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TEATRO DEI LIBRI

Marco Martinelli, Farsi luogo. Varco al teatro in 101 movimenti, Bologna, Cue Press, 2015, 47 pp.

 


[Marco De Marinis]

Studiando il teatro del XX secolo stiamo, con fatica e approssimazione, prendendo coscienza che la grande rivoluzione del teatro che il nostro passato ha vissuto qualcos'altro. Non era la Regia, il teatro come arte, era una diversa esperienza di uomini nel teatro e con il lavoro di teatro, esperienza che ha certo costruito mezzi espressivi e tecniche e cultura, ma soprattutto è stata la ricerca per definirsi in nuove situazioni. […] Nel teatro del Novecento c'è stata una esigenza costante e comune di originalità e di eccezionalità. […]  I diversi teatri del Novecento sono vissuti cercando e dichiarando il loro prodotto come evento unico e irripetibile, al di fuori della serie 'normale' degli spettacoli, come espressione invece di una creazione originaria e fondante. E dunque è costante, nel Novecento, l'automatismo del legare l'evento teatrale ad un manifesto di poetica o ad una sistemazione intellettuale del lavoro, tanto che anche i diversi spettacoli diventano momenti esemplificativi, di parziale raggiungimento dell'unica idea/modello di teatro che è invece pienamente enunciata nel manifesto.

Fabrizio Cruciani, In Theatrum oratio (1982), in Registi pedagoghi e comunità teatrali nel Novecento (e scritti inediti), Roma, Editori & Associati, 1995, pp. 227-228.

 



Prologo sul “Teatro politttttttico”

Vorrei parlare di due giovani, un uomo e una donna, che irruppero in un serissimo (seriosissimo?) convegno sul teatro politico (organizzato da Beppe Bartolucci a Narni, nell'aprile del 1987, mi vedeva tra i partecipanti) e lessero un breve testo intitolato  Teatro politttttttico, con ben sette t! In realtà a leggere fu solo lui, tutto compunto, mentre lei “gli stava accanto in posizione orante: indossava una giacchetta verde sulla quale aveva[no] infilzato delle forchette che sembravano entrare nella pelle, come un San Sebastiano di fine millennio”.  
Questi due giovani, serafici provocatori  erano Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, all'epoca appena trentenni e cofondatori, quattro anni prima, del Teatro delle Albe a Ravenna, insieme a Luigi Dadina e a Marcella Nonni. Il Teatro politttttttico oggi figura quasi all'inizio del loro volume Primavera eretica. Scritti e interviste: 1983-2013 (Corazzano [Pisa], Titivillus, 2014), pubblicato - con la nota descrittiva citata prima - in occasione del trentennale della compagnia e già recensito in questo sito (clicca qui).

Val la pena di riprodurlo per intero (pp. 14-15):

Le Albe producono teatro politttttttico.
Perchè politttttttico? Perchè con sette t?
Vediamo sette possibili risposte.
1.    Il polittico è un oggetto sacro, suddiviso architettonicamente in più pannelli, destinato all'altare di un tempio. L'etimologia del termine è illuminante: “dalle molte piegature”. E questo è il polittico con due t: pensate con sette! Ancora più esaltate sono le innumerevoli piegature del reale, non di ideologie i fervidi abbisognano, ma di un pensiero forte, complesso, politttttttico.
2.    E' l'errore di un tipografo impazzito.
3.    E' una licenza poetica.
4.    E' l'arrotarsi del grido sui denti e sulla lingua, sulle t come lame, un bimbo che si incaglia, un irriducibile, un guerrigliero del Terzo Mondo.
5.    E' sapere che non possiamo cambiare il mondo (leggi Rivoluzione), ma qualcosa, in qualche angolo, qualcosa di noi, di qualcun altro, dispersi su un piccolo pianeta che ruota attorno a un sole di periferia, in una galassia tra le tante, arrestare una lacrima, curare qualche ferita, sopravvivere, essere odiosi a qualcuno, saper dire di no, piantare il melo anche se domani scoppiano le bombe, perdersi in un quadro di Schiele, aver cura degli amici, scrivere certe lettere anziché altre (leggi Rivoluzione).
6.    E' pensare che “la poeticità è una battaglia disperata” (Vitae acqua).
7.    E' umor nero.



Siamo di fronte a un testo all'apparenza scherzoso, irriverente, autoironico anche, ma in realtà profondamente serio (non serioso),  insomma nel miglior stile dei manifesti delle avanguardie storiche. Sì, proprio di un manifesto si trattava, di un bellicoso programma d'azione. Ma, prima di riparlarne, vorrei proporre due considerazioni generali riguardanti le Albe e le nozze fra il teatro e il libro che esse celebrano ormai da anni, caso quasi unico nel panorama italiano.

 

Prima considerazione. Come mi è già accaduto di osservare, fra le tante caratteristiche che  contraddistinguono questo gruppo teatrale, v'è sicuramente quella di un'attenzione ininterrotta, né scontata né banale, ai rapporti fra la pagina scritta e la scena, fra documentazione-testimonianza-riflessione critica e lavoro artistico, insomma fra teoria e pratica. Questa attenzione, che ovviamente va ben al di là del fatto che Martinelli è anche scrittore e drammaturgo oltre che regista (e in origine pure attore), li ha portati a produrre non pochi esempi di veri e propri libri-teatro, piuttosto che semplici libri sul teatro. Ne cito in particolare due, forse non casualmente legati al lavoro condotto per anni (e pieno di derive sorprendenti) intorno al capolavoro del padre delle avanguardie storiche: Ubu 2000. Da Perhindérion a I Polacchi (2000) e Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta 1998-2008 (2008), editi entrambi - indovinate un po'? - dalla Ubulibri dell'indimenticabile Franco Quadri.
Negli ultimi due anni, poi, Marco ed Ermanna si sono davvero scatenati, non contenti della straordinaria summa di Primavera eretica: lui editando i suoi testi: Pantani, Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi e Slot machine (tutti per Sossella editore), oltre al volumetto teorico di cui parleremo; lei pubblicando (sempre per Sossella) Rosvita e la brochure del suo ultimo lavoro solistico, La camera da ricevere (presentato pochi giorni fa alla Soffitta di Bologna [13 novembre 2015]). E non basta, perchè poi ci sarebbero da citare gli scritti sulle Albe, a cominciare dalle sette postfazioni (ancora quel numero!) che Massimo Marino ha composto per Primavera eretica. Mi limito a menzionare, fresco di stampa come Slot machine e Farsi luogo, il volume a più voci che Cristina Valenti ha curato per un'altra, recente produzione delle Albe (con Luigi Dadina e Michela Marangoni in scena; ma Dadina vi è anche regista e coautore del testo, insieme a Laura Gambi): Amore e anarchia. Uno spettacolo del Teatro delle Albe (Titivillus, 2015). E come dimenticare l'importante monografia, vecchia (?) di soli tre anni, che Laura Mariani ha consacrato, con l'essenziale complicità dell'interessata, a Ermanna Montanari (Ermanna Montanari. Fare-disfare-rifare nel Teatro delle Albe, Corazzano (Pisa), Titivillus, 2012)?

Seconda considerazione. Il lavoro delle Albe, non soltanto per quello che fanno ma per come sono, conferma fra l'altro che un teatro degno di questo nome non è mai soltanto un mero contenitore di spettacoli (per altro fondamentali, ci mancherebbe) ma è anche e soprattutto un ambiente, una enclave, dove la cultura e l'arte diventano un modo di vivere, di stare insieme, di accogliere, di fare comunità; dove i libri (certi libri, almeno) non sono meno importanti degli spettacoli e gli studiosi e  gli intellettuali (certi studiosi e certi intellettuali, almeno) vi sono apprezzati veramente (non strumentalmente). Insomma, le Albe rappresentano la conferma che  un vero teatro è bottega d'arte e casa dello spettatore insieme (secondo la non dimenticata indicazione di Leo de Berardinis). E sono sicuro che esse sottoscriverebbero in pieno la nota affermazione di Eugenio Barba, secondo la quale “il teatro è insopportabile se si riduce solo allo spettacolo”.

Torniamo al teatro politttttttico con sette t da cui siamo partiti. Non si trattò affatto (con quella incursione al convegno di Narni) di una trovata estemporanea ma al contrario di un'immagine a lungo pensata (lo si capisce anche leggendo altri scritti  raccolti in Primavera eretica), che da allora delle Albe è diventata una specie di bandiera, di blasone, di logo, andando a nutrire profondamente (insieme ad altre) il loro lavoro e le loro visioni. Una riprova di ciò sta nel fatto che il più volte citato volume Primavera eretica tanti anni dopo riprende il magico numero nella sua stessa strutturazione in sette capitoli (oltre che nelle già ricordate sette prefazioni di Marino).

[...]

 

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