia era del signor Girolamo Zappi, e la musica del signor Francesco Giovanni Sampieri.
       Come nel 1811 si inneggiò alle gioie della famiglia imperiale, gioie che poi dovevano contribuire alla decadenza di Napoleone, così negli anni precedenti, si era inneggiato alle sue vittorie, sopratutto nel 1805, dopo Austerlitz!
       Nel 1808, si era giunti a mettere in musica il «Bollettino della Grande Armata» in 34 numeri, comprendenti tutta la Battaglia di Jena. Era forse un primo tentativo di poema sinfonico, per pianoforte con accompagnamento di orchestra, composto dal capitano Michele | p. 26 | Braun, accademico concorde. Ogni numero veniva annunciato col suono della Gran Cassa. Nello stesso anno, per la nascita della principessa di Bologna, (Giuseppina, nata al Vice-Re Eugenio), si trasporta come eccezione l'opera buffa dal Teatro Marsigli al Teatro Comunale(30).
       In occasione dell'onomastico dell'Imperatore, nell'agosto si ripetevano tutti gli anni grandi feste. Nessuna però arrivò all'importanza, dal punto di vista musicale, di quella del 1809, quando al Teatro Comunale nel tempo del grande ballo che vi si rappresentò, comparve la signora Colbrand, in forma di Genio Italico, cantando un'aria di circostanza!(31).
       E la festa del Vice-Re, il 29 ottobre 1810? Essa fu celebrata per una vittoria della piccola flotta italiana al comando del Vice-Re Eugenio, contro gli Inglesi nelle acque di Lissa, vittoria purtroppo meno nota di recente sconfitta nelle stesse acque. Fu eseguito in quella occasione, nel palazzo Caprara, allora di proprietà imperiale, un componimento drammatico in musica, in presenza di Sua Altezza, del quale fece le parole il cav. Giusti e addattarono la musica la signora Maria Giorgi e il signor Pilotti(32).
       Quest'arte divina era già da molti anni addomesticata alla servilità!
       Sino dal 1800, quando Napoleone vinceva a Marengo, la veneranda Accademia Filarmonica credeva suo dovere di prendere parte, sotto la direzione del maestro Marchesi, alle Feste Nazionali, a quella, tra le altre, dedicata alla Scienza e alla Virtù in omaggio alla vittoriosa Armata francese(33); e nel 1801 si festeggiava, con scelta musica, al Teatro Nazionale (già Comunale) la Pace di Lunéville(34). Per l'esaltazione di Napoleone al Regno Italico fu composta espressamente da Francesco Morlacchi accademico filarmonico una Cantata, eseguita dall'Accademia dei Concordi, mentre dalla piazza maggiore si toglieva l'Albero della Libertà!
       Dopo questo, si potrà immaginare quanto la musica dovette strisciare e suonacchiare, quando Napoleone I arrivò nel giugno del 1805 in persona a Bologna. Poiché tutti sanno che l'Imperatore e l'Imperatrice entrarono nel Dipartimento del Reno il 18 giugno di quell'anno: il 20 giugno arrivò l'Imperatrice a Bologna, e il 21 l'Imperatore. Fu costruito un Arco di trionfo a poca distanza da porta S. Felice, che, da | p. 27 | quel giorno si chiamò porta Napoleone. Da questo arco sino alla porta, dalle due parti della strada, furono costruiti fabbricati finti, ripetuti poi entro la città, dalla porta sino ai fabbricati veri. Tutta la via S. Felice sino alla volta dei barberi e la via di S. Prospero (ora via Imperiale) sino al palazzo Caprara (ora Montpensier) erano coperte di tele e decorati di ricchi veli. In faccia al palazzo Caprara, destinato per abitazione dei Sovrani, era una prospettiva dipinta.
       E la musica? Fu preparata al Liceo Filarmonico una Cantata composta dal padre Mattei, alla quale però gli Imperiali, troppo stanchi, non vollero assistere. Si recarono invece insieme, la sera del 21, all'Opera al Teatro del Corso; non mi risulta quale opera fosse eseguita. Il Teatro era stato inaugurato appena un mese prima; ma intanto era stato portato a compimento, unendovi il Casino e il Ridotto, elegantemente ammobigliati e illuminati per conversazione e festa di ballo. Queste sale occupavano tutta la parte dell'edifizio, oggi occupata dal palazzo Aria.
       La sera del 23 fu dato un magnifico veglione gratuito al Teatro Comunale, al quale per breve ora intervennero i Sovrani, essendo stati uniti i tre palchi di mezzo per formare un solo palco per la Corte. Il piano della Platea era stato, per la prima volta, alzato al livello del Palcoscenico. Dal Palco reale si scendeva nella grande sala per due comode scale laterali. Il fondo del palcoscenico era aperto, e da questo si comunicava, sempre allo stesso livello, col terrapieno nel guasto Bentivoglio, ridotto a giardino con piante e fontane, e tutto vagamente illuminato. L'effetto doveva essere veramente geniale ed artistico!
       All'arrivo dell'Imperatrice, all'arco di trionfo fuori la città fu eseguito a coro di popolo, per cura dell'Accademia dei Filarmonici, una cantata che cominciava

«Alle grida del popol festivo
Sorgi o Reno, dal seno dell'onda».

       Per l'arrivo di Napoleone, il giorno appresso, fu cantato l'inno,

«Vieni, o prode, fra i canti festivi»

di Paolo Costa, inno a tre voci e banda(35).


p. 28   


       Ma mi vedo arrivato al punto di non trovare la musica a Bologna pari alla grandezza delle persone e degli avvenimenti. Se dovessi continuare, mi sentirei trascinato ad abbandonare quella per parlare di questi.
       Trascenderei quindi dall'argomento che ho voluto delibare e che preferisco lasciare ad altri di trattare più ampiamente.


[Note al testo, a piè di pagina nell'originale]

(1) Biblioteca del Liceo Musicale di Bologna. G. A. PEROTTI, accademico filarmonico di Bologna. Dissertazione per il Concorso bandito a Milano nel 1811.

(2) Biblioteca dell'Archiginnasio. Ms. Tognetti. Lettere di Mass. Angelelli al Tognetti, 16 ottobre 1816.

(3) V. passim i giornali dell'epoca: Giornale del Dipartimento del Reno, Il Redattore del Reno ed altri.

(4) V. gli Statuti dell'Accademia dei Concordi alla Biblioteca dell'Archiginnasio.

(5) V. gli Statuti del 1810 nella detta Biblioteca.

(6) Biblioteca Ambrosini (Bologna). Deucalione. Cantata a tre voci e cori da eseguirsi nel Casino di Bologna nella Quaresima del 1813.

(7) Accademia Filarmonica. Archivio. Rapporto della Contabilità 15 aprile 1803.

(8) Accademia Filarmonica. Verbali 21 novembre 1806.

(9) PIETRO GIORDANI. Elogio a Maria Brizzi Giorgi nelle solenni esequie e lei fatte dall'Accademia Filarmonica il 1° dicembre 1812 in S. Giov. in Monte (Biblioteca del Liceo Musicale).

(10) Discorso del dott. Luigi Masini, membro e segretario dell'Accademia Filarmonica, recitato nella grande Aula delle Scuole Comunali in occasione della solenne dispensazione dei premi, 1806.

(11) Per la documentazione delle origini del Liceo Musicale, vedi:
       Archivio dell'Accademia Filarmonica. Rapporti. Verbali. Statuti.
       Biblioteca del Liceo Musicale. Prefazione del Gaspari al Catalogo Orazione recitata nel Liceo Filarmonico di Bologna nell'occasione della solenne distribuzione dei premi da Francesco Tognetti, agosto 1810 Lettera della Municipalità di Bologna al Presidente dell'Accademia Filarmonica, 20 dicembre 1804 Discorso di Pietro Giordani per la distribuzione dei premi al Liceo, 1811 Circolare firmata dal p. Stanislao Mattei agli alunni per l'esecuzione di un'accademia in ringraziamento alle Autorità cittadine, 1814 Lazzarini Augusto. Memoria sul Liceo Comunale di musica e sui suoi rapporti coll'Accademia Filarmonica.
       Biblioteca dell'Archiginnasio. Manoscritti Tognetti. Memorie diverse. Musica. Teatro dal 1798 al 1814 Lettere del Ministro degli affari interni all'Amministrazione Centrale di Bologna, 1798 Lettere dell'Amministrazione Centrale di Bologna al Direttorio Esecutivo, 1797 All'ill.mo Consiglio dei 48 Savi di Bologna l'Assunteria della Comunale Istruzione Copia del Piano di pubblica istruzione proposto da una Commissione apposita, ed approvato dal Consiglio Comunale in seduta 26 e 28 aprile 1804 Memorie della illustrissima Assunteria di pubblica istruzione sul Comunitativo Liceo di Bologna. Osservazioni sulla medesima dell'Accademia Filarmonica di Bologna Rapporto del cittadino prof. G. Aldini intorno allo stato attuale e ad alcune disposizioni riguardanti l'Accademia Filarmonica, 1799 Il Redattore del Reno, giornale, ad annos La Direzione sopra i teatri al sig. Delegato di polizia presso la Prefettura, 18 aprile 1804 Atti del Consiglio Comunale, 26-28 aprile-2 agosto 1804 - Raccolta di Bandi, 3 novembre 1804-21 ottobre 1805.

(12) Bibl. dell'Archiginnasio. Ms. Tognetti, 5 ottobre 1813.

(13) LE FAGE ADRIANO. Notice sur le vie et les oeuvres de Mattei.
       Archivio della Fabbriceria di S. Petronio. Capitolo per il buon regolamento della Cappella della Basilica di S. Petronio estesi d'ordine della Delegazione Municipale all'Amministrazione della Fabbrica di detta Basilica e da essa approvati nella sua seduta delli 9 ottobre 1807.
       Ibidem, Verbali delle sedute dal 1796 al 1817.

(14) Lettera del presidente della Deputazione Filarmonica, Angelo Mazzoni, alla Municipalità.

(15) Biblioteca dell'Archiginnasio. Ms. Tognetti, 1813-15. La Municipalità di Bologna alla Deputazione Filarmonica, 1805-06-07 Accademia Filarmonica. Verbali Biblioteca del Liceo Musicale. Rapporto sul diritto di nomina nelle orchestre teatrali appartenente Musicale.

(16) GUIDICINI. Diario Bolognese.

(17) CORRADO RICCI. Il Teatro Formagliari in Bologna (1636 - 1802), in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria, serie 3ª, vol. III.

(18) R. Archivio di Stato. Atti della Prefettura del Dipartimento del Reno, 1º maggio 1805.

(19) R. Archivio di Stato. Atti citati, passim.
       Biblioteca Ambrosini. Collezione di libretti di melodrammi eseguiti in vari teatri bolognesi.

(20) Biblioteca dell'Archiginnasio, Ms. Tognetti, passim.
       Ibidem. Collezione di Bandi (anno 1805).
       R. Archivio di Stato. Atti citati Sezione di Polizia Regolamento teatrale pel Comune di Bologna Corrispondenza tra il Prefetto e la Direzione degli spettacoli.

(21) R. Archivio di Stato. Atti citati Memorie e progetti riguardanti i bisogni e condizioni del Teatro Comunale trasmessi dalla Municipalità al Prefetto. La relazione è firmata da Alessandro Agucchi Legnani.

(22) R. Archivio di Stato. Atti citati.

(23) Per le rappresentazioni al Teatro Comunale, vedi anche i giornali come Il Redattore del Reno, ad annos.
       BIGNAMI. Spettacoli dati al Teatro Comunale.
       MANZI. Memorie e storie artistiche.
       GIORDANI GAETANO. Intorno al gran Teatro Comunale.

(24) Sulla vita di Gioacchino Rossini, vedi, tra altro, Archivio dell'Accademia Filarmonica.
       Biblioteca del Liceo Musicale: dove esistono i primi saggi di lui, alunno, e l'autografo del Barbiere.
       Biblioteca dell'Archiginnasio. Memorie diverse nei ms. Tognetti sull'esecuzione delle sue prime opere; nei giornali Il Redattore del Reno e Giornale del Dipartimento del Reno.
       F. CANUTI. Vita di Stanislao Mattei.
       ZANOLINI. Biografia di Gioacchino Rossini.
       ESCUDIER. Rossini sa vie et ses oeuvres.
       STENDHAL. Vie de Rossini.

(25) Il Redattore del Reno, 24 gennaio 1809.

(26) R. Archivio di Stato. Atti della Prefettura del Dipartimento del Reno.
       Archivio dell'Accademia Filarmonica. Verbali e programmi di concerti.
       Biblioteca del Liceo Musicale. Programmi di concerti.

(27) Il Redattore del Reno, 21 maggio 1811.
       Biblioteca Ambrosini. V. la traduzione del libretto che servì per l'esecuzione.
       Biblioteca del Liceo Musicale. V. il programma della esecuzione.
       Archivio dell'Accademia Filarmonica. V. lettera del Segretario dell'Accademia de Concordi al Segretario della Deputazione Filarmonica, 8 maggio 1811.

(28) Il Redattore del Reno, 18 maggio 1811.

(29) Biblioteca dell'Archiginnasio, ms. 1119. Memorie storiche della città di Bologna.

(30) GUIDICINI. Diario bolognese, 6 gennaio 1808.

(31) R. Archivio di Stato. Atti della Prefettura, 13 Agosto 1809 Il Podestà di Bologna al sig. Prefetto.

(32) UNGARELLI. La Festa del Vice Re, pubblicazione per nozze.

(33) Archivio dell'Accademia Filarmonica. Verbale, 11 luglio 1800.

(34) Biblioteca dell'Archiginnasio. V. ms. Tognetti, 6 aprile 1801.

(35) GIUS. GUIDICINI. Diario bolognese dal 1796 al 1818.
       Archivio di Stato, Atti della Prefettura del Reno Spettacoli 1805. Operato della Municipalità durante il soggiorno delle LL. MM. Napoleone I e consorte Il Capo Sezione di Polizia presso la Prefettura del Reno al sig. Prefetto.
       Biblioteca del liceo Musicale. 1805. A. S. M. l'Imperatore dei francesi e Regina d'Italia pel suo faustissimo arrivo in Bologna. Cantata offerta in segno di venerazione della Municipalità ed eseguita dall'Accademia dei Filarmonici.
       Ibidem. COSTA PAOLO. Per l'ingresso in Bologna di S. M. Napoleone I, 20 giugno 1805. Inno «Vieni, o prode, fra i canti festivi». Fa anche parte dell'opuscolo «Poesia di Vincenzo Monti e di altri celebri autori in occasione dell'erezione al trono d'Italia di Napoleone I», musicata dal maestro Tommaso Marchesi. V. Catalogo della Biblioteca del Liceo Musicale, III, 273.
       Ibidem, dello stesso. Per l'ingresso in Bologna di S. A. I. la principessa Elisa, la quale col serenissimo coniuge il principe di Piombino si reca nei suoi Stati. Inno.
       Gazzetta di Bologna, n. 96, del 1805 (27 novembre) dello stesso. Inno cantato sul teatro per le precedenti vittorie di Napoleone.