Home http://www.cultureteatrali.org/index.php 2016-06-08T09:26:41Z Joomla! 1.5 - Open Source Content Management TEATRO DEI LIBRI 2016-05-09T09:26:59Z 2016-05-09T09:26:59Z http://www.cultureteatrali.org/focus-on/1391-teatro-dei-libri.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><strong><span style="color: #008000;">VUOTI DI MEMORIA E FILOLOGIA DEL QUASI</span><br /><span style="color: #000080;">A proposito di Valentina Valentini, <em>Nuovo Teatro Made In Italy 1963-2013</em>, con saggi di Anna Barsotti, Cristina Grazioli, Donatella Orecchia, Roma, Bulzoni, 2015, 380 pagine.</span></strong></span></p> <p style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><strong><span style="color: #000080;"><br /></span></strong></span></p> <p style="text-align: justify; padding-left: 180px;"><br /> <span style="font-size: x-small;">Notte dopo notte dopo notte […] lavoro finché mi duole il cervello. Per arrivare all'esattezza perfetta. Per correggere il più infimo refuso in un testo che forse nessuno leggerà mai o che verrà mandato al macero il giorno dopo. L'esattezza. La santità dell'esattezza. Il rispetto di se stesso. […] L'Utopia significa semplicemente l'esattezza!<br /> (George Steiner, <em>Il correttore</em> [1992], Garzanti, 1992, p. 68)*</span></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"><br /><br /><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/nt made in italy.jpg" border="0" width="200" style="float: left; margin-right: 5px; margin-left: 5px;" /><span style="color: #008000;"><strong>[Marco De Marinis]</strong></span> Gli studi teatrali italiani non godono di buona salute, nonostante un'impressione di apparente floridezza quantitativa. Soprattutto quelli riguardanti la scena contemporanea, perché in questo caso emergono drammaticamente (è il caso di dirlo), molto più che per l'antico, tutti i limiti dovuti alla mancanza di rigore e di consapevolezza metodologica, cui si aggiungono spesso una conoscenza inadeguata dei fenomeni di cui ci si occupa e poca chiarezza nei criteri delle scelte operate.<br />Quando poi a questi limiti, quasi costitutivi per l'appunto, si sommano ancor più oscure volontà di rimozione, le scelte rispondono anche a  spregevoli oltre che inspiegabili desideri di vendetta o rivalsa, e la mancanza di rigore diventa sciatteria sistematica, allora il risultato non può che essere davvero disastroso e da additare doverosamente alla pubblica disapprovazione.<br />Purtroppo questo è il caso del volume di cui ci tocca parlare oggi,  e della sua autrice-curatrice Valentina Valentini (d'ora in poi V.V.), non nuova del resto a imprese del genere. Dal momento che è lei appunto la curatrice dell'opera, oltre che l'autrice di quasi i tre-quarti delle pagine, tralascerò in questa scheda le incolpevoli (?) compagne di strada, sui cui contributi ci sarà modo di tornare eventualmente in altra sede. Né mi occuperò del sito web, a cui pure il volume vistosamente rinvia. Apparirà chiaro nel corso della mia disamina che i pesantissimi  limiti del cartaceo non possono essere ovviamente rimediati in alcun modo rimandando a integrazioni elettroniche: sarebbe una ben curiosa funzione del web quella di dover riparare agli svarioni e alle omissioni delle pagine a stampa!</p> <p style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><strong><span style="color: #008000;">VUOTI DI MEMORIA E FILOLOGIA DEL QUASI</span><br /><span style="color: #000080;">A proposito di Valentina Valentini, <em>Nuovo Teatro Made In Italy 1963-2013</em>, con saggi di Anna Barsotti, Cristina Grazioli, Donatella Orecchia, Roma, Bulzoni, 2015, 380 pagine.</span></strong></span></p> <p style="text-align: justify;"><span style="font-size: small;"><strong><span style="color: #000080;"><br /></span></strong></span></p> <p style="text-align: justify; padding-left: 180px;"><br /> <span style="font-size: x-small;">Notte dopo notte dopo notte […] lavoro finché mi duole il cervello. Per arrivare all'esattezza perfetta. Per correggere il più infimo refuso in un testo che forse nessuno leggerà mai o che verrà mandato al macero il giorno dopo. L'esattezza. La santità dell'esattezza. Il rispetto di se stesso. […] L'Utopia significa semplicemente l'esattezza!<br /> (George Steiner, <em>Il correttore</em> [1992], Garzanti, 1992, p. 68)*</span></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"><br /><br /><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/nt made in italy.jpg" border="0" width="200" style="float: left; margin-right: 5px; margin-left: 5px;" /><span style="color: #008000;"><strong>[Marco De Marinis]</strong></span> Gli studi teatrali italiani non godono di buona salute, nonostante un'impressione di apparente floridezza quantitativa. Soprattutto quelli riguardanti la scena contemporanea, perché in questo caso emergono drammaticamente (è il caso di dirlo), molto più che per l'antico, tutti i limiti dovuti alla mancanza di rigore e di consapevolezza metodologica, cui si aggiungono spesso una conoscenza inadeguata dei fenomeni di cui ci si occupa e poca chiarezza nei criteri delle scelte operate.<br />Quando poi a questi limiti, quasi costitutivi per l'appunto, si sommano ancor più oscure volontà di rimozione, le scelte rispondono anche a  spregevoli oltre che inspiegabili desideri di vendetta o rivalsa, e la mancanza di rigore diventa sciatteria sistematica, allora il risultato non può che essere davvero disastroso e da additare doverosamente alla pubblica disapprovazione.<br />Purtroppo questo è il caso del volume di cui ci tocca parlare oggi,  e della sua autrice-curatrice Valentina Valentini (d'ora in poi V.V.), non nuova del resto a imprese del genere. Dal momento che è lei appunto la curatrice dell'opera, oltre che l'autrice di quasi i tre-quarti delle pagine, tralascerò in questa scheda le incolpevoli (?) compagne di strada, sui cui contributi ci sarà modo di tornare eventualmente in altra sede. Né mi occuperò del sito web, a cui pure il volume vistosamente rinvia. Apparirà chiaro nel corso della mia disamina che i pesantissimi  limiti del cartaceo non possono essere ovviamente rimediati in alcun modo rimandando a integrazioni elettroniche: sarebbe una ben curiosa funzione del web quella di dover riparare agli svarioni e alle omissioni delle pagine a stampa!</p> TEATRO DEI LIBRI 2016-04-22T22:40:36Z 2016-04-22T22:40:36Z http://www.cultureteatrali.org/focus-on/1390-teatro-dei-libri.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p style="text-align: justify;"><span style="color: #008080;"><span style="font-size: small;"><strong><em>Amore e anarchia. Uno spettacolo del Teatro delle Albe</em>, a cura di Cristina Valenti, Corazzano (Pisa), Titivillus, 2015, 168 pp.</strong></span><br /></span></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"><strong><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/amore_anarchia_cover.jpg" border="0" width="200" height="284" style="margin-right: 5px; margin-left: 5px; float: left; border: 0px none;" /><span style="color: #008080;">[Lorenzo Donati]</span></strong> Scrivere un libro su uno spettacolo teatrale è oggi operazione difficilissima. Nell'attuale panorama editoriale delle arti sceniche, infatti, il rischio di “parlarsi addosso” è dietro l'angolo. Non di rado si finisce per raccontare e dissezionare processi creativi che sono rimasti tali, dal momento che le opere finite hanno raggiunto solo una manciata di repliche; così il prodotto editoriale consuntivo spesso riflette su spettacoli a cui è mancato un confronto con diversi spettatori, con testimonianze orali, scritture critiche, note giornalistiche, saggi non premeditati etc. In questi casi, dunque, il libro corre il pericolo di restare quasi l'unico discorso sull'opera, facendo poco o nulla per alimentare quella cultura teatrale dai contorni sempre più chiusi che tutti conosciamo. Così, spesso accade di avere fra le mani volumi che non appena sfogliati “evaporano”.<br />Un secondo rischio di un libro sui processi creativi risiede nella tentazione di mettere nero su bianco tutti i passaggi che hanno concorso a costruire uno spettacolo, conferendo ad appunti, annotazioni, dichiarazioni una dignità letteraria che spesso era consigliabile non avessero, perché naturalmente inscritte nel “chiuso” di un percorso creativo. Paratesti, insomma, estrapolati dal bagaglio di materiali “non rappresentabili” del lavoro di ogni attore e attrice e che una volta depositati sulla pagina finiscono per appiattire le “altezze” dell'arte, abbassandone il mistero, rendendo tutto troppo spiegato.<br />Già dall'incipit è chiaro che Cristina Valenti, curatrice di <em>Amore e anarchia. Uno spettacolo del Teatro delle Albe</em> (Titivillus, Corazzano 2015), aveva ben presenti tali rischi ed è riuscita a evitarli. Il volume potrebbe anzi essere preso a modello per comporre libri a partire da una sola opera teatrale. «Abbiamo chiesto agli autori coinvolti di continuare il dialogo dello spettacolo», si legge nelle note introduttive a firma della curatrice, e davvero questo ci pare un punto di partenza in grado di marcare una credibilità sia scientifica che artistica.</p> <p style="text-align: justify;"><span style="color: #008080;"><span style="font-size: small;"><strong><em>Amore e anarchia. Uno spettacolo del Teatro delle Albe</em>, a cura di Cristina Valenti, Corazzano (Pisa), Titivillus, 2015, 168 pp.</strong></span><br /></span></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"><strong><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/amore_anarchia_cover.jpg" border="0" width="200" height="284" style="margin-right: 5px; margin-left: 5px; float: left; border: 0px none;" /><span style="color: #008080;">[Lorenzo Donati]</span></strong> Scrivere un libro su uno spettacolo teatrale è oggi operazione difficilissima. Nell'attuale panorama editoriale delle arti sceniche, infatti, il rischio di “parlarsi addosso” è dietro l'angolo. Non di rado si finisce per raccontare e dissezionare processi creativi che sono rimasti tali, dal momento che le opere finite hanno raggiunto solo una manciata di repliche; così il prodotto editoriale consuntivo spesso riflette su spettacoli a cui è mancato un confronto con diversi spettatori, con testimonianze orali, scritture critiche, note giornalistiche, saggi non premeditati etc. In questi casi, dunque, il libro corre il pericolo di restare quasi l'unico discorso sull'opera, facendo poco o nulla per alimentare quella cultura teatrale dai contorni sempre più chiusi che tutti conosciamo. Così, spesso accade di avere fra le mani volumi che non appena sfogliati “evaporano”.<br />Un secondo rischio di un libro sui processi creativi risiede nella tentazione di mettere nero su bianco tutti i passaggi che hanno concorso a costruire uno spettacolo, conferendo ad appunti, annotazioni, dichiarazioni una dignità letteraria che spesso era consigliabile non avessero, perché naturalmente inscritte nel “chiuso” di un percorso creativo. Paratesti, insomma, estrapolati dal bagaglio di materiali “non rappresentabili” del lavoro di ogni attore e attrice e che una volta depositati sulla pagina finiscono per appiattire le “altezze” dell'arte, abbassandone il mistero, rendendo tutto troppo spiegato.<br />Già dall'incipit è chiaro che Cristina Valenti, curatrice di <em>Amore e anarchia. Uno spettacolo del Teatro delle Albe</em> (Titivillus, Corazzano 2015), aveva ben presenti tali rischi ed è riuscita a evitarli. Il volume potrebbe anzi essere preso a modello per comporre libri a partire da una sola opera teatrale. «Abbiamo chiesto agli autori coinvolti di continuare il dialogo dello spettacolo», si legge nelle note introduttive a firma della curatrice, e davvero questo ci pare un punto di partenza in grado di marcare una credibilità sia scientifica che artistica.</p> TEATRO DIEGO FABBRI - Forlì 2016-02-22T10:37:05Z 2016-02-22T10:37:05Z http://www.cultureteatrali.org/news/1389-teatro-diego-fabbri.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/contemporaneo_forl 2016.jpg" border="0" width="550" style="border: 0px none;" /></p> <p><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/contemporaneo_forl 2016.jpg" border="0" width="550" style="border: 0px none;" /></p> COMPAGNIA BERARDI - CASOLARI 2015-12-16T10:37:14Z 2015-12-16T10:37:14Z http://www.cultureteatrali.org/focus-on/1388-compagnia-berardi-casolari.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p><strong><em>La prima, la migliore</em>: il lungo elastico che porta guerra e morte in scena<br /></strong></p> <p><strong><br /></strong></p> <p style="text-align: justify;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/berardi casolari - la prima la migliore 1.jpg" border="0" style="float: left; margin: 5px;" /><strong>[Laura Budriesi] </strong>“Fare teatro per noi è un atto di fede. Tanto di ‘pelo’, si dice a Taranto”. Così racconta Gianfranco Berardi del suo essere attore, e del particolare lavoro drammaturgico sviluppato insieme a Gabriella Casolari per lo spettacolo <em>La prima, la migliore</em>. Una messa in scena che si rifà al romanzo <em>Niente di nuovo sul fronte occidentale</em> di E.M. Remarque, ma attinge anche a più memorie biografiche della prima guerra mondiale (1914-1918), come ad esempio <em>Giornale di guerra e prigionia</em> di C.E. Gadda, con il preciso intento, per sua stessa ammissione, di lavorare sulla pietà.  <br />Una messa in scena che ha il respiro, il ritmo del teatro di narrazione e di denuncia,  padroneggiando i frutti del “novecento teatrale”. In primis la costruzione dello spazio scenico, reso vivo, parlante, nella sua materialità, soprattutto attraverso gli oggetti che lo abitano: in particolare, la sedia di Berardi è rimando immediato a quella simbolo del teatro di narrazione, da Marco Baliani (<em>Kohlhaas</em>) ad Ascanio Celestini (<em>Radio Clandestina</em>). Poi c’è un lungo elastico che svolge funzioni multiple e di volta in volta  si fa colpo di fucile che dà la morte, si trasforma in fangosa e soffocante trincea: un oggetto di scena dinamicizzato nel suo interagire con la corporeità dell’attore, il quale a sua volta plasma e riplasma il proprio corpo attraverso la plasticità dell’oggetto in questione, come nel caso del defunto dondolante sulle corde elastiche, portavoce inerte ed infilzato da vessilli delle nazioni in guerra, o dell’agonizzante fante ferito e bendato che osserva fissamente la morte.</p> <p><strong><em>La prima, la migliore</em>: il lungo elastico che porta guerra e morte in scena<br /></strong></p> <p><strong><br /></strong></p> <p style="text-align: justify;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/berardi casolari - la prima la migliore 1.jpg" border="0" style="float: left; margin: 5px;" /><strong>[Laura Budriesi] </strong>“Fare teatro per noi è un atto di fede. Tanto di ‘pelo’, si dice a Taranto”. Così racconta Gianfranco Berardi del suo essere attore, e del particolare lavoro drammaturgico sviluppato insieme a Gabriella Casolari per lo spettacolo <em>La prima, la migliore</em>. Una messa in scena che si rifà al romanzo <em>Niente di nuovo sul fronte occidentale</em> di E.M. Remarque, ma attinge anche a più memorie biografiche della prima guerra mondiale (1914-1918), come ad esempio <em>Giornale di guerra e prigionia</em> di C.E. Gadda, con il preciso intento, per sua stessa ammissione, di lavorare sulla pietà.  <br />Una messa in scena che ha il respiro, il ritmo del teatro di narrazione e di denuncia,  padroneggiando i frutti del “novecento teatrale”. In primis la costruzione dello spazio scenico, reso vivo, parlante, nella sua materialità, soprattutto attraverso gli oggetti che lo abitano: in particolare, la sedia di Berardi è rimando immediato a quella simbolo del teatro di narrazione, da Marco Baliani (<em>Kohlhaas</em>) ad Ascanio Celestini (<em>Radio Clandestina</em>). Poi c’è un lungo elastico che svolge funzioni multiple e di volta in volta  si fa colpo di fucile che dà la morte, si trasforma in fangosa e soffocante trincea: un oggetto di scena dinamicizzato nel suo interagire con la corporeità dell’attore, il quale a sua volta plasma e riplasma il proprio corpo attraverso la plasticità dell’oggetto in questione, come nel caso del defunto dondolante sulle corde elastiche, portavoce inerte ed infilzato da vessilli delle nazioni in guerra, o dell’agonizzante fante ferito e bendato che osserva fissamente la morte.</p> TEATRO DEI LIBRI 2015-12-15T15:08:53Z 2015-12-15T15:08:53Z http://www.cultureteatrali.org/focus-on/1387-teatro-dei-libri.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p style="text-align: justify;"><strong><span style="color: #993300;">Marco Martinelli, <em>Farsi luogo. Varco al teatro in 101 movimenti</em>, Bologna, Cue Press, 2015, 47 pp.</span><br /></strong></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"><br /><span style="color: #993300;"><strong>[Marco De Marinis]</strong></span></p> <p style="text-align: justify;"><strong><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/m. martinelli farsi luogo - cover.jpg" border="0" width="215" height="283" style="border: 0px none; float: left; margin: 5px;" /></strong><em><span style="font-size: x-small;">Studiando il teatro del XX secolo stiamo, con fatica e approssimazione, prendendo coscienza che la grande rivoluzione del teatro che il </span><span style="font-size: x-small;">nostro passato ha vissuto qualcos'altro. Non </span><span style="font-size: x-small;">era la Regia, il teatro come arte, era una diversa esperienza di uomini nel teatro e con il lavoro di teatro, esperienza che ha certo costruito mezzi espressivi e tecniche e cultura, ma soprattutto è stata la ricerca per definirsi in nuove situazioni. […] Nel teatro del Novecento c'è stata una esigenza costante e comune di originalità e di eccezionalità. […]  I diversi teatri del Novecento sono vissuti cercando e dichiarando il loro prodotto come evento unico e irripetibile, al di fuori della serie 'normale' degli spettacoli, come espressione invece di una creazione originaria e fondante. E dunque è costante, nel Novecento, l'automatismo del legare l'evento teatrale ad un manifesto di poetica o ad una sistemazione intellettuale del lavoro, tanto che anche i diversi spettacoli diventano momenti esemplificativi, di parziale raggiungimento dell'unica idea/modello di teatro che è invece pienamente enunciata nel manifesto.</span></em></p> <p style="text-align: justify; padding-left: 150px;"><span style="font-size: x-small;">Fabrizio Cruciani, <em>In Theatrum oratio</em> (1982), in <em>Registi pedagoghi e comunità teatrali nel Novecento (e scritti inediti)</em>, Roma, Editori & Associati, 1995, pp. 227-228.</span></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p><br /><br /> <strong>Prologo sul “Teatro politttttttico”</strong><br /><br />Vorrei parlare di due giovani, un uomo e una donna, che irruppero in un serissimo (seriosissimo?) convegno sul teatro politico (organizzato da Beppe Bartolucci a Narni, nell'aprile del 1987, mi vedeva tra i partecipanti) e lessero un breve testo intitolato  <em>Teatro politttttttico</em>, con ben sette t! In realtà a leggere fu solo lui, tutto compunto, mentre lei “gli stava accanto in posizione orante: indossava una giacchetta verde sulla quale aveva[no] infilzato delle forchette che sembravano entrare nella pelle, come un San Sebastiano di fine millennio”.  <br /> Questi due giovani, serafici provocatori  erano Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, all'epoca appena trentenni e cofondatori, quattro anni prima, del Teatro delle Albe a Ravenna, insieme a Luigi Dadina e a Marcella Nonni. Il <em>Teatro politttttttico</em> oggi figura quasi all'inizio del loro volume <em>Primavera eretica. Scritti e interviste: 1983-2013</em> (Corazzano [Pisa], Titivillus, 2014), pubblicato - con la nota descrittiva citata prima - in occasione del trentennale della compagnia e già recensito in questo sito (<a href="http://www.cultureteatrali.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1299:teatro-dei-libri&catid=9:news" target="_blank">clicca qui</a>).</p> <p style="text-align: justify;"><strong><span style="color: #993300;">Marco Martinelli, <em>Farsi luogo. Varco al teatro in 101 movimenti</em>, Bologna, Cue Press, 2015, 47 pp.</span><br /></strong></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"><br /><span style="color: #993300;"><strong>[Marco De Marinis]</strong></span></p> <p style="text-align: justify;"><strong><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/m. martinelli farsi luogo - cover.jpg" border="0" width="215" height="283" style="border: 0px none; float: left; margin: 5px;" /></strong><em><span style="font-size: x-small;">Studiando il teatro del XX secolo stiamo, con fatica e approssimazione, prendendo coscienza che la grande rivoluzione del teatro che il </span><span style="font-size: x-small;">nostro passato ha vissuto qualcos'altro. Non </span><span style="font-size: x-small;">era la Regia, il teatro come arte, era una diversa esperienza di uomini nel teatro e con il lavoro di teatro, esperienza che ha certo costruito mezzi espressivi e tecniche e cultura, ma soprattutto è stata la ricerca per definirsi in nuove situazioni. […] Nel teatro del Novecento c'è stata una esigenza costante e comune di originalità e di eccezionalità. […]  I diversi teatri del Novecento sono vissuti cercando e dichiarando il loro prodotto come evento unico e irripetibile, al di fuori della serie 'normale' degli spettacoli, come espressione invece di una creazione originaria e fondante. E dunque è costante, nel Novecento, l'automatismo del legare l'evento teatrale ad un manifesto di poetica o ad una sistemazione intellettuale del lavoro, tanto che anche i diversi spettacoli diventano momenti esemplificativi, di parziale raggiungimento dell'unica idea/modello di teatro che è invece pienamente enunciata nel manifesto.</span></em></p> <p style="text-align: justify; padding-left: 150px;"><span style="font-size: x-small;">Fabrizio Cruciani, <em>In Theatrum oratio</em> (1982), in <em>Registi pedagoghi e comunità teatrali nel Novecento (e scritti inediti)</em>, Roma, Editori & Associati, 1995, pp. 227-228.</span></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p><br /><br /> <strong>Prologo sul “Teatro politttttttico”</strong><br /><br />Vorrei parlare di due giovani, un uomo e una donna, che irruppero in un serissimo (seriosissimo?) convegno sul teatro politico (organizzato da Beppe Bartolucci a Narni, nell'aprile del 1987, mi vedeva tra i partecipanti) e lessero un breve testo intitolato  <em>Teatro politttttttico</em>, con ben sette t! In realtà a leggere fu solo lui, tutto compunto, mentre lei “gli stava accanto in posizione orante: indossava una giacchetta verde sulla quale aveva[no] infilzato delle forchette che sembravano entrare nella pelle, come un San Sebastiano di fine millennio”.  <br /> Questi due giovani, serafici provocatori  erano Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, all'epoca appena trentenni e cofondatori, quattro anni prima, del Teatro delle Albe a Ravenna, insieme a Luigi Dadina e a Marcella Nonni. Il <em>Teatro politttttttico</em> oggi figura quasi all'inizio del loro volume <em>Primavera eretica. Scritti e interviste: 1983-2013</em> (Corazzano [Pisa], Titivillus, 2014), pubblicato - con la nota descrittiva citata prima - in occasione del trentennale della compagnia e già recensito in questo sito (<a href="http://www.cultureteatrali.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1299:teatro-dei-libri&catid=9:news" target="_blank">clicca qui</a>).</p> CULTURE TEATRALI #24 2015-12-02T18:15:48Z 2015-12-02T18:15:48Z http://www.cultureteatrali.org/news/1381-culture-teatrali-24.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p style="text-align: center;"><span style="color: #800000;"><strong>E' USCITO IL NUOVO NUMERO DI CULTURE TEATRALI</strong></span></p> <p><span style="color: #800000;"> </span></p> <p style="text-align: center;"><span style="color: #800000;"><strong>con un'ampia sezione monografica dedicata alla scena degli anni Zero</strong></span></p> <p style="text-align: center;"><span style="color: #0000ff;"><strong><br /></strong></span></p> <p style="text-align: center;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/ct24 cover light.jpg" border="0" width="250" style="border: 0px none;" /></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;">Questo numero si apre con un’ampia sezione monografica, a cura di <span style="color: #800000;"><strong>Silvia Mei</strong></span>, dedicata ai nuovi linguaggi della scena attuale: il teatro degli anni Dieci del nuovo millennio o, più comunemente, degli “anni Zero”. Un teatro difficilmente classificabile, malgrado le etichette coniate per tentare di mettere ordine nel rutilante presente artistico. In questo senso gli interventi e gli studi di caso qui raccolti non si limitano a indagare le tendenze in atto, tanto meno enunciano dei meri orientamenti estetici, bensì articolano un percorso storico-critico in grado di restituire una rappresentazione plastica dei teatri presenti. Esito di un monitoraggio costante e di un affiancamento di gruppi e artisti, questa raccolta ambisce a fornire coordinate che intreccino differenti piani e discorsi, tra cui quello strettamente organizzativo, con particolare interesse per quei luoghi di produzione e invenzione del nuovo che fanno di certi festival vere e proprie factories. Gran parte dell’interesse per quest’ultimo decennio di teatro riguarda infatti la storiografia della contemporaneità e i suoi rapporti con quello che è stato chiamato il Novecento teatrale. Da qui il titolo proposto, non senza un pizzico di deliberata provocazione: la terza avanguardia. Dopo le prime avanguardie storiche e la ripresa postbellica del filo interrotto con le seconde, la terza avanguardia apre a un nuovo, imprevedibile tempo del teatro. Dilatando fino alle estreme conseguenze le radici della ricerca e della sperimentazione storicizzate, arriva addirittura a non essere più teatro, almeno in senso stretto, pur restituendogli il suo antico ruolo di connettore vivente delle arti.<br />Alla parte monografica si aggiunge poi una rosa di studi autonomi, che spaziano dalla inconfondibile scrittura scenica della storica formazione rodigina Teatro del Lemming (<span style="color: #800000;"><strong>Chiara Rossini</strong></span>) all’opera <em>monstre </em>dell’ultimo Jan Fabre (<span style="color: #800000;"><strong>Carlotta Pircher</strong></span>), fra i più geniali creatori contemporanei; dalle pratiche antropologiche fra Oriente e Occidente del georgiano Alexandre de Salzmann, figura di spicco della scena primonovecentesca fra teatro, danza e ricerca spirituale (<span style="color: #800000;"><strong>Carla Di Donato</strong></span>), alle forme della scena americana post-modern col pioniere della danza astratta Merce Cunningham (<span style="color: #800000;"><strong>Vito Di Bernardi</strong></span>).</p> <p> </p> <p style="text-align: center;"><a href="http://www.cultureteatrali.org/news/1382-ct24-la-terza-avanguardia.html">SOMMARIO</a></p> <p> </p> <div id="_mcePaste" style="position: absolute; left: -10000px; top: 0px; width: 1px; height: 1px; overflow: hidden;">Normal 0 14 false false false MicrosoftInternetExplorer4 <p class="MsoNormal" style="text-align:justify">Questo numero si apre con un’ampia sezione monografica dedicata ai nuovi linguaggi della scena attuale: il teatro degli anni Dieci del nuovo millennio o, più comunemente, degli “anni Zero”. Un teatro difficilmente classificabile, malgrado le etichette coniate per tentare di mettere ordine nel rutilante presente artistico. In questo senso gli interventi e gli studi di caso qui raccolti non si limitano a indagare le tendenze in atto, tanto meno enunciano dei meri orientamenti estetici, bensì articolano un percorso storico-critico in grado di restituire una rappresentazione plastica dei teatri presenti. Esito di un monitoraggio costante e di un affiancamento di gruppi e artisti, questa raccolta ambisce a fornire coordinate che intreccino differenti piani e discorsi, tra cui quello strettamente organizzativo, con particolare interesse per quei luoghi di produzione e invenzione del nuovo che fanno di certi festival vere e proprie <em style="mso-bidi-font-style:normal">factories</em>. Gran parte dell’interesse per quest’ultimo decennio di teatro riguarda infatti la storiografia della contemporaneità e i suoi rapporti con quello che è stato chiamato il Novecento teatrale. Da qui il titolo proposto, non senza un pizzico di deliberata provocazione: <em style="mso-bidi-font-style:normal">La terza avanguardia</em>. Dopo le prime avanguardie storiche e la ripresa postbellica del filo interrotto con le seconde, la terza avanguardia apre a un nuovo, imprevedibile tempo del teatro. Dilatando fino alle estreme conseguenze le radici della ricerca e della sperimentazione storicizzate, arriva addirittura a non essere più teatro, almeno in senso stretto, pur restituendogli il suo antico ruolo di connettore vivente delle arti.</p> <p class="MsoNormal" style="text-align:justify">Alla parte monografica si aggiunge poi una rosa di studi autonomi, che spaziano dalla inconfondibile scrittura scenica della storica formazione rodigina Teatro del Lemming all’opera <em>monstre</em> dell’ultimo Jan Fabre, fra i più geniali creatori contemporanei; dalle pratiche antropologiche fra Oriente e Occidente del georgiano Alexandre de Salzmann, figura di spicco della scena primonovecentesca fra teatro, danza e ricerca spirituale, alle forme della scena americana <span style="mso-bidi-font-style:italic">post-modern<em> </em></span>col pioniere della danza astratta Merce Cunningham.</p> </div> <p style="text-align: center;"><span style="color: #800000;"><strong>E' USCITO IL NUOVO NUMERO DI CULTURE TEATRALI</strong></span></p> <p><span style="color: #800000;"> </span></p> <p style="text-align: center;"><span style="color: #800000;"><strong>con un'ampia sezione monografica dedicata alla scena degli anni Zero</strong></span></p> <p style="text-align: center;"><span style="color: #0000ff;"><strong><br /></strong></span></p> <p style="text-align: center;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/ct24 cover light.jpg" border="0" width="250" style="border: 0px none;" /></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;">Questo numero si apre con un’ampia sezione monografica, a cura di <span style="color: #800000;"><strong>Silvia Mei</strong></span>, dedicata ai nuovi linguaggi della scena attuale: il teatro degli anni Dieci del nuovo millennio o, più comunemente, degli “anni Zero”. Un teatro difficilmente classificabile, malgrado le etichette coniate per tentare di mettere ordine nel rutilante presente artistico. In questo senso gli interventi e gli studi di caso qui raccolti non si limitano a indagare le tendenze in atto, tanto meno enunciano dei meri orientamenti estetici, bensì articolano un percorso storico-critico in grado di restituire una rappresentazione plastica dei teatri presenti. Esito di un monitoraggio costante e di un affiancamento di gruppi e artisti, questa raccolta ambisce a fornire coordinate che intreccino differenti piani e discorsi, tra cui quello strettamente organizzativo, con particolare interesse per quei luoghi di produzione e invenzione del nuovo che fanno di certi festival vere e proprie factories. Gran parte dell’interesse per quest’ultimo decennio di teatro riguarda infatti la storiografia della contemporaneità e i suoi rapporti con quello che è stato chiamato il Novecento teatrale. Da qui il titolo proposto, non senza un pizzico di deliberata provocazione: la terza avanguardia. Dopo le prime avanguardie storiche e la ripresa postbellica del filo interrotto con le seconde, la terza avanguardia apre a un nuovo, imprevedibile tempo del teatro. Dilatando fino alle estreme conseguenze le radici della ricerca e della sperimentazione storicizzate, arriva addirittura a non essere più teatro, almeno in senso stretto, pur restituendogli il suo antico ruolo di connettore vivente delle arti.<br />Alla parte monografica si aggiunge poi una rosa di studi autonomi, che spaziano dalla inconfondibile scrittura scenica della storica formazione rodigina Teatro del Lemming (<span style="color: #800000;"><strong>Chiara Rossini</strong></span>) all’opera <em>monstre </em>dell’ultimo Jan Fabre (<span style="color: #800000;"><strong>Carlotta Pircher</strong></span>), fra i più geniali creatori contemporanei; dalle pratiche antropologiche fra Oriente e Occidente del georgiano Alexandre de Salzmann, figura di spicco della scena primonovecentesca fra teatro, danza e ricerca spirituale (<span style="color: #800000;"><strong>Carla Di Donato</strong></span>), alle forme della scena americana post-modern col pioniere della danza astratta Merce Cunningham (<span style="color: #800000;"><strong>Vito Di Bernardi</strong></span>).</p> <p> </p> <p style="text-align: center;"><a href="http://www.cultureteatrali.org/news/1382-ct24-la-terza-avanguardia.html">SOMMARIO</a></p> <p> </p> <div id="_mcePaste" style="position: absolute; left: -10000px; top: 0px; width: 1px; height: 1px; overflow: hidden;">Normal 0 14 false false false MicrosoftInternetExplorer4 <p class="MsoNormal" style="text-align:justify">Questo numero si apre con un’ampia sezione monografica dedicata ai nuovi linguaggi della scena attuale: il teatro degli anni Dieci del nuovo millennio o, più comunemente, degli “anni Zero”. Un teatro difficilmente classificabile, malgrado le etichette coniate per tentare di mettere ordine nel rutilante presente artistico. In questo senso gli interventi e gli studi di caso qui raccolti non si limitano a indagare le tendenze in atto, tanto meno enunciano dei meri orientamenti estetici, bensì articolano un percorso storico-critico in grado di restituire una rappresentazione plastica dei teatri presenti. Esito di un monitoraggio costante e di un affiancamento di gruppi e artisti, questa raccolta ambisce a fornire coordinate che intreccino differenti piani e discorsi, tra cui quello strettamente organizzativo, con particolare interesse per quei luoghi di produzione e invenzione del nuovo che fanno di certi festival vere e proprie <em style="mso-bidi-font-style:normal">factories</em>. Gran parte dell’interesse per quest’ultimo decennio di teatro riguarda infatti la storiografia della contemporaneità e i suoi rapporti con quello che è stato chiamato il Novecento teatrale. Da qui il titolo proposto, non senza un pizzico di deliberata provocazione: <em style="mso-bidi-font-style:normal">La terza avanguardia</em>. Dopo le prime avanguardie storiche e la ripresa postbellica del filo interrotto con le seconde, la terza avanguardia apre a un nuovo, imprevedibile tempo del teatro. Dilatando fino alle estreme conseguenze le radici della ricerca e della sperimentazione storicizzate, arriva addirittura a non essere più teatro, almeno in senso stretto, pur restituendogli il suo antico ruolo di connettore vivente delle arti.</p> <p class="MsoNormal" style="text-align:justify">Alla parte monografica si aggiunge poi una rosa di studi autonomi, che spaziano dalla inconfondibile scrittura scenica della storica formazione rodigina Teatro del Lemming all’opera <em>monstre</em> dell’ultimo Jan Fabre, fra i più geniali creatori contemporanei; dalle pratiche antropologiche fra Oriente e Occidente del georgiano Alexandre de Salzmann, figura di spicco della scena primonovecentesca fra teatro, danza e ricerca spirituale, alle forme della scena americana <span style="mso-bidi-font-style:italic">post-modern<em> </em></span>col pioniere della danza astratta Merce Cunningham.</p> </div> BATTLEFIELD di Peter Brook 2015-12-07T20:37:44Z 2015-12-07T20:37:44Z http://www.cultureteatrali.org/focus-on/1385-battlefield-di-peter-brook.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p><span style="color: #ff0000;"><strong>Un omaggio sospeso al tempo e alla memoria</strong></span></p> <p><span style="color: #ff0000;"><strong><br /></strong></span></p> <p style="text-align: center;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/p. brook_battlefield_2_2015.jpg" border="0" width="500" /></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;" /><span style="color: #ff0000;"><strong>[Rosaria Ruffini]</strong></span> Come a voler tornare indietro di trent’anni per rincorrere il tempo e chiudere un cerchio. E ridipingere i colori del passato, riportando il teatro de Les Bouffes du Nord all’aspetto che aveva nel 1985, quando diventò il tempio di uno dei rituali teatrali passati alla storia delle scene: il <em>Mahabharata</em>. Lo spettatore che entra nel teatro parigino per assistere alla nuova pièce di Peter Brook, <em>Battlefield</em>, è colto da stupore di fronte alla visione di uno spazio incantato e completamente spoglio. Illuminato di un rosso pompeiano (grazie al sapientissimo e segreto lavoro di luci di Philippe Vialatte), lo spazio verticale de Les Bouffes non è mai stato così regale. Su tutto sembra aleggiare una misteriosa e ricostruita polvere del tempo. Le pareti graffiate come a riportare tracce, il pavimento consumato e ricreato con un impercettibile tappeto ocra, svelano un’operazione che sembra un lavoro di restauro a rovescio che ricostruisce le rughe del tempo e ripresenta una delle concezioni spaziali più evocative che il ‘900 abbia conosciuto. D’altronde anche gli spettatori sembrano essere gli stessi che videro il <em>Mahabharata</em> nel 1985. La platea incanutita è composta quasi esclusivamente da visi segnati dall’età, fatto sorprendente per Les Bouffes solitamente frequentato da giovanissimi e scolaresche. Ma questa è il momento della nostalgia. <br />Anche per Brook, che propone oggi un episodio inedito di quel lungo e intenso lavoro che fu il <em>Mahabharata</em>, lo straordinario poema indiano adattato da Jean-Claude Carriere. La breve pièce s’intitola <em>Battlefield</em> (ovvero Campo di battaglia) e non è certo un caso che il titolo metta l’accento sul luogo. <em>Battlefield</em> infatti omaggia ed esalta lo spazio vuoto totale de Les Bouffes, testimone e protagonista di anni di ricerche teatrali. <p><span style="color: #ff0000;"><strong>Un omaggio sospeso al tempo e alla memoria</strong></span></p> <p><span style="color: #ff0000;"><strong><br /></strong></span></p> <p style="text-align: center;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/p. brook_battlefield_2_2015.jpg" border="0" width="500" /></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;" /><span style="color: #ff0000;"><strong>[Rosaria Ruffini]</strong></span> Come a voler tornare indietro di trent’anni per rincorrere il tempo e chiudere un cerchio. E ridipingere i colori del passato, riportando il teatro de Les Bouffes du Nord all’aspetto che aveva nel 1985, quando diventò il tempio di uno dei rituali teatrali passati alla storia delle scene: il <em>Mahabharata</em>. Lo spettatore che entra nel teatro parigino per assistere alla nuova pièce di Peter Brook, <em>Battlefield</em>, è colto da stupore di fronte alla visione di uno spazio incantato e completamente spoglio. Illuminato di un rosso pompeiano (grazie al sapientissimo e segreto lavoro di luci di Philippe Vialatte), lo spazio verticale de Les Bouffes non è mai stato così regale. Su tutto sembra aleggiare una misteriosa e ricostruita polvere del tempo. Le pareti graffiate come a riportare tracce, il pavimento consumato e ricreato con un impercettibile tappeto ocra, svelano un’operazione che sembra un lavoro di restauro a rovescio che ricostruisce le rughe del tempo e ripresenta una delle concezioni spaziali più evocative che il ‘900 abbia conosciuto. D’altronde anche gli spettatori sembrano essere gli stessi che videro il <em>Mahabharata</em> nel 1985. La platea incanutita è composta quasi esclusivamente da visi segnati dall’età, fatto sorprendente per Les Bouffes solitamente frequentato da giovanissimi e scolaresche. Ma questa è il momento della nostalgia. <br />Anche per Brook, che propone oggi un episodio inedito di quel lungo e intenso lavoro che fu il <em>Mahabharata</em>, lo straordinario poema indiano adattato da Jean-Claude Carriere. La breve pièce s’intitola <em>Battlefield</em> (ovvero Campo di battaglia) e non è certo un caso che il titolo metta l’accento sul luogo. <em>Battlefield</em> infatti omaggia ed esalta lo spazio vuoto totale de Les Bouffes, testimone e protagonista di anni di ricerche teatrali. CALL FOR ARTIST 2015-12-03T11:08:02Z 2015-12-03T11:08:02Z http://www.cultureteatrali.org/bandi-e-opportunita/1384-call-for-artist.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p style="text-align: center;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/bando ora.jpg" border="0" /></p> <p style="text-align: center;"><strong>bando dedicato alle arti visive, performative e alla cultura digitale</strong></p> <p style="text-align: justify;"><br /><br /><br />La Compagnia di San Paolo - fondazione torinese da sempre attenta alle evoluzioni e alle nuove tendenze del panorama culturale -  promuove il bando <span style="color: #800080;"><strong>ORA! Linguaggi contemporanei, produzioni innovative</strong></span>. <br /> <br />“ORA! Linguaggi contemporanei, produzioni innovative” offre un’opportunità su base nazionale per un progetto con una dimensione locale, anche di produzione, negli ambiti delle arti visive, performative e della cultura digitale e sull’utilizzo delle nuove tecnologie. Si rivolge a soggetti e bacini di creatività molto eterogenei: tutti gli enti di tipo no-profit, dalle realtà più istituzionali, alle associazioni culturali, alle cooperative sociali e di spettacolo, dell’informazione e del tempo libero.<br /><br />Il <a href="http://www.cultureteatrali.org/bando ora.pdf" target="_blank">bando</a> è già scaricabile dal sito internet della Compagnia di San Paolo. Le application vanno inoltrate online, sempre dal sito della Compagnia, <span style="color: #800080;"><strong>entro domenica 7 febbraio 2016</strong></span>.</p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: center;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/bando ora.jpg" border="0" /></p> <p style="text-align: center;"><strong>bando dedicato alle arti visive, performative e alla cultura digitale</strong></p> <p style="text-align: justify;"><br /><br /><br />La Compagnia di San Paolo - fondazione torinese da sempre attenta alle evoluzioni e alle nuove tendenze del panorama culturale -  promuove il bando <span style="color: #800080;"><strong>ORA! Linguaggi contemporanei, produzioni innovative</strong></span>. <br /> <br />“ORA! Linguaggi contemporanei, produzioni innovative” offre un’opportunità su base nazionale per un progetto con una dimensione locale, anche di produzione, negli ambiti delle arti visive, performative e della cultura digitale e sull’utilizzo delle nuove tecnologie. Si rivolge a soggetti e bacini di creatività molto eterogenei: tutti gli enti di tipo no-profit, dalle realtà più istituzionali, alle associazioni culturali, alle cooperative sociali e di spettacolo, dell’informazione e del tempo libero.<br /><br />Il <a href="http://www.cultureteatrali.org/bando ora.pdf" target="_blank">bando</a> è già scaricabile dal sito internet della Compagnia di San Paolo. Le application vanno inoltrate online, sempre dal sito della Compagnia, <span style="color: #800080;"><strong>entro domenica 7 febbraio 2016</strong></span>.</p> <p style="text-align: justify;"> </p> TEATRO DEI LIBRI 2015-07-20T11:46:48Z 2015-07-20T11:46:48Z http://www.cultureteatrali.org/news/1374-teatro-dei-libri.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p style="text-align: center;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/marco de marinis_cover decroux completa.jpg" border="0" /></p> <p style="text-align: center;"><img src="http://www.cultureteatrali.org/images/stories/articoli/marco de marinis_cover decroux completa.jpg" border="0" /></p> ELOGIO DI CARLO CECCHI 2015-07-16T10:53:25Z 2015-07-16T10:53:25Z http://www.cultureteatrali.org/focus-on/1372-elogio-di-carlo-cecchi-.html Silvia Mei meisilvia@libero.it <p><span style="color: #800000;"><strong>“Un attore che recita, ma che pensa anche sul recitare” *<br /></strong></span></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"><br /><span style="color: #800000;"><strong>[Marco De Marinis]</strong></span> Chiunque voglia tentare  un approccio complessivo al lavoro artistico di Carlo Cecchi, attore e regista teatrale straordinario ma anche notevole interprete cinematografico e televisivo, si trova di fronte a un'impresa tutt'altro che agevole. Anche  limitandosi al solo contributo teatrale, si tratta di confrontarsi con un repertorio di spettacoli non solo vastissimo numericamente ma anche e soprattutto estremamente diversificato, che va da Shakespeare alla farsa dialettale napoletana, da Molière all'ottocentesco Büchner, da Majakovski a Brecht, da Pirandello ad alcuni dei massimi autori contemporanei: Beckett, Pinter, Bernhard. E anche questo elenco è ben lungi dall'essere completo. Si potrebbe affermare – come in effetti è stato fatto – che, in realtà, “l'intero patrimonio teatrale è oggetto della vorace sperimentazione di Cecchi”. E aggiungere inoltre che una teatrografia così vasta e diversificata è sicuramente indizio di “uno spirito inquieto e curioso, che rifugge da ogni chiusura” (cito ancora da una nota enciclopedia). <br /> <br />In questo mio breve discorso di festeggiamento  sarò costretto a compiere delle scelte drastiche. Volendo evitare – non solo per ragioni di tempo – le trappole della esaustività enciclopedica, da un lato, e quelle della celebrazione generica, dall'altro, cercherò di cogliere la specificità e l'importanza del contributo dato da Carlo Cecchi al teatro italiano, e più ampiamente alla cultura del nostro Paese, attraverso un breve rosario di <em>parole chiave</em>.<br />Ma prima un'autodefinizione (del 1978) particolarmente precisa nella sua apparentemente dimessa oggettività, fra le numerose che gli è capitato di attribuirsi nel tempo, pressato in genere dagli intervistatori:<br /><br /><span style="font-size: x-small;">Sono soprattutto un attore, regista attraverso l'attore, sono un attore che recita, ma <em>che pensa anche sul recitare</em>. </span><br /><br />Parto da questa autodefinizione anche perchè mi consente di mettere in campo la prima parola chiave, e cioè ESTRANEITÀ.</p> <p><span style="color: #800000;"><strong>“Un attore che recita, ma che pensa anche sul recitare” *<br /></strong></span></p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"> </p> <p style="text-align: justify;"><br /><span style="color: #800000;"><strong>[Marco De Marinis]</strong></span> Chiunque voglia tentare  un approccio complessivo al lavoro artistico di Carlo Cecchi, attore e regista teatrale straordinario ma anche notevole interprete cinematografico e televisivo, si trova di fronte a un'impresa tutt'altro che agevole. Anche  limitandosi al solo contributo teatrale, si tratta di confrontarsi con un repertorio di spettacoli non solo vastissimo numericamente ma anche e soprattutto estremamente diversificato, che va da Shakespeare alla farsa dialettale napoletana, da Molière all'ottocentesco Büchner, da Majakovski a Brecht, da Pirandello ad alcuni dei massimi autori contemporanei: Beckett, Pinter, Bernhard. E anche questo elenco è ben lungi dall'essere completo. Si potrebbe affermare – come in effetti è stato fatto – che, in realtà, “l'intero patrimonio teatrale è oggetto della vorace sperimentazione di Cecchi”. E aggiungere inoltre che una teatrografia così vasta e diversificata è sicuramente indizio di “uno spirito inquieto e curioso, che rifugge da ogni chiusura” (cito ancora da una nota enciclopedia). <br /> <br />In questo mio breve discorso di festeggiamento  sarò costretto a compiere delle scelte drastiche. Volendo evitare – non solo per ragioni di tempo – le trappole della esaustività enciclopedica, da un lato, e quelle della celebrazione generica, dall'altro, cercherò di cogliere la specificità e l'importanza del contributo dato da Carlo Cecchi al teatro italiano, e più ampiamente alla cultura del nostro Paese, attraverso un breve rosario di <em>parole chiave</em>.<br />Ma prima un'autodefinizione (del 1978) particolarmente precisa nella sua apparentemente dimessa oggettività, fra le numerose che gli è capitato di attribuirsi nel tempo, pressato in genere dagli intervistatori:<br /><br /><span style="font-size: x-small;">Sono soprattutto un attore, regista attraverso l'attore, sono un attore che recita, ma <em>che pensa anche sul recitare</em>. </span><br /><br />Parto da questa autodefinizione anche perchè mi consente di mettere in campo la prima parola chiave, e cioè ESTRANEITÀ.</p>