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TEATRO D'OPERA

Il suono giallo tra Kandinskij e Dessì


Gianni Dessì, In Opera, 2006.

 

[Erica Faccioli] L’opera di Vasilij Kandinskij Il suono giallo è andata in scena al Teatro Comunale di Bologna dal 13 al 17 giugno. Definita dall’artista russo come “composizione scenica”, poiché – secondo una sua affermazione -, “non rientra in nessuna delle forme consuete”, l’opera si avvale nell’originale dell’apporto musicale di Thomas von Hartmann, autore, tra l’altro, delle musiche per le danze sacre di Gurdjieff (e del libro di memorie: Our life with Mr. Gurdjieff).
In linea coi principi de Lo spirituale nell’arte, Kandinskij propose, in un testo apparso nel 1913 su “Der Blaue Reiter”, una nuova e alquanto enigmatica definizione della composizione scenica, a introduzione de Il suono giallo. Accordandosi con il paradigma, già ampiamente presentato, della “necessità interiore come unica fonte di creazione”, Kandinskij introduce il suo arditissimo atto unico in sei quadri ripudiando la logica della “necessità esteriore” della forma e inneggiando all’eco che ogni forma di espressione artistica comporta. Secondo l’artista russo, mancando completamente dell’“elemento cosmico”, il dramma a lui contemporaneo eludeva del tutto la natura spirituale – eterica – della forma, del colore, del suono, del movimento. L’essenza del dramma coincide invece per Kandinskij con l’effetto suggerito dai mezzi espressivi, liberati del loro significato contingente e “astratti” secondo la loro essenza di “impressione” e “riviviscenza interiore”. Scritto nel 1912, Il suono giallo accompagna il grande cambiamento che porterà l’autore a rifiutare la mimesi e il figurativo in ambito pittorico, mentre scrive diverse composizioni sceniche “anti-rappresentative” (Voci, Nero e bianco, Figura nera, Il sipario viola). La rappresentazione è sostituita dalla vibrazione sonora prodotta dal colore, e da una concezione che trova molte assonanze con le teorie espresse dai teosofi A. Besant e C. W. Leadbeater in Thoughts Forms (Le forme-pensiero) del 1905. Con tali premesse rivoluzionarie, Il suono giallo si è visto rarissimamente sulla scena: fallito il tentativo del 1914, previsto per il Künstlertheater di Monaco, a causa dello scoppio della guerra, fallita anche la proposta a Stanislavskij, si dovrà attendere l’iniziativa del poliedrico e geniale Jacques Polieri, che nel 1975 presenterà l’opera all’Abbazia di Saint Baume in Provenza, prima, e al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi l’anno successivo (in seguito, nel 1982, venne messo in scena in occasione dell’esposizione di Kandinskijana al Salomon Guggenheim Museum).

La produzione del Teatro Comunale di Bologna ha visto la regia di Franco Ripa di Meana che ha affidato il compito di progettare scene e costumi all’artista Gianni Dessì. Protagonista della Nuova scuola romana di San Lorenzo, del gruppo legato alla Fondazione Pastificio Cerere, Dessì già dagli anni Settanta ha sperimentato nella scena d’avanguardia, approdando, in tempi più recenti, a collaborazioni di rilievo (come il Parsifal di Wagner con la regia di Peter Stein e la direzione di Claudio Abbado al Festival di Salisburgo e Il castello di Barbablù di Béla Bartók alla Scala di Milano e al Het Muziektheater di Amsterdam, regia sempre di Stein e direzione di Daniel Harding).
Il contributo di Dessì all’allestimento de Il suono giallo assume aspetti significativi: la poetica dell’artista è segnata dall’evolvere di un nuovo linguaggio che dà origine a un universo simbolico e archetipico, ed eleva la luminosità del colore giallo a forma di espressione assoluta: “un giallo carico, pesante, assorbente, un giallo vellutato, materico, denso, magmatico, un pigmento che compie solitario la fatica recitativa per un’opera sottilmente evocativa e complessa”, secondo la magnifica definizione di Danilo Eccher, curatore della mostra dell’artista al MACRO nel 2006.

 

Gianni Dessì, Camera picta, 2005.

 

Erica Faccioli Una prima domanda riguarda la ricerca cromatica della luce attraverso la materia che, mi pare, accompagna da tempo la tua poetica. La questione della luce accomuna da tempi remoti  ricerche e sperimentazioni di artisti (pittori) e scenografi. Come senti di affrontare questa tematica?
Gianni Dessì La luce è l'elemento fondamentale della visione... Senza di essa non percepiamo ed è quindi normale che ne sia il fondamento. Potremmo discutere di come nel tempo questa sia stata diversamente investita di significati simbolici, e sicuramente in Kandinskij sono presenti quelli che hanno a che fare con una concezione mistica. In più bisogna anche ricordare che la luce elettrica fornì finalmente al teatro altre fonti di meraviglia, tanto da diventarne alle volte interamente protagonista. Nel testo di Kandinskij lo si intende in diversi passaggi e del resto Balla in quegli stessi anni propose Feu d'artifice per sola luce e forme geometriche (tra l'altro ne facemmo una ricostruzione molto fedele alla metà degli anni Settanta per lo spettacolo di Simone Carella, Viaggio Sentimentale, al Beat 72 a Roma). Dal mio punto di vista la luce è, e continua ad essere, il centro della visione, ciò che dà sostanza all'apparire e che quindi reca con sé tutti i suoi significati simbolici. In questo mi sento nella linea di Kandinskij.

 

EF Trovo che alcune tue opere, le “camere pictae” in primis, compongano, nel loro estendere il colore nello spazio, veri e propri “dispositivi scenici”. Quanto la matrice scenografica è presente nella tua opera?
GD Devo dire che non penso in questi termini... Davanti a me ho solo scelte espressive rispetto a quanto ho in testa o che "l'esperienza del fare" mi pone sotto gli occhi. Tutti quei lavori che ho raggruppato sotto quella dicitura volevano ribadire un’idea di pittura che rivendica un suo luogo, che un colore dipinge abitandolo, tanto da farcelo apparire con una nuova dimensione anche fisica e prospettica. E', simbolicamente, rivendicare un luogo per la pittura e un nuovo "punto di vista". Non nascondo nemmeno che le prime opere nascevano anche come fatto polemico intorno ai dibattiti di quegli anni sulla pittura. L'affrontare poi la scala spaziale è stata l'aspirazione più genuina di tutta l'arte contemporanea che, se vuoi, potremmo anche indicare come teatralizzata, ma credo che andremmo a semplificare troppo.

EF Com'è nata questa collaborazione col Comunale di Bologna e il progetto di mettere in scena un’opera così complessa come Il suono giallo di Kandinskij?
GD Franco Ripa di Meana, il regista incaricato, ha fatto la mia segnalazione, che quanti avevano la responsabilità del progetto hanno subito accolto con interesse e curiosità.  Alessandro Solbiati a Milano stava componendo la parte musicale, una commissione diretta del Comunale. Abbiamo avuto degli incontri tutti insieme e immediatamente sono scattate, per quel che mi riguarda, idee e linee guida che sono state subito accolte e accettate perché credo muovano da  intendimenti e, direi, sensibilità comuni.

EF Veniamo alla predilezione per la luminosità del colore giallo: come si è originata e quali significati ha assunto nel tuo lavoro?
GD Si è trattato quasi di un atto di imperio. Volevo chiudere con una fase in cui la pittura si presentava più introversa, avevo cercato la sua possibilità di essere ancora lingua viva calandomici dentro e portandone in superficie lacerti, immagini spesso anche contrastanti ma comunque rette da necessità interiori, attento a recuperarne il filo più intimo e prezioso, anche qui un po' in polemica con certa vulgata sulla citazione e sull'appropriazione di immagini.  Nella seconda metà degli anni Ottanta in opere come Punto a capo o Campione appare il giallo che conquista ampi spazi della tela e sulla superficie stessa della parete prima e delle pareti dopo. E' stato un passaggio anche psicologico, un'uscita allo scoperto, un rivendicare un luogo e un’appartenenza, il tutto accompagnato dal tono più alto che puoi usare, quello più prossimo alla luce. Ma che è anche quello più indisciplinato, quello che non sta mai fermo sul suo piano, perché otticamente 'balla', quasi non appartenesse a nessuno di quei piani dove poggia. Per me definisce al meglio tutte le qualità della pittura come io la intendo... inquieta, mobile e aperta alla contraddizione.

EF Infine, come il “giallo Dessì” incontrerà l’opera di Kandinskij? Attraverso quali soluzioni?
GD La incontrerà intanto dopo aver molto 'ascoltato' il testo in questione e averne fatto una scelta, alla base, di fedeltà direi storica e simbolica. L'opera mi sembra parli dell'esperienza e della rivelazione dell'arte all'uomo in generale e dunque anche all'artista. Per questo ho evocato anche la presenza di Kandinskij (con la sorpresa-rivelazione della vicenda del quadro sottosopra, mentre qui sarà la stanza ad apparire rovesciata mentre lui vi entrerà cominciando quel percorso di conoscenza e di acquisizione di quelle energie primordiali, cosmiche ma sensibili, che lo porteranno infine all'unità e alla piena coscienza). Ed è attraverso il fatto che oramai Kandinskij è tutti noi, che è anche me, alla sua vicenda di autorivelazione ho accostato anche la mia, scandita con opere che si fanno spazio nella composizione proponendosi come veri e propri fulcri visivi. Alcune eseguite appositamente, altre citate e altre ancora già fatte in precedenza e prestate per l'occasione. Ma la cosa che ho trovato più sorprendente, a parte il colore evocato già dal titolo, sono le altre presenze che il testo mette in scena e a cui io avevo dedicato opere in passato, come  a dire di una comune sorgente.

 



13-17 giugno 2015
TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA
Il suono giallo, di Vasilij Kandinskij

 

Prima rappresentazione assoluta
Nuova produzione Teatro Comunale di Bologna

Interpreti :: Alda Caiello, Maurizio Leoni, Paolo Antognetti, Laura Catrani e Nicholas Isherwood.
Direttore :: Marco Angius
Regia :: Franco Ripa di Meana
Maestro del Coro :: Andrea Faidutti
Scene e costumi :: Gianni Dessì
Luci :: Daniele Naldi
Drammaturgia :: Marco Gnaccolini




 
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